libro
Il l. è considerato il principale strumento di diffusione scritta dell’informazione. Si caratterizza per essere prodotto in un numero di copie sufficientemente alto da garantirne la circolazione su un supporto inizialmente destinato a non deperire. Nel l. sono insiti i caratteri di durata spazio-temporale e di mezzo di trasmissione e distribuzione del sapere. Perciò rientrano nella storia del l., inteso come mezzo di comunicazione della cultura scritta a prescindere da quale sia il suo supporto fisico, le foglie di corteccia, le tavolette d’argilla o cerate, i papiri, i codici medievali, passando per il l. vero e proprio, fino ai prodotti dell’editoria elettronica.
Il rotolo di papiro è il l. più diffuso dell’antichità classica. Usato dagli egiziani fin dal 2000 a.C. (a quest’epoca risale il papiro di Prisse, uno degli esemplari più antichi pervenutici), esso probabilmente entrò in Grecia nel 7° sec. a.C., donde si diffuse in tutta l’area ellenistica, passando quindi al mondo romano (dal 3° sec. a.C.). I privati affidavano il lavoro calligrafico per la produzione di papiri ai propri schiavi amanuensi (servus litteratus), finché, sulla spinta di una richiesta sempre maggiore, cominciò ad affermarsi la figura dell’«editore-libraio» che gestiva una bottega in cui operavano più copisti (dal 1° sec. a.C.). Sul rotolo (scapus), costituito da più fogli (charta), si scriveva in colonne nella parte interna (recto). Generalmente il testo cominciava con una riga di caratteri più grandi, talvolta tracciati con inchiostro rosso, e con la parola incipit seguita dal titolo dell’opera e dal nome dell’autore; all’estremità interna del rotolo, alla fine del testo, si leggeva una dizione composta dalla parola explicitus (quindi abbreviato in explicit) e dal titolo dell’opera; tale prassi si perpetuò fino a tutto il 15° sec. e oltre, ed è tuttora utilizzata nella catalogazione dei manoscritti. Dall’atto di svolgere il papiro per leggerlo (volvo) deriva il termine volumen, che permane come sinonimo per indicare genericamente la partizione fisica del libro. Per lo più, il papiro fu usato per testi religiosi, giuridici e genealogici sino al 1°-2° sec. d.C.; in quell’epoca sostituì le tavolette cerate o lignee per trascrizione di appunti e documenti, assumendo la forma rettangolare del codice (codex), costituito da fogli ripiegati e legati assieme. Per alcuni secoli si ebbero nell’uso volumi e codici: il codice, per la praticità di consultazione, si impose definitivamente dal 4° sec. d.C. Contribuirono alla sua diffusione due differenti fattori: l’intensificarsi dell’uso della pergamena, materia scrittoria di più semplice fattura rispetto al papiro, e la necessità di divulgare il verbo cristiano. Tra il 4° e 5° sec. la produzione di codici diventò prerogativa di officine scrittorie ecclesiastiche (scriptoria), monastiche o capitolari, dove gli amanuensi (copisti) non si limitarono a trascrivere e recensire i testi sacri, ma salvarono anche i classici latini e greci. Ricordiamo l’importante ruolo svolto da papa Agapito con la fondazione di una biblioteca a Roma (535-536), da Cassiodoro e Isidoro da Siviglia nel convento di Vivarium, dall’ordine benedettino nei conventi di Bobbio, Montecassino, San Gallo, Luxeuil e Fulda, attivi dal 6° sec. Dal 12° sec., con la rinascita economica, il laicizzarsi della cultura e il fiorire delle univeristà, si determinò il bisogno di una maggiore produzione di testi non solo sacri, ma anche medici, giuridici e letterari. Risorsero le officine librarie dove i copisti erano liberi o alle dipendenze di editori (stationari), che gestivano le botteghe autorizzate dalle università a vendere o a prestare i l. per uso scolastico; Bologna, Padova e Parigi furono i maggiori centri laici. Il codice non reca numerazione di pagine fino al 13° secolo. Per evitare errori di legatura i fascicoli sono contrassegnati da lettere dell’alfabeto, da cifre, dal cd. titolo corrente, ossia dall’indicazione di titolo e autore sul margine superiore della pagina, oppure portano nel margine inferiore dell’ultima pagina di ciascun quinterno la prima parola del successivo (dall’11° sec.). Manca di solito il frontespizio: elementi cronologici o topici e talvolta anche il nome del copista si trovano nella sottoscrizione (colophon). Altra caratteristica del codice medievale è costituita dalle note interpretative ed esplicative (glosse, scoli, commento), in corpo minore, che circondano il testo occupante il centro della pagina su una o due colonne. All’opera dell’amanuense seguiva quella del rubricator per l’esecuzione dei titoli e delle iniziali dei capitoli; da ultimo interveniva talvolta il miniatore. I primi esempi di miniatura (da minium) sono offerti dai codici del 4° sec. d.C. come nel Virgilio Vat. Lat. 3225. Ai motivi geometrici e alla stilizzazione ispirata dalla flora, dalla fauna e da animali fantastici, subentra la figura umana in età carolingia (Evangelario di Carlomagno, 781, e Bibbia di Carlo il Calvo, 9° sec.). In seguito, i legami tra scrittura e ornamentazione si fanno più stretti, mentre la ricerca grafica prevale sul colore, come nella Leggenda di San Benedetto e di San Mauro (11° sec.) o nel Chronicon Volturnense (12° sec.). Dal 13° sec., con la diffusione della cultura fuori dei monasteri, si ha l’avvio di un’arte laica, in cui primeggiano Oderisi da Gubbio, Giovanni da Gaibana e l’illustratore anonimo del De arte venandi cum avibus. L’ultima splendida età del manoscritto è rappresentata dall’umanesimo che curò la correttezza filologica del testo oltre che l’aspetto formale. I codici divennero un’espressione d’arte, perfetti per qualità di pergamena, eleganza e regolarità di scrittura, detta appunto umanistica. L’umanistica fu adottata per la prima volta da Niccolò Niccoli (1364-1437), Poggio Bracciolini (1380-1459) e Ambrogio Traversari (1386-1439), quindi, con perfetti risultati, dalla bottega di Vespasiano da Bisticci. L’introduzione della carta, materia scrittoria nuova per l’Europa, permise una maggiore diffusione del l. grazie al basso costo e alla facilità di produzione rispetto alla pergamena. Nello stesso periodo si sperimentarono nuove tecniche di stampa che anticipavano l’uso dei caratteri mobili. A partire del 1440, questa produzione di carattere popolare, costituita da immagini ecclesiastiche e testi di istruzione religiosa, si diffuse prevalentemente nei Paesi germanici. Le matrici erano incise su legno e i fogli, stampati da un solo lato, il recto (anopistografie), erano incollati a due a due, formando libelli (detti tabellari o xilografici). Il primo esempio italiano è costituito da 18 tavole della Passione, impresse a Venezia nel 1450; degni di menzione sono la Biblia pauperum (stampata a Nördlingen nel 1470 da Walther e Hurning), e il De octo partibus orationis di Elio Donato (stampato a Ulma tra il 1475 e il 1480 da C. Dinckmut). Con l’invenzione della stampa a caratteri mobili metallici da parte di J. Gutenberg si entra nell’era del l. moderno. Questi stampò a Magonza, tra il 1455 e il 1456, la celeberrima Bibbia detta delle «42 linee» in caratteri gotici. La stampa, molto più che un nuovo strumento tecnico, è fattore di rinnovamento culturale globale, rivoluziona la produzione libraria, abbatte i prezzi, crea via via un mercato sempre più esteso, non solo dal punto di vista numerico, ma anche sul piano dei contenuti e delle categorie di fruitori. Nata dal clima culturale del Rinascimento, l’arte della stampa ha potuto svilupparsi in tal modo grazie alla Riforma protestante che ne ha fatto il proprio mezzo di diffusione. La Germania è il più importante centro di produzione libraria; da qui giunge il primo libro con impressi il marchio tipografico e la data, il Psalterium (1457) di P. Schoeffer e J. Fust, già soci di Gutenberg. Operarono tipografie, oltre che a Magonza, a Bamberga (dove A. Peister pubblicò il primo l. illustrato nel 1461), ad Augusta (nel 1493 G. Zainer e J. Pflanzmann stamparono la prima Bibbia illustrata), a Strasburgo e a Basilea. La stampa in Italia arrivò con i tipografi tedeschi C. Sweynheym e A. Pannartz, che si stabilirono prima a Subiaco, quindi a Roma. Si deve a loro il primo l. italiano a stampa, Donatus pro puerulis, di cui non ci sono pervenuti esemplari, subito seguito dal De oratore di Cicerone e dal De opificio Dei vel formatione hominis di Lattanzio (sul colophon: anno domini M.CCCC.LXV). Uscendo dalla tradizione del gotico tedesco, stampavano le loro opere prima in caratteri modellati sulla minuscola carolina (carattere romano), poi sull’umanistica. Dalla