libito
Dal latino libitum, " ciò che piace "; ricorre due volte nella Commedia: If V 56 [Semiramide] A vizio di lussuria fu sì rotta, / che libito fé licito in sua legge, cioè " dichiarò lecito, permesso dalla legge, ciò che a ciascuno piacesse " (Sapegno).
Il contrasto fra libito e licito era già in Paolo Orosio, fonte di d. (Hist. I IV 8 " quod cuique libitum esset liberum [ var. licitum] fieret "), ma il poeta l'ha reso molto più significativo rafforzando la paronomasia attraverso un più stretto accostamento dei due termini e collocandoli nel verso in modo che ricevessero entrambi l'accento (l'uno secondario e l'altro principale) sulla prima sillaba. Cfr. anche Pd XXXI 42 tra esso [lo stupore] e'l gaudio mi facea / libito non udire e starmi muto, cioè " mi faceva piacere ".