LIEVITI (XXI, p. 115)
Per le generalità sulla morfologia e la fisiologia dei lieviti, v. blastomicosi, VII, p. 186; batterio, VI, p. 383 segg.; schizofite, XXXI, p. 98; e soprattutto saccaromiceti, XXX, p. 388 seg. Per la chimica dei processi fermentativi, v. fermentazione, XV, p. 29 segg. Qui si esporrà quanto concerne la selezione dei lieviti (metodo delle colture pure) e la loro produzione industriale.
Metodo pratico per ottenere colture pure di lieviti. - I saccaromiceti sono molto abbondanti in natura, ma essi sono sempre accompagnati da altri microrganismi. Così, se si esamina al microscopio un mosto d'uva in normale fermentazione, si troverà che accanto ai lieviti presenti in quantità preponderante coesistono sempre altri microbî di varie specie. Ciò dipenderà dal fatto che ci troviamo di fronte a una fermentazione naturale. Per ricavare da questo mosto impuro colture pure di saccaromiceti si procede in pratica nel seguente modo.
Si preparano in antecedenza un tubo da saggio pieno da un quarto a metà circa di acqua e altri due, tre o più tubi da saggio pieni a metà di un mosto zuccherino gelatinizzato, che può essere identico per tutti, o, meglio, di varia natura per dare la possibilità a ogni tipo di microbî presenti di trovare un adatto terreno di sviluppo. Un mosto di malto a 10-12 Balling gelatinizzato con 1,2-1,5% di agar offre un ottimo terreno di sviluppo oltre che per i lieviti anche per molte altre specie batteriche. I tubetti dovranno naturalmente essere chiusi con tappo di cotone e previamente sterilizzati in autoclave. Si prepari inoltre un corrispondente numero di scatole di Petri (fig. 1) che verranno avvolte in carta e sterilizzate a secco a 120°.
Avendo pronto sul tavolo di lavoro il detto materiale, s'immergono in un recipiente contenente acqua calda i tubetti col mosto gelatinizzato, e quando questo è sciolto, lo si mantiene ad una temperatura non superiore ai 40° per non nuocere alla vitalità dei microrganismi in esame e non inferiore ai 35°, perché, data la piccola massa di materiale, questa può nelle successive manipolazioni, per quanto rapidamente fatte, raffreddarsi troppo e rapprendersi in maniera da non potersi più versare.
Operando davanti e in prossimità della fiamma di una lampada ad alcool o a gas, s'immerge un'ansa (fig. 2) di platino, curvata ad anello all'estremità e sterilizzata alla fiamma, nel mosto d'uva in esame, del quale si asporta una piccola quantità, quale è quella formata dal velo di liquido contenuto nell'anello dell'ansa e la si trasporta il più rapidamente possibile nel tubetto contenente l'acqua sterilizzata, passandone l'estremità esterna alcune volte sulla fiamma e bruciacchiando il tappo di cotone. L'operazione deve essere fatta molto rapidamente tenendo con la sinistra la provetta dell'acqua un po' inclinata e operando con la destra in tre tempi successivi e cioè: 1. togliendo il tappo di cotone col mignolo e il palmo della mano; 2. immergendo l'ansa di platino tenuta fra il pollice e l'indice, agitandola per un istante nell'acqua sterile e ritraendola subito; 3. rimettendo il tappo di cotone a posto.
