BOVIO, Libero
Nato a Napoli l'8 giugno 1883 dal filosofo e uomo politico Giovanni e da Bianca Nicosia, fu avviato agli studi tecnici, che non portò a termine, come non riuscì a dedicarsi agli studi musicali, cui invano aveva cercato di indirizzarlo la madre, valente e sensibile pianista. Attratto piuttosto dal teatro dialettale, si dedicò ben presto all'attività letteraria, ma le ristrettezze economiche seguite alla morte del padre lo costrinsero ad accettare nel 1903 un impiego presso il quotidiano Don Marzio. Tuttavia, dopo pochi mesi, lasciò il posto per passare come semplice scrivano al Museo Nazionale, ove ebbe modo di dedicarsi con maggiore libertà all'attività prediletta.
Nacquero in questo periodo i primi bozzetti drammatici in vernacolo e, ottenuto un primo successo con Chitarrata, rappresentata nel 1902 al Teatro Mercadante dalla compagnia di F. Stella, nello stesso anno portò sulle scene del Teatro Nuovo Mala nova!, opera in cui volle cercare di dar vita a un teatro dialettale d'arte superando la convenzionale tradizione popolaresca. Successivamente entrato in polemica con Eduardo Scarpetta, cui rimproverava la predilezione per un repertorio di chiara derivazione francese, assieme a numerosi critici e scrittori napoletani, prese parte attiva alla battaglia sostenuta per la creazione di un teatro napoletano originale non contaminato dalle riduzioni di pièces e pochades d'Oltralpe. Tale intento poté essere attuato allorché nel 1905 Gennaro Pantalena costituì una compagnia per il Teatro Nuovo e il B. gli affidò la rappresentazione del dramma Casa antica (Teatro Montecalvario, 1906), opera significativa nel quadro della produzione drammatica dell'artista, cui fece seguito nell'anno seguente la commedia Gente nosta, scritta in collaborazione con E. Murolo e rappresentata al Teatro Sannazzaro dallo stesso Scarpetta. Divenuto ben presto una delle più tipiche figure dell'ambiente napoletano e considerato tra le più valide voci del teatro dialettale, fece rappresentare nel 1911 Malia, una riduzione in vernacolo dal lavoro di L. Capuana, poi nel 1918 Vincenzella, ispirato al romanzo Scènes de la vie de bohème di H. Murger, quindi l'atto unico So' diece anne (1918), Pulecenella (1920), La coda del diavolo (1921), pubblicato col titolo Spirto gentil e tratto dalla commedia di G. Verga, e successivamente 'O professore e 'O macchiettista (1936).Tuttavia la fama del B. più che alla produzione teatrale è legata all'attività poetica e in particolare al mondo della canzone napoletana, cui si era dedicato fin dagli anni giovanili e in cui profuse i doni della sua arte e le immagini più schiette del suo sentimento e della sua fantasia.
Ottenuto il primo successo nel 1909 con Canta pe' me (musica di E. De Curtis), il B. nel 1910 pubblicò Surdate, musicata da E. Nardella, con cui istituì un fortunato sodalizio artistico, e si orientò quindi verso un particolare tipo di canzone a monologo dal tono bozzettistico, che richiedeva al cantante anche doti di attore. Nacquero in questo periodo canzoni quali Canto p''a luna, 'A serenata (1911) e Guapparia (1914, musica di R. Falvo), in cui, come-osserva il Di Massa, "indulge alla guasconata che sfocia nella confessione dell'amarezza rassegnata dell'innamorato tradito e deluso"; in seguito la sua ispirazione poetica lo condusse verso temi di carattere meno realistico e nella delicata barcarola 'Ncopp''a ll'onne si abbandonò a immagini di sapore ottocentesco, mentre in 'A serenata 'e Pulecenella (1916) volle ricordare maschere e figure della Napoli più autentica, esaltandosi poi nella evocazione di celebri posteggiatori come in Zingariello (1930), che, musicata da P. Frustaci, si ispirava direttamente al singolare personaggio di Giovanni Di Francesco. Nel 1910, frattanto, era entrato a far parte della casa editrice "Polyphon Musikwerke" e fino al 1915 vi pubblicò alcune tra le sue canzoni più belle, finché in seguito allo scoppio del primo conflitto mondiale, dopo una clamorosa rottura con l'editore tedesco Weber, passò alla casa editrice "La Canzonetta", quindi a quella di E. Gennarelli e alla "Santa Lucia" di A. De Martino. Nel 1934, assieme ai compositori G. Lama, N. Valente e E. Tagliaferri fondò la casa editrice "La bottega dei quattro", che si sciolse alla morte dei titolari. Trascorse tutta la sua esistenza a Napoli, ove morì il 26 maggio 1942.
