Liberia
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geografia umana ed economica
di Paolo Migliorini
Stato dell'Africa occidentale. Nel 2005 la popolazione ha raggiunto i 3.283.000 abitanti. Si calcola che, in seguito alla guerra civile che ha sconvolto il Paese dal 1989 al 2003, circa 500.000 liberiani abbiano dovuto cambiare il loro luogo di residenza, e almeno 200.000 abbiano trovato rifugio nei Paesi confinanti; il rientro in patria dei fuoriusciti è ritardato dalle permanenti condizioni di insicurezza in cui versa il Paese. Gli americo-liberiani, discendenti degli schiavi statunitensi liberati sbarcati in questa parte dell'Africa fin dal 1821, costituiscono il 5% circa della popolazione. È presente un certo numero di discendenti di libanesi e di indiani, che controllano in larga misura il settore degli affari. La più grande concessione di legname è posseduta da indonesiani. È anche presente un certo numero di cittadini di altri Paesi dell'Africa occidentale, impegnati nel commercio transfrontaliero. La comunità occidentale, confinata a Monrovia e negli immediati dintorni, si è molto ridotta in seguito alla guerra civile e alle conseguenti condizioni di insicurezza. Il tasso medio di crescita della popolazione è stato nel periodo 2000-2005 dell'1,4%. Gli indicatori economico-sociali considerati particolarmente espressivi del livello di sviluppo umano (speranza di vita alla nascita, tasso di alfabetizzazione, reddito annuo pro capite a parità di potere d'acquisto) collocano la L. in una posizione di retroguardia nella graduatoria mondiale.
Prima della guerra civile l'economia liberiana dipendeva in larga misura dall'estrazione e dall'esportazione di minerali di ferro. A partire dagli anni Ottanta del 20° sec., anche per effetto del declino della domanda di tali minerali sul mercato mondiale, l'industria mineraria è entrata in crisi, e le tre maggiori concessioni (Bong Mines, Nimba e Bomi Hills), che fornivano il 50% del valore delle esportazioni, hanno cessato progressivamente ogni attività. Anche le esportazioni di legname grezzo, caucciù e diamanti, e in minor misura caffè e cacao, che concorrevano a formare l'altro 50%, hanno subito i contraccolpi della guerra. In particolare il commercio di legname e di diamanti ha risentito delle continue sanzioni internazionali. Nel 2001 le Nazioni Unite hanno imposto sanzioni alla L., per l'appoggio dato ai ribelli del Revolutionary United Front (RUF) nella vicina Sierra Leone. Le attività manifatturiere (lavorazione della gomma e dell'olio di palma, prevalentemente in mani straniere) hanno tuttora scarso rilievo. Il governo liberiano ha annunciato di recente la scoperta di considerevoli giacimenti di petrolio lungo la costa atlantica. Tanto la ricostruzione delle infrastrutture quanto l'incremento dei redditi in questo quadro economico dissestato dipenderà in larga misura dal sostegno finanziario e dall'assistenza tecnica dei Paesi donatori e delle organizzazioni internazionali preposte all'aiuto dei Paesi in difficoltà.
La L. è nota per le facilitazioni fiscali e normative che concede alle navi e alle imprese registrate sotto la sua bandiera. Questa particolare fonte di introiti, dopo alcuni problemi incontrati negli anni Ottanta del 20° sec., sta rapidamente guadagnando importanza. Nel 2005 quello liberiano era il secondo maggiore registro navale del mondo, con più di 1700 navi battenti bandiera liberiana, incluso il 35% della flotta mondiale di petroliere.
Storia
di Emma Ansovini
Il governo provvisorio di riconciliazione nazionale, varato nell'agosto 2003, gli accordi di Accra dell'ottobre dello stesso anno e le elezioni presidenziali dell'ottobre-novembre 2005 segnarono, per quanto in un contesto ancora connotato da forti incertezze, la fine della sanguinosa guerra civile, iniziata nel 1989 e solo brevemente interrottasi in seguito ai due accordi di Abuja (ag. 1995 e ag. 1996). L'elezione alla Presidenza della Repubblica di Ch. Taylor nel 1997 aveva, infatti, precipitato nuovamente la L. in una condizione di grave crisi. Già nel settembre 1998 gli scontri erano ripresi violenti nella capitale, mentre il nuovo governo metteva in atto una politica repressiva, limitando fortemente la libertà di espressione, chiudendo, nel corso del 1999 e del 2000, giornali e radio indipendenti e trasformando il Paese in uno Stato di polizia. Portatore di una visione personalistica del potere, Taylor ritenne di accrescere il proprio prestigio anche attraverso la destabilizzazione di Stati confinanti come la Repubblica di Guinea e soprattutto la Sierra Leone, dove sostenne apertamente uno dei gruppi armati antigovernativi, Revolutionary United Front (RUF).
