lido (lito)
Sostantivo usato con discreta frequenza. La forma normale in D., sia in poesia che in prosa, è lito (latino litus); una sola volta, in rima, si registra lidi (Pg XVII 12).
Il termine è usato per indicare sia la " spiaggia " del mare - Pg XXVIII 20 la pineta in su 'l lito di Chiassi, I 130, IV 55, XVII 12, Pd VI 79, IX 85, XVI 83, XXI 106 e 123, XXVII 83; con significato più esteso, per " riva ", " zona litoranea ": If XXVI 103 L'un lito e l'altro vidi infin la Spagna; Pg II 33 l'angel di Dio... remo non vuol, né altro velo / ... tra liti sì lontani -; sia la " sponda " di un fiume: If III 116 il mal seme d'Adamo / gittansi di quel lito ad una ad una, cioè dalla riva dell'Acheronte (per la var. linto, v. LINTO; il vocabolo ‛ lito ' appare anche come variante di loco in If IX 115, e di letto in Pd XXX 3; cfr. Petrocchi ad l.).
Frequente l'impiego del termine in contesti metaforici: Rime CXIV 4 Io mi credea del tutto esser partito / da queste nostre rime, messer Cino, / ché si conviene omai altro cammino / a la mia nave più lungi dal lito, cioè, fuori metafora, " è necessario che io mi avventuri in un'esperienza di vita e di poesia lontana da quella significata nelle rime d'ispirazione stilnovistica e di questa ben più difficile "; Cv I III 5 io sono stato legno sanza vela e sanza governo, portato a diversi porti e foci e liti dal vento secco che vapora la dolorosa povertade; Pd II 4 O voi che siete in piccioletta barca, / desiderosi d'ascoltar... / tornate a riveder li vostri liti, " cioè tornate a drieto, ai termini dei vostri ingegni, cioè... tornate a riveder quello che possiate comprendere " (Buti). Per questi usi metaforici, da ricondurre alla cosiddetta metafora della navigazione, largamente diffusa nelle letterature classiche e nella medievale, cfr. E.R. Curtius, La Littérature européenne et le Moyen Age latin, trad. francese Parigi 1956, 157-161.