Germania altri tipografi si trasferirono in Italia e con loro si ebbero nuovi progressi come l’illustrazione (Meditationes de vita Christi di U. Hahn) e la musica a stampa (Missale Romanorum, 1476). Venezia divenne la capitale editoriale, con J. von Speyer, E. Ratdolt, B. Maler, P. Loslen e A. Manuzio. Nel resto dell’Europa la stampa si diffuse dopo il 1470, anno in cui fu introdotta nei Paesi Bassi e in Francia. I l. a stampa del Quattrocento (incunaboli) sono di regola cartacei e presentano inizialmente la forma di in folio o in 4°; solo in un secondo momento ebbero formati minori. Fino al 1480 non recano il frontespizio (fanno eccezione l’Oratio gratulatoria di A. Turchetus, Padova 1472, e il Calendario di Regiomontano, Venezia 1476); iniziano con la lettera di dedica, con l’indice dei capitoli, oppure con il testo preceduto dall’incipit. Sino alla pubblicazione del Sermo de Presentatione Beatissime Virginis Marie (Colonia 1470), non vi è l’abitudine di numerare le pagine, uso che divenne corrente solo con il 16° secolo. Si incontra invece sin dai primi tempi della stampa il privilegio (il primo caso italiano si ebbe a Venezia nel 1469 a favore di Giovanni da Spira). Dapprima fu una dichiarazione dell’autorità che garantiva a uno stampatore l’esclusività di una certa edizione per un tempo determinato, ma poi ben presto divenne una forma di protezione dei diritti d’ingegno. In Inghilterra la Stationers’ company, associazione di copisti, legatori e rivenditori, fondata nel 1403 per regolare il commercio di manoscritti, allargò le sue competenze al l. a stampa. Preannunciò i caratteri del libro del Cinquecento Aldo Manuzio, le cui prime prove sono databili al 1494. La sua produzione (chiamata aldina), contrassegnata dall’ancora con il delfino, è contraddistinta dall’introduzione del formato in 8° e dal carattere corsivo. Tra le sue opere meritano una particolare menzione le 27 editio princeps e la Hypnerotomachia Poliphili (1499), considerato il più bel libro del Rinascimento; a Manuzio risalgono anche i primi cataloghi editoriali di vendita.
Il Quattrocento fu l’epoca degli sperimentatori, il Cinquecento quella dei primi editori. Il loro ruolo non si esaurì nella semplice produzione tipografica, ma si esplicò nella scelta culturalmente motivata delle opere da stampare, nella ricerca filologica, nella scoperta di antichi e nuovi autori, in un contesto di botteghe che assumevano sempre più il carattere di circoli intellettuali con scambi a livello europeo. In questo periodo, grazie alla stampa si ebbe la definitiva canonizzazione dei volgari, che divennero lingue ufficiali anche dal punto di vista letterario. Se nel 1470 in Italia erano operanti solo 4 tipografie (Roma, Venezia, Foligno, Trevi), all’inizio del 16° sec. le officine erano circa 500 e la loro produzione coprì il 40% dei l. pubblicati in Europa. Paolo e Aldo il giovane continuarono l’opera di Manuzio. I Giolito de’ Ferrari, stabilitisi a Venezia alla fine del Quattrocento con Bernardino detto Stagnino, proseguirono l’attività con Giovanni e Gabriele che furono gli «inventori» delle collane (celebre quella degli Istorici greci e latini). I fiorentini Giunta, dai nitidi corsivi e dalle eleganti figure, toccarono punti altissimi, in particolare con l’edizione del Decameron del 1527 e l’editio princeps della Storia d’Italia di Guicciardini (1561). A Roma A. Baldo, su incarico di Paolo III, prima fondò una tipografia greca (1539), poi divenne stampatore della Santa Sede (1549) e pubblicò tra l’altro l’editio princeps de Il Principe di Machiavelli. In Francia operava Griffo a Lione, la famiglia degli Estienne a Parigi, che diffuse in Europa il modello del l. aldino, e P. Attaignant che introdusse l’editoria musicale. Lo stile delle cinquecentine era caratterizzato dal frontespizio ornato da fronde, faune, cartigli, e dalla stampa nitida sulla pagina bene impostata; si raffinò inoltre l’incisione, che trovò le migliori realizzazioni nei l. di anatomia, scienze e botanica. Si diffuse in tutta Europa l’uso della censura dettata da ragioni politiche e religiose (è del 1559 l’Index librorum prohibitorum voluto dalla Chiesa controriformista). Per poter stampare un’opera l’editore doveva ottenere la licenza (imprimatur) dall’autorità civile o ecclesiastica.
