Licenziamenti individuali: primi orientamenti
Il contributo analizza i primi orientamenti giurisprudenziali sulla disciplina sostanziale dei licenziamenti, introdotta dai co. 37-46 dell’art. 1 l. 28.6.2012, n. 92, soffermandosi su alcune principali questioni esaminate dalla giurisprudenza di merito e sui nodi problematici che essa sarà chiamata a sciogliere. Una particolare attenzione è stata riservata ai criteri distintivi tra i vari regimi di tutela, reintegratoria o meramente indennitaria, sui quali già si registrano orientamenti non uniformi nella giurisprudenza di merito.
La disciplina dei licenziamenti è stata profondamente modificata dalla l. 28.6.2012, n. 92, sia nei suoi aspetti sostanziali (art. 1, co. 37-46) che in quelli processuali (art. 1, co. 47-69) di cui si è già dato conto nel volume dello scorso anno1.
I primi interventi della giurisprudenza si sono concentrati soprattutto sui profili processuali; ma si registrano significative pronunce anche quanto ai profili sostanziali2. Questa asimmetria si giustifica perché diverso è il regime transitorio: il co. 67 dell'art. 1 l. n. 92/2012 prevede che i co. da 47 a 66, che disciplinano il nuovo rito, si applicano alle controversie instaurate successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge; invece le disposizioni di carattere sostanziale (co. 37-46 dell’art. 1) si applicano dalla data di entrata in vigore della nuova legge di riforma, ossia dal 18.7.20123. Sicché mentre le disposizioni processuali trovano applicazione anche ai licenziamenti intimati prima di tale data ove la controversia sia stata instaurata dopo di essa, invece le disposizioni sostanziali si applicano solo ai «nuovi» licenziamenti, quelli comunicati a partire da tale data. Ciò spiega anche un iniziale maggiore apporto della giurisprudenza, per ora solo di merito, quanto ai profili processuali, di cui si dà conto infra nel Volume4, rispetto a quelli sostanziali di cui si viene ora a dire in estrema sintesi.
1.1 Tutela reintegratoria e tutela indennitaria
Il fulcro della riforma del 2012 è costituito dalla modifica della cd. tutela reale per i licenziamenti illegittimi prevista dal previgente art. 18 l. 20.5.1970, n. 300; tale disposizione, novellata dall’art. 1, co. 42, l. n. 92/2012, contiene ora quattro distinti regimi di tutela nei confronti del licenziamento illegittimo riconducibili ad una duplice matrice: a) la tutela reintegratoria, sia nella forma «piena» di cui ai primi due commi (corrispondente in buona parte a quella del «vecchio» art. 18) sia nella forma «attenuata» di cui al quarto comma; b) la tutela indennitaria, che non prevede la reintegrazione nel posto di lavoro, ma una compensazione economica e che per il suo contenuto (ossia per la quantificazione dell'indennità) si articola anch'essa nelle due forme – ordinaria e attenuata – del quinto e del sesto comma del novellato art. 18, le quali si atteggiano a speciali rispetto alla tutela cd. obbligatoria, parimenti indennitaria, dell'art. 8 l. 15.7.1966, n. 604 nella residua area di sua applicazione. Il nuovo art. 18 assegna poi al lavoratore illegittimamente licenziamento e reintegrato nel posto di lavoro – sia nel regime della tutela reintegratoria piena che in quello della tutela reintegratoria attenuata – un'indennità risarcitoria5.
I punti di maggiore criticità della riforma, che la giurisprudenza ha cominciato ad affrontare, emergono soprattutto laddove manca una netta linea di demarcazione tra un regime di tutela e l'altro.
Vi è innanzi tutto il primo comma dell'art. 18 che prevede la tutela reintegratoria piena, in particolare, in caso di licenziamento discriminatorio; da ciò la necessità di identificare questa fattispecie in termini più puntuali che in passato per distinguerla da quella del licenziamento privo di giusta causa o di giustificato motivo, essendo l’una e l’altra destinatarie di regimi di tutela sensibilmente diversi.
