Abstract
Viene analizzata la garanzia del domicilio con particolare riguardo alla portata ed ai limiti della disciplina di cui all’art. 14 Cost., al rapporto che l’inviolabilità del domicilio instaura con la libertà personale, alle questioni inerenti alla nozione costituzionale di domicilio ed alla titolarità plurima, ed al contributo offerto dalla giurisprudenza costituzionale nella prospettiva di un bilanciamento tra interessi costituzionalmente protetti.
La tutela del domicilio rappresenta un riferimento essenziale nella tradizione del costituzionalismo liberale, collocandosi nel sistema dei diritti di libertà come declinazione imprescindibile della libertà personale.
Per quanto fondamentale appaia il collegamento con il concetto di proprietà privata ai fini dell’affermazione della inviolabilità domiciliare come autonoma garanzia costituzionale (cfr. Virga, P., Libertà giuridica e diritti fondamentali, Milano, 1947, 209; Amato, G., Art. 14, in Comm. cost. Branca, Bologna, 1977, 54-55), la tutela del domicilio si è ben presto estesa verso una più ampia prospettiva di sicurezza e libertà (Chiarelli, R., Domicilio: I) Libertà di domicilio, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1989, 1 ss.). La difesa dell’intimità personale in ambito domiciliare trascende in particolare un’idea di tutela che si consuma esclusivamente nei termini di un interesse inteso nella sua dimensione patrimoniale, ovvero non garantisce il bene materiale in quanto tale o la situazione di fatto o di diritto che si esercita sul medesimo, piuttosto interviene nell’ambito della persona e della sua dignità, nella sfera della sua realizzazione individuale, nello svolgimento della personalità dell’individuo e, quindi, nella garanzia di quello spazio fisico nel quale essa, liberamente, può esprimersi.
Ed è proprio nel solco di questa più ampia ed inclusiva accezione della garanzia delle prerogative d’intimità dell’individuo che il costituzionalismo moderno traccia l’inviolabilità del domicilio.
Ribadita per la libertà di domicilio un’autonomia concettuale e di disciplina giuridica che, peraltro, si colloca in linea con l’art. 27 st. albertino e con la tradizione del costituzionalismo francese (Meucci, G.P., La libertà domiciliare, in Barile, P., a cura di, La pubblica sicurezza, Vicenza, 1967, 193 ss.), la Costituzione italiana stabilisce nei confronti del domicilio il principio della inviolabilità. L’art. 14 Cost. infatti, al pari della previsione sulla libertà personale, definisce al co. 1 il domicilio come inviolabile.
La scelta operata dal Costituente di mantenere nei confronti del domicilio il suo tradizionale inquadramento autonomo non ha tuttavia reciso quel fondamentale rapporto di derivazione e di strumentalità che lega il concetto di libertà domiciliare alla garanzia, altrettanto essenziale, della libertà personale. Fin dai primi commentatori al testo costituzionale, è stato posto in evidenza come la libertà di domicilio configuri, in realtà, un prolungamento della libertà individuale e ne costituisca una delle principali espressioni in quanto «proiezione spaziale della persona» (Amorth, A., La Costituzione italiana: commento sistematico, Milano, 1948, 60 ss.; Baschieri, G.-Bianchi d’Espinosa, L.-Giannattasio, C., La Costituzione italiana: commento analitico, Firenze, 1949, 81). Sicché la garanzia dell’inviolabilità del domicilio può coerentemente intendersi, sotto il profilo dogmatico, nel quadro di un tendenziale assorbimento nella dimensione della libertà personale, in virtù del quale il domicilio serve da complemento necessario della libertà personale affinché la personalità dell’individuo possa svilupparsi ed integrarsi in un ambito garantito e privato di libertà (Chiarelli, R., op. cit., 3).