Con questa operazione si è diluita nella quantità di acqua sterile la goccetta di liquido di coltura contenuta nell'ansa di platino. Le molte migliaia di microrganismi ivi presenti vengono distribuiti uniformemente nella massa agitando ripetutamente, ed è evidente che prendendo con la stessa ansa di platino una goccia di questa, solo alcuni individui verranno asportati. La pratica insegna rapidamente dalla ricchezza in microrganismi del liquido in esame la quantità di acqua sterile da mettere nel tubetto di diluizione, in maniera che nella goccia diluita ne siano contenuti solo alcuni. Con le stesse precauzioni, rapidità e manualità dell'operazione descritta, facendosi aiutare da persona che porga e tolga di mano il materiale e operando sempre davanti alla fiamma, si prende con l'ansa una goccia dell'acqua di diluizione, la si trasporta dentro un tubetto contenente il mosto gelatinizzato, si agita per distribuirla nella massa e se ne versa il contenuto dentro una delle scatole Petri di cui si sarà sollevato da un lato il coperchio per quel tanto che basti ad introdurvi l'orificio della provetta. La stessa operazione si ripete per gli altri tubetti di mosto trasportandovi a piacere due, tre gocce successivamente per avere una serie di scatole contenenti un maggior numero di individui microbici. Si lasciano per un po' di tempo a sé le scatole, finché il mosto gelatinoso si sia rappreso, indi si ripongono in un armadio o termostato al riparo dalle correnti d'aria e dal pulviscolo atmosferico, alla temperatura di circa 20°-25°.
Dopo un giorno o due, si scorgono ad occhio nudo sulla gelatina della scatola dei piccoli puntini bianchi che poi ingrandiscono fino ad assumere talora il diametro di 1 cm. e più: essi sono altrettante colonie di microrganismi, derivanti ciascuna dalla moltiplicazione di un individuo solo e ognuna di esse rappresenta una coltura pura. La pratica insegna ben presto a distinguere le colonie di saccaromiceti da quelle di altri microbî e quando si sono sufficientemente sviluppate (fig. 3) si possono con l'estremità di un ago di platino prendere successivamente delle piccole porzioni da esaminare al microscopio e da sottoporre a prove di fermentazione comparative in mosti sterili e in condizioni differenti di nutrizione, temperatura, aerazione, ecc., e si possono isolare l'una dall'altra. Questo insieme di operazioni, lo studio ed allevamento successivo comparato dei microbî isolati allo stato puro, costituisce il procedimento di selezione dei fermenti, che ha permesso di studiare non solo i lieviti ma tutti i microrganismi tanto utili quanto dannosi. Di solito queste delicate operazioni d'isolamento e trapianto di colture vengono operate in locali appositi attrezzati in modo che sia garantita assoluta pulizia.
Aerazione. - Lieviti alti e bassi. - Un'importante proprietà dei lieviti che viene messa a contributo nei varî procedimenti tecnico-agrario-industriali è costituita dal loro diverso comportamento secondo che il procedimento fermentativo avvenga in presenza o in mancanza di ossigeno atmosferico. Se si fa fermentare un mosto contenente zucchero per mezzo di un lievito e vi si fa gorgogliare dell'aria, si osserva che il lievito si moltiplica straordinariamente formando degli abbondanti depositi sul fondo dei recipienti di fermentazione. Procedendo all'analisi dei risultati si riscontra che l'alcool formato è pochissimo, mentre il peso del lievito prodotto, portato allo stato secco, raggiunge circa un quarto del peso dello zucchero distrutto. Facendo invece agire lo stesso lievito sullo stesso mosto (dal quale si sia precedentemente scacciata per ebollizione ogni traccia di aria disciolta), non facendovi gorgogliare aria e mantenendo anzi la massa in un'atmosfera di acido carbonico, a fermentazione compiuta si troverà una quantità di gran lunga inferiore di lievito, mentre l'alcool formatosi sarà assai di più che nel primo caso.
Da quanto esposto si può concludere che i risultati della fermentazione di un lievito variano considerevolmente entro i limiti della maggiore possibile partecipazione dell'ossigeno al processo o della mancanza assoluta di esso. È chiaro che nel primo caso lo zucchero è stato utilizzato dai saccaromiceti principalmente per la costruzione delle cellule e che nel secondo esso ha subito la fermentazione alcoolica.
