libertà (libertade; libertate)
È tra i vocaboli centrali del mondo dantesco, pervaso dall'ideale della l., dalle prime opere fino alla Commedia, dove continuamente presente è la tensione dell'anima verso la purificazione degli affetti, sostenuta dalla ragione e illuminata dalla grazia: libertà va cercando, ch'è sì cara, / come sa chi per lei vita rifiuta (Pg I 71), le parole che Virgilio esprime a Catone (ricordato in Mn II V 15 quale severissimo difensore verae libertatis), indicano l'origine e insieme il fine della ricerca intrapresa da D., al termine della quale opporrà in netta antitesi ‛ servitù ' e l., quasi a esprimere l'arco di svolgimento del viaggio oltremondano: Tu m'hai di servo tratto a libertate (Pd XXXI 85).
Il termine ricorre spesso nell'opera di D., fuorché nell'Inferno, la cantica della soggezione al peccato (v. anche LIBERO), e, secondo i vari contesti, è inteso nel significato morale, intellettuale, politico. Il centro al quale convergono queste differenti accezioni rimane, tuttavia, la l. morale, principio dell'essere umano. Suo fondamento, come D. afferma in Mn I XII 2, è il libero arbitrio (v. ARBITRIO): principium primum nostrae libertatis est libertas arbitrii, concepito, secondo una definizione di Boezio (cfr. R. Murari), quale liberum de voluntate iudicium, " libero giudizio su ciò che si deve volere ", giudizio che interviene nella circostanza di una libera scelta fra bene e male. Tale scelta s'impone all'uomo nel coordinare all'innato affetto dei primi appetibili (Pg XVIII 57) tutti gli altri, originati dal rapporto col mondo esterno per effetto della disposizione ad amare, distinguendo quelli che non contrastano con i primi principi da quelli che sono con essi incompatibili. In quest'opera di discernimento con cui si realizza la l., l'uomo è sorretto dalla volontà, la virtù che vuole (Pg XXI 105), e assistito dalla ragione, la virtù che consiglia (XVIII 62), la quale de l'assenso de' tener la soglia (v. 63), cioè ha il " compito di far sì che la volontà consenta esclusivamente agli affetti buoni e rifiuti il suo assenso agli amori rei, ai falsi beni " (Sapegno). La l. si realizza nel perfetto costante equilibrio fra ragione e volontà nella piena chiarezza e osservanza del bene morale. Ragione e volontà non possono concepirsi superiori l'una all'altra, ma perfettamente concordi verso una medesima meta, la l. morale, il cui raggiungimento presuppone la loro limpidezza (che è volontà di chiarezza intellettuale nel discernimento del bene dal male) e la loro armonia (che è libera e coerente traduzione in atto dei principi etici indicati dal giudizio razionale). La volontà, rispetto alla ragione, non è semplice esecutrice di ordini, ma forza volitiva cooperatrice (cfr. Pg XVI 73-78), tesa a realizzare quel bene che la facoltà razionale ha il potere e il compito di definire e di distinguere. Nella formulazione della sua etica D. offre, perciò, del grave e dibattuto problema del rapporto fra intelletto e volontà una soluzione che, per l'equilibrio che la caratterizza, ci sembra lontana sia dalle posizioni volontaristiche della scuola di Oxford, col suo massimo esponente Duns Scoto (secondo cui il giudizio pratico non è determinante nei confronti della volontà, poiché l'uomo può anche non volere il bene indicato dalla ragione, oppure, nella scelta fra due beni di diverso valore, può seguire il minore), sia dalle posizioni rigidamente intellettualistiche, le quali finiscono per ridurre l'atto del volere a qualcosa di meccanico, negandogli quella qualità costruttiva che non contrasta con la ragione, ma coopera strettamente con essa alla realizzazione del bene.