La diretta ed immediata connessione della tutela del domicilio con la più vasta libertà personale traspare, peraltro, sia dalla enumerazione consecutiva che ricevono le due previsioni costituzionali in questione, sia più propriamente sul piano della disciplina costituzionale positiva. Questa infatti, sulla base della comune qualificazione come diritti di libertà inviolabili, non soltanto appare modellare la garanzia del domicilio sul paradigma della libertà personale mediante il rinvio recettizio che l’art. 14, co. 2, Cost. opera nei confronti delle garanzie prescritte per la tutela della libertà personale dall’art. 13 Cost., ma soprattutto dà conto di una ratio essenzialmente condivisa tra le due diposizioni costituzionali che, sotto questo profilo, le accomuna nel solco di una tradizione storico-giuridica che tende a riservare alle due libertà in questione uno sviluppo condiviso ed una rilevanza giuridica fortemente unitaria.
In altri termini, il fine sotteso all’art. 14 Cost. rinvia al nesso tra la libertà di domicilio e la sfera della libertà personale, e si sostanzia nella relazione, intima ed attuale, intercorrente tra l’individuo e l’ambito spaziale identificato come domicilio, la quale assume un carattere dinamico, dal contenuto riservato e di libertà (Barile, P., Le libertà nella Costituzione: lezioni, Padova, 1966, 147).
Ciò posto, l’inviolabilità del domicilio non si esaurisce, nel contesto costituzionale, nel solo rapporto con la libertà personale. La garanzia del domicilio s’inserisce infatti nel sistema dei diritti e delle libertà della Costituzione attingendo, in prima approssimazione, dal principio fondamentale espresso dall’art. 2 Cost., che ne arricchisce la portata di ulteriori e più ampi contenuti di libertà. In particolare, la dottrina evidenzia come l’inviolabilità domiciliare costituisca il veicolo per l’esercizio di ulteriori libertà costituzionali, il presupposto per la loro concreta realizzazione: la protezione costituzionale del domicilio, nella prospettiva della centralità del rapporto tra l’individuo e la dimensione spaziale attraverso la quale si estrinseca la sua personalità, si apre ai numerosi altri diritti e libertà costituzionali – basti richiamare il diritto di riunione e di associazione, il diritto d’insegnamento e di culto, la libertà di iniziativa economica e di organizzazione politica e sindacale – dei quali non solo diventa premessa indispensabile per il loro esercizio nei casi in cui – come generalmente avviene – intendano svolgersi in un ambito di riservatezza, ma offre anche una tutela costituzionale di base che si aggiunge e completa quella che tali diritti e libertà già ricevono da parte dell’ordinamento costituzionale (sul tema, Barile, P., Le libertà, cit., 148; Id., Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, Bologna, 1984, 154).
La riflessione sulla natura della garanzia domiciliare nel contesto della Costituzione si lega ad una questione di fondo, tra le più controverse in dottrina, attinente alla nozione di domicilio impegnata dal citato art. 14 Cost.
Il concetto di domicilio infatti – presente fin dalle più antiche fonti del diritto romano benché precisato solamente nel corso della seconda metà del XIX secolo con l’acquisizione di una rilevanza giuridica autonoma che lo distingue sia dal concetto di cittadinanza che dalla nozione di residenza (Grossi, P., Domicilio (diritto intermedio), in Enc. dir., XIII, Milano, 1964, 838 ss.) – incontra, già prima dell’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, perlomeno due concettualizzazioni di carattere generale. Trattasi, per un verso, della nozione di domicilio impegnata nel diritto penale e, per altro verso, in quella invero usata nell’ambito del diritto civile, ambedue nozioni chiaramente definite all’interno dei rispettivi codici, attualmente ancora in vigore, ma assai differenti nel loro contenuto e profondamente distanti nella loro ratio giustificatrice (sul tema, Traverso, C.E., La nozione del concetto di domicilio nell’Art. 14 della Costituzione, in Studi in onore di Antonio Amorth, II, Milano, 1982, 585 ss.).
È dunque in considerazione della preesistenza, nell’ordinamento italiano, di tali due nozioni di domicilio che si pone l’interrogativo circa il significato da assegnare alla nozione di domicilio introdotta dalla Costituzione, ovvero se sia necessario in proposito ricorrere alla nozione civilistica di domicilio, o a quella di matrice penalistica, ovvero se sia doveroso, a fronte dell’entrata in vigore della Costituzione, elaborare una nozione ulteriore e propriamente costituzionale di domicilio, diversa dalle precedenti oltreché coerente al nuovo sistema in cui s’innesta e trova svolgimento.
