Libia ed ISIS alla luce delle risoluzioni ONU
La situazione libica è caratterizzata da uno stato di anarchia in cui gruppi armati e governi locali si contendono il potere. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (Cds) ha legittimato il Governo di unità nazionale (GNA, secondo l’acronimo inglese) come governo dell’intera Libia. Sennonché esso ha un’effettività limitata. In tale situazione non meraviglia che l’ISIS abbia potuto attecchire con una componente territoriale stanziata soprattutto a Sirte. Il GNA, grazie ai raid americani, ha estromesso l’ISIS dalla cittadina libica. Per ora l’Italia non è intervenuta militarmente, ma ha giustificato i raid americani dichiarandosi disposta a concedere l’uso delle proprie basi.
L’ISIS (Islamic State of Iraq and al-Sham), di stretta osservanza sunnita, è attecchito in Iraq sotto la guida di leader, in parte eliminati grazie ai raid Usa. Ciononostante nel 2010, l’ISIS è riuscito a guadagnare terreno, specialmente dopo il ritiro degli Stati Uniti dall’Iraq nel 2011. Contemporaneamente l’ISIS ha esteso le sue operazioni in Siria, in preda alla guerra civile per la rivolta contro il regime di Assad, e nel 2014 ha assunto la denominazione di Stato Islamico (IS: Islamic State o Daesh nell’acronimo arabo), proclamando il califfato nelle aree dell’Iraq e della Siria sotto il suo controllo.
Avendo una sua dimensione territoriale, l’ISIS può essere definito un movimento insurrezionale che combatte con metodi terroristici, non solo sul terreno di scontro, cioè in Iraq e Siria, ma anche in luoghi più distanti grazie ai propri affiliati reclutati in loco, responsabili degli attentati terroristici di Tunisi, Parigi e Bruxelles. L’ISIS ha tentato, talvolta con successo, una sua espansione territoriale, in particolare nel Sinai, in Nigeria, Yemen e soprattutto in Libia, dove si è stabilito nel 2014 ad opera di combattenti di ritorno dall’Iraq e dalla Siria, foreign fighters provenienti dal Magreb e gruppi autoctoni che hanno disertato dalle locali milizie. L’espansione territoriale in Libia è ragguardevole, avendo l’ISIS il controllo, più o meno effettivo, di località in Tripolitania (dintorni di Tripoli, Sirte), in Cirenaica (Derna e Bengasi) e nel Fezzan. La roccaforte dell’ISIS-Libia è Sirte, dove la sua autorità è stata praticamente nullificata dalle forze del GNA e dai bombardamenti americani iniziati il 1° agosto 2016, programmati per un mese e prolungati fino a fine settembre1.
Dopo la caduta Gheddafi (2011), lo Stato libico è divenuto preda di fazioni violente e di gruppi terroristici che impediscono una rappresentanza unitaria dell’intera nazione. Il governo dello Stato libico è importante, tra le altre cose, per individuare l’entità legittimata a disporre delle ricchezze del paese, in particolare delle risorse petrolifere, dei fondi della Banca Centrale Libica e della LIA (Libyan Investment Authority) e per le partecipazioni azionarie detenute dalla Libia in numerose società occidentali.
Prima dell’accordo di Skhirat (17 dicembre 2015), la situazione era grosso modo la seguente: un governo a Tobruk, un governo a Tripoli ed un gruppo facente capo all’ISIS stanziato a Sirte e dintorni. Con l’accordo di Skhirat, sponsorizzato dalle Nazioni Unite e raggiunto grazie alla mediazione dell’inviato del Segretario Generale e capo dell’UNSMIL (UN Support Mission in Libya), Martin Kobler, è stato creato il GNA, destinato a esercitare la sua autorità sull’intera Libia, con presidente al-Sarraj. Detto governo è dovuto restare a lungo fuori dalla Libia, a causa dell’ostilità dei suoi stessi “sostenitori”, e si è potuto installare nel compound portuale di Tripoli solo il 30 marzo 2016. Allo stato attuale esistono in Libia due «governi», ognuno esercitante autorità su parte del territorio: Tobruk e Tripoli, dove è installato al-Sarraj, la cui sfera di azione territoriale è minima. Esistono poi una miriade di milizie (potente quella di Misurata) e soprattutto l’ISIS, la cui roccaforte è stata Sirte, fino all’estromissione grazie all’intervento congiunto degli Stati Uniti e dell’esercito di al-Sarraj.
