LIGNITE (fr. lignite; sp. lignito; ted. Braunkohle; ingl. lignite)
La lignite è un combustibile fossile solido, corrispondente a uno stadio di carbonizzazione intermedio fra quello della torba e quello del litantrace. Ha color bruno, talora nero, peso spec. 1,1 a 1,4; dà con la potassa caustica a caldo una colorazione bruna, ha un potere calorifico assai variabile a seconda della composizione e del contenuto in acqua. Nelle ligniti italiane si possono distinguere varî tipi, e cioè, secondo la classificazione delle ultime pubblicazioni ufficiali, i seguenti:
1. Lignite torbosa (ted. Moorkohle) in cui si possono ancora riconoscere i residui delle minute piante lacustri da cui la lignite proviene; è tenera, assai ricca d'acqua e in generale di ceneri, è geologicamente giovane, per lo più del pliocene. Se ne hanno giacimenti in Toscana (bacino del Casentino, in provincia di Arezzo, in provincia di Siena - comuni di Torrita, Siena, Castelnuovo, Poggibonsi - in provincia di Firenze, bacino del Mugello); le più importanti sono nell'Umbria (comuni di Gubbio, Gualdo Cattaneo, Deruta, Todi, Piegaro, ecc.). Degno di nota è pure il giacimento di Valgandino e Leffe in provincia di Bergamo.
2. Lignite torbo-legnosa o xiloide in cui al materiale torboso si aggiungono percentuali variabili fino al 50% di tronchi legnosi e frammenti di rami e di radici, a cui si è dato il nome di piligno (ted. Lignit). Anch'essa è ricca d'acqua. I giacimenti più importanti sono quelli del bacino di Valdarno superiore (comuni di Figline, Valdarno, Cavriglia, Montevarchi) valutati complessivamente a 92 milioni di tonnellate; importante è pure il bacino di Morgnano, nel comune di Spoleto.
3. Lignite picea, così detta perché ricorda la pece per il colore nero lucente e per la frattura spesso concoide; è la migliore dei tre tipi e talora si avvicina notevolmente al litantrace con potere calorifico anche superiore a 7000 calorie. I bacini più importanti sono quelli dell'Arsa (Istria) e di Gonnesa (Sardegna), entrambi dell'Eocenico, altri minori si hanno nel Miocenico della valle della Bruna e in quello dell'Ombrone (Grosseto) e a Murlo (Siena).
Caratteri. Formazione. - Le ligniti torbose, torbo-legnose, legnose (piligni), brune, nere, semipicee e picee costituiscono una categoria numerosa di combustibili fossili, per la quale non è facile indicare caratteristiche di ordine generale.
Nella classificazione dei combustibili fossili dettata da E. L. Gruner, tenendo conto e dell'analisi immediata e di quella elementare del combustibile, le ligniti (escluse le picee grasse) vengono delimitate dalle seguenti caratteristiche: materie volatili 60-50%, coke polverulento, affatto agglomerato 40-50%; C 65-75%, H 6-4%, O + N 29-21%, rapporto
= circa 5. La classificazione più recente dell'U. S. Geological Survey, basata invece sul valore del rapporto C/H e sul tenore del combustibile nei costituenti di Illingworth dà per le ligniti C/H compreso fra 9,3 e 11,2, presenza in quantità relativamente piccola del costituente α, piccola dei costituenti β e γ, abbondanza di costituenti umici. I costituenti di Illingworth si differenziano fra loro per la diversa solubilità nei solventi organici, per la genesi e per la temperatura di distillazione.
L'analisi medio-ponderale delle ligniti italiane dà questi risultati: umidità 36,8%, ceneri sul secco 20,9%, ceneri + umidità 50,1%, sostanza combustibile 49,9%, potere calorifico superiore (Mahler) sul secco 4865 Cal.
L'umidità media delle ligniti picee è di circa il 10%, mentre quella delle xiloidi e, in modo speciale, delle torbose, raggiunge il 50-60%. E poiché per gli usi essa dovrebbe essere di molto minore, alle miniere viene in parte eliminata spargendo il combustibile all'aperto sotto tettoie o coperture mobili. L'umidità viene così ridotta al 25 e anche al 20%: che è il limite commerciale. Occorre però tenere presente che la lignite secca si ossida rapidamente all'aria specialmente se in polvere o in frammenti minuti e che quindi l'ammucchiamento va fatto in maniera da evitare le combustioni spontanee che possono prodursi sia sui piazzali delle miniere sia nei magazzini. Anche nella determinazione analitica dell'umidità di una lignite è necessario evitare questa facile ossidazione del combustibile: si riscaldano perciò i campioni fuori del contatto dell'aria, ad esempio, in gas inerte.