Considerato dal Villaroel "tra i più sinceri ed espressivi cantori di quella Napoli felice della poesia nativa e sentimentale dell'epoca", in realtà la nota caratteristica della sua ispirazione poetica fu una costante nostalgia per un mondo ormai scomparso e, se pur non raggiunse le splendide trasfigurazioni poetiche del Di Giacomo, seppe esprimere con sincerità e struggente sensibilità ambienti, figure e momenti di vita napoletana, in cui trasfuse liricamente la sua profonda umanità. Erede del Di Giacomo e di F. Russo per la musicalità e l'armonia del verso, alternò l'attività di poeta, novelliere e commediografo a quella di capocomico; tuttavia il suo mondo fu quello della canzone, che elevò a dignità d'arte e fu per molti anni dominatore assoluto di Piedigrotta, i cui successi furono a lungo legati al suo nome. Abile nel cogliere situazioni e scene di vita nel giro di pochi versi, ebbe il dono di creare con rara potenza espressiva immagini irripetibili, soprattutto nella rappresentazione di particolari atmosfere drammatiche, in cui si celava una sottile e amara ironia; è il caso di Guapparia o di Brinneso (1922, musica di N. Valente), che segna un ritorno alla canzone guappo-comica e non a torto viene considerata tra le più felici della sua feconda produzione. Egli cercò di dare nuovo impulso alla canzone drammatica, considerata una degenerazione della lirica canzone napoletana; più acutamente il Tilgher in un suo saggio sull'artista volle precisare come il B. avesse tentato un grande sforzo per infondere nuovo sangue al corpo un po' senescente e anemico della canzone napoletana. Scopo che ha tentato di raggiungere con una trasformazione della canzone, da sfogo puramente lirico, passionale, melodico di un'anima innamorata o dolorante in un concitato e affannoso monologo in cui culmina e si risolve spesso sanguinosamente una situazione drammatica trattata con aspro compiacimento di catavaggeschi conflitti di luci e ombre. Da lirica a dramma".
Così accanto a delicati versi inneggianti alla luminosa rievocazione nella sua Napoli, come 'A canzone 'e Napule (1912), Napule canta (1915, musica del Tagliaferri), Silenzio cantatore (1922, mus. di G. Lama) e soprattutto 'O paese d''o sole (1925), che, musicata dal compositore V. D'Annibale, viene universalmente considerata un inno all'amore e alla gioia di vivere nell'esaltazione di Napoli e dell'Italia tutta, si pone il ricordo di delicate figure femminili protagoniste di romantiche vicende e pervase di una crepuscolare e struggente nostalgia. Ma anche quando i suoi personaggi sono immersi in una cupa e violenta atmosfera drammatica è possibile cogliervi una sottile malinconia, che si fa ancor più evidente allorché il poeta si abbandona all'evocazione di piccole scene di vita quotidiana. Egli seppe anche esprimere sentimenti patriottici nella Canzone garibaldina (1915), che, musicata da R. Falvo ed eseguita da Elvira Donnarumma, suscitò un vero delirio nell'animo popolare, che in lui vide il suo cantore più vero e spontaneo (più tardi scrisse i versi per il Canto del lavoro musicato da P. Mascagni ed eseguito al Teatro S. Carlo nel 1928). Sarà poi ancora la Donnarumma, di cuì il B. ammirava la forte personalità d'artista e di donna generosa e schietta, a ispirargli nel 1923 Chiove, che, musicata da E. Nardella, resta una delle sue canzoni più belle e ispirate.