Della facoltà di discernimento fra veri e falsi beni (libero arbitrio), innata nell'uomo, fondamento della sua l. e condizione della moralità, Virgilio dice a D. che già i più profondi pensatori antichi ebbero consapevolezza, sia pure sul piano esclusivamente razionale: Color che ragionando andaro al fondo, / s'accorser d'esta innata libertate; / però moralità lasciaro al mondo (Pg XVIII 68). E sarà Beatrice a rivelare nel Paradiso l'origine divina di tale l., infusa dal creatore, quale suo massimo dono, in tutte e sole le creature intelligenti (Lo maggior don che Dio per sua larghezza / fesse creando, e a la sua bontate / più conformato, e quel ch'e' più apprezza, / fu de la volontà la libertate; / di che le creature intelligenti, / e tutte e sole, fuoro e son dotate, Pd V 22; cfr. Mn I XII 6), dando compimento agl'insegnamenti di Virgilio e riaffermando implicitamente, in opposizione alla teoria astrologica, quell'assoluta indipendenza della mente umana da ogni determinazione astrale, l. metafisica (cfr. Tomm. Cont. Gent. III 85, e Sum. theol. II II 95 5), già sostenuta da Marco Lombardo nel Purgatorio (Pg XVI 67 ss.). Così com'è, dunque, assente ogni negativa determinazione interiore (l. dagl'impulsi sensibili), la l. è assenza di determinazione esterna (l. dagl'influssi astrali).
Fonte d'arricchimento spirituale, condizione della l. interiore, è la Filosofia, che D. rappresenta allegoricamente in Voi che 'ntendendo (Cv II) e definisce nello svolgimento del suo trattato donna piena di dolcezza, ornata d'onestade, mirabile di savere, gloriosa di libertade (XV 3). Nutrita di studi filosofici l'anima è signora di sé, mentre l'ignoranza la rende serva fuori d'ogni libertade (Cv IV II 17).
Ostacolo alla l. morale è la passione amorosa. Questo pensiero (abbandonato nella Commedia), che D. esprime nel sonetto Io sono stato con Amore insieme (Rime CXI 9-11; v. ARBITRIO), sembra anche ravvisabile nella canzone Amor, da che convien (Rime CXVI), inviata durante l'esilio al marchese Moroello Malaspina, insieme con la quarta epistola. Nel congedo D. dice infatti che, anche placandosi la crudeltà dei Fiorentini, la passione non gli consentirebbe di rimpatriare: se piega vostra crudeltate, / non ha di ritornar qui libertate (v. 84). Se si accetta però il significato allegorico che nella canzone hanno veduto alcuni critici, secondo i quali la figura femminile cantata dal poeta sarebbe Firenze stessa, la patria lontana desiderata, e non una donna reale, l. dev'essere intesa con altro valore, allusivo al tragico divieto di rimpatrio. La più moderna critica; tuttavia, giustamente respinge tale interpretazione, ritenendola incompatibile con quanto D. afferma nel citato congedo, " poiché sarebbe una patente contraddizione sospirare alla patria e poi far dire alla canzone che il poeta non potrebbe ritornare anche se i Fiorentini lo perdonassero " (Maggini).
Quell'armonia razionale che caratterizza nell'uomo la conquista della l. morale viene trasfigurata nella sede celeste, dove la l. è la spontanea adesione al volere divino nell'ideale della carità (v. anche Pd III 43-45; XXI 73-75). Infatti, come spiega s. Tommaso, se un'anima beata negasse a D. la soddisfazione del suo desiderio di conoscere, non sarebbe libera, poiché farebbe azione non caritatevole, contraria alla volontà di Dio: qual ti negasse il vin de la sua fiala / per la tua sete, in libertà non fora / se non com'acqua ch'al mar non si cala (Pd X 89).