Qual è il governo legittimo della Libia? La risoluzione 2259 (2015) del 23.12.2015 del Cds afferma che il GNA è «il solo legittimo governo della Libia» (par. 3); raccomanda ai membri delle Nazioni Unite di comunicare esclusivamente con il GNA e di cessare ogni sostegno e contatto ufficiale con le altre istituzioni che si qualifichino come legittime autorità della Libia (par. 5); chiede al GNA di proteggere l’integrità e unità delle istituzioni finanziarie e della società petrolifera nazionale.
Il riconoscimento e il supporto per il GNA è venuto pure dai paesi riuniti nel gruppo informale di supporto sulla Libia, di cui fanno parte oltre una ventina di Stati e organizzazioni regionali, compresi Russia e Stati Uniti, nonché l’Italia, che ambisce a guidare un’eventuale missione in Libia. Anche l’Unione europea riconosce il GNA e ha adottato sanzioni individuali contro varie entità recalcitranti.
Come qualificare dunque il GNA? Si tratta di un ente nato all’estero e successivamente sbarcato in Libia. È governo legittimo poiché ha il blessing del Cds e degli attori principali interessati al contesto libico, come provato dalle riunioni interministeriali di Roma (13 dicembre 2015) e Vienna (16 maggio 2016), cui hanno preso parte numerosi Stati e organizzazioni internazionali. Ma il GNA manca di effettività, o meglio la sua effettività è in fieri. È piuttosto un ente fiduciario. Man mano che l’effettività del GNA si consolida, il governo di Tobruk è ridotto a mera entità insurrezionale. Il ritiro del riconoscimento al governo di Tobruk, operato implicitamente dagli Stati che riconoscono il GNA, è un classico esempio di “disconoscimento”, fenomeno non nuovo nella comunità internazionale. Il governo di al-Sarraj non ha però finora ottenuto la fiducia del parlamento che, a causa delle ostilità si era spostato da Bengasi a Tobruk. Il 23 agosto il parlamento ha espresso un voto negativo.
Le risoluzioni del Cds che condannano il terrorismo in Libia sono numerose, inclusa la condanna di Al-Qaida e di altri gruppi, come specificato nei preamboli delle risoluzioni 2161 (2014) e 2174 (2014). Tuttavia le risoluzioni dedicate all’ISIS sono più recenti e adottate dopo il suo insediamento in Libia.
Le risoluzioni 2213 (2015) e 2238 (2015) affermano nel preambolo la preoccupazione per l’esistenza di gruppi terroristici facenti capo all’ISIS e dettano una serie di misure adottate a norma del Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite. La risoluzione 2278 (2016) contiene una parte operativa più mirata poiché, nel par. 7, relativo all’embargo sulle armi, stabilisce che il GNA possa esaminare richieste per il rifornimento di armi per combattere l’ISIS e, nel par. 8, sollecita gli Stati membri ad assistere il GNA e a fornire la necessaria assistenza per sconfiggere l’ISIS. La risoluzione 2292 (2016) reitera nel preambolo la grave preoccupazione per i gruppi terroristici affiliati all’ISIS e sollecita le forze di sicurezza a pervenire ad un comando unificato per combatterlo, ricordando che il GNA può chiedere, a questo fine, il trasferimento di materiale bellico. Nella parte dispositiva, agendo nel quadro del Capitolo VII, il Cds condanna il trasferimento di materiale bellico all’ISIS, in violazione dell’embargo (par. 1). Nel par. 12 si chiede al Segretario Generale un rapporto sulla minaccia posta dall’ISIS alla Libia e ai paesi confinanti.
Interessa indirettamente l’ISIS-Libia anche la risoluzione 2178 (2014) sui foreign fighters. La risoluzione, pur avendo di mira l’ISIS ed altre organizzazioni terroristiche come Al-Nousrah e cellule di Al-Qaida, è dettata in termini generali e s’inquadra nella lotta al terrorismo internazionale intrapresa da tempo dal Cds. Essa è stata adottata a termini del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, ma contiene al suo interno misure sia obbligatorie sia di natura esortativa.
Quanto alle prime, la risoluzione dispone, innanzitutto, l’obbligo per gli Stati di prevenire e impedire il reclutamento, l’organizzazione, il trasporto o l’equipaggiamento di individui che viaggiano in uno Stato diverso da quello di nazionalità o di residenza allo scopo di essere coinvolti in attività terroristiche (par. 5). Essa, inoltre, stabilisce, nel par. 6, che gli Stati debbano dotarsi di una legislazione adeguata in materia penale per la repressione di tali attività (trasferimento di cittadini e residenti allo scopo di partecipare ad attività terroristiche; reperimento di fondi; reclutamento, organizzazione e facilitazione dei viaggi dei foreign fighters).
La risoluzione dispone altresì l’obbligo di impedire l’ingresso nello Stato o il transito di persone sospettate di preparare le attività vietate, fatti salvi i provvedimenti in materia di arresto e detenzione di tali individui (par. 8).