L’editoria italiana del 17° sec. visse una grave crisi determinata dalle guerre interne e da un mercato via via più ristretto, dovuto anche al veto posto dalla Controriforma alla diffusione volgarizzata dei testi sacri. Le tendenze cinquecentesche furono riprese in forma imitativa e sovente standardizzata; vi era minor cura nella produzione dei caratteri, come nella scelta della carta e degli inchiostri. Non mancavano officine attrezzate, con una produzione di qualità: tra le varie botteghe ricordiamo quelle di G. e V. Mascardi e la Poliglotta di Propaganda fide a Roma, la bottega di V. Coronelli a Venezia, quella annessa alla Biblioteca Ambrosiana di Milano e la Stamperia granducale a Firenze. Il primato editoriale spetta a Francia, Inghilterra, Paesi Bassi, non solo per la qualità delle edizioni o per la pubblicazione di opere di nuovi autori (Bacone, Cartesio, Milton, Newton, Molière), ma anche per la quantità delle copie prodotte. Se si può parlare di crisi in questi Paesi, essa era dovuta all’eccessiva domanda e alla conseguente poca cura tipografica. Ebbero fama europea gli Elsevier (o Elzevier), tipografi dell’università di Leida; a loro si devono le serie dei classici latini in piccolo formato e l’introduzione di un nuovo tipo di carattere da stampa, detto appunto elzeviro. In Francia nacque l’Imprimerie royale voluta dal cardinale Richelieu. Fu istituita con ordinanza del 1618, anno in cui Luigi XIII creò la Chambre des syndacats, un’associazione di tipografi sul modello britannico. In Inghilterra, dopo un periodo di grande vivacità in cui videro la stampa, tra le altre, le opere di Shakespeare, nel 1637 la Stars chamber pubblicò un decreto che ridusse gli editori al numero di 23. Dopo l’abolizione del decreto (1643) sorsero nuove case editrici, tra cui la tuttora operante Oxford university press (1674). Nel 1639 con S. Day la stampa arrivò in America con i macchinari importati dall’Inghilterra.
Il secolo si aprì con la promulgazione in Inghilterra del Copyright act; lo statuto di Anna d’Inghilterra (10 apr. 1710) pose, per la prima volta, i problemi inerenti la proprietà letteraria. Il sensismo inglese, le esperienze illuministiche, lo spirito enciclopedico, l’entusiasmo umanitario di Rousseau, fecero sì che il libro del Settecento fosse strumento di dibattito morale, libello di intervento politico o contenitore della totalità del sapere idealizzata dall’enciclopedismo (4250 esemplari dell’Encyclopédie, 1ª ed. Parigi, Le Breton, 1751). Altro fenomeno che caratterizzò il secolo fu l’affermarsi del romanzo come genere (Pamela, Robinson Crusoe, Viaggi di Gulliver, Dolori del giovane Werther ecc.). La Rivoluzione francese rinnovò profondamente la cultura del l.; le nuove idee furono espresse nelle edizioni di P. Grandjean, P.-S. Fournier e dalla famiglia dei Didot, la cui produzione era caratterizzata da un’impronta di semplicità classica. Accanto al l. ornato, in cui viticci, figure, paesaggi e fregi testimoniavano un gusto barocco, si pubblicarono anche l. correnti, rivolti a un pubblico più largo; uscirono i primi l. «economici» con copertina in carta, su cui erano impressi i dati del frontespizio. Venezia, culturalmente cosmopolita, negli ultimi anni di libertà diventò il centro di raccolta e di diffusione delle edizioni francesi. In Italia, tra gli editori ricordiamo G. Pasquali e A. Zatta a Venezia, i Remondini a Bassano e L. Della Volpe a Bologna. Se dal punto di vista dell’elaborazione delle idee l’Italia risentì delle esperienze culturali di altre realtà europee, non mancarono importanti iniziative editoriali quali, per es., la pubblicazione dei 24 voll. dei Rerum italicarum scriptores di L.A. Muratori, prima grande raccolta di fonti medievali della storiografia moderna. Sul piano dell’arte tipografica, con G. Bodoni si raggiunsero nuove frontiere: il raffinato tipografo di corte fece uscire dalla Stamperia reale in Parma opere di grande bellezza formale. La stampa vide una grande fioritura nel Nord America; tra gli altri, B. Franklin pubblicò con grande successo il Poor Richard’s almanack (Filadelfia 1732-57), rivolto alle classi medie. Dal 1765 si ebbe uno sviluppo ulteriore grazie alla produzione in loco di macchine per la stampa.