Se ne dovrebbe dedurre che basti variare le condizioni di aerazione per avere da uno stesso lievito i differenti risultati su esposti. In realtà le cose non vanno così semplicemente: per quanto il principio entro certi limiti abbia un valore generale, esistono alcune specie le quali hanno la facoltà di esaltare grandemente il potere riproduttivo, come, al contrario, ve ne sono altre le quali hanno la proprietà di produrre forti quantitativi di alcool riducendo al minimo la propria riproduzione.
Soprattutto su questa diversità di comportamento sono fondati i varî processi industriali di utilizzazione dei lieviti.
I saccaromiceti, durante la moltiplicazione per gemmazione, possono rimanere fra loro uniti a formare delle estese ramificazioni, oppure si possono staccare rendendosi indipendenti gli uni dagli altri. Nel primo caso, per effetto delle bollicine di gas carbonico sviluppate dalla fermentazione e che rimangono in parte aderenti alle cellule, tali ammassi sono sollevati verso la superficie dei recipienti dove galleggiano insieme con le schiume, e sono chiamati lieviti alti, nel secondo caso si raccolgono sul fondo e sono chiamati lieviti bassi. A questo criterio morfologico, che per alcune varietà è caratteristico, si attribuiva un tempo molta importanza; ma recenti ricerche hanno dimostrato che questo comportamento non è costante e che in alcune specie con opportuni artifici e modificazioni di temperatura si può determinare il passaggio dall'un tipo all'altro passando per tutti i gradi intermedi.
Tuttavia nella pratica industriale si fa anche oggi una netta distinzione fra lieviti alti e bassi; i primi in generale sono rappresentati da varietà del Sacc. cerevisiae e trovano applicazione specialmente in quei procedimenti in cui giovandosi anche dell'aerazione è messo soprattutto a contributo il potere di moltiplicazione delle cellule, come nella fabbricazione del lievito compresso, o in cui non si vogliano raggiungere forti tenori alcoolici, come nella birra; i secondi, rappresentati per lo più da varietà del Sacc. ellipsoideus, si usano nei casi in cui si vuole esaltare al massimo grado il potere fermentativo.
La distinzione però non ha valore assoluto in quanto anche nella fabbricazione di birra trovano utile applicazione lieviti bassi; viceversa non esistono lieviti alti che vengano adoperati per la produzione di alcool.
Preparazione industriale dei lieviti. - Le industrie che hanno il loro fondamento sull'uso dei lieviti puri selezionati sono: la fabbricazione della birra, le distillerie per la produzione dell'alcool, le fabbriche di lievito compresso. Anche il processo dell'ordinaria vinificazione è fondato sull'uso di lievito, anzi dal punto di vista storico e dell'economia nazionale si può considerare il più importante di tutti; ma esso si fonda su un processo spontaneo di fermentazione perché i saccaromiceti che sono contenuti nell'uva passano poi nel mosto, regolato però da norme complesse che esulano da questo campo (v. vino, XXXV, p. 388 segg.).
Sia nella fermentazione dei mosti di birra, sia nelle distillerie, sia, infine, nelle fabbriche di lievito compresso, vi è una fase iniziale comune di partenza: quella delle colture pure e selezionate, alla cui preparazione abbiamo già accennato.
La coltura, proveniente dal laboratorio in masse varianti da pochi cmc. ad alcune decine di litri, viene passata in un apparecchio speciale per la produzione continua del lievito puro, di dimensioni varianti da 1 a 10-20 hl. secondo la natura e potenzialità dell'impianto, il quale è costituito da un recipiente chiuso di rame internamente stagnato, munito di tutti i dispositivi atti a garantire la sterilità dei mosti, la filtrazione dell'aria necessaria in tutte le operazioni di scarico e carico e gorgogliamento, nonché il mantenimento della temperatura ottima.
Questa prima fase comune ha lo scopo di ottenere una rapidissima moltiplicazione di cellule e una massa iniziale considerevole di mosto-madre per alimentare le successive fasi.
