LIBRO
(dal lat. liber, propriamente "corteccia secondaria" dell'albero; v. Caule, IX, p. 502; fr. livre; sp. libro; ted. Buch; ingl. book).- Nella comune accezione la parola libro significa la riunione di più fogli manoscritti o a stampa, il cui scopo è di conservare la memoria di certe notizie o delle opere dell'ingegno e di darne comunicazione agli altri. Ma prima di raggiungere la forma attuale, il libro passò per varie fasi, assumendo aspetti e caratteri diversi a seconda dei materiali usati nella sua composizione.
L'origine del libro si perde nei tempi lontani, come la scrittura che fu lo strumento indispensabile della sua esistenza e che perciò ne ha preceduto il sorgere e il propagarsi. Ad ogni modo si possono distinguere nel suo sviluppo tre periodi: il primo, più antico, è quello nel quale è evidente il tentativo e il bisogno di assicurare una lunga durata a tutte le espressioni della vita sociale, che è quanto dire ai testi della religione e delle leggi civili, agli atti concernenti i rapporti tra gli stati e tra i cittadini, alle memorie pubbliche e private e via dicendo. In questo periodo si ha una forma di libro ancora rudimentale; la materia è quella che gli uomini trovano nella natura senza sforzo e senza difficoltà (la parte interna della corteccia d'albero); ma altre ve ne sono di natura vegetale, alle quali si debbono aggiungere quelle derivate dal regno minerale e animale.
Una delle più antiche e più curiose forme del libro fu quella rappresentata da cilindri di terracotta e da tavolette d'argilla, in uso prevalentemente presso gli Assiri e i Babilonesi. La scrittura cuneiforme, in uso presso di essi, era incisa sopra tavolette allo stato molle e dalle due parti. Le tavolette potevano essere di svariate dimensioni. Più diffuso presso i popoli antichi fu l'uso delle tȧvolette di legno meno ingombranti e più facili da portare. Le troviamo già presso i Fenici e gli Ebrei, ma furono i Greci a divulgarne la pratica, specialmente per le necessità giornaliere. A tal fine si soleva ricoprirle d'una materia molle, generalmente di cera, sulla quale riusciva facile incidere la scrittura. Queste tavolette venivano legate a due a due o in maggior numero in modo da formare dei dittici o dei polittici, che si avvicinano molto alla forma del libro, senza che sia ancora tale.
Lasciando da parte le altre meno comuni materie scrittorie come foglie d'albero, metalli, lino e seta, quella che meglio servì a tramandare testi e opere letterarie di qualche mole, e a darci l'immagine del vero libro, sia per una maggiore unità delle sue parti, sia per l'uso più facile in rapporto tanto alla scrittura quanto alla lettura, fu il papiro, che gli Egiziani misero in valore come materia scrittoria duemila e più anni innanzi l'era volgare, sotto la forma di rotolo (v. papiro; papirologia). Si scriveva in colonne (paginae o schedae) disposte parallelamente alla larghezza del papiro e comunemente da una sola parte, quella cioè interna. Finito di scrivere, si fissava all'estremità inferiore del foglio un piccolo cilindro di legno o di osso (umbilicus), con le estremità tinte e lavorate (cornua), intorno al quale si avvolgeva in forma di rotolo. Per leggere si doveva fare l'operazione opposta, ossia svolgere il rotolo. Da tale operazione venne la parola volume (da volvere). L'uso del rotolo di papiro, che fu la seconda forma di libro venuta in uso presso gli antichi, ebbe la sua maggiore diffusione quando si sentì il bisogno di conservare e tramandare le opere letterarie, anzitutto della Grecia e poi di Roma.
In Roma il rotolo di papiro venne usato fino dai tempi della repubblica per le opere letterarie, col nome di volumen. Ma, benché più di rado, il libro di papiro prese anche un'altra forma, vale a dire quella rettangolare, a fogli piegati e riuniti insieme, designata col nome di codex, ch'era già in uso per le tavolette di legno riunite insieme. La denominazione liber in luogo di volumen e di codex è invece più tarda: essa comincia ad apparire nel sec. II d. C. L'uso dei rotoli di papiro per le opere letterarie pare si sia prolungato sino al secolo IV dell'era volgare, ma per i documenti si protrae sino al secolo XI. Al rotolo di papiro si sostituisce a poco a poco il codice o libro di pergamena, che ha durante il Medioevo un predominio esclusivo (v. codice, X, p. 676). Non già ch'esso sia apparso per la prima volta così tardi, ma il suo uso si generalizzò solo negli ultimi tempi dell'impero romano e posteriormente.
L'impiego delle pelli come materia scrittoria è antico quanto quello degli altri materiali sin qui menzionati. Ma a perfezionarne la preparazione, a renderne più adatta la superficie alla scrittura, concorse un fatto di notevole importanza: la proibizione decretata dai re d'Egitto, nel sec. II a. C., di esportare il papiro dal paese, per gelosia di Eumene II re di Pergamo, il quale aveva creato studî che gareggiava con quello di Alessandria. Per conseguenza a Pergamo si dovette sopperire alla mancanza del papiro ricorrendo all'uso delle pelli di capra, di montone e di vitello che, convenientemente conciate, servirono a costituire per la prima volta il libro quadrato, ripreso più tardi a imitare in Occidente. Il nome di pergamena trae la sua origine da quella città. Dapprima il libro risultò dall'unione di fogli comprendenti quattro membrane piegate, formanti otto carte ciascuno; ma più tardi vennero in uso anche i quinterni, gli eserni, e via dicendo. La forma più comune fu l'in-4° quadrato.
Però, malgrado tale lontana origine, si può ben dire che il libro in pergamena appartenga essenzialmente al Medioevo; esso ci ha conservato i monumenti del pensiero antico e quelli della religione cristiana. La sua forma, che è la terza e definitiva del libro, continua ad essere quadrata o rettangolare. Il libro medievale si presenta in vario formato, ma vi predominano l'in-folio e l'in-4°; è scritto a una, a due, a tre, e assai raramente a quattro colonne; non ha numerazione di carte, ma per evitare gli errori del legatore distingue i varî quaderni o quinterni sia con una lettera dell'alfabeto, sia con una cifra romana, sia col richiamo della prima parola del foglio seguente, riportata sul margine inferiore dell'ultima pagina. Il libro non presenta ancora frontespizio di sorta e talvolta neppure il titolo; soltanto molto di rado si trova alla fine la sottoscrizione o colophon (v.) con l'indicazione del luogo, dell'anno di esecuzione e del copista.
Per gran parte del Medioevo i centri principali dediti alla preparazione del libro furono i monasteri. La regola di S. Benedetto aveva prescritto ai monaci l'occupazione della copiatura specialmente dei testi sacri, e furono perciò i monasteri benedettini a conservarci le opere degli scrittori latini e dei padri della Chiesa. Alcuni di tali centri scrittorî assunsero nell'alto Medioevo un'importanza eccezionale per l'imponente numero di codici che vi si prepararono e per l'influsso da essi esercitato sulla cultura. Vengono a tale proposito spontanei alla mente i nomi dei monasteri di Bobbio, di Nonantola, di Montecassino per l'Italia; di S. Gallo per la Svizzera; di Corbie e di Chartres per la Francia, di Reichenau e di Fulda per la Germania.
Dopo il Mille il mondo subisce una trasformazione. Non è più soltanto la religione a richiedere l'opera dei copisti, ché i bisogni della vita e lo sviluppo dei rapporti sociali producono una rivoluzione nel campo della cultura, che non sarà senza effetti sullo sviluppo e sull'evoluzione del libro. Col sorgere delle università e degli studî si formano nel loro ambito nuovi centri scrittorî, che preparano i libri di cui abbisognano insegnanti e scolari; alla loro volta le corti favoriscono l'amore delle lettere, che viene soddisfatto dall'opera di copisti laici. La richiesta di libri si fa più intensa; di qui il bisogno di rendere meno costoso un elemento che tende a diventare d'uso comune.
L'introduzione della carta giunge in buon punto a soddisfare tali esigenze, segnando una nuova era di diffusione e di sviluppo del libro. Sui caratteri peculiari del libro nell'epoca anteriore all'invenzione della stampa si troveranno notizie particolareggiate alla voce manoscritto.