Inoltre il quarto comma del novellato art. 18, che definisce la tutela reintegratoria attenuata, prevede l'“insussistenza” del fatto contestato come fattispecie distinta dalle altre ipotesi in cui non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa allegati dal datore di lavoro; ipotesi quest'ultima che, per differenziarsi dalla prima, deve predicare la contestuale “sussistenza” del fatto contestato unitamente alla “non ricorrenza” degli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa. A questa nozione è affidata in particolare la distinzione tra tutela reintegratoria attenuata e tutela indennitaria ordinaria (quella del quinto comma dell’art. 18).
Vi è altresì il settimo comma dell'art. 18 che prevede la “manifesta insussistenza” del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo come fattispecie distinta dalla semplice “non ricorrenza” degli estremi del predetto giustificato motivo, dove la linea di demarcazione, rilevante anch’essa come scrimine tra tutela reintegratoria attenuata e tutela indennitaria ordinaria, corre sul crinale incerto del carattere manifesto, o no, dell'insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo; incertezza aggravata dal fatto che l'applicazione del regime reintegratorio piuttosto di quello indennitario appare essere affidato, secondo il dato testuale della norma, alla discrezionalità del giudice (che "può ... applicare la predetta disciplina ...").
La contiguità testuale di tutte queste fattispecie, l'una a confine dell'altra, genera di per sé incertezza nella loro identificazione.
Tra le questioni più importanti che la giurisprudenza ha cominciato ad affrontate vi sono la perimetrazione della fattispecie del licenziamento discriminatorio, la nozione di «insussistenza del fatto contestato» nel licenziamento disciplinare, la nozione di «manifesta insussistenza del fatto» nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
2.1 Licenziamento discriminatorio versus licenziamento ingiustificato
La fattispecie più rilevante, perché di più ampia portata, tra quelle alle quali si applica la tutela reintegratoria piena dei primi due commi del novellato art. 18, è quella del licenziamento «discriminatorio ai sensi dell'articolo 3 della legge 11 maggio 1990, n. 108»; applicabile anche alle organizzazioni di tendenza quale è stato ritenuto essere un gruppo parlamentare6. Tale è il licenziamento determinato da una delle ragioni discriminatorie enumerate dagli artt. 4 l. n. 604/1966 e 15 l. n. 300/1970; esso è nullo indipendentemente dalla motivazione addotta e comporta, quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro ed anche per i dirigenti d'azienda, le conseguenze previste dall'art. 18, primo comma, st. lav. La legge n. 92/2012 non modifica i presupposti sostanziali che integrano la fattispecie del licenziamento discriminatorio. Sotto questo aspetto nulla è mutato: ciò che prima era licenziamento discriminatorio lo è anche ora dopo la riforma del 2012; talché la giurisprudenza continua a ritenere integrata questa fattispecie quando il licenziamento è stato motivato esclusivamente dall'intento discriminatorio7. Però è mutato il quadro di riferimento costituito ora dall'art. 18 novellato. La fuoriuscita del licenziamento ingiustificato (i.e. privo di giusta causa o di giustificato motivo soggettivo ed oggettivo) dall'area di applicabilità della tutela reintegratoria piena carica di maggiore importanza la figura del licenziamento discriminatorio che costituisce la fattispecie per eccellenza conservata nel «vecchio» regime reintegratorio della tutela reale. Se il giudice accerta l'insussistenza del fatto allegato dal datore di lavoro quale giusta causa o giustificato motivo soggettivo del licenziamento oppure verifica la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo (entrambe ipotesi di tutela reintegratoria attenuata), può dirsi che la posizione del lavoratore (ingiustificatamente e quindi illegittimamente) licenziato sia del tutto analoga a quella di tutti gli altri lavoratori che invece sono rimasti in servizio nel senso che, mancando del tutto la ragione giustificatrice del licenziamento, manca anche qualsiasi elemento che differenzi la posizione del lavoratore licenziato, sicché esso appare «discriminato»8. La giurisprudenza sarà chiamata a verificare se ed in che misura possa ridondare in vero e proprio licenziamento discriminatorio quello ingiustificato che sia connotato dall’«insussistenza» del fatto contestato ovvero dalla «manifesta insussistenza» del giustificato motivo oggettivo.