Per i particolari sulla fermentaaione della birra, vedi birra, VIl, p. 81 segg.; qui ci limitiamo a un cenno di quanto avviene nelle distillerie e nelle fabbriche di lievito. È chiaro che, essendo pressoché opposti gli scopi finali perseguiti da queste due industrie, diversi saranno i criterî seguiti nella fermentazione.
Nelle distillrrie di alcool, dopo la fase iniziale della preparazione del lievito puro che viene fatta con mosti a bassa densità i quali insieme con l'aerazione realizzano le condizioni più favorevoli per una rapida e abbondante riproduzione di lievito, questo viene scaricato dall'apparecchio, nella proporzione di tre quarti circa della massa, nei tini di fermentazione nei quali va a costituire il cosiddetto "piede di fermentazione" che può variare da uno a due quinti della portata del tino stesso.
L'apparecchio viene di nuovo alimentato con mosto sterile a bassa densità per la produzione di una nuova madre, mentre il tino si alimenta gradualmente con mosto assai più denso e ricco perciò in zucchero, proporzionalmente al grado alcoolico che si vuole o si può raggiungere. Ad alimentazione compiuta, quando cioè il tino è pieno, la fermentazione, condotta senza aerazione e a una temperatura intorno ai 30°, prosegue il suo corso fino alla scomparsa totale dello zucchero, la qual cosa si avverte facilmente sia perché viene a cessare lo sviluppo del gas carbonico, sia per la densità che deve scendere fino a un determinato limite. Dopo di che il liquido fermentato viene inviato alla distilleria per l'estrazione dell'alcool.
Le materie prime adoperate su più larga scala nella fabbricazione industriale dell'alcool sono il sugo greggio e il melasso di barbabietola, i cereali in genere e i tuberi contenenti amido, quali le patate, i topinambur, ecc. Però sia i cereali sia le patate contengono amido il quale non è direttamente fermentato dai lieviti, quindi su tali sostanze, previamente macinate e impastate con acqua, si deve trasformare l'amido in zucchero, si deve cioè operare la saccarificazione che si compie sia per azione enzimatica con la diastasi contenuta nell'orzo germinato, sia per azione degli acidi inorganici sotto pressione, sia per azione di alcune muffe le quali associate in simbiosi ai lieviti costituiscono un procedimento tutto speciale chiamato "Amylo". Nell'utilizzazione del melasso il procedimento è assai semplice perché una diluizione operata con le dovute regole è sufficiente per mettere il saccarosio contenuto nelle migliori condizioni di fermentazione. Più semplice ancora è la lavorazione del sugo greggio di barbabietola quale proviene dalle batterie di diffusione degli zuccherifici, che viene sottoposto senz'altro all'azione fermentativa del lievito.
Molta importanza si dava in passato al grado di acidità libera dei mosti che veniva calcolata in grammi di acido solforico per litro e sui cui limiti di oscillazione peraltro erano dai diversi autori segnati valori molto diversi. Era già noto che i lieviti devono lavorare in ambiente acido, ma non si comprendeva come lo stesso grado di acidità desse risultati differenti col variare della materia prima adoperata. Negli ultimi tempi si è accertato che ciò che influisce sulla fermentazione è il grado di ionizzazione dell'acido e non quello di acidità libera. Si comprendono da ciò le anomalie di comportamento notate: in questi mosti che, come il melasso, sono molto ricchi di sali organici, l'acido minerale si lega dapprima alla base organica liberandone il relativo acido, e poiché gli acidi organici hanno un potere di ionizzazione vario e molto basso, vario era il grado di acidità libera che si otteneva per avere una determinata ionizzazione. Con questo nuovo criterio è facile raggiungere il regime optimum di pH per cui si conducono le fermentazioni con una sicurezza e costanza di risultati prima non possibile, tanto che si è potuto rinunciare a fasi intermedie in cui, come negli apparecchi a lievito, si alimentava con mosti sterili.
