libertinismo
Insieme delle dottrine degli ‘spiriti forti’ o ‘liberi pensatori’ del Seicento che, in Italia, Francia, Olanda e Germania, professavano idee spregiudicate, spesso in contrasto con le Chiese. Il l. non è una dottrina organica, ma è caratterizzato da alcuni temi ricorrenti, riconducibili a una visione antimetafisica e laica del mondo, e al programma di «escarrer toute chose au niveau de la raison». Gli argomenti che più interessano gli autori libertini sono: la negazione dei miracoli e dell’immortalità dell’anima; la critica delle religioni (che nascerebbero dal timore superstizioso degli uomini e che sarebbero sfruttate dai legislatori come strumento di governo); il materialismo e l’atomismo dal punto di vista fisico-cosmologico; la dottrina della doppia verità (cioè libertà interiore e conformismo nei costumi) dal punto di vista etico. Gli studiosi sottolineano il ruolo svolto dal l. come anello di congiunzione tra il pensiero umanistico-rinascimentale e l’Illuminismo.
Il termine libertino è ricco di eterogenee accezioni storiche dal sec. 16° al 18°, e il più delle volte si trova in contesti polemici, usato come accusa verso chi assumeva posizioni non conformiste o di critica verso tradizionali scale di valori, istituzioni, ecc. La storiografia novecentesca ha cercato di definire meglio il complesso di atteggiamenti inglobati sotto l’etichetta di l., sottolineandone costantemente il carattere eterogeneo. Raro nel sec. 16°, il termine ricorre nell’ambito delle polemiche teologiche e religiose per indicare gruppi non conformisti che si appellavano alla libera e diretta ispirazione dello Spirito divino, negando anche l’oggettività delle norme morali; in Calvino è termine che indica, allo scopo di denunciarli, atteggiamenti di opposizione al regime teocratico da lui instaurato a Ginevra. La lotta tra Calvino e i suoi oppositori finì con la sconfitta di questi: gli ultimi libertini nel 1555 furono condannati all’esilio e alla confisca dei beni. I loro capi, D. Berthelier, Claude de Genève, F. Comparet, furono giustiziati. Il regno di Calvino durò incontrastato fino al 1564, ma le idee di tolleranza del sec. 18° matureranno proprio dai semi gettati a Ginevra.
Più complesso e sfuggente a una definizione omogenea è il fenomeno libertino nel sec. 17°. Esso non ha rapporti diretti con i «libertini» colpiti da Calvino né con le varie polemiche tra Chiese riformate; vi è invece la tradizione umanistica, le nuove filosofie della natura rinascimentali (di Pomponazzi e Cardano, di Bruno e Vanini) e l’insegnamento di moralisti come Montaigne e Charron con il richiamo a una misura umana che rifiuta le filosofie dogmatiche e l’intolleranza religiosa e indica ambiti mondani, etici e politici, della riflessione filosofica; vi è infine, sullo sfondo, la crisi ormai aperta del mondo aristotelico-scolastico. In un contesto culturale dai riferimenti ancora umanistici, i libertini recuperano temi ‘pagani’ quali l’eternità del mondo e la mortalità dell’anima, in opposizione all’idea di una philosophia perennis che culmina nel cristianesimo. Al contrario, il catalogo e il confronto delle credenze e delle ‘verità’ fanno emergere dubbi e inquietudini. Allo smascheramento degli errori corrisponde però un mascheramento delle opinioni: i libertini fanno proprio il motto di Cremonini, filosofo padovano dallo spirito eterodosso, intus ut libet, foris ut moris est. La verità non può essere divulgata, al contrario va nascosta alla «populace», che, dominata dall’irra- zionalità, deve essere tenuta a freno con paure ultraterrene. L’esercizio della ragione critica rimane un rito per pochi iniziati, e il volto da mostrare in pubblico è quello del conformismo. La libertà interiore degli spiriti forti può essere garantita solo dal primato del privato sul pubblico. Così, anche da un punto di vista politico le scelte del l. sono a sostegno dell’assolutismo monarchico e a favore di una politica ‘machiavellica’, caratterizzata da colpi di Stato e arcana imperii.
libertinage. Il l. del Seicento ha il suo centro in Francia; mentre in Italia la tradizione libertina si riallaccia indirettamente alle filosofie della natura rinascimentali e sfocia nella critica scettica dell’«impostura delle religioni» e nella rivolta blasfema. Vari gli atteggiamenti che emergono: non solo vi sono le forme del l. morale degli esprits forts, che sembrano trovare nell’opera di Théophile de Viau le più significative espressioni letterarie, ma anche all’interno di quello che è stato chiamato da René Pintard «libertinage érudit» gli orientamenti e i gusti sono assai diversi. Vi è la rivalutazione di Epicuro, di cui è protagonista Gassendi, promotore di una filosofia non dogmatica e di una ragione scettica ed empirica; e vi è l’atteggiamento del saggista La Mothe le Vayer – uomo di mondo e di corte – in cui l’erudizione rinascimentale diviene gusto marcatamente scettico che insiste sulla diversità di opinioni e costumi, sulla critica delle tradizioni religiose, e promuove, sulla scorta di Montaigne e Charron, un ideale di vita mondano; vi è la posizione deistica dell’autore anonimo dei Quatrains du déiste; la ricerca storica ed erudita di Naudé per smascherare errori e superstizioni trasmesse dalla tradizione; la difesa delle passioni di Saint-Evrémond; il romanzo filosofico-utopistico di Cyrano de Bergerac; lo spirito non conformista e antibigotto di Guy Patin. Un ruolo importante svolge anche la letteratura clandestina (un esempio per tutti: il Theophrastus redivivus) con le sue battaglie antireligiose.
Ma se nei contenuti e negli interessi individuali si riscontrano marcate differenze, d’altra parte motivi comuni emergono nella valorizzazione di un tipo di conoscenza tutta legata al particolare concreto (che sarà ora propriamente empirismo, ora ricerca storica erudita), nella difesa di un uso non dogmatico della ragione (che rinuncia a sistemi chiusi e atemporali costruzioni metafisiche), e quindi nella proposta di idee di tolleranza religiosa (che giunge fino a posizioni deistiche), nella valorizzazione di un’etica mondana con forte recupero di suggestioni epicuree. Sono motivi che trapasseranno nel Settecento, arricchiti da altre esperienze di cultura che si venivano maturando sulla fine del Seicento: come quelle emerse dalle polemiche attorno a Spinoza e al valore delle Sacre Scritture (in cui con Spinoza occupa un posto di primo piano R. Simon) che si congiungono con le battaglie per la tolleranza religiosa e per il primato di una religione naturale e razionale (con l’opera di Bayle e dei deisti inglesi); mentre si veniva svolgendo in termini più positivi la filosofia empiristica (con l’apporto inglese), e si affinavano i problemi della critica storica. Ma appunto già negli ultimi decenni del Seicento molti degli orientamenti del l. sono passati in forme di cultura che si svolgeranno pienamente in età illuministica: sicché il momento più originale e caratteristico del l. si ritrova nella prima metà del secolo quando esso rappresenta un orientamento di cultura che, pur nella sua interna eterogeneità, costituisce una definitiva rottura con il mondo aristotelico-scolastico e una precisa indicazione di compiti umani del filosofare e della ragione, volta a problemi di storia e di politica, di scienza e di morale. Nel Settecento il termine libertinismo finirà per convergere con immoralismo, riferendosi a una critica corrosiva e a una dissoluzione rivolta essenzialmente contro il costume: se ne trova un esempio illustre in Les liaisons dangereuses (1782) di P.-A.-F. Choderlos de Laclos.