Contigua poi alla fattispecie del licenziamento discriminatorio è quella del licenziamento nullo perché «determinato da un motivo illecito determinante» ai sensi dell'art. 1345 c.c., alla quale pure si applica il regime della tutela reintegratoria piena9. Il motivo illecito inficia il recesso «indipendentemente dal motivo formalmente addotto» dal datore di lavoro10. Si tratta di un'applicazione dell'art. 1345 c.c. che prevede che il contratto è illecito quando le parti si sono determinate a concluderlo esclusivamente per un motivo illecito comune ad entrambe, disposizione applicabile anche agli atti negoziali unilaterali. In vero il primo comma del novellato art. 18 non si limita ad un mero richiamo dell'art. 1345 c.c., ma richiede che il motivo sia «determinante» laddove la disposizione codicistica prescrive che il motivo, perché eccezionalmente rilevi per il contratto, debba essere esclusivo e comune alle parti. La qualificazione di «determinante» del motivo illecito comporta che deve risultare provato che il licenziamento non sarebbe stato intimato se non ci fosse stato tale motivo; il quale quindi risulta essere la reale ragione del recesso, la vera causa unica del licenziamento che può essere dedotta dal lavoratore come vizio di nullità del recesso «indipendentemente dal motivo formalmente addotto» dal datore di lavoro11.
L’esistenza quindi di due fattispecie a carattere generale di licenziamento illegittimo – quello discriminatorio e quello affetto da motivo illecito determinante – alle quali si applica il regime di tutela reintegratoria piena, assimilabile alla tutela reale del previgente art. 18, eserciterà presumibilmente una forza di attrazione nel contenzioso ordinario nel senso che il lavoratore ricorrente tenderà a prospettare l’allegata mancanza di giusta causa o giustificato motivo come risultante di un motivo discriminatorio o illecito. In un caso in cui il datore di lavoro, in adempimento dell’obbligo di repêchage in ipotesi di licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo per chiusura di un punto di vendita, aveva cercato di indurre la lavoratrice licenziata ad accettare la trasformazione del rapporto a tempo pieno e il trasferimento ad un’altra unità produttiva, si è ritenuto il motivo illecito di natura ritorsiva12.
2.2 Licenziamento disciplinare: l'«insussistenza del fatto»
Il nuovo art. 18 distingue tra licenziamento disciplinare illegittimo per ragioni sostanziali (con un doppio regime di tutela la cui distinzione è tracciata, soprattutto, sul crinale incerto dell'«insussistenza del fatto contestato») ovvero per ragioni formali (i.e. per violazione delle regole del procedimento disciplinare), tra cui però non rientra il canone generale della forma scritta del licenziamento (contemplato dal primo comma del nuovo art. 18 che riconosce la tutela reintegratoria piena).
Il regime della tutela reintegratoria attenuata (art. 18, co. 4) trova applicazione nelle ipotesi più gravi ed evidenti di licenziamento disciplinare illegittimo: per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili. Negli altri casi, pur non ricorrendo gli estremi della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo, opera invece la tutela meramente indennitaria di cui al quinto comma dell'art. 18 e comunque il rapporto deve considerarsi risolto alla data del licenziamento.
Ove il fatto contestato non sia riconducibile ad una condotta che la contrattazione collettiva o il codice disciplinare prevedono come passibile di licenziamento, ma al contrario rientri tra le condotte, pur inadempienti del lavoratore, sanzionate con misure conservative (censura, multa, sospensione dal servizio), l'intimato licenziamento disciplinare risulta illegittimo in quanto fondato su un fatto contestato che, commesso o no dal lavoratore, è comunque inidoneo a sorreggere una sanzione espulsiva: ciò giustifica la più incisiva tutela reintegratoria, seppur attenuata13.
Ed allora il riferimento, contenuto nel quarto comma dell'art. 18, all'«insussistenza» del fatto contestato ha una valenza duplice. Significa riconducibilità del fatto contestato ad una condotta che la contrattazione collettiva o il codice disciplinare prevedono come passibile di sanzioni conservative e non già di una sanzione espulsiva. E significa anche che il fatto contestato, seppur passibile di sanzione espulsiva, non è stato commesso dal lavoratore.