L’opzione interpretativa di stampo civilistico prende le mosse dall’art. 43 c.c., che definisce il domicilio come il luogo in cui una persona stabilisce «la sede principale dei suoi affari ed interessi» distinguendolo dalla residenza che, invece, costituisce «il luogo in cui la persona ha la dimora abituale». Tuttavia, per quanto parte della dottrina abbia rimarcato il riferimento alla esplicazione della propria attività lavorativa, e dunque dei propri affari ed interessi, come profilo inerente al concetto di domicilio di cui all’art. 14 Cost. (Mortati, C., Istituzioni di diritto pubblico, II, VIII ed., Padova, 1969, 967-968; Bozzi, A., Istituzioni di diritto pubblico, VII ed., Milano, 1985, 485), la ristrettezza della nozione civilistica di domicilio non ha consentito un suo utilizzo nella diversa prospettiva costituzionalistica.
Tale constatazione ha dato luogo ad un orientamento decisamente favorevole alla seconda opzione ermeneutica richiamata. La dottrina maggioritaria del secondo dopoguerra infatti, in linea di continuità con la riflessione giuridica maturata nell’ambito della precedente esperienza statutaria (cfr. Palma, L., Corso di diritto costituzionale, III, III ed., Firenze, 1885, 67 ss.; Racioppi, F.-Brunelli, I., Commento allo statuto del Regno, II, Torino, 1909, 110 ss.), ha espressamente riconosciuto nella nozione penalistica di domicilio il riferimento appropriato e risolutivo della controversia posta in relazione all’oggetto dalla previsione costituzionale in questione (Baschieri, G.-Bianchi d’Espinosa, L.-Giannattasio, C., op. cit., 87; Abbamonte, G., Disciplina vincolistica, sublocazioni parziali e libertà di domicilio, in Rass. dir. pubbl., 1950, II, 671 ss.; Barile, P.-Cheli, E., Domicilio (libertà di), in Enc. dir., XIII, Milano, 1964, 861 ss.; Barile, P., Le libertà, cit., 147 ss.).
Più in dettaglio, l’art. 614 c.p. identifica il domicilio con la semplice «abitazione» o «altro luogo di privata dimora», comprese le appartenenze, e dunque con un qualunque luogo riservato, legittimamente ed effettivamente adibito ad uso domestico. Tale nozione di domicilio dà conto di un concetto sufficientemente ampio, che prescinde dall’ideale di proprietà per riferirsi piuttosto ad un interesse legato alla garanzia dell’intimità che qualifica la vita privata in generale come l’attività domestica in particolare. In questi termini, il concetto di domicilio di matrice penalistica si rinviene, più propriamente, in quello spazio fisico la cui tutela sottende quell’interesse alla riservatezza che caratterizza il rapporto tra l’individuo e la sua dimora privata nella quale svolge, effettivamente e volontariamente, la sua attività domestica, la quale non deve necessariamente identificarsi in quella abituale, qualificandosi così a prescindere dalla sua eventuale precarietà temporale.
Il concetto di domicilio così ricavato si dimostra dunque, agli occhi della dottrina maggioritaria, più consono al sistema di tutele delineato dall’ordinamento costituzionale, ma soprattutto appare l’unico riferimento normativo adeguato a dare sostanza ad una disposizione costituzionale che non sembra introdurre alcun contenuto nuovo ed autonomo alla nozione di domicilio bensì, piuttosto, pare riferirsi ad una nozione preesistente o che comunque presuppone. In questo senso, la disposizione in questione sembra dunque costituzionalizzare il concetto di domicilio penale, la cui inviolabilità, peraltro, incontra proprio nella tutela offerta dal diritto penale la dimensione della sua garanzia (sul punto, Barile, P.-Cheli, E., op. cit., 861-862).