I progressi tecnici dell’Ottocento segnarono il passaggio della produzione libraria dall’artigianato tipografico all’industria editoriale. La macchina continua per il ciclo produttivo della carta, la rotativa, la linotype, la litografia e la fotografia provocarono un abbassamento dei costi e un conseguente aumento della produzione, aprendo le porte al l. di massa. Le nuove esigenze di un mercato più ampio decretarono la fine della figura del tipografo, soppiantata da quella dell’editore-imprenditore attento alle regole di mercato e alla concorrenza. I Paesi anglosassoni, dediti da secoli alla lettura dei testi riformati, furono impegnati nella creazione di una capillare rete di biblioteche pubbliche, per far fronte a una domanda in crescita. In Germania si ebbe una tra le più rappresentative produzioni d’Europa con l’avvio di grandi opere come i Monumenta Germaniae historiae e la Bibliotheca scriptorum graecorum et romanorum di B.G. Teubner. In Inghilterra il preraffaellita W. Morris lanciò lo stile floreale destinato a caratterizzare per un trentennio la grafica editoriale. Nella Francia postrivoluzionaria nacquero grandi case editrici tuttora operanti: Garnier, Larousse, Colin, Flammarion et C.ie. Fu questo il momento in cui si ebbe tangibile il segno dell’arretratezza culturale italiana, della portata dell’analfabetismo. La produzione si concentrò essenzialmente nel Nord Italia, accentuando il già esistente dislivello, non solo economico, rispetto al Mezzogiorno. Il l. trasmise gli ideali risorgimentali assieme alla cultura neoclassica e romantica, ed estese la sua influenza all’emergente borghesia che aspirava all’unificazione nazionale. Milano divenne il più importante centro editoriale, dove operavano Vallardi, Sonzogno, Ricordi, A.F. Stella (Classici italiani, a cui collabora G. Leopardi), N. Bettoni (Biblioteca storica, Biblioteca enciclopedica, Biblioteca universale di letteratura) e G. Silvestri (Biblioteca scelta di opere italiane antiche e moderne). La torinese Pomba (dal 1854 UTET) editò I sepolcri di Foscolo, mentre a Firenze erano attivi F. Le Monnier e G. Barbera. Dopo l’unità d’Italia, l’editoria prosperò ulteriormente e nacquero nuovi editori. Ricordiamo: Hoepli, Betti, Baldini e Castoldi, Treves (editore di D’Annunzio e De Amicis) a Milano; Loescher a Torino; Cappelli, Zanichelli (pubblicò le opere di Carducci e Pascoli) a Bologna; Sansoni, Olschki, Bemporad a Firenze; Salani, Laterza a Bari. Si diffusero le letterature straniere e le più recenti idee filosofiche e scientifiche; Bocca pubblicava Nietzsche, Lombroso, Morselli, i positivisti; la Sonzogno era impegnata nella Biblioteca del popolo che comprendeva saggi di sociologia e studi sul razionalismo e sul marxismo.