Questa stessa simmetria sussiste anche ove il contratto collettivo non tipicizzi le sanzioni irrogabili in conseguenza di condotte inadempienti del lavoratore o non ci sia un codice disciplinare: la prospettiva in realtà rimane la stessa nel senso della rilevata valenza duplice del riferimento all'«insussistenza» del fatto. Da una parte, pur in assenza di codice disciplinare ed in mancanza, nel contratto collettivo, di una graduazione di condotte inadempienti e di sanzioni, occorre non di meno ipotizzare una analoga valutazione di proporzionalità14. Sarà il giudice stesso a fare questa valutazione che non hanno fatto le parti collettive per distinguere tra condotte inadempienti che sarebbero astrattamente passibili di licenziamento disciplinare e condotte, pur inadempienti ma meno gravi, che sono passibili solo di sanzioni conservative15. Sicché, sia in presenza che in assenza di codice disciplinare ovvero di specifica normativa collettiva, l'«insussistenza» del fatto contestato ha una duplice valenza: il fatto, secondo un criterio di indefettibile proporzionalità tra addebito e sanzione, non rientra tra quelli che astrattamente giustificherebbero il licenziamento disciplinare16; oppure il fatto in concreto non è stato commesso dal lavoratore incolpato o non è a lui riferibile in termini di comportamento volontario o colpevole.
In entrambe le ipotesi opera la tutela reintegratoria di cui al quarto comma dell'art. 1817, mentre è applicabile la tutela solo indennitaria se il fatto è stato sì commesso dal lavoratore e sarebbe astrattamente idoneo a risolvere il rapporto, ma le circostanze al contorno della fattispecie concreta ne ridimensionano la valenza di inadempimento sì da non consentirne la riconducibilità alla nozione legale di giusta causa o giustificato motivo di licenziamento18. In ogni caso non è stato modificato il canone dell'art. 5 l. n. 604/1966 secondo cui l'onere della prova della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento spetta al datore di lavoro19.
2.3 Licenziamento economico: la «manifesta insussistenza del fatto»
In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo (settimo comma, seconda parte), occorre distinguere secondo una tripartizione di regimi di tutela. Ove ricorra l’ipotesi della «manifesta insussistenza del fatto posto a fondamento del giustificato motivo oggettivo» si applica – o meglio, il giudice può applicare – il regime della tutela reintegratoria «attenuata» del quarto comma dell'art. 18 che, per questa fattispecie di licenziamento illegittimo, rappresenta il livello di tutela più incisivo. Ove invece risultino le “altre ipotesi” in cui il giudice accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, opera la tutela indennitaria del quinto comma dell’art. 18. Ove infine siano violate le regole di procedura, previste dall'art. 7 l. n. 604/1966 come novellato dal co. 40 dell’art. 1 l. n. 92/2012, il regime di tutela è quello indennitario attenuato di cui al sesto comma del novellato art. 18.
Quindi c’è una sorta di scalettamento delle tutele possibili: da quella reintegratoria del quarto comma dell’art. 18 si passa a quella indennitaria di cui al quinto comma ed infine a quella parimenti indennitaria, ma attenuata, di cui al sesto comma.
La criticità di questa modulazione frammentata delle tutele è simile a quella già esaminata a proposito del licenziamento disciplinare. Anche nel caso del licenziamento per giustificato motivo oggettivo (ossia per ragioni economiche) occorre definire la fattispecie della «manifesta insussistenza» del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo e differenziarla dalle “altre ipotesi” in cui pure non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo. Distinzione questa che è parimenti carica di rilevanza perché in un caso c’è la reintegrazione nel posto di lavoro, mentre nell’altro c’è la perdita del posto di lavoro con il solo riconoscimento di una compensazione economica.