Con l'invenzione della stampa non s'inaugura soltanto una nuova era della civiltà umana, ma anche un nuovo periodo del libro, che diventa l'alleato e lo strumento indispensabile del Rinascimento nella diffusione della cultura e del sapere. L'invenzione della stampa con i caratteri mobili fu preceduta da alcuni tentativi diretti a formare il libro con sistemi più economici, cioè con la riproduzione sulla carta da una parte sola del foglio di tavole in legno incise con caratteri e figure (libro silografico). Quest'uso, che mirò a soddisfare specialmente i bisogni dei fedeli, i quali non potevano sempre acquistare degli offizioli o delle bibbie in pergamena, si diffuse specialmente nei paesi tedeschi e perdurò per qualche tempo anche dopo l'invenzione della stampa. L'opera più comunemente stampata con tale sistema fu la cosiddetta Bibbia dei poveri (Biblia pauperum), specie di riassunto dei fatti più salienti dell'Antico e del Nuovo Testamento, resi con l'immagine e con poche note esplicative. In questo modo fu diffuso fra il popolo anche l'Apocalisse, l'Arte di ben morire, lo Specchio dell'umana salvezza, la Danza della morte, ecc. L'Italia ebbe nella Passio D. N. Iesu Christi, stampata quasi certamente a Venezia verso il 1450, un esempio di libro siffatto. Da quest'idea primordiale della stampa con tavole in legno fu certamente facilitata la scoperta del libro a stampa con caratteri mobili, dovuta a Giovanni Gutenberg di Magonza.
La diffusione del libro a stampa fu assai rapida. In Italia compare col 1465 nel monastero di Subiaco ad opera di due stampatori tedeschi, Corrado Sweynheym e Arnoldo Pannartz, trasferitisi nel 1467 a Roma. Il primo libro da essi stampato a Subiaco è la grammatica di Donato, della quale non si conoscono esemplari; essa fu seguita subito dopo dal De Oratore di Cicerone, senza data ma pubblicato certamente prima del 1° ottobre 1465, con priorità sul Lactantius, che reca la data 29 ottobre 1465. Il primo libro invece apparso a Roma sono le Epistolae familiares di Cicerone (1467)
Non è qui il luogo di seguire il diffondersi della stampa nelle città italiane (v. sotto le singole voci), se non in quanto si attiene al progresso e all'evoluzione del libro. Ci limitiamo perciò a dire che l'Italia ha il vanto di aver portato a perfezione sin dai primordî il libro stampato, sia con l'introduzione del carattere romano, che dopo essere stato adoperato da Sweynheym e Pannartz attinse con Nicola Jenson, uno dei primi tipografi veneziani, eleganza e bellezza insuperabili; sia con la creazione di un tipo di libro nel quale tutto è in armonioso equilibrio: i margini larghi, i titoli ben proporzionati, le lettere maiuscole aggraziate, la distanza delle linee e delle parole in giusto rapporto con i caratteri e col formato, le illustrazioni piene di finezza, e via dicendo; tutti pregi, questi, derivati dal manoscritto, che in Italia, durante il Rinascimento, fu trattato come una vera opera d'arte.
Il libro italiano raggiunge già nel Quattrocento un grado di bellezza e di eleganza non più superato con stampatori come Jenson e Erardo Ratdolt a Venezia, Filippo di Lavagna a Milano, Giovanni Filippo La Legname a Roma, Bartolomeo Libri a Firenze, Baldassarre Azzoguidi a Bologna, Mattia Moravo a Napoli, per citare solo alcuni dei più illustri tipografi. Ma chi tutti superò con i suoi libri, per le sue innovazioni, per l'impulso dato al progresso tipografico, è Aldo Manuzio il vecchio nel quale si trovano fuse in modo eminente le qualità del tecnico con quelle del letterato e dello scienziato. Grandissima fama gli deriva, tra l'altro, dall'impiego di un carattere nuovo, detto "corsivo" o "italico" o anche "aldino", messo in voga col formato in-8°, più maneggevole e comodo, apparso nel 1501 col Virgilio.
Il primato raggiunto dall'Italia nella perfezione e nella diffusione del libro durante il Quattrocento si mantiene e si riafferma nella prima metà del secolo successivo. Venezia è sempre alla testa per numero di stampatori, per ricchezza di produzione e per eleganza di edizioni. Qui la tipografia di Aldo Manuzio, anche dopo la morte del suo grande fondatore, avvenuta nel 1515, seguita a prosperare Aldo e tutore dei nipoti, e quindi del figlio Paolo Manuzio, continuando a mettere sul mercato nuovi in-8°, pieni di grazia e di bellezza, e nuove edizioni di testi greci, in grande formato, assai corretti. Nello stesso. tempo il libro riceve notevole sviluppo ad opera di Lucantonio Giunti, il più noto di questa grande famiglia fiorentina di editori e di stampatori, al quale si debbono i magnifici messali e auri libri liturgici, decorati di figure e con musica, che formano una delle maggiori meraviglie della tipografia veneziana del Cinquecento. Parecchi altri tipografi si distinsero in questo tempo a Venezia: Ottaviano Petrucci da Fossombrone, che introdusse per primo il libro di musica con caratteri mobili, seguito a Venezia stessa dai Gardane, dagli Scotto e da Andrea Antico (De Antiquis); Francesco Marcolini da Forlì (v.), le cui edizioni sono mirabili per la bellezza dei caratteri e per l'illustrazione artistica assai fine e aggraziata; Gabriele Giolito (v.), il più celebre della famiglia, la cui produzione libraria non è soltanto apprezzata sotto il rispetto tecnico, ma ancora è di alto interesse per la storia della letteratura italiana, avendo lavorato per lui i più noti scrittori del suo tempo; e quindi Melchiorre Sessa, i Paganini, ecc. Anche nelle altre principali città italiane è assai coltivata la tecnica del libro: a Firenze con i Giunti, specialmente con Bernardo, al quale si deve la famosa edizione del Decameron, detta Ventisettana (1527), e con Lorenzo Torrentino; a Roma con Antonio Blado; a Bologna con i Benedetti e con i Faelli; a Milano con Gotardo Pontico, ecc.
Anche fuori d'Italia il libro raggiunge un notevole sviluppo durante il Cinquecento, favorito specialmente dal nuovo spirito umanistico che dall'Italia si era diffuso in questo periodo nelle altre nazioni. In Francia è notevole nel primo quarto di secolo la fioritura dei libri d'ore o livres d'heures, che già verso la fine del Quattrocento avevano raggiunto un'altra perfezione e una grande fortuna. I nomi di Antoine Vérard, di Philippe Pigouchet, di Thielman Kerver, di Gilles Hardoyn e del libraio Simon Vostre sono assai noti per questa attività libraria. Ma nello stesso tempo prendevano a fiorire a Parigi e a Lione alcune tipografie diventate famose in tutto il mondo per le loro altre benemerenze nel campo tipografico e culturale. A Lione troviamo i Gryphe, i Barbou, Ètienne Dolet; a Parigi Josse Bade, detto latinamente Jodocus Badius Ascensius e, più celebri di tutti, gli Estienne (Stephanus), che per quasi un secolo contribuirono con l'opera loro a dare al proprio paese una vera preminenza scientifica e filologica. Per l'alto sapere e per l'intraprendenza Roberto I può essere avvicinato ad Aldo Manuzio.
In Svizzera il libro ebbe sviluppo e perfezione con Giovanni Froben e i suoi figli, a Basilea; nonché con Giovanni Herwagen (Hervagius), che sposò la vedova del Froben. Ambedue furono legati d'amicizia ad Erasmo, del quale pubblicarono le opere in correttissime edizioni.
Nei Paesi Bassi il libro trovò un ardente propagatore e un felice innovatore in Cristoforo Plantin, il quale, stabilitosi ad Anversa nel 1554, fu nominato da Filippo II suo prototipografo. L'opera sua più importante è la ristampa della celebre Bibbia poliglotta di Alcalá; ma egli deve principalmente la sua fama alle magnifiche opere liturgiche, ai messali, ai breviarî, che formarono la maggiore attività della sua tipografia, la quale, passata poi a Jean Moret, suo genero, prosperò a lungo, mantenendo vivo il ricordo del proprio fondatore.
Il Seicento segna un periodo di decadenza per qualità della carta e degl'inchiostri unitamente al cattivo gusto e alle condizioni politiche della penisola non permettono alcuna rigogliosa ripresa della tipografia. Il libro comincia a risollevarsi soltanto nel settecento con Giuseppe Comino a Padova, con i Remondini a Bassano, con Antonio Zatta e Girolamo Albrizzi a Venezia, con Lelio della Volpe a Bologna, con i soci Tartini e Franchi, e con Giuseppe Manni a Firenze, e infine con G. B. Bodoni a Parma, che, pur con mezzi nuovi e originali, fu il primo a riprendere la nobile tradizione del Quattrocento. Gli Epithalamia in lingue esotiche, del 1775, l'Iliade greca del 1808, il Fénelon del 1812 sono fra le edizioni più lussuose che il Bodoni ci abbia lasciato.