L’ultima opzione interpretativa sul significato da assegnare al domicilio contenuto nella Costituzione propende – come anticipato in precedenza – per una sua fondazione concettuale necessariamente originale ed autosufficiente (in proposito, Motzo, G., Contenuto ed estensione della libertà domiciliare, in Rass. dir. pubbl., 1954, II, 507 ss.; Faso, I., La libertà di domicilio, Milano, 1968, 18 ss.; Pace, A., Problematica delle libertà costituzionali: lezioni, II, II ed., Padova, 1992, 214 ss.). Secondo tale impostazione, l’autonomia del domicilio costituzionale dalle altre nozioni di domicilio già presenti nell’ordinamento giuridico italiano si ricava essenzialmente dalla differente natura e funzione di garanzia inerente alla dimensione costituzionale nella quale si consuma il riferimento al domicilio, non consentendo alcun rinvio alla elaborazione civilistica o penalistica del domicilio.
Riaffermata l’inconferenza del concetto di domicilio contenuta nel codice civile alla previsione costituzionale della inviolabilità domiciliare, la dottrina in esame contesta il ricorso alla nozione penalistica di domicilio in virtù di due fondamentali argomentazioni critiche.
La prima, attinente alla natura reale della garanzia domiciliare in considerazione, prende le mosse dall’interesse protetto dalla disciplina costituzionale, il quale si espande verso la dimensione della libertà individuale. In conformità con lo scopo perseguito dalla norma costituzionale, la garanzia del domicilio in questo senso intesa si emancipa dalle strettoie della dimora privata e dell’intimità che ne caratterizza il solo uso domestico per convogliare, al suo interno, l’interesse alla realizzazione, completa e libera, della propria personalità. Il riferimento costituzionale al domicilio individua così uno spazio strumentale a tale realizzazione, uno spazio fondamentale di libertà individuale nel quale l’attività privata, che in esso si svolge, non si concepisce più nella sola dimensione della vita domestica, bensì si apre, nei limiti della disciplina ivi contenuta, a qualunque estrinsecazione della persona umana (Motzo, G., op. cit., 509-510).
La seconda argomentazione, di carattere storico e sistematico, dà conto invero della volontà che emerse in tema di protezione del domicilio in sede di Assemblea costituente, laddove si manifestò chiaramente l’intento di assestarne i contenuti nel quadro di una più solida concezione garantista, che trascende la mera tutela della privata dimora e dell’uso domestico che in quella sede si realizza. Il passaggio storico ad una Costituzione rigida e maggiormente garantista nei confronti della dimensione umana e della sua dignità sancisce, in effetti, i contorni di una transizione profonda e sostanziale nella definizione di un sistema di tutela dei diritti e delle libertà che erige su nuove basi la garanzia dell’inviolabilità del domicilio. In tal senso si colloca e trova giustificazione l’elaborazione, in sede costituzionale, di una nozione tipica di domicilio, dal contenuto necessariamente più ampio ed inclusivo rispetto alle nozioni preesistenti (al riguardo, v. Amato, G., op. cit., 56 ss.; Caretti, P., Domicilio (libertà di), in Dig. pubbl., V, Torino, 1990, 322).
La problematica in esame risulta tuttavia ridimensionarsi alla luce dell’esperienza più recente. Secondo quanto efficacemente sottolineato in dottrina (cfr. Caretti, P., op. cit., 322; Traverso, C.E., op. cit., 615-616; Barile, P., Diritti, cit., 155), la discordanza tra gli ambiti di tutela individuati dalle nozioni di domicilio penale e di domicilio costituzionale risulta essersi nel tempo affievolita e la distanza tra i due concetti in larga parte ridotta.
