liberalitade (liberalitate)
Virtù opposta ad ‛ avarizia ', il cui esercizio suppone senso di responsabilità e buona disposizione d'animo: " Et liberalis dabit doni gratia et recte " (Arist. Eth. Nic. IV 1, 1120a 24-25); " Liberalis dictus ab eo quod libenter donet nec murmuret " (Isidoro Etym. X 156). Rientra nella complessa categoria etico-sociale della ‛ cortesia ' (v.) come affine a ‛ larghezza ', ma con minore rilievo semantico.
D. usa il vocabolo più volte nel Convivio, sia nell'affermare che la sua offerta di cibo e companatico spirituale ai lettori nasce di compita e cara liberalitate (I I 19), sia nel porre tra le ragioni che lo mossero a eleggere per il commento il volgare e non il latino la prontezza di liberalitade (V 2), la quale pronta liberalitate (VIII 1 e 2) consiste in tre cose che il latino non avrebbe reso possibili: dare a molti... dare utili cose... sanza essere domandato lo dono, dare quello (§ 2), dove la prontezza, mentre precisa l'atteggiamento interiore di chi dona, implica anche oculata vigilanza nella scelta, nell'utilità, nella convenienza del dono stesso rispetto al suo destinatario; si vedano gli esempi seguenti: li savi dicono che la faccia del dono dee essere simigliante a quella del ricevitore, cioè a dire che si convegna con lui, e che sia utile: e in quello è detta pronta liberalitade di colui che così dicerne donando (VIII 5); intendo mostrare quattro ragioni per che di necessitade lo dono, acciò che in quello sia pronta liberalitade, conviene essere utile a chi riceve (VIII 6); e poi VIII 8, 11, 13, 15, 16 e 17, IX 1 e11, X 5.
In Cv IV XVII 4 la l. è nell'elenco delle virtù compilato da Aristotele in Eth. Nic. II 7 (come corrispondente del greco ἐλευθεριότης) al terzo posto, e assume una connotazione specifica illustrata dal contesto: La terza si è Liberalitade, la quale è moderatrice del nostro dare e del nostro ricevere le cose temporali.
Per gli esempi di l. nel Purgatorio, cfr. Pg XX 31-33.