LIBERTINO
Non si conoscono le origini e l'anno di nascita di L., pretore della Sicilia sul finire del VI secolo, noto solo attraverso l'epistolario di papa Gregorio I Magno.
Nell'organizzazione amministrativa dell'Italia bizantina dopo la riconquista da parte dell'imperatore Giustiniano, il governo della Sicilia era stato affidato a un pretore che rispondeva del suo operato direttamente a funzionari dell'amministrazione centrale costantinopolitana, mentre l'Italia peninsulare era amministrata da un prefetto del pretorio d'Italia. La successiva invasione della penisola da parte dei Longobardi costrinse Bisanzio a riorganizzare amministrativamente quanto rimaneva dei suoi possessi in Italia con l'istituzione dell'Esarcato, ma la Sicilia, non toccata dalle conquiste longobarde, mantenne l'organizzazione giustinianea.
Al maggio 593 risale la prima attestazione relativa a L. in qualità di prefetto di Sicilia. Gregorio I gli scrisse una lettera perché accertasse la veridicità delle accuse giunte alle sue orecchie contro l'ebreo Nasa.
Sembra che Nasa, dopo aver elevato un altare dedicato a "Sant'Elia" (presumibilmente il profeta del Vecchio Testamento), avesse fatto proselitismo inducendo molti cristiani a un culto sacrilego; inoltre, contrariamente alle norme vigenti, Nasa avrebbe tenuto al suo servizio schiavi cristiani, e corrotto con il denaro il precedente pretore della Sicilia, Giustino. Qualora Nasa fosse risultato effettivamente colpevole, Gregorio I invitava L. a punirlo in modo esemplare.
L'agosto seguente il papa comunicò al vescovo Eutichio di Tindari di aver chiesto l'intervento di L. per l'estirpazione dell'idolatria e dell'eresia nella sua diocesi. Nell'aprile 595 Gregorio I indicò L. al rettore del Patrimonio di S. Pietro in Sicilia, il diacono Cipriano, come l'autorità pubblica dalla quale poteva sperare la punizione dei chierici della diocesi di Siracusa dediti a pratiche magiche e fino ad allora rimasti impuniti per la morte improvvisa del vescovo.
La radicata esistenza in Sicilia di pratiche pagane e magiche di varia natura spingeva dunque il pontefice a mantenere stretti rapporti con la più alta autorità amministrativa sull'isola, nella quale egli confidava per la repressione dell'eterodossia religiosa.
È a partire dalla primavera del 597, almeno a giudicare dalle informazioni frammentarie disponibili, che la posizione di L. cominciò a farsi precaria: in maggio, scrivendo al diacono Cipriano, Gregorio I si riferiva a L. chiamandolo ormai semplicemente vir magnificus e parlandone come persona diversa dal pretore di Sicilia allora in carica; inoltre a Ravenna, secondo il papa, circolavano voci preoccupanti sul conto dello stesso L. e sulle intenzioni dell'esarca Callinico, che si apprestava forse a chiedere a L. i conti della sua passata amministrazione, dubitando della sua correttezza. Il papa incaricò però Cipriano di rassicurare L., poiché aveva già inviato a Ravenna una lettera all'esarca Callinico in sua difesa.
Gli eventi precipitarono: sul finire dell'estate del 598 l'imperatore romano d'Oriente Maurizio stabilì una tregua con i Longobardi, che garantiva ai domini bizantini nella penisola italiana una certa tranquillità e inviò un suo rappresentante, Leonzio, fregiato del titolo di exconsul, per condurre un'inchiesta sull'operato di vari ex funzionari dell'Esarcato d'Italia e della stessa pretura di Sicilia.
L'inchiesta sarebbe durata due anni, giustificata dalla necessità, allora pressante per l'Impero bizantino, di risanare l'amministrazione finanziaria delle province, ristabilendo un più stretto controllo sui funzionari locali e punendone recisamente gli eventuali abusi. Le accuse circolate precedentemente a Ravenna contro L. furono forse decisive nello spingere l'imperatore a prendere l'iniziativa.
Già nel settembre-ottobre del 598 Leonzio citò L. a comparire dinanzi al suo tribunale e presentare i conti della sua cessata amministrazione. Per questo sembra che Gregorio I avesse poco prima raccomandato al domesticus Amandino, alto ufficiale militare forse soggetto all'esarca ma tenuto a collaborare con Leonzio, di mostrarsi benevolo e comprensivo nei confronti di Libertino. Non diversamente un mese dopo raccomandò allo stesso ufficiale un altro illustre personaggio, Gregorio ex prefetto del pretorio d'Italia, in questo caso alludendo chiaramente all'inchiesta in corso. Nel giugno dell'anno 600 il papa Gregorio I scrisse a L. una lettera per esortarlo a sopportare con grande forza d'animo le angustie in cui si trovava, un'allusione facilmente riconducibile alla sua condizione di inquisito. Il caso di L. si rivelò in effetti come uno dei più gravi tra quelli presi in esame da Leonzio.