Tale tendenza trova riscontro nell’ordinamento giuridico vigente, manifestandosi in particolare sia in relazione all’opera svolta dal legislatore che, con l’introduzione nel codice penale di una nuova fattispecie di reato volta a sanzionare determinate invasioni nella vita privata che si svolge nel domicilio (Art. 615 bis c.p.), ha codificato la tutela di un interesse alla riservatezza più generale e non limitato alla mera attività di tipo domestico, sia rispetto al contributo offerto dalla giurisprudenza, la quale ha consolidato un’interpretazione estensiva del concetto di privata dimora (al riguardo, Mainardis, C., Art. 14, in Comm. breve Cost. Bartole-Bin, Padova, 2008, 115-116). Ambedue le vicende in quesitone hanno difatti concorso ad ampliare l’ambito di tutela penale della libertà domiciliare, così favorendo una sostanziale coincidenza tra il concetto di domicilio penale e quello costituzionale (C. cost., 31.3.1987, n. 88, punto 2, Cons. dir. Per un commento della pronuncia, Pace, A., Zone protette e «oneri» dei visitatori (tra funghi e libertà), in Le Reg., 1987, 1080 ss.; Paganetto, G., Libertà domiciliare nelle autovetture e limiti alla tutela dell’ambiente, in Giur. cost., 1987, 1779 ss.).
L’inviolabilità del domicilio sancita dall’art. 14 Cost. configura un tipico diritto di libertà. Tuttavia, una più attenta lettura della problematica dei diritti di libertà induce a ritenere il diritto alla libertà di domicilio non semplicemente una libertà negativa, che quindi si definisce in una concezione della libertà che, secondo la formula riduttiva del “diritto ad essere lasciato solo”, si limita alla garanzia da intromissioni ed interferenze nello spazio di libertà privata in considerazione (diversamente, C. cost., 24.04.2002, n. 135, punto 2.2, Cons. dir.).
Al contrario, il diritto alla libertà di domicilio comprende al suo interno anche una imprescindibile portata positiva. La tutela della riservatezza del luogo nel quale liberamente l’individuo svolge e realizza la propria personalità, infatti, si concretizza non solo nella facoltà di escludere i terzi ma anche – e per un certo verso soprattutto – nella possibilità di una loro eventuale ammissione, ossia in uno jus admittendi che costituisce quel complemento indispensabile affinché si possa realizzare quell’opera di selezione che, insieme alla esigenza alla riservatezza, costituiscono il contenuto autentico della libertà domiciliare (sul tema, Virga, P., «Ius excludendi alios» e libertà domiciliare, in Dir. giur., 1950, 220 ss.; Pace, A., Jus admittendi e jus prohibendi, «contitolarità» e titolarità «derivata» nella problematica della libertà domiciliare, in Giur. cost., 1972, 2800 ss.).
Il diritto di libertà domiciliare, inoltre, è unanimemente riconosciuto come tipico diritto della persona, il che determina la sua esercitabilità a titolo originario. La titolarità di questo diritto – ricorrendo i requisiti giuridici o perlomeno di fatto che la norma costituzionale presuppone al fine di dar vita ad un rapporto di immediatezza ed effettività tra lo spazio fisico isolato nel quale la libertà viene esercitata ed il soggetto che la esercita – assume una estensione generale poiché, appunto, libertà che afferisce direttamente alla persona in quanto tale. Conseguentemente, la titolarità della libertà domiciliare di cui all’art. 14 Cost. spetta tanto alle persone fisiche, siano esse cittadini italiani o stranieri o apolidi, persone pienamente capaci o con limitata capacità d’agire o d’intendere e di volere, quanto alle persone giuridiche o agli enti di fatto, coerentemente con la loro qualità di formazioni sociali nelle quali il singolo svolge la sua personalità e che il richiamato art. 2 Cost. espressamente riconosce e garantisce (Barile, P., Le libertà, cit., 149-150; Id., Diritti, cit., 154; Caretti, P., op. cit., 322).
Ciò premesso, difficoltà interpretative si presentano nei casi in cui sussista, da parte di una pluralità di soggetti, un contemporaneo godimento del diritto sul medesimo ambiente adibito a domicilio, sia esso fondato su un titolo giuridico formale o su una mera situazione di fatto. Trattasi, in altri termini, della controversa fattispecie della titolarità plurima della libertà domiciliare, rispetto alla quale la dottrina prospetta due differenti orientamenti.
Secondo il primo, la garanzia costituzionale della inviolabilità di domicilio, nel suo contenuto di tutela della intimità e di capacità di disporre una selezione, in linea di massima non incontra limiti o affievolimenti nei confronti dei titolari che legittimamente godono di tale libertà, i quali, a prescindere dalla natura del titolo – giuridico o di mero fatto – che li ammette a tale godimento, potranno godere della garanzia costituzionale sia congiuntamente che in maniera separata (Barile, P.-Cheli, E., op. cit., 864-865).