Degli altri paesi meritano di essere ricordati per il Seicento i Paesi Bassi con gli Elzevier o Elzeviri (v.). Il periodo più bello dell'operosità di questi è verso la metà del secolo, quando pubblicano la collezione delle Repubbliche, la raccolta dei classici latini e quella delle più importanti opere della letteratura francese. Le loro edizioni iniziano un tipo di libro assai piccolo, cioè in-12°, in-16°, in-24°, pieno di eleganza per i bei caratteri romani ripresi dalle antiche produzioni degli stampatori italiani del Quattrocento e per l'esecuzione tipografica veramente perfetta. Nel Settecento invece prende nuovo splendore il libro francese, sia per le illustrazioni, dovute al bulino di artisti celebri, sia per i legatori, che pur rinnovando lo stile seppero conservare la grande tradizione cinquecentesca e produssero dei veri capolavori.
I più celebri stampatori di questo periodo sono i Didot. Uno dei più noti, Pierre Didot, figlio di François-Antoine, stampò dal 1789 sino alla morte, avvenuta nel 1853, magnifiche edizioni, improntate a un alto senso tecnico e culturale. Il Virgilio del 1798 e il Racine del 1801 sono le sue opere più ammirate e rappresentano dei veri capolavori tipografici. Nello stesso tempo si distinsero in Spagna Joaquín Ibarra (v.), in Inghilterra John Baskerville e Edward Hyde conte di Clarendon, fondatore della Clarendon Press di Oxford; in Germania Georg Friedrich Schmidt e Johann Georg Unger.
Ma i perfezionamenti maggiori nel libro, se pure non dal lato artistico, si ebbero nel sec. XIX in Germania e in Inghilterra, specialmente per i grandi progressi realizzati nelle macchine tipografiche e nell'industria della stampa.
Particolari del libro a stampa. - I libri del Quattrocento si distinguono per la carta più spessa e consistente di quella moderna, perché fabbricata a mano e con materiali migliori di quelli che si usarono in seguito. Inoltre si usò stampare alcuni pochi esemplari su pergamena destinati per lo più a principi, spesso ornati di fregi miniati: risultano libri di grande bellezza, oltremodo ricercati. Al contrario, nella stampa dei livres d'heures (libri d'ore), pubblicati in gran numero in Francia dalla fine del Quattrocento al 1530 circa, l'eccezione era per gli esemplari su carta, mentre il maggior numero veniva tirato su pergamena. Nel Cinquecento poi apparvero esemplari stampati su carta colorata, spesso turchina, uso che durò sino al sec. XIX; né mancarono, specialmente nel Settecento, esemplari tirati su seta bianca o di varî colori. Oggi gli esemplari distinti o di lusso si stampano su carte migliori, su pergamena, su carta della Cina o del Giappone. Per lo studio delle edizioni antiche hanno notevole importanza le marche o filigrane.
Il formato dei primi libri fu l'in-folio. Ma già verso il 1462 viene in uso l'in-4° e verso il 1470 l'in-8° con le Phalaridis Epistolae, stampate a Roma da Ulrich Han; e nel 1474 si ha l'in-16° con l'Officium B. M. V., stampato a Venezia da N. Jenson; e più tardi, ma sempre nel Quattrocento, si ebbero anche gli in-24° e gli in-32°. A rendere però più popolari questi ultimi formati contribuirono gli Aldi col formato in-8°, gli Elzevier con il 16°, il 24° e il 32°.
I formati minori costituiscono nel libro a stampa una curiosità e null'altro. A tale proposito ricorderemo il famoso Dantino (1878) dei fratelli Luigi e Antonio Salmin di Padova, stampato con i caratteri di Antonio Farina di Piacenza. Con gli stessi caratteri fu stampata nel 1897 una Lettera di Galileo a Madama Cristina di Lorena (mm. 15 × 9), giudicato il più piccolo libro conosciuto.
Riguardo ai caratteri usati nei libri, i primi monumenti della stampa sono in gotico, ch'era il tipo di scrittura comune in Germania. Il gotico venne largamente usato anche in Italia per tutto il Quattrocento, ma forse per ragioni economiche, ché la stampa ne risulta più compatta. Già nei primi libri stampati a Subiaco il gotico si arrotonda; a Roma i disegnatori di caratteri vanno incontro al gusto nuovo producendo tipi copiati da scritture umanistiche e che raggiunsero la maggiore perfezione a Venezia con N. Jenson (1470).
Come si è già accennato, il carattere "corsivo", o "italico" o "aldino" fu introdotto nella tipografia da Aldo Manuzio nel 1501 (egli veramente lo chiama cancelleresco) e dopo d'allora si diffuse e fu accolto con singolare favore, bene adattandosi ai piccoli formati.
Ma l'Italia non ha soltanto il merito di avere fornito al libro i due caratteri più belli, il romano e il corsivo, ma può vantarsi di essere stata la prima a dar fuori con la stampa il libro greco e quello orientale. Il primo libro greco apparve a Milano per Dionigi Parravicini nel 1476: Epitome, detto la Grammatica greca del Lascaris, stampato con i caratteri fatti incidere da Demetrio Cretese, detto Damilas. Tali caratteri furono imitati nell'Omero di Firenze per Bartolomeo Libri del 1488 e in altre d'Italia. Aldo Manuzio adoperò varî nuovi tipi di caratteri greci, alcuni assai belli, minutissimi.
Il primo libro ebraico apparso in luce è del 1475, vale a dire il Commentarius in Pentateuchum di Salomone Jarchi, stampato a Reggio Calabria per Abraham, quasi subito seguito dall'Arbà Turim, impresso a Piove di Sacco nello stesso anno. È invece del 1513 il primo libro in etiopico, un Salterio stampato a Roma da Eucario Silber; ed è del 1514 il primo libro in arabo, l'Horologium breve, uscito a Fano dalla tipografia di Gregorio de' Gregori, e del 1513 il primo libro armeno, pubblicato a Venezia.
I primi libri a stampa non avevano frontespizio, perché incominciavano con la lettera di dedica e con l'indice dei capitoli oppure subito con il testo, allo stesso modo che nei manoscritti, vale a dire con la parola Incipit. Dopo il 1480 si trova talvolta nella prima carta dei volumi un occhietto con il titolo dell'opera e in tal caso l'opera stessa comincia ordinariamente nella pagina a tergo. Già nei primi tempi della stampa in Italia però non mancano esempî di frontespizî nella forma venuta in voga assai dopo; ad esempio nell'Oratio gratulatoria di A. Turchetus, uscita a Padova nel 1472 e meglio ancora nel Calendario del Regiomontano, stampato a Venezia nel 1476, dove entro un fregio silografico è riferito nella prima pagina un sonetto caudato che ci dà il titolo dell'opera e il nome dell'autore e finisce col nome della città e la data, mentre più in basso sono riportati i nomi dei tre stampatori, Bernardo di Augusta, Pietro Loslein ed Erardo Ratdolt, stampati in rosso. Quest'uso di stampare il frontespizio in rosso e nero si diffuse e da allora viene correntemente adoperato. Il frontespizio vero e proprio comincia col Cinquecento.
L'uso corrente di numerare le pagine comincia col sec. XVI, mentre nel Quattrocento, salvo l'esempio isolato del Sermo in festo Praesentationis beatae Virginis, stampato a Colonia da Arnaldo Ter Hoernen nel 1470, solo dopo il 1480 incontriamo qua e là volumi con le carte numerate, prima con cifre romane, poi con cifre arabe. Il legatore doveva servirsi così di altri elementi per mettere insieme il volume, cioè dei richiami, delle segnature (v.) e del registro (v.).
Un altro elemento che comparve di frequente nel libro fin quasi dai primi tempi della stampa fu il "privilegio", ossia quella dichiarazione mediante la quale un principe garantiva a uno stampatore l'esclusivo diritto di stampare una determinata opera nei suoi stati per un determinato numero di anni.
Ma ben presto tale uso decadde e il privilegio diventò una specie di brevetto, una forma cioè di protezione dei diritti dell'ingegno. A Venezia specialmente esso fu in grande voga e questo fatto contribuì naturalmente in maniera sensibile allo sviluppo della stampa.
Un'altra particolarità che si trova nel libro a partire dal Cinquecento è l'imprimatur o licenza, ossia il permesso che veniva dato per la stampa di una determinata opera dall'autorità civile o ecclesiastica, previa visione del manoscritto. Essa era riportata in principio o in fine del libro con le parole: "Con licenza" o "Con approvazione dei Superiori". Il Concilio di Trento fissò le norme per la revisione dei libri, che venne affidata generalmente agl'inquisitori, ma talvolta anche all'autorità ordinaria. Con la censura era intimamente legata la materia della proibizione e dell'espurgazione dei libri; l'Index librorum prohibitorum cominciò ad apparire nel Cinquecento.
Il primo esempio della marca o insegna che gli stampatori erano soliti apporre alle proprie edizioni è quello del Psalterium di Fust e Schöffer del 1457, ma l'uso si propagò rapidamente. Venne chiamata "marca tipografica" (v. marca: Marche tipografiche) e assunse via via e nei diversi paesi forme svariatissime; in Germania prevalse la forma araldica, in Italia fu dapprima assai semplice, per es. un cerchio sormontato da una semplice o doppia croce; tale quella della società costituita a Venezia tra N. Jenson e Giovanni di Colonia. Poi queste marche presero la forma di scudo o di cuore, oppure diventarono elissoidali e ovoidali, arricchendosi d'altri segni o delle iniziali del nome del tipografo. Per tutto il Quattrocento le troviamo poste in fine del volume, dopo la sottoscrizione; assai raramente anche nella prima pagina.