Il quadro politico si modificò nel 2000 con la comparsa sulla scena di una nuova formazione armata, il Liberians United for Reconciliation and Democracy (LURD), con basi soprattutto nel Nord, che aveva raccolto parte dei combattenti delle disciolte frazioni K (Kromah) e J (Johnson) dell'United Liberation Movement of Liberia for Democracy (ULIMO), e che fu affiancata a partire dal 2003 da un altro gruppo, il Movement for Democracy in Liberia (MODEL), il quale rapidamente conquistò il Sud-Est. Nell'agosto 2003, con Monrovia ormai nelle mani dei ribelli, Taylor fuggì, trovando rifugio in Nigeria e lasciando il potere al vicepresidente M. Blah. La sua decisione fu il frutto delle pressioni esercitate dalle forze di interposizione africane, ma soprattutto dagli Stati Uniti, che avevano inviato navi da guerra al largo delle coste liberiane. Partito Taylor, le forze ribelli lasciarono il controllo della capitale alle truppe dell'Economic Community of West African States (ECOWAS), che, con 200 militari statunitensi, dovevano garantire la tregua tra le parti. In settembre l'ONU decise l'invio di un contingente di pace (UNMIL, United Nations Mission in Liberia) per sostenere la transizione, che prevedeva nella sua fase iniziale il disarmo delle diverse fazioni. In ottobre i militari statunitensi abbandonarono il Paese e nello stesso mese fu firmato ad Accra un accordo di pace, che concludeva trattative in corso da circa un anno, mentre G. Bryant, designato già in agosto, divenne capo del governo provvisorio. Avviato nel dicembre 2003, il programma di smilitarizzazione si concluse nel novembre dell'anno successivo con una cerimonia pubblica che sanciva l'abbandono della lotta armata da parte dei principali gruppi, il reinserimento nella vita civile di circa 96.000 combattenti e il rientro nei loro luoghi di residenza di circa 500.000 sfollati; rimase invece irrisolto il problema del rientro in patria degli oltre 200.000 liberiani che avevano cercato rifugio all'estero. Contemporaneamente venne prorogato di un anno l'embargo sulle armi e di sei mesi quello sull'esportazione dei diamanti, principale fonte di finanziamento di tutte le fazioni in lotta (proroga rinnovata nel 2005). Il processo di normalizzazione si scontrava con le enormi difficoltà di un Paese devastato dalla guerra civile: secondo stime internazionali erano morte oltre 250.000 persone, mentre un'intera generazione di bambini-soldato aveva nella guerra l'unica esperienza di vita. Monrovia era ormai una città senza luce elettrica e acqua corrente, passata dai 300.000 abitanti della fine degli anni Ottanta del 20° sec. a circa 1.300.000 nei primi anni del 21° secolo.
Pur nella situazione di precarietà dei primi anni di pace, con un'economia che sembrava dipendere in larga misura dalla presenza della missione ONU (oltre 15.000 uomini) e dagli aiuti internazionali, il percorso verso la normalità continuò, trovando un momento molto significativo nelle elezioni presidenziali dell'ottobre-novembre 2005. Nonostante la presenza di numerosi concorrenti, queste si risolsero nello scontro tra l'ex campione di calcio G. Weah e l'economista ed ex funzionaria dell'ONU E. Johnson-Sirleaf. Quest'ultima, con un programma che puntava sulla riconciliazione nazionale, ma anche sulla fermezza nei confronti di tutti i crimini di guerra, venne sconfitta al primo turno, ma si impose nel secondo con il 59% dei voti. A deciderne il successo influirono le dichiarazioni dei 'signori della guerra' a favore di Weah, considerato probabilmente un candidato più manovrabile, ma soprattutto la mobilitazione delle donne, impegnate in una campagna capillare per eleggere, per la prima volta in Africa, una donna come capo dello Stato. Dalle consultazioni legislative, svoltesi in concomitanza con il primo turno delle presidenziali, emerse una forte frammentazione politica: il Congress for Democratic Change, il partito di Weah, si affermò come primo partito con 15 seggi su 64, mentre al partito del presidente, Unity Party, andarono 8 seggi. Nel 2006 Taylor fu arrestato in Nigeria ed estradato, prima, in Sierra Leone (marzo) e, successivamente, nei Paesi Bassi (giugno), per essere processato dal Tribunale internazionale per i crimini di guerra.