Come nella vita morale l'uomo è veramente libero quando il suo comportamento è orientato dalla volontà guidata dalla retta ragione, così nella vita sociale la massima l. consiste nella libera ubbidienza alle giuste leggi. Questo concetto è espresso più volte da D. e in modo particolare nella Monarchia (I XII) e nella drammatica sesta epistola, scelestissimis Florentinis intrinsecis, nella quale l'exul inmeritus ammonisce con profezie terribili i suoi concittadini, che aborriscono il giogo della l. (iugum libertatis horrentes, Ep VI 5) e, mentre s'illudono di tutelare il manto regale di una falsa l. (falsae libertatis trabeam tueri, § 13), cadono nei ceppi della vera schiavitù. La cupidigia, dice D., li ha resi ciechi, impedendo loro di ubbidire alle sacrosante leggi, il rispetto delle quali, se lieto, se libero, non solamente non è servitù, ma a considerare rettamente è la più alta l.: Nec advertitis dominantem cupidinem... sacratissimis legibus quae iustitiae naturalis imitantur ymaginem, parere vetantem; observantia quarum, si laeta, si libera, non tantum non servitus esse probatur, quin ymo perspicaciter intuenti liquet ut est ipsa summa libertas (§ 22). Interprete della legge è l'ideale monarca vagheggiato da D. nella sua opera politica quale strumento della norma universale e guida del genere umano, sotto di lui massimamente libero, potissime liberum (Mn I XII 8). " La dettatrice della norma giuridica è la ragione che il principe, investito di legittima autorità, impersona in modo eminente: egli è l'interprete per eccellenza dei principii della ragione e li applica concretamente e li fa eseguire. Ma questa suprema autorità è anche supremo ‛ ministerium ' in quanto la ragione che egli esprime non è nulla di ‛ suo ' o di sostanziale diverso dalla ragione dei suoi sudditi. In altre parole, il principe non impone un bene alla comunità ma trova un bene che s'impone a lui ed è il bene di creature razionali pienamente responsabili " (G. Vinay, in D.A., Monarchia, Firenze 1950, 78 n. 13). Anche nel concetto politico, dunque, come in quello etico, l. è ubbidienza volontaria a un superiore principio razionale, la norma giuridica.
In Cv IV V 19, infine, la l. che D. celebra è quella delle istituzioni repubblicane edificate da Roma nel corso della sua storia e che i suoi cittadini difesero dalle trame dei congiurati: E non puose Iddio le mani quando uno nuovo cittadino di picciola condizione, cioè Tullio, contra tanto cittadino quanto era Catellina la romana libertà difese?
Bibl. - R. Murari, D. e Boezio (Contributo allo studio delle fonti dantesche), Bologna 1905, 309, 318-320. Per la questione del ‛ volontarismo ' e delle lotte scolastiche: G. De Ruggiero, Storia della filosofia, III, Bari 1950, 185-216; Enciclopedia filosofica, III, Firenze 1967, 1544-1545. Per la concezione etica di D., v. B. Nardi, Sigieri di Brabante nella D.C. e le fonti della filosofia di D., in " Rivista di Filos. Neoscolastica " III (1911) 187-195, 526-545; IV (1912) 73-90, 225-239; ID., Intorno al tomismo di D. e alla quistione di Sigieri, in " Giorn. d. " XX (1914) 182-197, e la recens. a E. Pasteris, Astrologia Libertà ed Ordine dei Beati, ossia Poesia e Filosofia nella D.C., in " Giorn. stor. " XCIX (1932) 301-308; ID., D. e la cultura medioevale, Bari 1942, 70-78; ID., Nel mondo di D., Roma 1944, 287-303; ID., La filosofia di D., in Grande Antologia Filosofica, IV, Milano 1954, 1149-1253; ID., Saggi e note di critica dantesca, Milano-Napoli 1966, 87-95. Per l'interpretazione della canzone Amor, da che convien: D.A., La Vita Nuova, a c. di N. Sapegno, Firenze 1931, 141-146; F. Maggini, La canzone ‛ montanina ' di D., in Studi letterari, Miscellanea in onore di Emilio Santini, Palermo 1956, 95-100; Barbi-Pernicone, Rime 642-652.