Nel sec. XVI cominciarono a essere impresse nel frontespizio (spesso ripetute anche in fine), e divennero ancora più complicate, assumendo l'aspetto di insegne figurate o imprese, accompagnate da motti e divise, talvolta bizzarre per il loro simbolismo. Tutte queste marche si trovano riunite e riprodotte in facsimile a cura degli studiosi; esse offrono esempî oltremodo interessanti d'invenzione d'arte decorativa. Assai note l'ancora dei Manuzio, la fenice dei Giolito, il giglio dei Giunti, il gatto di Melchiorre Sessa, ecc. (v. anche impresa).
Ornamentazione del libro. - Fino dall'antichità si usò abbellire il libro col contributo dell'arte. Il manoscritto si valse della miniatura; il libro a stampa dell'incisione in legno e in rame. L'incisione in legno o silografia, già in voga prima della stampa, come si è veduto parlando dei libri silografici, è introdotta di buon'ora ad illustrare il libro a stampa (v. incisione). La prima opera figurata è Edelstein di Ulrich Boner, pubblicata a Bamberga nel 1461, adorna di 101 silografie stampate posteriormente al testo, mentre in una successiva edizione, uscita quasi subito dopo, testo e figure sono stampate insieme. In Italia l'illustrazione silografica appare per la prima volta nelle Meditationes del card. Torquemada (de Turrecremata), stampate a Roma da Ulrich Han nel 1467 con 31 silografie; mentre il secondo libro con illustrazioni in legno è il De re militari del Valturio, stampato a Verona nel 1472, adorno di 84 figure attribuite a Matteo dei Pasti.
Nel Quattrocento i libri più celebri per le silografie sono la Bibbia volgare del Malermi del 1490, il Fasciculo de Medicina del Ketham, del 1493, l'Hypnerotomachia Poliphili del 1499, tutti di Venezia; i seguenti pubblicati a Firenze: le Laudi del Beato Iacopone, 1490; il Tractato della Oratione mentale, di Girolamo Savonarola, 1496; e tutto il gruppo delle sacre rappresentazioni. Di Ferrara, il De claris mulieribus di Giov. Bergomense e le Epistole volgari di S. Gerolamo, due magnifici esempî di libri a figure, apparsi nel 1497
Nel secolo seguente, con l'introduzione della silografia ombreggiata, quest'arte a poco a poco decade, tuttavia sono ancora innumerevoli gli esempî di bei libri adorni di figure in legno, usciti specialmente in Venezia dalle tipografie dei Giunti, dei de' Gregori, di Gabriele Giolito, ecc.
Nel primo secolo dell'arte della stampa la Germania produsse libri di molta bellezza e importanza per le figure in legno, come lo Schatzbehalter del 1491 e il Liber Chronicarum (1493) di Hartmann Schedel, stampati a Norimberga da Antonio Koberger, con le figure del Wohlgemuth e del Pleydenwurff, il Terenzio (1496) e l'Orazio (1499), stampati a Strasburgo dal Grüninger. Il celebre libro Stultifera navis di Sebastiano Brandt fu pubblieato a Basilea nel 1497.
In Francia la silografia applicata al libro cominciò più tardi, verso il 1480, ma poi si sviluppò rapidamente soprattutto per mezzo dei libri d'ore (v.), tutti riccamente illustrati. Dopo la metà del Cinquecento la silografia viene quasi del tutto abbandonata per dare il passo all'incisione in metallo. Risorge però alla fine del sec. XVIII in Inghilterra e riprende voga nel periodo romantico in Francia con Devéria, Gigoux, Gavarni e specialmente con Gustave Doré, e in Italia con Luigi Sacchi, Francesco Gonin e Pietro Riccardi. Il libro italiano più importante illustrato con legni di questo periodo è I Promessi Sposi del 1840. Negli ultimi decennî del sec. XIX un rinnovamento di quest'arte si ebbe principalmente in Inghilterra, dove la collaborazione di William Morris, Dante Gabriele Rossetti, E. Burne-Jones e Walter Crane produsse libri di grande interesse artistico.
Anche l'incisione su metallo fu usata per ornamentazione del libro fino dai primi decennî della stampa. Il libro più antico con figure in rame è il Monte Sancto di Dio del vescovo Antonio Bettini di Siena, siampato a Firenze nel 1477 da Niccolò della Magna: le tre belle incisioni e le venti che ornano il Dante pubblicato dallo stesso tipografo nel 1481 sono note come opera di Baccio Baldini, da disegni di Botticelli. L'illustrazione di questa Divina Commedia è limitata all'Inferno ed è riuscita singolare, certo per difficoltà tecniche; solo tre rami (alcuni pensano che l'incisione sia fatta su lastre d'argento) sono impressi direttamente sulle pagine del libro, mentre gli altri furono tirati a parte su carta sottile, e incollati poi negli spazî del testo lasciati a questo scopo vuoti. Tra le due opere cade per il tempo un volume milanese, che sarebbe quindi il secondo illustrato con rami: cioè la Summula de pacifica conscientia di Pacifico da Novara, stampata nel 1479 da Filippo di Lavagna, dove si trovano (ma solo in pochi esemplari) tre tavole incise. Libro non meno celebre è la Geografia di Tolomeo, stampata a Bologna nel 1477 da Domenico de' Lapi con la data erronea del 1462, che comprende 26 carte geografiche incise in rame, su disegni del miniatore Taddeo Crivelli.
Con i progressi tecnici, nella seconda metà del sec. XVI i libri con figure incise in rame abbondano, specialmente nei Paesi Bassi con la tipografia Plantiniana prima e con gli Elzeviri nel secolo dopo. In Italia fiorì nel Seicento con l'acquaforte, specialmente per opera di Jacques Callot (v.) e Stefano Della Bella (v.).
Nel Settecento l'incisione in rame si afferma maggiormente, non limitandosi più alle tavole e ai frontespizî, ma vivificando e illeggiadrendo il libro anche con piccole vignette, testate, iniziali, finali. In Italia il centro di maggiore attività di quest'arte è Venezia, per merito degli editori G. Pasquali, G. Albrizzi e A. Zatta: di quest'ultimo ricordiamo le commedie del Goldoni (1788-1795) e l'Orlando furioso, con più di 1900 rami. Nello stesso secolo il libro francese acquista il massimo favore, in grazia delle incisioni di artisti, quali Gravelot, Moreau, Eisen, Boucher, Cochin e Marillier, i quali ci lasciarono documenti perfetti, impareggiabili, d'illustrazione del libro.
Alla fine dello stesso secolo si aggiungeva a tutte le altre maniere di abbellire il libro anche la litografia, inventata nel 1790 da Luigi Senefelder (v.). Introdotta ben presto a Milano dal trentino Giuseppe de Werz non fu mai molto applicata nell'illustrazione dei libri e servì piuttosto per album di vedute panoramiche o, specialmente in Francia, di caricature. Oggi sono quasi solo in uso i processi fotomeccanici, e specialmente la fotoincisione, la zincotipia, la tricromia, ecc. I sistemi indicati fin qui per rendere bello e attraente il libro riguardano solo l'interno. Ma il libro amò anche rivestirsi sino dal Medioevo di una decorazione esterna, sulla quale sono state date particolareggiate notizie alla voce legatura.
V. tavv. XVII-XXX.
V. pure le voci: bibliofilia; bibliografia; grafiche, arti; illustrazione; incisione; legatura; libreria; manoscritto; miniatura; tipografia.