La risoluzione 2178 interessa solo marginalmente l’ISIS-Libia. Infatti il nucleo essenziale delle milizie dell’ISIS non è fatto di foreign fighters, ma di combattenti autoctoni di ritorno dai teatri siriano e iracheno. D’altra parte la Libia, vivendo uno stato di anarchia, non è in grado di implementare la risoluzione 2178 e manca di un apparato giudiziario che possa farne rispettare gli obblighi.
Da ricordare che, a parere del Procuratore della Corte penale Internazionale, i crimini commessi dall’ISIS in Libia potrebbero ricadere prima facie sotto la giurisdizione della Corte in virtù della risoluzione del Cds 1970 (2011) richiamata espressamente dalle risoluzioni 2174 (2014) e 2213 (2015)2.
Terzi Stati sono intervenuti apertamente in Libia contro l’ISIS. Si tratta dell’Egitto e, in particolare, degli Stati Uniti. Altri Stati hanno presenze più
o meno palesi, giustificate dall’esigenza di difendere i propri connazionali e/o di combattere il terrorismo internazionale. Si tratta per lo più di operazioni di intelligence.
L’Egitto è intervenuto con raid aerei in Libia contro l’ISIS i cui miliziani avevano trucidato (15 febbraio 2015) 21 egiziani copti, decapitandoli in diretta video. In un primo tempo, l’Egitto aveva rivendicato un “right of response”, e successivamente aveva indicato come causa di giustificazione la legittima difesa e il diritto di proteggere i cittadini all’estero. Ma nel dibattito in Cds l’Egitto, vista l’inconsistenza giuridica delle motivazioni accampate, ha preferito far riferimento alla classica causa di giustificazione del consenso dell’avente diritto, affermando che aveva effettuato i raid su richiesta del Governo di Tobruk, in quel momento riconosciuto dalla comunità internazionale. In realtà si è trattato di una rappresaglia armata, non ammessa dal diritto internazionale.
Gli Stati Uniti, il 13 novembre 2015, hanno condotto un attacco aereo per colpire Abu Nabil, un iracheno considerato uno dei capi dell’ISIS in Libia. Si è trattato di un omicidio mirato (targeted killing), tattica messa in opera dagli Stati Uniti contro i capi delle organizzazioni terroristiche. Il 19 febbraio 2016 gli Stati Uniti sono intervenuti a Sabratha per distruggere un campo di addestramento dell’ISIS. Ma un intervento sistematico si è avuto solo a partire dal 1° agosto con raid mirati contro le postazioni dell’ISIS a Sirte, che sono durati circa tre mesi ed hanno condotto, grazie anche all’intervento delle milizie di al-Sarraj, all’annientamento della roccaforte dell’ISIS, ma non alla sua distruzione o completa espulsione da altre parti del paese.
Quale la base giuridica dei raid Usa? Il Pentagono ha giustificato l’intervento a Sirte con la richiesta del Governo di al-Sarraj. Il consenso dell’avente diritto, cioè dello Stato in cui le incursioni hanno luogo, è una valida causa di giustificazione. Solo che il governo al-Sarraj, pur essendo stato legittimato dalla risoluzione 2259 (2015) come il governo legittimo della Libia, è un ente fiduciario, la cui effettività è in progress.
La Russia si è affrettata a dire che l’intervento Usa è illegale.
Può l’intervento Usa trovare la sua giustificazione nel par. 12 della risoluzione 2259 del Cds, che invita gli Stati membri a dare supporto al governo-al–Sarraj? È dubbio e infatti gli Stati Uniti non ne hanno fatto menzione. La risoluzione non fa riferimento al Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite e al linguaggio che il Cds usa quando autorizza l’uso della forza.
Le recenti incursioni USA in territorio libico contro l’ISIS hanno sollevato il problema dell’utilizzo del territorio italiano come base per operazioni contro la Libia e in particolare di Sigonella, che ospita una base USA. Il 22 febbraio 2016 gli USA hanno concluso un accordo con l’Italia per lo stoccaggio ed uso di droni armati. L’accordo è da inquadrare in accordi precedenti stipulati tra Italia e Stati Uniti (il Bilateral Infrastructure Agreement del 1954, il Memorandum of Understanding del 1995 e il Technical Arrangement on Sigonella del 2.4.2006). Dal complesso degli accordi si evince che il comando della base spetta all’Italia, ma gli Stati Uniti hanno il pieno comando del personale e delle operazioni americani. Quelle più importanti devono essere notificate al comandante italiano della base. Spetterà quindi all’Italia bloccare un’operazione non conforme al nostro ordinamento, incluse le norme di diritto internazionale immesse tramite l’art. 10, co. 1, Cost. e le norme della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), pena l’incorrere in responsabilità internazionale.