Mentre nell’ipotesi, già esaminata, del licenziamento disciplinare si è ritenuto che possa rinvenirsi un criterio di proporzionalità tra addebito e sanzione che consente di tracciare una linea di demarcazione abbastanza riconoscibile, nel caso del licenziamento per giustificato motivo oggettivo manca un analogo parametro di valutazione. Occorre invece identificare – come richiede l'art. 3 l. n. 604/1966 – «ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa»; le quali o sussistono o non sussistono, essendo comunque implicita l'esigenza di nesso causale tra tali ragioni e il licenziamento intimato.
Il carattere manifesto, o no, del giustificato motivo oggettivo finisce quindi ineluttabilmente per evocare la valutazione delle risultanze probatorie di causa che possono, in modo appunto più o meno evidente, mostrare l’insussistenza dell’allegato giustificato motivo oggettivo. Ove da ciò volesse desumersi il riferimento ad una connotazione sostanziale, allora sembra che essa sia da ricercare nella pretestuosità dell’allegazione datoriale: il giustificato motivo oggettivo «manifestamente insussistente» è quello che non ha nessuna consistenza e si atteggia a mero pretesto dell’intimato licenziamento20. Insomma, lasciando aperta la porta alla tutela reintegratoria e non confinando ogni ipotesi di licenziamento economico nell'area della tutela indennitaria, si è voluto evitare che il licenziamento per giustificato motivo soggettivo, che accede alla tutela reintegratoria ove risulti l'«insussistenza del fatto» posto a fondamento del licenziamento, potesse essere sistematicamente prospettato come licenziamento per giustificato motivo oggettivo, se in ogni caso ciò avesse escluso la tutela reintegratoria.
Indubbiamente però tra la «manifesta insussistenza» del fatto e la mera sua «insussistenza» rimane una insuperabile zona d'ombra che tradisce la matrice compromissoria della norma e scarica sul giudice l'applicazione di un criterio distintivo così controvertibile21.
Nella nozione di fatto rientra anche la non ricollocabilità del lavoratore in altro posto in azienda (cd. repêchage, affermato dalla giurisprudenza con riferimento all'art. 3 cit. e che può essere ribadito anche nel nuovo contesto normativo)22. Il carattere manifesto, o no, dell'eventuale insussistenza del fatto afferisce anche a questo aspetto23.
Le difficoltà interpretative sono poi accentuate dal fatto che il settimo comma, secondo periodo, dell'art. 18 prevede che il giudice «può" applicare il regime di tutela reintegratoria in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo ove risulti la «manifesta insussistenza» del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Ossia la disposizione è doppiamente incerta perché prevede come presupposto di applicabilità il carattere manifesto dell'insussistenza del giustificato motivo oggettivo e perché facoltizza il giudice, assegnandogli un'impropria discrezionalità, ad applicare questo regime di tutela.
2.4 Il nuovo regime risarcitorio ex art. 18 l. n. 300/1970
Il nuovo art. 18 assegna al lavoratore illegittimamente licenziamento e reintegrato nel posto di lavoro – sia nel regime della tutela reintegratoria piena che in quello della tutela reintegratoria attenuata – un'indennità risarcitoria24. Considera però come parametro l'«ultima» retribuzione globale di fatto anziché la «retribuzione globale di fatto» tout court; ossia considera la retribuzione onnicomprensiva sì, ma cristallizzata al momento del licenziamento senza che rilevino trattamenti retributivi eventualmente attribuiti (essenzialmente dalla contrattazione collettiva) successivamente al licenziamento. In precedenza invece la giurisprudenza riconosceva rilevanza anche alla dinamica retributiva25.
In riferimento al regime della tutela reintegratoria attenuata (licenziamento annullabile) il quarto comma del novellato art. 18 prevede che il giudice, nell'annullare il licenziamento e condannare il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro, lo condanna altresì al pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione (ossia alla stessa indennità risarcitoria del secondo comma, ma) con un limite massimo: in ogni caso la misura dell'indennità risarcitoria non può essere superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto.
Vi sono poi due ulteriori elementi differenziali, ancora sotto il profilo della quantificazione dell'indennità risarcitoria, tra le due tutele reintegratorie; ciò che vale ad accentuare ulteriormente il solco di separazione tra tali due regimi di tutela a fronte dell'unico regime della tutela reale nella precedente formulazione dell'art. 18.