Bibl.: J. Janin, Le livre, Parigi 1870; H. Cohen, Guide de l'amateur de livres à figures et à vignettes du XVIIIe siècle, 4ª ed., Parigi 1880; É. Egger, Histoire du livre depuis ses origines jusqu'à nos jours, Parigi 1880; Th. Birt, Das antike Buchwesen in seinem Verhältniss zur Litteratur, Berlino 1882; A. von der Linde, Geschichte der Erfindung der Buchdruckkunst, Berlino 1886; Pollard, Italian book illustations, chiefly of the XVth century, Londra 1894; R. Graul, Die Lithographie von ihrer Erfindung bis zur Gegenwart, Vienna 1895-98; Wattembach, Das Schriftwesen im Mittelalter, 3ª ed., Lipsia 1896; P. Kristeller, Verlegerzeichen bis 1525, Strasburgo 1897; G. Fumagalli, Lexicon typographicum Italiae, Firenze 1905; C.-M. Briquet, Les filigranes, Ginevra 1907, voll. 4; Prince d'Essling, Les livres à figures vénitiens de la fin du XVe siècle et du commencement du XVIe, Parigi e Firenze 1907-14, voll. 4; A. Cim, Le livre, Parigi 1908, voll. 5; R. Namias, I moderni processi fotomeccanici, Milano 1913; L'Art du livre, in Studio, 1914; K. Schottenloher, Das alte Buch, Berlino 1919; M. Audin, Le livre, sa technique, son architecture, Lione 1921; F. Jacobi, Die deutsche Buchmalerei, Monaco 1923; P. G. Angoulvent, The development of the Book, in Fleuron, Londra 1924, n. 3; B. Adarjukov e A. Sidarov, Kniga v Rossii, voll. 2, Mosca 1924; K. Haebler, Handb. d. Inkunabelkunde, Lipsia 1925; [S. De Ricci], Catalogue de l'expos. du livre italien, ecc., Parigi 1926, in 8°, con tavole; D. Gianolio, Il libro e l'arte della stampa, Torino 1926; W. Dana Orcutt, In quest of the perfect Book, reminiscences and reflections of a Bookman, Londra 1927; idem, The Book in Italy during the XVth and XVIth centuries, Londra 1928, con 128 facsimili; R. Hesse, Le Livre d'Art du XIXe siècle à nos jours, Parigi 1927; H. Bohatta, Einführung in die Buchkunde, Vienna 1928; F. Milkau, Handb. d. Bibliothekswiss., I: Schrift u. Buch, Lipsia 1931; S. Dahl, Hist. du livre, ecc., Parigi 1933.
Il commercio librario.
Il libraio, nella sua funzione esclusiva di commerciante, compare assai tardi nella storia del libro. Nell'antichità egli è manipolatore del libro stesso; e possiamo paragonarlo, per intenderci, a un tipografo-editore-libraio del giorno d'oggi.
Cenni storici. - Mentre accenni vaghi alla ricopiatura degli scritti, ma non al loro commercio, si trovano in antichissime testimonianze, bisogna ricorrere alle fonti greche e romane per riconoscere il vero e proprio negoziatore di libri. Il commercio librario dopo essere stato, presso i Romani, fiorente per parecchi secoli (per il commercio dei manoscritti nell'antichità classica, v. manoscritto), decadde e divenne quasi nullo nel Medioevo. Occorreva sorgessero in alcune città italiane e straniere le prime università perché prendesse nuovo vigore. Parigi e Bologna accanto ai loro studî ebbero le botteghe del venditore di libri: e i venditori si unirono subito in associazioni, che regolarono la compra-vendita e vietarono gli abusi. Coloro che, a quell'epoca, commerciavano gli esemplari fatti ricopiare, furono chiamati cartolai. Essi procuravano agli studiosi le opere desiderate; e talvolta, come Vespasiano da Bisticci per Cosimo de' Medici, quando questi volle porre una raccolta di libri nella Badia di Fiesole, assumevano l'impresa di fornire in breve tempo un'intera biblioteca.
L'arte della stampa, al suo apparire, rivoluzionò anche il commercio librario. Il venditore non aveva più necessità di copisti per far fronte ai bisogni dei suoi clienti studiosi; nonostante la viva opposizione dei copisti, la nuova invenzione avanzò vittoriosamente, tanto più che gli stampatori stessi divennero librai, e portarono per far conoscere i tesori dell'arte loro. Alla fiera libraria di Francoforte, sul finire del '400, troviamo gli Aldi di Venezia e i Giunti di Firenze; così come nel 1536 il veneziano Foschi aprì libreria a Lipsia, quando il centro del commercio librario fu da questa tolto a Francoforte. Dalla fine del sec. XV a tutto il sec. XVI confluì a Lione il commercio internazionale librario, a cui parteciparono numerosi editori e tipografi italiani.
La compra-vendita di libri entra, in quegli anni, decisamente anche nella struttura economica degli stati. Chi volesse approfondire la storia del commercio librario italiano dopo il '500 dovrebbe ricorrere alla consultazione delle leggi che lo regolarono, dei privilegi che venivano accordati, e agli statuti delle associazioni professionali che lo vincolavano. Si profilano così tutte le norme contrattuali correnti fra stampatore e libraio, fra libraio e libraio, tra il libraio e il pubblico: norme che in gran parte vivono ancor oggi.
I librai e il Risorgimento italiano. - È noto che l'introduzione e la divulgazione di varie opere d'autori "rivoluzionarî" era severamente proibita negli stati soggetti all'Austria e nei Ducati. Occorreva, invece, divulgare tali opere fra il popolo, e così pure gli appelli e gl'incoraggiamenti degli esuli. E alla pericolosa impresa concorsero parecchi librai italiani; citeremo due nomi soltanto: quello di Luigi Dottesio di Como, che fu impiccato (v. capolago), e quello di Vincenzo Maisner di Venezia, per il quale la pena di morte fu commutata in dieci anni di carcere duro.
La libreria centro di diffusione della cultura. - Come nel tempo antico le taberne librarie erano luogo di convegno degli uomini colti, così nei tempi moderni le librerie più note sono state fucina di arditi movimenti culturali. Per limitarci all'Italia, ricordiamo che attorno a Gian Pietro Viesseux, allorché egli aprì in Firenze il celebre "Gabinetto scientifico letterario", si raccolsero via via gli spiriti più ardenti e più celebrati che vivevano nella Toscana o vi erano di passaggio, quali Gino Capponi, Giacomo Leopardi, Pietro Colletta, Giambattista Niccolini, Alfredo Reumon, Nicolò Tommaseo, Cesare Cantù, Raffaello Lambruschini, ecc. Da quel ritrovo uscirono le manifestazioni più alte e più nobili della letteratura, della scienza, del patriottismo: basti citare l'Antologia. Milano, Torino, Roma, Napoli ebbero a loro volta nelle librerie il centro avvivatore d'idee e d'iniziative. L'ultima libreria-centro di cultura per gli uomini di lettere e di scienza fu quella degli Zanichelli a Bologna. Attorno a Giosue Carducci vi si raccoglievano, tra gli altri, Francesco Rocchi, G. B. Gandino, Ernesto Masi, Olindo Guerrini, Corrado Ricci, Angelo Solerti, Augusto Righi, Enrico Panzacchi. Dopo il 1900 questa funzione culturale delle librerie è venuta a mancare.
Varie specie di librerie. - Quando la libreria (fr. librairie; sp. librería; ted. Buchhandlung; ingl. book-shop) offre al cliente libri d'ogni specie, con l'intendimento di far fronte a ogni più svariata richiesta, assume il nome di libreria d'assortimento. È questo il tipo di libreria più comune in Italia. Si trovano tuttavia anche fra noi librerie rivolte esclusivamente alla vendita di uno speciale genere di libri: abbiamo così la libreria legale o giuridica, la libreria scientifica, la libreria religiosa, la libreria teatrale e via dicendo. Le librerie che si dedicano particolarmente al commercio del libro antico assumono il titolo di librerie antiquarie: mentre quelle che aiutano lo studioso nelle ricerche e negli acquisti si chiamano librerie commissionarie.
Il libraio e la bottega del libraio - Organizzare la vendita in una libreria non è cosa facile. Anzitutto occorre avervi uno speciale amore, senza di che il venditore non offrirà mai al compratore la collaborazione sapiente che è necessaria in questo genere di commercio. In secondo luogo il libraio dovrà possedere una buona cultura generale e procurare di essere rapidamente informato delle novità che si presentano giornalmente all'orizzonte dello studio del lavoro, delle ricerche, delle intraprese; e queste informazioni dovrà tramutare, con prontezza d'indagine, in perfette localizzazioni bibliografiche.
Il locale per una libreria, anche se ristretto, deve avere molte vetrine, per l'esposizione dei libri più recenti. Le vetrine dovranno essere cambiate molto spesso, magari disponendo in modo diverso gli stessi libri. Il libraio accorto deve utilizzare, per collocare le opere, tutti gli spazî, ponendo mente alla buona disposizione dei volumi. Dovrà mettere d'accordo la divisione per materia con l'uniformità dei formati. Necessaria è la schedatura dei libri in arrivo, tanto per autore quanto per soggetto: i romanzi e le commedie anche per titolo. Indispensabile è poi la buona tenuta contabile.
Contratti fra editori e librai. - La questione del contratto corrente fra editori e librai è stata spinosa fin dai tempi più lontani del commercio librario, e neppure oggi può ritenersi risolta.