La seconda linea interpretativa, invero, distingue innanzitutto la natura privata o pubblica dell’interferenza sulla libertà di domicilio, e dunque prospetta una soluzione caso per caso calibrata in funzione della maggiore salvaguardia possibile per gli altri soggetti che sullo stesso bene godono della medesima situazione giuridica costituzionalmente protetta.
Più in particolare, se nel caso delle interferenze di natura pubblica la soluzione appare più semplice a causa della necessaria identificazione del soggetto direttamente destinatario delle misure limitative della libertà domiciliare, ovviamente sempre nel rispetto dei controlimiti fissati dalla disciplina costituzionale, nel caso delle interferenze private la sovrapposizione dei poteri di disposizione che appartengono ad una pluralità di soggetti che però insistono sul medesimo domicilio s’inquadra secondo un approccio più attento alle caratteristiche del caso concreto, risolvendosi in linea di massima sulla base del criterio della volontà prevalente e, comunque, con la salvaguardia dello jus prohibendi quale contenuto minimo essenziale della libertà domiciliare in situazione di convivenza (in tal senso, Amato, G., op. cit., 65 ss.; Pace, A., Problematica, cit., 219 ss.; Caretti, P., op. cit., 323. Diversamente, Mezzanotte, C., L’ospite «semimportuno» dinanzi alla Corte Costituzionale: note in tema di rilevanza e di libertà domiciliare, in Giur. cost., 1970, 2119 ss.).
Il contributo offerto dalla giurisprudenza della Corte costituzionale nella definizione della tutela del domicilio costituisce un riferimento imprescindibile. La formulazione positiva della inviolabilità domiciliare dà infatti conto, mediante la previsione di un sistema di limiti e controlimiti, di una complicata coesistenza tra diversi interessi costituzionalmente protetti, di per sé prodromica ad un’opera di bilanciamento in sede d’interpretazione costituzionale.
Dichiarato il domicilio come inviolabile, l’art. 14 Cost. detta in effetti una disciplina frutto di una ponderazione tra un valore di libertà, che rimanda comunque alla dimensione della persona, ed interessi generali e finalità che la Costituzione ugualmente garantisce e persegue, i quali possono ben interferire – e, nel caso, anche prevalere – sul godimento della libertà domiciliare. La tutela del domicilio non è difatti assoluta, ma incontra delle limitazioni, poste dalla stessa Costituzione, proprio in funzione della tutela di preminenti interessi costituzionalmente protetti (C. cost., 2.2.1971, n. 10, punto 1, Cons. dir.; C. cost., 6.5.1976, n. 110, punto 2, Cons. dir.).
L’art. 14, co. 2, Cost. prescrive che nel domicilio «non vi si possono eseguire ispezioni o perquisizioni o sequestri, se non nei casi e modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale», mentre il co. 3 dispone che «gli accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità e di incolumità pubblica o a fini economici e fiscali sono regolati da leggi speciali».
Per quanto la garanzia costituzionale del domicilio s’inserisca nel quadro di un’interpretazione evolutiva del suo contenuto, per la quale – come accennato in precedenza – esso non si esaurisce nel diritto di ammettere o escludere terze persone ma si configura anche come presidio di un’intangibile sfera di riservatezza, la cui violazione può pertanto trascendere la necessità di un’intrusione fisica (C. cost., 16.5.2008, n. 149, punto 2.1, Cons. dir.; C. cost., 24.4.2002, n. 135, punto 2.1, Cons. dir.), permane la realtà di una disciplina costituzionale decisamente incisiva sotto il profilo della tutela, che ha peraltro suscitato importanti questioni interpretative.
Un primo ordine di problemi si lega alla precaria coerenza tra i due commi dell’articolo in questione.