Da una parte solo in caso di tutela reintegratoria piena (primo comma dell'art. 18) è previsto – come già in passato fin dalla l. n. 300/1970 – che la misura del risarcimento non possa essere inferiore a cinque mensilità della retribuzione globale di fatto.
D'altra parte diverso è anche il regime dell'eccezione di aliunde perceptum e aliunde percipiendum. Il secondo comma dell'art. 18 prevede, nel regime della reintegrazione piena, che dall'indennità risarcitoria possa dedursi quanto percepito dal lavoratore, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative. Il quarto comma invece prevede, nel regime della tutela reintegratoria attenuata, che dall'indennità risarcitoria possa dedursi quanto il lavoratore abbia percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. Sicché l'eccezione dell'aliunde percipiendum è esperibile solo nel regime della tutela reintegratoria attenuata (del quarto comma dell'art. 18) e non anche in quella della tutela reintegratoria piena (del primo comma).
Numerosi sono i profili problematici che pone la riforma del 2012. Ma due di questi, in particolare, riguardano la possibile rivisitazione di principi giurisprudenziali di carattere generale.
Il primo riguarda l'onere probatorio della sussistenza del requisito dimensionale dell'azienda che condiziona l'applicabilità delle tutele di cui all'art. 18, commi dal quarto al settimo, e non più della tutela reale tout court come in passato. Ciò potrebbe indurre ad una revisione di quell'orientamento giurisprudenziale che onera il datore di lavoro di provare l'insussistenza del requisito dimensionale26. Una volta frazionato il regime delle tutele possibili nei confronti del licenziamento illegittimo, è dubbio che possa ancora sostenersi che gravi sul datore di lavoro, che resista alla domanda del lavoratore di riconoscimento di una di tali tutele, l'onere di provare che non ricorre il requisito dimensionale previsto dalla legge per la sua applicabilità27.
Inoltre anche il principio, di matrice giurisprudenziale, secondo cui la prescrizione dei crediti retributivi del lavoratore non decorre nel corso del rapporto di lavoro se questo non sia assistito dalla stabilità reale ex art. 18 Stat. lav. potrebbe essere posto in discussione non essendo più possibile predicare la identificabilità del rapporto stabile con quello assistito dalla tutela ex art. 18 perché quest'ultima disposizione prevede ora una pluralità di regimi di tutela e solo quella reintegratoria piena del primo comma, che peraltro è generalizzata nel senso che non richiede che sussista il requisito dimensionale dell'ottavo comma dell'art. 18, appare essere equiparabile alla tutela reale dell'art. 18 nella previgente formulazione. Invece la tutela indennitaria del quinto e del sesto comma dell'art. 18 non risponde al parametro indicato dalla giurisprudenza costituzionale28.
1 Del Punta, R., Licenziamenti individuali in Libro dell’anno del diritto 2013, Roma, 2013, 353 e ss.; Pandolfo, A., Licenziamenti collettivi, ibidem, 364.
2 Per l’intreccio dei due profili v. Trib. Roma, 28.11.2012, in Riv. it. dir. lav., 2013, II, 288, con nota di Pacchiana Parravicini, G., Il rito Fornero: un labirinto senza uscite?; cfr. anche Sordi, Le modifiche alla disciplina dei licenziamenti individuali, in La riforma del lavoro. Primi orientamenti giurisprudenziali dopo la Legge Fornero, Milano, 2013, 229 ss.
3 Trib. Roma, 31.10.2012, in www.giuslavoristi.it; Trib. Mantova, 28.9.2012, ibidem.; Trib. Napoli, 16.10.2012, in Riv. it. dir. lav., 2012, II, 1085.
4 V., in questo Volume, nell'Area di Diritto del lavoro, Amoroso, G., Riforma dell’art. 18 st. lav.: prime applicazioni.
5 Trib. Roma, 14.1.2013, in www.giuslavoristi.it .
6 Trib. Roma, 28.11.2012, in Riv. it. dir. lav., 2013, II, 305, con nota di Bussolaro, Licenziamento, mobbing e insubordinazione in un gruppo parlamentare.