L'editore cede le opere stampate al libraio secondo due forme contrattuali diverse: 1. il libro viene venduto "in conto assoluto" quando la proprietà passa giuridicamente dall'editore al libraio. Questi è obbligato a pagare l'editore nel tempo e nelle forme contrattuali senza più nulla eccepire. E la forma di vendita è così perfetta, che se il libro non è stato ancora pagato al momento di un eventuale fallimento librario, l'opera non può venire reclamata in restituzione dall'editore, perché essa entra a far parte del cumulo di attività di cui benefica tutta la massa dei creditori; 2. il libro viene ceduto "in deposito", e in questo caso l'esemplare rimane proprietà dell'editore, il quale può reclamarne la restituzione in qualsiasi momento e per qualsiasi ragione; sia durante il regolare svolgimento del commercio librario, sia in sede fallimentare. E se il libro da lui reclamato in restituzione risultasse già venduto, il libraio o per esso il curatore del fallimento devono pagare senz'altro. In sede fallimentare i libri in deposito sono considerati e trattati allo stesso modo dei crediti privilegiati.
Le vendite in assoluto vengono fatte dagli editori al libraio, normalmente, col 30% di sconto. Il pagamento del conto assoluto è trimestrale. Alcune case editrici riducono al 25% lo sconto per i libri scolastici e obbligano al pagamento mensile durante i mesi di ottobre, novembre, dicembre. Il conto deposito, con lo sconto normale del 25%, viene regolato semestralmente: il libraio paga la merce venduta, risultante dal confronto fra le fatture di carico e la nota di giacenza.
Gli sconti librarî sono indicati, nei listini di offerta, con una lettera alfabetica, a seconda di quanto è stabilito nel "formulario degli sconti". A indica lo sconto del 10%, B del 15%, C del 20%, D del 25%, E del 30%, F di 1/3%, F bis del 35%, G del 40% e H del 45%. Se l'editore offerente accorda la "tredicesima" (il libraio acquista in assoluto e in blocco dodici copie di un libro e l'editore gli concede una copia in più, la tredicesima), si deve far seguire la lettera indicante lo sconto dalla dichiarazione: "Sconto........ X e 13ª".
Trusts librarî. - Durante il periodo bellico mondiale e nell'immediato dopo guerra (1914-1926), cioè nel periodo più agitato della vita editoriale-libraria, nacquero in Italia i trusts, che monopolizzarono il commercio del libro. I trusts acquistarono molte librerie, organizzarono la vendita in modo da neutralizzare la. concorrenza; e si avventurarono anche all'estero, specialmente nell'America latina, dove il trust A. L. I. (Anonima Libraria Italiana) riuscì a rendere popolare la nostra letteratura di fronte alla prevalente vendita di opere in lingua straniera. Succeduta poi la deflazione della moneta, i trusts sentirono anch'essi la crisi libraria.
Fra i trusts sorti durante la guerra e affermatisi nel dopoguerra, va ricordata la Società Generale delle Messaggerie italiane, la quale, sul tipo delle Messaggerie francesi Hachette, più che vendere direttamente al pubblico, raccoglie i libri che gli editori italiani e stranieri vanno pubblicando, e sostituendosi ad essi li ripartisce fra le librerie d'Italia.
I "pontremolesi". - Nel gergo librario s'indicano col nome di "pontremolesi" (da Pontremoli) i venditori ambulanti dei libri. Il "pontremolese" pianta giornalmente bottega di libri nelle fiere e nei mercati dei paesi, offrendo generalmente libri popolari in armonia con le esigenze del pubblico al quale si dirige. Il "pontremolese" è anche il buon nume tutelare degli autori e degli editori disgraziati. Quando i libri "non vanno" si ricorre al "pontremolese", il quale li compera con sconti fortissimi e pagando per contanti.
Fiere dei libri. - La Fiera letteraria (poi Italia letteraria, periodico fondato a Milano nel 1924 da Umberto Fracchia), bandì la crociata perché nella primavera di ogni anno si aprisse in Italia, in un punto centrale e frequentatissimo delle città, una "festa del libro" Tale festa ha luogo infatti dal 1927 e offe al compratore, nel giorno stabilito, il più caratteristico aspetto di propaganda libraria.
Questo tentativo di valorizzazione del libro, che si effettua annualmente a Lipsia, non è nuovo per l'Italia. Nel congresso scientifico tenutosi a Firenze nel 1841 fu nominata una giunta con l'incarico di "esaminare la convenienza e la possibilità di stabilire in Italia una fiera libraria, da tenersi una o due volte all'anno in Firenze, sull'andare di quella che fanno in Lipsia i Tedeschi", ma il parere della giunta, comunicato due anni dopo il congresso di Lucca, fu negativo. La questione venne risollevata da Giuseppe Pomba nel successivo congresso tenutosi a Milano nel 1844, e sboccò nella costituzione di un "Emporio librario" con sede a Livorno, che poi si spense nel 1846.
Oltre alla festa annuale, che si tiene in ogni città, organizzata dall'Alleanza Nazionale del libro e con tutto l'appoggio del governo fascista, la fiera campionaria internazionale di Milano ospita ogni anno una sezione libraria organizzata dalla Federazione nazionale fascista dell'industria editoriale. Vi partecipano i principali editori italiani e diversi stranieri. Mentre la festa del libro ha carattere e finalità di propaganda, l'annuale ritrovo di Milano, acquistando una sempre maggiore importanza, diventerà una fiera utile agli studiosi del commercio librario ed al commercio stesso. Dal 1922 ha luogo a Firenze, periodicamente, una fiera internazionale del libro, organizzata dall'Istituto italiano del libro, ente costituito legalmente dal governo fascista con legge 14 giugno 1928, n. 1472; tale fiera fu tenuta nel 1922, nel 1925, nel 1928 e nel 1932; in seguito sarà tenuta ogni tre anni. La fiera ha una particolare mostra del libro per il fanciullo, voluta e preparata dal P. N. F.
Invii a domicilio e pagamenti rateali. - Molte librerie, oltre che curare la vendita ai clienti che entrano in negozio, si occupano di inviare libri a domicilio in visione. Un'altra forma di commercio librario che si va oggi diffondendo è quella della cessione di gruppi di opere con pagamento rateale. Le case iniziatrici di questo sistema, oggi largamente praticato da parecchi editori, furono l'Unione tipografico editrice torinese, la Società editrice libraria e la Casa Francesco Vallardi.
Scuole per i librai. - Per formare librai dotati delle qualità necessarie per istradare e consigliare i clienti, vengono aperte all'estero, quasi annualmente e anche annualmente, scuole per i commessi di libreria. Occorre subito tener conto che il movimento editoriale-librario di alcune nazioni si svolge quasi esclusivamente in una o due località e non più: a Parigi in Francia, a Londra in Inghilterra, a Lipsia e a Berlino in Germania. È facile perciò trovare in questi centri, saturi di commercio librario, il ritmo di rinnovamento del personale che è necessario per far vivere una scuola speciale di commessi librai. In Italia le aziende editoriali e le librerie importanti sono sparse ovunque. Manca quindi, localmente, l'annuale richiesta di mano d'opera specializzata necessaria non soltanto per giustificare, ma per far vivere una scuola di preparazione all'esercizio dell'arte libraria.
Ciò non significa che la soluzione del problema non sia stata tentata. Nel 1892 l'Associazione tipografica libraria italiana e il municipio di Milano istituirono di comune accordo un corso speciale di studî per i commessi librai, affidato a Giuseppe Fumagalli. Il corso fu ripetuto nel 1894 e nel 1897. Anche nel 1926 (sempre a Milano) fu tenuto per iniziativa dell'Associazione editoriale libraria italiana e con l'appoggio e il concorso del Consorzio per l'insegnamento commerciale nella città e provincia di Milano, un corso per i commessi di libreria, durato dall'aprile al giugno. Ma anche tale esperimento mostrò quanto fosse difficile alimentare, mediante nuove reclute, l'istituzione di una regolare scuola di commessi librarî.
Tutela degl'interessi librarî. - I librai di quasi tutti i paesi del mondo, o in categoria autonoma o insieme con gli editori, si sono riuniti in associazioni per la difesa dei loro interessi. Le associazioni hanno sede, generalmente, nelle capitali di ogni singolo stato o nei luoghi di maggior produzione, e costituiscono delle vere borse o camere di commercio librario. Citeremo le principali: Francia, Cercle de la librairie, Syndicat des Éditeurs (Parigi); Inghilterra, The Publishers' Association of Great Britain and Ireland, The Associated Booksellers (Londra); Germania, Börsenverein der deutschen Buchhändler (Lipsia); Spagna, Camara oficial del libro (Barcellona); Svizzera, Schweizerischer Buchhändlerverein (Berna), Société des libraires et éditeurs de la Suisse romande (Neuchâtel); Polonia, Zwiqzek powszechny ksiggarzy i wyd. polskich (Varsavia); Olanda, Vereenigmg ter bevordering van de belangm d. boekhandels (Amsterdam); Danimarca, Den danske Boghandler"orenings Sekretariat (Copenaghen); Belgio, Cercle belge de la librairie, de l'imprimerie et de toutes les professions qui s'y rattachent (Bruxelles); Norvegia, Den norske boghandlerforening (Oslo); Stati Uniti d'America, American Newspaper's Publishers' Association (New York), ecc.