Si aprì con ulteriori scoperte meccaniche e con un fervore innovativo per l’estetica del l.: dilagavano lo stile floreale e il modernismo futurista. Il l. ornato, relegato a poche serie speciali, lasciava spazio al l. prodotto industriale come strumento di informazione, che cominciava a essere affiancato da riviste e quotidiani rivolti alle masse di media cultura. Nel vivace contesto internazionale troviamo in Germania Brockhaus, Decker e Fischer; in Inghilterra Faber and Faber, Penguin, Macmillan e Collins; negli Stati Uniti Merrill, Longmans, Williams and Wilkins e le grandi editrici universitarie. In Italia l’arretratezza economica e tecnica, la guerra mondiale e il fascismo con i «l. di Stato» e la censura provocarono una battuta d’arresto nello sviluppo editoriale rispetto all’estero. Pur tra le difficoltà dei tempi, nuovi editori diventarono il punto di riferimento per gli intellettuali e il grande pubblico: Laterza che pubblicava B. Croce, Einaudi, grande laboratorio di idee, La Nuova Italia, specializzata in psicologia e pedagogia, A.F. Formiggini, piccolo ma agguerrito editore, A. Mondadori, diffusore della letteratura contemporanea e primo in Italia a pubblicare una collana dedicata ai ragazzi (La lampada, 1912). Nel secondo dopoguerra l’editoria italiana ebbe un momento di rinascita nonostante i gravi danni di guerra subiti da importanti case editrici come Hoepli, Mondadori, Paravia. Nacquero collane storiche che aprirono la strada alla cultura contemporanea, proponendo testi italiani nuovi o prima censurati e opere straniere (Gaja scienza, Longanesi 1946; I millenni e I coralli, Einaudi 1947; Classici contemporanei stranieri e Biblioteca moderna, Mondadori 1947 e 1948), mentre nel 1949 inaugurò la via del tascabile la BUR (Biblioteca universale Rizzoli). Negli anni Cinquanta, malgrado l’aumento del costo della carta, il mercato non subì flessioni, grazie al consumo di narrativa; era il periodo dei primi best seller, dei premi letterari, della costituzione del Club del libro. L’offerta si arricchì con le opere di nuovi editori impegnati culturalmente, politicamente e socialmente: Editori Riuniti (1953), Il Mulino (1954), Feltrinelli, Franco Angeli e Mursia (tutti sorti nel 1955). Lo sviluppo economico e l’ampliarsi della scolarizzazione, con l’introduzione della scuola media dell’obbligo (1963), provocarono una forte richiesta di enciclopedie divulgative. Le edicole, con la loro diffusione capillare su tutto il territorio, diventarono il veicolo di distribuzione sia delle grandi opere a fascicoli (Fabbri, Sansoni, Vallardi, Rizzoli, De Agostini) sia della narrativa in collane di formato tascabile su modello dei pocket-books (Oscar Mondadori 1965). Affiancavano questa produzione di massa iniziative di divulgazione ad alto livello e nuove case editrici qualificate in letteratura e saggistica (Marsilio 1961, Adelphi 1962, Sellerio 1969). Gli anni Settanta videro da un lato il rapido nascere ed esaurirsi di piccoli editori impegnati nella saggistica politica, dall’altro il sorgere e lo svilupparsi con profitto di aziende che intervennero nel ramo della letteratura professionale (IPSOA 1971, Jackson 1975) e nella manualistica universitaria. L’editoria specializzata in libri per ragazzi fu un altro importante fenomeno; tra il 1968 e il 1978 sorsero 15 case editrici (Emme Edizioni, Dalla parte delle bambine, Nuove Edizioni Romane, Coccinella ecc.), mentre editori non specifici proponevano collane innovative (Tantibambini di Einaudi, Apertura di Fabbri, Il giardino di Mursia). Rispetto al passato le opere si distinguevano per il respiro progettuale, l’impianto grafico e l’attenzione rivolta alla psicologia educativa. È stata di questo periodo la crisi dell’editoria classica che costrinse alla chiusura molti piccoli editori. La logica del mercato portò alla creazione di grandi gruppi editoriali nazionali e multinazionali, all’interno dei quali alla produzione libraria, si affiancò quella della stampa periodica o dell’emittenza televisiva. Non mancarono comunque interessanti iniziative editoriali che svilupparono l’attività intorno a temi specialistici, o raffinate proposte letterarie. I progressi tecnologici aprirono strade inedite; dalla metà degli anni Ottanta alcune concentrazioni editoriali proposero i primi prodotti dell’editoria elettronica che, per gli alti costi di impianto, necessitavano di una diffusione su scala mondiale, ma nel contempo garantivano forme rapide di aggiornamento. Alle basi di dati si sono affiancati i CD-ROM (compact disc-read only memory), la cui caratteristica era quella di coniugare i vantaggi per la ricerca offerti dall’informatica alla capacità di contenere un grande numero di dati su un formato ridotto, e sono stati impiegati nella riproduzione di bibliografie, cataloghi e grandi opere. Alla fine degli anni Novanta sono apparsi i primi libri elettronici (e-book). Se inizialmente i costi elevati e la scarsa maneggevolezza ne hanno ostacolato la commercializzazione, oggi sono disponibili sul mercato dispositivi, fisicamente simili per dimensioni e caratteristiche a un normale volume, che consentono di leggere un testo (di solito scaricato da Internet) come se ci si trovasse di fronte un libro cartaceo.
Si veda anche Il Libro