Una lavorazione che negli ultimi tempi ha assunto una grande importanza anche in Italia è quella del lievito compresso per panificazione.
È noto che i lieviti usati nella panificazione si distinguono in due tipi: lievito naturale di pasta acida e lievito compresso. Il primo è quello che si ottiene dalla fermentazione spontanea dei germi contenuti nella farina quando questa venga impastata con acqua. Tali germi, oltre che di varie specie di saccaromiceti, constano di numerose altre specie batteriche che dànno luogo alla produzione di acidi (v. Pane, XXVI, p. 180 segg.).
Oggi, per quanto in alcuni paesi si sia ancora tenacemente attaccati ai vecchi sistemi di panificazione naturale, si va diffondendo con molta rapidità l'uso del lievito compresso, il quale si può ottenere su larga scala, in uno stato di assoluta purezza e con una costanza tale di caratteri fermentativi da assicurare la più assoluta regolarità nello svolgimento delle varie operazioni di panificazione che ne risultano molto abbreviate con risparmio di tempo, mano d'opera e combustibile e con notevole miglioramento della qualità. Il lievito compresso, detto impropriamente da molti lievito di birra, perché in passato a tale scopo venivano utilizzati i depositi di lievito che rimanevano nelle fermentazioni dei mosti di birra, si prepara attualmente da mosti di cereali saccarificati, oppure dal melasso.
In Italia, pressoché la totalità del lievito compresso si prepara con quest'ultima materia prima, sicché ci limiteremo a dare un breve cenno del procedimento dal melasso quale viene seguito dalle fabbriche italiane.
Esistono in una fabbrica di lievito due reparti a funzioni ben distinte: uno di preparazione, l'altro di fermentazione. Nel primo reparto si trova una serie di tini ordinariamente di legno di capacità varianti dai 50 ai 200 hl. muniti di dispositivi per il gorgogliamento del vapore e dell'aria, di tubazioni di acqua calda e fredda, carico e scarico del melasso. In questo reparto la materia prima viene variamente diluita secondo la fase di fermentazione cui è destinata, trattata con sali fosfatici e ammonici necessarî alla nutrizione del lievito, e opportunamente acidificata. Nel reparto fermentazione dobbiamo distinguere varie generazioni che si svolgono in un'apposita serie di vasche di lamiera di ferro o altro materiale. La parola generazione è veramente impropria perché la velocità di riproduzione del lievito è tale che si possono avere fino a quattro generazioni nello spazio di un'ora; ma ci riesce comoda per fissare le varie fasi.
1a generazione: per ogni 100 kg. di melasso diluito a 12 Balling e contenenti 5 kg. di perfosfato minerale e 5 di fosfato ammonico e acidificati al 0,2-0,25%., di acido solforico si aggiungono circa kg. 9 di lievito-madre proveniente dal laboratorio e si fa fermentare a 24°-27° senza aerare per la durata di 8-9 ore finché la densità sia scesa a 5 Balling. Tale fase si svolge nell'apparecchio a lievito citato.
2a generazione: la massa fermentata viene passata in tino di adeguata capacità e alimentata con 4 ql. di melasso diluito a 9 Balling e contenenti complessivamente 24 kg. di perfosfato e 24 di solfato ammonico e acidifi-ati al 0,2-0,25% di acido solforico. Si fa fermentare a 26° circa con aerazione nella misura di 300 mc./ora; dopo 8-9 ore la densità sarà scesa a 4-5 Balling.
3a generazione: la massa fermentata come sopra viene passata in altro tino di adeguata capacità (450-500 hl.) dove viene alimentata con circa 6 ql. di melasso diluito a 9 Balling contenente kg. 85 di perfosfato e altrettanti di solfato ammonico e leggermente acidificato. L'alimentazione viene fatta per gradi nello spazio di tre ore circa in maniera che la densità ilel liquido scenda di circa due gradi all'ora. Compiuta l'alimentazione si fa fermentare a fondo aerando nella misura di mc. 1800 per ora. A fermentazione compiuta la massa viene centrifugata e il lievito raccolto inviato ad un tino di lavaggio e nuovamente centrifugato, indi messo in appositi cassoni con coperchio a tirante e conservato in frigorifero qualora non venga immediatamente utilizzato.