Da una parte, l’esecuzione di ispezioni, perquisizioni e sequestri s’inserisce in un contesto assai garantista e puntuale che riposa le sue fondamenta, in virtù del rinvio alle garanzie prescritte dall’art. 13 Cost., in maniera preminente sulla riserva di giurisdizione. Nonostante la previsione di una riserva assoluta di legge, sembra infatti corretto ritenere come l’intervento del giudice assuma un ruolo di garanzia fondamentale ai fini della restrizione della libertà domiciliare, costituendo in realtà l’elemento qualificante del contemperamento delle libertà individuali con gli altri interessi costituzionalmente rilevanti. Come noto, l’intervento con atto motivato del giudice si mantiene peraltro anche nei casi eccezionali di necessità ed urgenza, dalla legge tassativamente indicati, laddove il provvedimento provvisorio adottato dalla pubblica sicurezza deve essere comunicato entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e s’intende revocato, perdendo ogni suo effetto, qualora non sia da questa convalidato nelle successive quarantotto ore (Art. 13, co. 2-3, Cost.).
Dall’altra parte, l’art. 14, co. 3, Cost. appronta una ben più blanda tutela del domicilio. Esso infatti configura una deroga alla disciplina generale della libertà personale, in forza della quale, nei casi e nei limiti ivi fissati, non si richiede l’atto motivato dell’autorità giudiziaria. Sicché emerge netta la differenza tra l’inviolabilità della libertà personale e l’inviolabilità del domicilio, che si misura proprio in ragione della disciplina in questione, in forza della quale l’equiparazione di quest’ultima alla prima, e la conseguente estensione delle garanzie prescritte per la relativa tutela, subisce una deroga espressa per motivi di sanità e di incolumità pubblica o a fini economici e fiscali, il cui contenuto appare in fondo generico (C. cost., 9.5.1973, n. 56, punto 6, Cons. dir. sulla incertezza della Corte costituzionale nella elaborazione di un inquadramento coerente dei co. 2-3 dell’art. 14 Cost., Branca, M., Problemi interpretativi della libertà di domicilio nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in Giur. cost., 1974, 2694 ss. In proposito, Cocozza, V., La libertà di domicilio nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, Napoli, 1984).
La circostanza per cui l’art. 14, co. 3, Cost. consente al legislatore ordinario, mediante apposite leggi speciali, di tralasciare la garanzia dell’intervento del giudice nella regolamentazione di determinati provvedimenti dell’autorità pubblica limitativi della libertà domiciliare, ha suscitato forti perplessità in relazione, soprattutto, agli amplissimi poteri che a tal riguardo, nell’assenza di una riserva di giurisdizione, l’autorità amministrativa si troverebbe a governare. Queste perplessità, più in dettaglio, si sono concentrate sulla eccessiva estensione della portata oggettiva della deroga in questione, particolarmente accentuata in relazione ai fini economici e fiscali (Lucifredi, R., La nuova costituzione italiana, Milano, 1952, 262; Cereti, C., Corso di diritto costituzionale italiano, Torino, 1955, 131-132).
L’intento di assicurare una ponderazione tra gli interessi generali presi in considerazione dall’art. 14, co. 3, Cost. e la garanzia dell’inviolabilità del domicilio che potesse in qualche modo temperare il tenore della previsione costituzionale in funzione di una più accorta protezione del domicilio dalle interferenze operate dall’amministrazione pubblica, ha favorito il consolidamento di una prospettiva interpretativa volta ad assicurare una maggiore armonia interna alla stessa disposizione costituzionale oltreché coerenza al più generale sistema costituzionale di protezione delle libertà fondamentali.
