liberismo
Sistema economico imperniato sulla libertà d’iniziativa economica nel mercato e sulla concorrenza, in cui lo Stato garantisce, con norme giuridiche, la libertà economica individuale, assicura funzioni pubbliche essenziali, quali la giustizia e la difesa, e si limita a offrire beni che non sarebbero prodotti a condizioni di mercato, per assenza d’incentivi.
In un significato distinto ma correlato, l. indica l’assetto istituzionale e le politiche economiche che garantiscono la libertà del commercio internazionale (libero scambio), in opposizione al protezionismo.
Nel pensiero economico il l. è stato propugnato, con varia radicalità, per diverse valutazioni sulle funzioni pubbliche irrinunciabili nel libero mercato, sulla regolazione della concorrenza, sulla necessità di correggere disuguaglianze nelle opportunità e fallimenti del mercato. A sostegno del l. sono addotti vantaggi d’efficienza e guadagni di benessere collettivo, che derivano dalla libertà d’iniziativa e dalla concorrenza, oltre a ragioni di tutela della libertà personale, contro l’invadenza dello Stato. I sostenitori del l. segnalano i fallimenti del settore pubblico nella gestione dell’economia e difendono la libertà di scelta del cittadino, consumatore o produttore, dalle pretese paternalistiche dell’autorità pubblica.
La difesa del l. è in prevalenza ispirata al liberalismo politico (➔ anche liberalismo), ma la distinzione fra i due concetti è così rilevante da essere diventata oggetto di scambio polemico in Italia fra B. Croce e L. Einaudi. Storicamente, non sono mancati teorici del l. difensori dell’assolutismo politico, né regimi autoritari che hanno promosso (e ancora promuovono, per es., in Cina) la libertà dei mercati. Nel 18° sec., in polemica con il mercantilismo (➔), i fisiocrati, R.-J. Turgot e A. Smith, propugnarono libertà di commercio e libero accesso ai mestieri e alle professioni. Smith sostenne che lo sforzo di ognuno per conquistare il benessere è fonte di progresso collettivo nella nazione, se le istituzioni garantiscono i diritti di proprietà e la giustizia, la concorrenza, la fiscalità non oppressiva (sistema della ‘libertà naturale’). Nel 19° sec. D. Ricardo e J.S. Mill argomentarono la libertà del commercio internazionale con la legge dei costi comparati; al contrario, gli oppositori del libero scambio (il più noto fu F. List) rilevarono lo squilibrio di forze tra nazioni già industrializzate ed emergenti.
Squilibri di potere tra Stati e vantaggi asimmetrici nel commercio internazionale restano tema di controversia nel valutare il l. nell’esperienza dei Paesi in via di sviluppo. Nelle economie contemporanee, il dibattito sul l. affronta l’equilibrio tra i risultati d’efficienza e crescita e l’opportunità dell’intervento pubblico per i principi d’equità, a fini redistributivi o assicurativi, a tutela di soggetti socialmente deboli. Già Mill contemperava la libertà del mercato e i principi d’equità. Nel 20° sec. F.A. von Hayek, che criticò la pianificazione centralizzata contro il totalitarismo e a tutela dell’innovazione creativa, giudicò all’opposto l’ideale della giustizia sociale incompatibile con il l. e con l’autentico liberalismo politico.
Tema di controversia sul l. è la possibilità di correggere squilibri reali e finanziari nell’economia, affidandosi solo a meccanismi di mercato. Dopo la grande depressione degli anni 1930, si affermò la visione keynesiana, che proponeva politiche pubbliche a sostegno della piena occupazione. All’opposto, la scuola monetarista sottolinea la tendenza naturale dell’economia di mercato al pieno impiego e alla crescita stabile, in assenza d’intervento pubblico. Dopo la crisi finanziaria internazionale iniziata nel 2007-08, tuttavia, è divenuto cruciale il ruolo degli Stati nella concertazione per regolare i mercati finanziari, imporre trasparenza ed evitare il contagio degli squilibri nell’economia globale.