4a generazione: si stempera il lievito ottenuto precedentemente in due tini nella misura di kg. 300 per tino contenente un piede di fermentazione di circa 120 hl. di mosto; si lascia fermentare per un'ora circa aerando a 2300 mc. per ora; poi si alimenta con portata sempre crescente con mosto a 6 Balling. Durata complessiva della fase ore 9 circa; melasso complessivo impiegato q. 28; lievito ottenuto come alla 3ª generazione kg. 2800.
5a generazione: si sottopone il lievito della generazione precedente a fermentazione con le norme solite. Per 280 kg. di lievito impiegato che è alimentato con complessivi q. 14 di melasso si ottengono circa kg. 1250 alla fine della fermentazione e in definitiva kg. 12.500 dai 2800 kg. risultanti alla quarta fase, con un impiego complessivo di kg. 179 di melasso. Tali rese vanno un po' diminuite per gli sfridi di lavorazione e si possono fissare nella cifra di kg. 110-120 di lievito per % di saccarosio impiegato.
Il lievito della 5ª generazione, che costituisce il prodotto commerciabile viene trattato in un'impastatrice con un po' d'acqua, burro di cocco e acido, secondo la stagione e la qualità, poi è confezionato in pezzi da ¼ o ½ kg. in un'apposita impacchettatrice e messo in commercio.
In caso di necessità in periodo di eccezionale e imprevista richiesta ci si potrebbe spingere ad una sesta generazione, ma la cosa non è troppo consigliabile perché il lievito potrebbe risultare di scarsa forza fermentativa; per contrapposto, nulla vieta di fermarsi alla quarta; si ha un lievito più robusto ma una resa minore.
Lo schema su riportato non è naturalmente identico per tutte le fabbriche, specie per quelle a lievito basso, ma non presenta neanche diversità fondamentali. Nel lievito basso, detto anche pesante, si hanno fasi in cui non si dà aria o la si dà in misura assai limitata. Si ottengono allora dei mosti un po' più alcoolici dai quali, una volta separato il lievito, si estrae l'alcool per distillazione. Nelle fasi in cui non v'è aerazione, la fermentazione si fa avvenire in tini chiusi e si raccoglie l'anidride carbonica sviluppata per comprimerla in bombole e metterla in commercio.
Un buon lievito pressato deve corrispondere ai seguenti requisiti: gr. 300 di farina impastati con gr. 150 di acqua e gr. 3 di lievito alla temperatura di 40° entro un cilindro graduato devono portarsi da un volume iniziale di cmc. 400 a uno di 1050-1100 nello spazio di due ore.
Un kg. di lievito compresso è sufficiente per il trattamento di un quintale di farina.
La produzione del lievito che subito dopo la guerra mondiale era di kg. 2.500 annui , è salita in Italia nel 1920 a 18.000 kg., nel 1925 a kg. 43.000 nel 1930 a kg. 68.000, e nel 1933 a kg. 75.000. Sono stati anche messi in commercio lieviti compressi speciali detti lieviti forti, con i quali, a parità di tempo, il rigonfiamento del pane è maggiore di quello che si ha con i lieviti normali e si riscontrano vantaggi anche per la cottura.
Bibl.: G. De Rossi, Microbiol. agr. e tecnica, Torino 1927; E. Kayser, Microbiol. appliquée à la transf. des produits agric., Parigi 1921; G. Dejonghe, Traité complet de la fabrication de l'alcool et des levures, Parigi 1899-1903, voll. 3; È. Duclaux, Traité de microbiol., ivi 1897-1901, voll. 4.