Liezi
Opera cinese della tradizione taoista, che porta il nome del maestro Lie Yukou, più noto come Liezi, forse vissuto nel 4° sec. a.C. e contemporaneo di Zhuangzi. Costituita da 8 capitoli, fu considerata, verso la metà dell’8° sec. d.C., con il Daode jing (➔) e lo Zhuangzi (➔), un classico taoista, ricevendo anche il titolo onorifico Chongxu zhenjing («Autentica scrittura sul vuoto imperscrutabile»). Di contenuto assai vario, mutuato da diversi testi, fra cui lo stesso Zhuangzi, il L. è menzionato per la prima volta come opera nel 14 a.C. da Liu Xiang (79-8 a.C.), noto bibliografo imperiale. Di Zhang Zhan è invece il primo commentario preservato, risalente al 4° sec. d.C. Temi taoisti ricorrono nella trama degli aneddoti, nei dialoghi e nella trattazione di questioni dottrinali. Così il dao (➔), incomprensibile allo stesso saggio, è ciò che esiste per sua esclusiva potenza; non dipende da alcunché, non si origina, eppure è la sorgente di ogni vita; non diviene, eppure genera tutte le trasformazioni. Pertanto, la conoscenza ordinaria, ma anche quella affettata dei saggi, sono speciose, vane, illusorie, giacché la conoscenza conseguita dall’uomo superiore discende dal principio assoluto, cioè dal dao: infatti un tal uomo – si legge nel L. – «forma un tutt’uno con le altre cose e quindi nessuna cosa può essergli di ostacolo. È per questo che è capace di passare attraverso il metallo e la pietra, di immergersi nell’acqua e nel fuoco» (II, 12). In altri termini, il suo dao è in armonia con il tutto: «Infatti sono le cose che si contrappongono al Dao, non è il Dao che si contrappone alle cose» (IV, 15).