7 Trib. Genova, 16.11.2012, in www.diritto.it.
8 Secondo Trib. Mantova, 28.9.2012, in Notiz. giur. lav., 2013, 373, la natura discriminatoria del licenziamento può ritenersi provata in via indiziaria dal pregresso svolgimento da parte del lavoratore di attività di rappresentante sindacale.
9 Trib. Roma, 28.11.2012, in Riv. it. dir. lav., 2013, II, 305.
10 Secondo Trib. Milano, 20.11.2012, in Notiz. giur. lav., 2013, 373, e Mass. giur.lav. 2013, 39, il motivo illecito deve essere unico e determinante e deve essere provato dal lavoratore.
11 Trib. Bari, 20.11.2012, in Giur. lav., 2013, n. 5, 37.
12 Trib. Bologna, 19.11.2012, in Riv. it. dir. lav., 2013, II, 271, con note di Ichino, P., Quando il giudice confonde il difetto di giustificato motivo con il motivo illecito, e di Scarpelli, F., Giustificato motivo di recesso e divieto di licenziamento per rifiuto della trasformazione del rapporto a tempo pieno.
13 Trib. Roma, 4.4.2013, in www.giuslavoristi.it.
14 Secondo Trib. Voghera, 14.3.2013, in Notiz. giur. lav., 2013, 501, il fatto contestato è sussistente se è provato “il nucleo essenziale e determinante” del fatto materiale addebitato.
15 Trib. Roma, 14.1.2013, in www.giuslavoristi.it.
16 Si parla di inadempimento notevole: Trib. Bologna, 15.10.2012, in Arg. dir. lav., 2012, 781. Va oltre Trib. Ravenna, 18.3.2013, in Riv. it. dir. lav., 2013, II, 549, con nota di Bolego, Il licenziamento disciplinare nel prisma della disciplina introdotta dalla l. n. 92/2012, che ha ritenuto che, in ipotesi di sussistenza di un fatto che non configura una giusta causa, trova applicazione la tutela reintegratoria al pari del caso in cui il fatto materiale non sussista.
17 Secondo Trib. Bologna ,15.10.2012, in Notiz. giur. lav., 2013, 51, l’insussistenza del fatto si riferisce non solo al fatto materiale, ma anche al fatto giuridico, inteso come fatto globalmente accertato nel complesso della sua componente oggettiva e soggettiva.
18 Secondo Trib. Voghera, 14.3.2013, in Notiz. giur. lav., 2013, 501, in caso di condotta connotata da minore gravità, oggettiva e soggettiva, opera la tutela indennitaria.
19 Trib. Roma, 20.11.2012, in www.giuslavoristi.it.
20 Trib. Milano, 5.11.2012, in Riv. it. dir. lav., 2013, II, 654, con nota di Zoli, C.,Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo tra reintegra e tutela indennitaria.
21 Secondo Trib. Milano, 20.11.2012, in Notiz. giur. lav., 2013, 373, e in Mass. giur. lav. 2013, 39, l’effettiva soppressione del posto esclude la “manifesta insussistenza del fatto”.
22 Trib. Milano, 28.11.2012, in www.dplmodena.it; Trib. Bologna, 19.11.2012, in Riv. it. dir. lav., 2013, II, 271; in precedenza cfr. Cass., 28.3.2011 n. 7046 .
23 Secondo Trib. Milano 20.11.2012, in Notiz. giur. lav., 2013, 373, e in Mass. giur. lav. 2013, 39, l’inadempimento dell’obbligo di repêchage è sanzionato dall’applicazione della tutela indennitaria.
24 Trib. Roma, 14.1.2013, in www.giuslavoristi.it.
25 Cass., 22.9.2011 n. 19285.
26 Cass., S.U., 10.1.2006 n. 141.
27 Trib. Torino, 25.1.2013, in www.giuslavoristi.it.
28 C. cost., 12.12.1972 n. 174 ha affermato che «una vera stabilità non si assicura se all'annullamento dell'avvenuto licenziamento non si faccia seguire la completa reintegrazione nella posizione giuridica preesistente fatta illegittimamente cessare».