Per quanto riguarda i raid effettuati a partire dal 1° agosto, gli Stati Uniti hanno avvertito l’Italia dell’imminenza delle operazioni. Tuttavia i raid, eseguiti con aerei e droni, sono partiti da navi Usa in Mediterraneo e dalla Giordania, nonostante le basi italiane a disposizione degli Stati Uniti e l’accordo per lo stoccaggio e uso di droni armati a Sigonella.
L’Italia si è affrettata a dire, con un comunicato della Farnesina, che “valuta positivamente” le operazioni aeree Usa contro le postazioni dell’ISIS a Sirte e, a scanso di equivoci, ha affermato di essere pronta «a valutare positivamente un’eventuale richiesta di uso delle basi e dello spazio aereo se fosse funzionale a una più rapida e efficace conclusione delle operazioni in corso» contro l’ISIS. Tra l’altro ha giustificato l’intervento Usa in base al par. 12 della risoluzione del Cds 2259 sopra menzionata.
Il 12 settembre il governo italiano ha annunciato la volontà di costruire un ospedale militare a Misurata protetto da un contingente di paracadutisti. La richiesta è stata effettuata da al-Serraj e, visto il carattere umanitario, non dovrebbe sollevare problemi sotto il profilo del diritto internazionale.
Non interessa direttamente la lotta all’ISIS l’operazione navale Eunavformed Sophia, sotto comando italiano, che attualmente opera solo in alto mare ed è diretta a contrastare il traffico illegale di migranti (a quanto sembra una delle fonti di finanziamento dell’ISIS). Alla missione sono stati aggiunti due nuovi compiti, che possono riguardare l’ISIS: l’addestramento della Guardia costiera libica e l’attuazione dell’embargo sulle armi decretato dal Cds.
Una delle questioni più controverse riguarda l’effettività del GNA e la sua legittimità a richiedere l’intervento dei terzi per operazioni militari. Una risoluzione del Cds sanerebbe sicuramente la situazione, ma è dubbio che tale compito possa essere assolto dalla risoluzione 2259. Il consolidamento del GNA è tutto da vedere viste le operazioni militari condotte dal governo di Tobruk. Anche la definitiva sconfitta dell’ISIS Libia non è imminente.
A parte i crimini commessi dall’ISIS, è da lamentare la scarsa applicazione del diritto umanitario da parte delle forze libiche che lo combattono, in particolare la prassi delle esecuzioni sommarie.
Una delle operazioni spesso usate dagli Stati Uniti tramite droni sono quelle relative al targeted killing dei capi di movimenti terroristici. Come si è visto, tali operazioni sono state effettuate nei confronti di membri dell’ISIS stanziati in Libia. È da chiedersi se esse siano contrarie al diritto internazionale. In effetti il diritto dei conflitti armati consente la “singolarizzazione” dell’obiettivo militare (legittimo), quale ad es. un capo militare dell’organizzazione nemica. Nei termini e nei limiti ora esposti il targeted killing è dunque considerato lecito, qualora esercitato nel quadro della legittima difesa di cui all’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite, che rende applicabili le regole del diritto dei conflitti armati (ma è dottrina controversa). L’accordo del 22 febbraio 2016, di cui non si conosce il preciso contenuto, autorizza la presenza a Sigonella di droni armati (mentre prima erano presenti solo droni da ricognizione) e il loro uso per missioni difensive in Libia a protezione delle forze speciali USA presenti nel territorio e per missioni antiterrorismo.
È discutibile se rientri nel quadro dell’accordo sui droni la recente missione USA contro l’ISIS a Sabratha ed infatti il Ministro della difesa italiano si è affrettato a dichiarare che l’Italia non aveva concesso né il sorvolo del territorio né l’uso delle basi. Gli aerei erano partiti da basi britanniche.
Infine è da sottolineare la continua violazione dell’embargo, anche ad opera di Stati che riconoscono il GNA, con la scusa di aiutare il Generale K. Haftar (Governo di Tobruk) a combattere il terrorismo internazionale.
Note
1 Per una narrazione degli eventi v. Report of the Analytical Support and Sanctions Monitoring Team submitted pursuant to paragraph 13 of Security Council Resolution 2214 (2015) concerning terrorism threat in Libya posed by the Islamic State in Iraq and the Levant, Ansar al Charia and all other Al-Qaida associates, UN Doc. 19.11.2015; Blanchard, C.M.Hemud, C.E., The Islamic State and U.S. Policy, in Congressional Research Service, 27.6.2016.
2 Fatou Bensouda statement on Libya, Diplomat Magazine, 30.5.2016.