Tra i musicisti che collaborarono a lungo con il B. e gli furono vicini nella sua intensa attività vanno ricordati F. Buongiovanni, E. Cannio, E. De Curtis, oltre ai già citati R. Falvo, G. Lama, E. Nardella, E. Tagliaferri. L'ultima sua pubblicazione, una raccolta di novelle dal titolo Don Liberato si spassa (Napoli 1941), in cui si scorge un tono che oscilla tra la satira e un amaro umorismo, contiene frequenti richiami alla canzone antica per la facilità di penetrazione presso gli strati più umili del popolo napoletano. Questo suo richiamo al passato si ritrova anche nelle "tammurate" o "tammurriate" (Tammurriata d'autunno, 1935), un particolare tipo di canzone dal ritmo vivace (2/4 - 6/8), forse d'origine spagnola e popolaresca, la cui melodia accompagnata dal tamburello si ricollegava alle più antiche forme della canzone napoletana. Delle canzoni in lingua (Cara piccina, 1918, Pallida Mimosa, 1921), quella che gli procurò fama più duratura fu Signorinella (1931), che, inizialmente rifiutata dai più celebri divi dell'epoca, divenne poi uno dei suoi successi più clamorosi, resistendo al tempo e al mutare dei gusti per quel tono delicato e nostalgico che costituisce forse uno dei migliori esempi di poesia crepuscolare. Non meno efficace fu in alcune delle sue opere teatrali, in cui volle esprimere i drammi della piccola borghesia napoletana, ad esempio nell'atto unico So' diece anne o nella Coda del diavolo, mentre un ritorno al mondo degli umili, più vicino alla corrente poetica legata alla produzione poetica di canzoniere è la commedia Vincenzella.
Erede della migliore tradizione comica ottocentesca, non indulse mai a falsi e stucchevoli sentimentalismi e perfino nei lavori improntati a una schietta e vivace comicità, come Gente nosta, riuscì a cogliere immagini di vita quotidiana con schietta umanità, senza mai cadere nel grottesco; e anche in quella mirabile galleria di personaggi che è Io e i napoletani, una delle sue ultime raccolte di versi, seppe abbandonarsi ad una ironica e arguta descrizione senza mai lasciarsi prendere la mano da intenti caricaturali ed evitando abilmente ogni volgarità.
Il B. rivolse l'ultimo pensiero a Napoli e alla compagna della sua vita nella lirica Addio a Maria, commovente messaggio d'amore e di palpitante umanità.
Bibl.: Necrologio, in Il Giornale d'Italia, 27 maggio 1942; F. Dell'Erba, Cordoglio di Napoli per la morte di L. B.,ibid. 28 maggio 1942; E. P., La morte di L. B., in Il Corriere della Sera, 27 maggio 1942; V. Talarico, Ricordando L. B., in Il Secolo XIX, 29 maggio 1943; G. Villaroel, L. B. il generoso diffidente, in Il Giornale d'Italia, 1º febbr. 1951;G. Marotta, Don Liberato, in Il Corriere della Sera, 26 maggio 1952; C. Costagliola, pref. all'ed. di Mala nova!, Napoli 1903; A. Tilgher, La poesia dialettale napoletana (1880-1930), Roma 1930, pp. 51-59; G. Somma, L. B., in La Lettura, sett. 1942; F. Flora, Storia della letteratura italiana, III, 2, Il Novecento, a cura di L. Nicastro, Milano 1947, pp. 745, 818; F. Petriccione, Piccola storia della canzone napoletana, Milano 1959, ad Indicem;S. Di Massa, Storia della canzone napol. dal '400 al '900, Napoli 1961, ad Indicem; V. Paliotti, Storia della canzone napoletana, Milano 1962, ad Indicem; P. Mascagni, a cura di M. Morini, II, Milano 1964, p. 205; E. De Mura, Enc. della canzone napoletana, I, Napoli 1969, pp. 18 ss.; Encicl. dello Spett., II, coll. 940 s.; Enciclopedia della Musica Ricordi, I, Milano 1963, p. 308.