In Italia nel 1867, con l'appoggio del ministro della Pubblica Istruzione e per iniziativa degli editori F.lli Bocca ed Ermanno Loescher di Torino, H. F. e M. Münster di Venezia, s'iniziava a Firenze la pubblicazione della Bibliografia d'Italia (1867-69; dal 1870 Bibliografia italiana; dal 1886 Bollettino delle pubblicazioni italiane, edito dalla Biblioteca Naz. Centrale di Firenze, tuttora in corso), la quale, oltre a dare notizia delle pubblicazioni italiane, portava a conoscenza dei librai le principali pubblicazioni straniere. Fu questo il primo vincolo che armonizzò la vita degli editori e dei librai. Nel 1869, tenendosi a Torino il primo congresso librario italiano, Casimiro Bocca fece formale proposta di costituire una vera e propria associazione fra tutti coloro che vivevano intorno al libro.
L'idea fu raccolta; e convocatosi nuovamente il congresso librario a Milano, sotto la presidenza di Giuseppe Pomba, il 17 ottobre 1869 fu costituita l'Associazione libraria italiana. L'associazione, definita in un primo tempo: Associazione tipografica libraria italiana, si qualificò poi come Associazione editoriale libraria italiana, quando i tipografi ne uscirono per formare un nucleo loro speciale. A sede del sodalizio venne eletta Firenze; e il primo comitato direttivo risultò composto da Giuseppe Pomba, presidente, Casimiro Bocca, segretario, Gaspero Barbèra, cassiere, e dei consiglieri Gaetano Brigola, Felice Le Monnier, Luigi Pomba, Emilio Treves. Nel 18755 fu portata da Firenze a Milano ove rimase. Nel 1887 l'associazione pubblicava il primo numero del proprio Giornale della libreria, che ancora è in vita. Nel 1901 l'associazione promosse la pubblieazione del Catalogo generale della libreria italiana, a cura di A. Pagliaini (parte alfabetica per autori: voll. 7 per gli anni 1847-920 e voll. 2, in corso di pubblicaz., per gli anni 1921-30; parte alfabet. per materie: voll. 3 per gli anni 1847-99 e voll. 3, in corso di pubblicaz., per gli anni 1900-20).
Nel 1929 l'Associazione editoriale libraria italiana spariva per far posto a due distinte organizzazioni per categoria, secondo il disposto della legge sindacale fascista. Gli editori sono schierati nella Federazione nazionale fascista dell'industria editoriale, i librai in quella del commercio librario.
Bibl.: A. Claudin, Les enlumineurs, les relieurs, les libraires de Toulouse au XVe et au XVIe siècles (1440-1530), Parigi 1893; Marques typographiques des imprimeurs et libraires qui ont exercé dans les Pays Bas et marques typ. des imprimeurs et libraires belges établis à l'étranger, Gand 1894; A. Cartier, Imprimeurs et libraires Lyonnais au XVIe siècle, Lione 1899; E. Gordon Duff, A century of English Book-Trade (1457-1557), Londra 1905; K. Burger, Buchhändlerzeichen des 15. Jahrh. in getreuer Nachbildung, Lipsia 1907; H. Plomer, A dictionary of Booksellers and Printers who were at work in England, Scotland and Ireland 1641 to 1667, Londra 1907; A dictionary of Booksellers and Printers who were at work in England, Scotland and Ireland from 1667 to 1725, Oxford 1922; G. Aldis, R. Bowes, ecc., Dictionary of Printers and Booksellers in England, Scotland and Ireland and Foreign Printers of English Books, 1557-1640, Londra 1910; P. Delalain, Études sur le libraire parisien du XIIIe et XVe siècles d'après les documents publ. dans le Cartulaire de l'Université de Paris, Parigi 1921; E. Pastorello, Tipografi, editori, librai nel sec. XVI, Firenze 1924. Documenti di archivio importanti sui librai tedeschi a Napoli nel sec. XV furono pubblicati da T. De Marinis nel suo primo catalogo di libri antichi, Firenze 1904.
Libri popolari.
L'invenzione della stampa determinò, in tutta l'Europa, una considerevole fioritura di libretti e libercoli in prosa e in verso (almanacchi, Specchi della virtù, Tesori o Ruote della fortuna, Libri d'oro, Chiavi dei sogni, oracoli, profezie, rimedî e segreti, epistolarî, storie, vite, miracoli, romanzi, conti, facezie, testamenti, ecc.), per più secoli pascolo variato all'immaginazione e alla curiosità del popolino. Celebri fra i romanzi quelli cavallereschi della Tavola Rotonda, di Carlomagno e dei Paladini, e fra le narrazioni "piacevoli e ridicolose", il pievano Arlotto, Campriano e Bertoldo, ecc.
Fra gli stampatori più rinomati nel Quattro e nel Cinquecento, son da ricordare, in Italia, Bartolomeo Libri, Francesco Bonaccorsi, Lorenzo Morgiani, Bernardo Zucchetta, Antonio Tubini, Giovanni Stefano di Carlo da Pavia, Antonio Mazocchi da Cremona, Caligola de' Bazalieri, e, per le belle edizioni, Battista Farlengo da Brescia; seguono le produzioni grossolane dei Paci e dei Marescandoli di Lucca, dei Bonnetti di Siena, dei Fortunati di Pistoia, dei Galassi di Todi, dei Colaldi di Orvieto, dei Cocchi, dei Pisarri, dei Franceschi di Bologna, dei Righettini di Treviso, dei Remondini di Bassano. Ancora ai nostri giorni, si pubblicano riproduzioni di stampe dei secoli antecedenti, e spesso di quelle che erano diffuse da cantambanchi e cerretani.
Dei prodotti di questa tipica industria tipografica, amatori e studiosi di varî paesi hanno preparato collezioni di grande interesse, come quelle di Fernando Colombo, legata al Capitolo della cattedrale di Siviglia, di Natalizio Benedetto da Foligno, del padre Donato Calvi, di G. Libri, di A. D'Ancona, oggi nel R. Museo di etnografia italiana, di A. Bertarelli, ecc.
Bibl.: Ch. Nisard, Hist. des livres populaires, Parigi 1854; E. van Heurk, Les livres populaires flamands, Anversa 1932; F. Novati, Intorno all'origine e diffusione delle stampe popolari, in Atti primo congresso di etnografia italiana, Perugia 1912; id., La raccolta di stampe pop. ital. della Biblioteca di Fr. Reina, in Lares, II (1913); G. Giannini, Bibliografia dei Maggi stampati dalla tipografia Sborgi di Volterra, in Rassegna volterrana, II; id., Novelle popolari in verso, in Rassegna nazionale; id., Stampe pop. antiche possedute dalla Bibliot. Estense, in Folklore italiano, I (1925); A. Segarizzi, Bibliogr. delle stampe popolari della Marciana, I, Venezia 1913; A. Bertarelli, L'imaginerie pop. italienne, Parigi 1930; L. Mackensen, Die deutschen Volksbücher, Lipsia 1927; J. P. Jacobsen, J. Olrik e R. Paulli, Danske Folkebyger fra 16. og 17. Aarhundrede, Copenaghen 1915, segg.
Libri diplomatici.
Vengono così chiamate le raccolte dei documenti di corrispondenza diplomatica che i Governi usano comunicare ai rispettivi parlamenti, rendendoli così di pubblica ragione. Il parlamento britannico incominciò sul finire del regno di Guglielmo IV ad autorizzare la vendita al pubblico dei proprî documenti raccolti in fascicoli sotto copertina azzurra. Il pubblico, trovando sempre maggiore interesse ai documenti relativi ai negoziati internazionali, si abituò a designare per antonomasia con il nome di libri azzurri (blue books) le serie di documenti diplomatici che il governo veniva mano a mano comunicando alle camere legislative a illustrazione della propria politica internazionale. A poco a poco quell'appellativo entrò anche nella terminologia ufficiale. Gli altri governi che nel graduale svolgimento delle rispettive istituzioni parlamentari imitarono quella pratica, adottarono per i fascicoli contenenti quelle pubblicazioni un colore speciale costante, e così ebbero origine per la Germania i libri bianchi, per la Francia i libri gialli, per gli Stati Uniti, la Spagna e il cessato Impero austro-ungarico i libri rossi, i libri grigi per il Giappone e i libri verdi per l'Italia. Quando viene così pubblicata la corrispondenza scambiata tra due governi intorno a un dato argomento, suole per lo più intervenire fra i medesimi una preliminare reciproca comunicazione dei testi da pubblicarsi, e la pubblicazione si fa di comune accordo, eventualmente con opportune omissioni. Ne consegue che i libri diplomatici, pur rispecchiando il corso generale dei negoziati non contengono sempre tutti i documenti scambiati né il loro testo integrale.
Per i Libri feudorum, v. feudo; per il Libro Sesto, v. decretali.
Libri di commercio.