In questa prospettiva, la Corte costituzionale organizza il profilo di garanzia domiciliare in questione facendo leva tanto sulla natura delle interferenze prese in considerazione dal citato art. 14, co. 3, Cost., quanto sugli interessi pubblici ivi precisati a fronte dei quali si consuma l’immissione. In particolare il giudice costituzionale, se per un verso ribadisce come la Costituzione, «mentre riserva alla giurisdizione la più ampia interferenza pubblica nella sfera domiciliare (ispezioni, perquisizioni, sequestri), limita la competenza amministrativa alle immissioni che abbiano semplice natura ricognitiva, come “accertamenti” ed “ispezioni”», per altro verso ritiene che «non sono soltanto qualitativi i limiti alle interferenze della Pubblica Amministrazione nella sfera del domicilio, giacché interviene a circoscriverli anche la natura degli interessi pubblici in vista dei quali l’organo amministrativo è autorizzato a deliberare l’immissione», espressamente specificati in quelli relativi alla sanità, alla incolumità pubblica, all’economia ed al fisco, così come regolati da leggi speciali. In questi termini, la Costituzione «non consente di violare la riserva di giurisdizione che è negli art.li 13 e 14, attribuendo ad organi di polizia amministrativa il potere di ispezionare i luoghi tutelati dall’art. 14: salvo l’ipotesi eccezionale di necessità ed urgenza prevista nei modi e nelle condizioni di cui all’art. 13, terzo comma, che comunque richiama alla fine l’intervento della Autorità giudiziaria» (C. cost., 31.3.1987, n. 88, punto 3, Cons. dir.).
La Corte costituzionale dunque, sebbene non sembri aver percorso la strada, prospettata in dottrina, di un’interpretazione restrittiva della riserva di legge speciale contenuta nella disposizione costituzionale (specificamente, Barile, P., Diritti, cit., 157-158; diversamente al riguardo, C. cost., 2.2.1971, n. 10, punto 3, Cons. dir.), pare offrire una sponda a quelle considerazioni che tendono ad un contenimento delle interferenze pubbliche sottese ai richiamati interessi generali che il dettato costituzionale, ad una prima approssimazione, sembra abbia fatto così palesemente prevalere sul godimento della libertà di domicilio.
Ci si riferisce, in primo luogo, alla constatazione della natura tassativa dei motivi e fini previsti dal citato art. 14, co. 3, Cost. quali scopi della legislazione speciale in deroga alla riserva di giurisdizione, in base alla quale la dottrina non solo ha osservato come il loro mancato rispetto risulterebbe comunque sanzionabile dalla Corte costituzionale come eventuale vizio di eccesso di potere legislativo, ma ha altresì elaborato un’interpretazione restrittiva del parametro – decisamente generico – dei fini economici che porta ad identificarli nei soli fini economici dello Stato (Faso, I., op. cit., 211 ss.) ovvero, più precisamente, alla stregua della libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost., così consentendo una restrizione della libertà di domicilio solo sulla base di una ponderazione caso per caso tra queste due libertà costituzionalmente garantite (così, Amato, G., op. cit., 74; Barile, P., Diritti, cit., 158).
In secondo luogo, il riferimento riguarda la natura delle misure restrittive della libertà domiciliare adottate dall’autorità amministrativa in assenza di un intervento da parte dell’autorità giudiziaria. Sulla scorta della riferita giurisprudenza costituzionale, accertamenti ed ispezioni costituiscono strumenti d’indagine di tipo meramente ricognitivo, misure cioè obbligatorie che, a differenza di quelle coercitive prese in considerazione dall’art. 14, co. 2, Cost., appaiono senz’altro meno invasive e penetranti, richiedendo nondimeno la collaborazione dell’interessato.
In definitiva, nel contesto della giurisprudenza costituzionale, gli interrogativi posti dalla formulazione dell’art. 14, co. 3, Cost. paiono decisamente ridimensionati, e la garanzia costituzionale del domicilio sembra ritrovare coerenza. E ciò sia qualora si tenda a far prevale il riferimento alla natura, coercitiva o meramente conoscitiva, del provvedimento finale lesivo della libertà domiciliare (Pace, A., Problematica, cit., 226-227), sia nel caso in cui si ponga l’accento sull’interesse preso in considerazione dalla norma costituzionale, il quale, a seconda della natura personale o essenzialmente economica dello stesso, condiziona tipologia e modalità dell’interferenza pubblica, determinando o meno l’intervento del giudice (Amato, G., op. cit., 71 ss.; Faso, I., op. cit., 142 ss.).
Art. 27 Statuto albertino; artt. 2-13-14 Cost.; art. 43 c.c.; artt. 614-615 bis c.p.
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