Secondo l'uso allora corrente, L., al momento di essere nominato pretore, aveva firmato una cautio, un impegno scritto preventivo per garantire personalmente il versamento allo Stato dei proventi fiscali previsti per il periodo di permanenza in carica. Il documento risultò gravemente viziato nella forma e nel contenuto; forse per rispettarne i termini, rivelatisi poi eccessivamente onerosi, L. era ricorso anche al prelievo di denaro pubblico da altri fondi. Leonzio inviò a Gregorio I il testo della cautio, forse per mostrargli che le sue esortazioni alla benevolenza erano inutili di fronte alla documentata gravità dei fatti. In una lettera di risposta al rappresentante dell'imperatore, del settembre del 600, Gregorio I ammise che il testo del documento gli era parso "esecrabile". Tuttavia, Gregorio coglieva l'occasione per ammonire lungamente Leonzio sul suo modo di procedere nell'inchiesta in generale e nel caso di L. in particolare. Non era in discussione la colpevolezza del personaggio, sulla quale il pontefice non riteneva di doversi esprimere; era però inaccettabile che L., seppure trovato effettivamente colpevole, invece di essere semplicemente costretto a riscattare con i propri beni le frodi commesse, fosse sottoposto a una lunga pena detentiva. Ancor più vergognoso era il fatto che nel suo interrogatorio, come in quello di altri, si fosse fatto ricorso alle percosse per ottenere risposte. Questi metodi erano indegni dell'intelligenza e della capacità di un uomo come Leonzio, che poteva essere molto persuasivo anche solo con le parole. Con il suo comportamento egli offuscava, oltre alla sua immagine, anche quella dell'autorità che rappresentava, l'imperatore romano, un sovrano che regnava su uomini liberi e non su una massa di schiavi, come i re barbarici. Solo la sua estraneità ai fatti, continuava Gregorio I, e la sua conseguente incapacità di giudicare dell'effettiva colpevolezza di L. come di altri inquisiti lo avevano trattenuto fino ad allora dal protestare formalmente, se necessario rivolgendosi direttamente all'imperatore Maurizio, iniziativa che rimaneva sempre possibile.
L'inchiesta, nel corso della quale L. fu condannato, rappresentò un momento delicato nei rapporti tra il governo centrale dell'Impero e i domini bizantini italiani. Dopo un lungo periodo di guerra contro i Longobardi, cui gli amministratori dell'Esarcato avevano dovuto far fronte soprattutto con le limitate risorse locali, la tregua stabilita nel 598 con il re dei Longobardi Agilulfo era stata seguita da una severa indagine nei loro confronti, condotta con metodi intimidatori, lasciando probabilmente un certo risentimento. È interessante notare che Leonzio, trascurando centri come Roma o Ravenna, si stabilì a Siracusa per il periodo in cui svolse l'inchiesta, obbligando i vari funzionari della pretura siciliana o dell'Esarcato d'Italia a comparire dinanzi al suo tribunale, assistito da almeno due vescovi siciliani, in particolare quello di Siracusa. Probabilmente la Sicilia, non dipendente dall'Esarcato e con una rete episcopale ancora priva di un suo metropolita, era considerata come la regione più tranquilla e facilmente controllabile da parte del governo centrale nel momento in cui si doveva svolgere una missione assai poco popolare.
Dopo la conclusione dell'inchiesta si perdono le tracce di Libertino.
Fonti e Bibl.: Gregorius I, Registrum epistolarum, a cura di D. Norberg, Turnholti 1982, pp. 182 s., 207 s., 299 s., 470, 567, 589, 838 s., 862-865; P. Goubert, Byzance avant l'Islam, II, 2, Paris 1965, pp. 239-241; A. Guillou, L'ispezione compiuta dall'ex console Leonzio nell'Italia bizantina. Il controllo delle finanze statali nell'Impero bizantino alla fine del secolo VI, in Scuole, diritto e società nel Mezzogiorno medievale d'Italia, a cura di M. Bellomo, II, Catania 1987, pp. 57-61; J.R. Martindale, The prosopography of the later Roman Empire, III B, Cambridge 1992, p. 792; Prosopographie chrétienne du Bas-Empire, a cura di Ch. Pietri, II, Italie (313-604), Rome 2000, pp. 1303-1305; S. Cosentino, Prosopografia dell'Italia bizantina (493-804), II, Bologna 2000, pp. 295 s.