Nel diritto commerciale italiano vi sono libri di commercio obbligatori e facoltativi. Il numero e la specie di questi ultimi non sono determinati per legge e ogni commerciante, in pratica, tiene, agli scopi della sua azienda, i libri di cui abbisogna, per appuntarvi, senza norme fisse, i dati riferentisi alla propria attività commerciale.
Libri obbligatorî sono i seguenti:
Il libro giornale: cioè un libro, di cui ogni foglio dev'essere vidimato da un giudice del tribunale o dal pretore del luogo prima di essere usato, e dopo l'ultima scrittura annuale. Il libro giornale, come dice il suo nome, deve costituire una descrizione fedele di tutta l'attività economica del commerciante. Questi pertanto è tenuto a prendere nota su di esso di tutti gli atti economici attivi e passivi che compie per causa commerciale e civile e anche delle spese di famiglia (per queste ultime si ammette un'iscrizione complessiva e mensile o comunque a intervalli di tempo).
Il libro degl'inventarî: esso si deve compilare annualmente e, in coerenza al suo scopo, deve contenere un'esposizione completa dello stato patrimoniale risultante alla fine dell'anno con stima dei beni che il commerciante abbia in merci, valute, titoli (il tutto al valore reale) e che indichino, alla data dell'inventario, la consistenza attiva del patrimonio del commerciante; reciprocamente, deve contenere un'enumerazione dell'ammontare del passivo, anche qui con stima completa, reale, attuale di tutte le voci di esso. L'inventario può formare parte integrante del libro giornale. Compilato l'inventario, si deve formare il bilancio annuale; quindi spetta al commerciante di compilare, oltre l'inventario, questo stato riassuntivo annuale della propria consistenza patrimoniale. risultante dal confronto tra attivo e passivo con il saldo da aggiungersi per ottenere il pareggio. Deve unirsi il conto profitti e perdite, dove gli affari sono classificati dal punto di vista dell'utile economico che, nel movimento aziendale, hanno assicurato. È un indice della potenzialità economica dell'industria e del commercio e anche un mezzo di tutela per i terzi contraenti.
Il copia-lettere. - Come dice il nome, deve qui venire copiata integralmente tutta la corrispondenza che il commerciante spedisce. Oltre ciò, il commerciante deve conservare tutta la sua corrispondenza mercantile: così dalla corrispondenza ricevuta e da quella spedita, che si completano reciprocamente, emergerà la prova completa dei suoi affari.
Libri facoltativi ed ausiliarî sono, come si è detto, ammessi; ma occorre anche per questi la vidimazione preventiva. Tale è il libro-mastro, dove è aperto il conto di dare e avere al nome dei singoli clienti e dove si riportano le annotazioni del libro giornale.
I libri di commercio hanno grande importanza nel sistema probatorio della legislazione italiana. I libri possono essere usati in giudizio con l'esibizione e con la comunicazione. Questi due mezzi di prova sono giuridicamente costruiti e giustificati dal fatto che le registrazioni debbono considerarsi comuni ai due contendenti. L'esibizione è più ristretta della comunicazione, perché con essa si tende ad acquisire agli atti solo quella parte di libri che riguardano l'oggetto della controversia. L'esibizione può essere chiesta dal convenuto, offerta dall'attore, o ordinata dal giudice che riscontri in tale mezzo probatorio un elemento idoneo per la decisione della lite. Il giudice può anche ordinare l'esibizione di tutti i libri per determinare quali registrazioni dovranno estrarsi da essi; al contrario il convenuto, che la chieda, ha l'onere processuale d'indicare le registrazioni specifiche di cui si tratta. Non può mai iniziarsi un giudizio per ottenere l'esibizione. L'esibizione può essere chiesta anche per affari civili e deve ritenersi nel vero l'opinione di quegli autori che sono per tale estensione dell'obbligo dei commercianti, sia perché la regola che attribuisce ai libri il loro valore probatorio è scritta nel codice civile come nel codice commerciale, sia perché, mentre ogni creditore di un commerciante fallito ha il diritto di chiedere l'esibizione dei libri per provare il suo credito, il creditore civile, che pur vi troverebbe la confessione del suo credito, sarebbe costretto ad assistere alla distribuzione dell'attivo fra i creditori commerciali, con violazione di quella legge di eguaglianza che è suprema legge della procedura di fallimento (C. Vivante).
La comunicazione dei libri riguarda l'obbligo di presentare tutti i libri stessi e può iniziarsi anche giudizio allo scopo di ottenerla; il provvedimento ha un valore eccezionale ed ha lo scopo di rintracciare le prove di tutta la consistenza patrimoniale e di tutto il movimento degli affari di un commerciante.
Nella nostra legge commerciale hanno valore legale soltanto i libri numerati e vidimati nei loro fogli, mentre si considerano inesistenti tutti gli altri; i libri devono essere conservati dai commercianti e dai loro eredi, così come la corrispondenza di natura commerciale, almeno per dieci anni dal giorno dell'ultima registrazione. Ma, se il commerciante ha tenuto i libri per un periodo più lungo, essi potranno essere adoperati come mezzo di prova.
La mancanza o l'irregolare tenuta dei libri assoggetta il commerciante dichiarato fallito alle sanzioni previste per il reato di bancarotta semplice, mentre le più gravi ipotesi di falsificazioni del loro contenuto dànno luogo al reato di bancarotta fraudolenta per il quale è sempre obbligatoria l'emissione del mandato di cattura, semplicemente facoltativa nel caso di bancarotta semplice. In sostanza, secondo lo spirito della nostra legge, i libri di commercio regolarmente tenuti possono essere una prova ottima a favore del commerciante, ma servono pure alla tutela di chi abbia rapporti giuridici con lui e alla tutela più generale dell'ordine pubblico, quando, dichiaratosi il fallimento, si tratta di attuare la procedura concorsuale, di cui è base la determinazione esatta della consistenza attna e passiva del patrimonio del commerciante dissestato.
Cenni storici. - In Roma la tenuta di libri, dove sia documentata l'attività commerciale, non appare come un obbligo legale affermato in forma generale. Ciò può essere conseguenza del fatto che il diritto civile non ebbe istituzioni particolari a una determinata professione e che non vi fu propriamente un diritto del commercio. Ma tracce di norme idonee a valere nel traffico e tra commercianti non mancano e in genere hanno l'impronta di norme nate dai bisogni mercantili tutte quelle confluite nel sistema del diritto civile dal ius gentium.
È nel concetto sociale, prima che giuridico, la consuetudine di tenuta regolare e corretta di libri dove si annota il movimento dei proprî affari. Cicerone considera una cosa straordinaria la non presentazione del codex accepti et expensi. In questo libro i capi di famiglia tenevano nota delle entrate e delle uscite e quindi del rapporto di debito e credito. Le annotazioni così operate hanno valore nel sistema delle obbligazioni romane perché fondano il cosiddetto contratto letterale. Nomen transcripticium si dice infatti il credito sorto con l'iscrizione nel registro dalla parte dell'expensum, con che si operava novazione dell'obbligazione precedente dandosi vita a un obbligo nuovo eretto sul fatto dell'iscrizione nel codex (qualche cosa di simile, come valore novativo, alla moderna iscrizione di un credito in conto corrente). Nomen arcarium è invece l'obbligo derivante dall'appunto di un debito nel codice; qui la scrittura non ha che un valore semplicemente probatorio. Presso i banchieri (argentarii) la tenuta di tale codex ha un'importanza molto superiore: tale che pare l'uso ne permanesse anche dopo la sparizione del contratto letterale. Gli argentarii ebbero anche un calendarius, scadenziario di debiti e crediti, avente tal nome probabilmente dall'epoca di scadenza più ordinaria. La tenuta regolare e onesta di questi libri da parte degli argentarii aveva il suo valore, sia perché in essi era rintracciabile la prova per l'eccezione di compensazione ammessa nei rapporti fra clienti e banchieri fin dall'epoca classica, sia perché gli argentarii erano tenuti all'editio rationum. Cioè, in occasione di controversie con clienti o con terzi, essi erano chiamati ad esibire i loro libri ed erano passibili, sembra, dei danni in caso d'irregolare tenuta. Questa editio si avvicina alla moderna esibizione dei libri di commercio.
Ma i libri di commercio, nella forma oggi adoperata, sorgono attraverso l'attività commerciale del Medioevo e dei primordî dell'età moderna, via via evolvendosi sino alle codificazioni: copia-lettere e bilancio annuale si cominciano ad usare, ma il bilancio annuale aveva funzioni soltanto computistiche; era cioè adoperato quando, esaurito un libro, se ne dovevano riportare i risultati su un libro nuovo. L'inventario poi è un istituto che si può dire sorto soltanto nel sec. XVII.
Bibl.: C. Vivante, Trattato di dir. comm., 5ª ed., I, Milano 1922, p. 181 e bibl. ivi citata.