Le ligniti si ritrovano quasi esclusivamente nei terreni dell'epoca terziaria cioè nell'Eocene, nel Miocene, nel Pliocene e nel Quaternario. Raggruppando le diverse specie di lignite su ricordate in due grandi classi: picee e xiloidi, possiamo dire che le prime si incontrano generalmente nei terreni terziarî più antichi, nel Miocene cioè e nell'Eocene ove alcune volte coesistono le xiloidi le quali però di preferenza giacciono nel Pliocene e nel Quaternario antico. Queste ultime ligniti talvolta provengono da alberi e da fusti così poco decomposti da costituire veri tronchi e rami appena modificati nel colore e nell'aspetto primitivo: ciò che forma il piligno. I depositi costituiti dalle parti più minute e leggiere delle piante fluitate e dalle piante acquatiche hanno dato luogo a banchi di lignite torbosa che alcune volte sono in continuazione di quelli di piligno. Condizioni favorevoli ai depositi di lignite si sono verificate negli antichi bacini chiusi marini o lacustri, nelle insenature dei fiumi, non solo, ma anche in quelle delle coste marine e negli estuarî dei fiumi: si hanno perciò anche depositi lignitiferi di estuario. Oltre l'azione del tempo e dell'acqua, le ligniti nere e picee hanno subito quella della temperatura e della pressione elevata, condizioni queste ultime che sembra non si siano verificate, o, se pure, in modo assai blando nei riguardi delle formazioni xiloidi. In alcuni bacini però si può notare direttamente il passaggio del piligno a lignite nera e quasi picea come, ad es., si verifica nel bacino italiano di Cerretoli (Castelnuovo di Garfagnana). La minore pressione subita dai depositi post-pliocenici si arguisce anche dal fatto che i depositi miocenici hanno spessori non molto elevati - da pochi decimetri a qualche metro - mentre quelli pliocenici arrivano a spessori di diecine e diecine di metri.
Utilizzazione. - La lignite, come il carbon fossile, si usa principalmente come combustibile. È da notare però che essa manca di potere agglomerante e spesso col brusco riscaldamento si frantuma in piccoli pezzi. Perciò non può essere direttamente usata (salvo che non sia buona lignite picea o lignite nera di tipo speciale) negli stessi impianti alimentati a litantrace o ad antracite, ma va utilizzata o in focolari a griglie speciali, adatti per combustibili molto minuti, o in impianti a combustibile polverizzato, sempre che, in quest'ultimo caso, il contenuto e la natura delle ceneri ne consentano l'utilizzazione.
Per impiegarla direttamente come combustibile, la lignite va sottoposta all'operazione di brichettatura. A seconda del tipo di lignite, l'operazione può avvenire a secco o a umido, a caldo o a freddo, con o senza l'aggiunta di materia agglomerante (carbone grasso, pece, catrame, melasso, residui della lavorazione del cellulosio, gesso, cemento, ecc.), ma in genere però a mezzo di pressione. La lignite polverizzata e se occorre seccata in essiccatori a piatti, a ripiani o a tubi, a fuoco diretto o a circolazione d'aria o di gas inerti o di vapore, viene compressa in filiere o stampi, agglomerandosi in forma di cilindri, ovoidi, mattonelle di varia grandezza. La brichettatura è molto in uso in Germania: specie durante la guerra mondiale la lignite, con questo sistema, ha trovato larghissimo uso diretto in impianti di riscaldamento fissi e mobili. In Italia la brichettatura della lignite è stata applicata nelle miniere di S. Giovanni Valdarno. Il materiale estratto dalla miniera viene grigliato con griglie a larghe maglie: ciò che passa viene inviato ai frantoi a cilindri seguiti da una serie di vagli. La polvere minuta viene seccata in un essiccatoio a diaframmi riscaldati a vapore, munito di un aspiratore per l'eliminazione del vapor d'acqua proveniente dalla lignite. Un compressore a pistone comprime la polvere di lignite in una matrice che ha la forma della mattonella sottoponendola a una pressione di 100 tonn. per cmq. Questa enorme pressione dà al materiale una coesione sufficiente per la sua agglomerazione: la lignite secca ha un peso specifico di 1,15, la mattonella di 1,30. Le mattonelle hanno al massimo 3% di umidità, 10% di ceneri e un potere calorifico medio di 5200 cal./kg.
Oltre che usata direttamente come combustibile, la lignite può essere anche distillata o gassificata.
La mancanza di potere agglomerante e l'autofrantumazione a caldo rendono per una gran parte delle ligniti difficile la distillazione ad alta temperatura: essa è stata tentata però con buoni risultati per alcune ligniti picee notevolmente grasse e si è ottenuto un discreto coke mescolando a ligniti magre in pezzatura conveniente carbone fossile grasso e anche legno in pezzi. Qualche tipo italiano di lignite potrebbe, più o meno mescolato al carbon fossile, prestarsi per la distillazione ad alta temperatura, se fosse possibile eliminarne lo zolfo contenuto in proporzioni elevatissime che passa in gran parte nei prodotti volatili della distillazione, i quali d'altronde sono ricchi d'anidride carbonica. La tab. precedente dà l'analisi elementare e la composizione dei gas d'alta distillazione di qualche tipo di lignite picea italiana.
Relativamente più facile è la realizzazione di procedimenti di distillazione a bassa temperatura. Con tali procedimenti si possono ottenere notevoli quantità di catrami leggieri prevalentemente della serie grassa, semicoke e gas di riscaldamento. L'impiego del semicoke polverulento, in ogni caso minuto, perché in tal forma deve essere la lignite da trattare, è il problema essenziale da risolvere per assicurare l'economia del procedimento. E i Tedeschi l'hanno in alcuni casi risolto, impiegando il semicoke per l'esercizio di grandi centrali termo-elettriche.
Negl'impianti tedeschi la lignite preventivamente essiccata e polverizzata (l'essiccamento vien ottenuto coi gas inerti della combustione) viene distillata in forni speciali riscaldati con parte dei gas di distillazione, tutti preventivamente depurati con separatori elettrostatici dal catrame in essi contenuto. Questo viene lavorato per ottenere olî e benzine, il semicoke viene usato in impianti di combustione a polverino. Nell'essiccamento e nella polverizzazione della lignite si forma una certa quantità di minuto pulviscolo che resta sospeso nell'atmosfera: esso, ricuperato precipitandolo elettrostaticamente, può venire usato in motori tipo Diesel a combustibile solido (brevetti Rupa). Impianti di distillazione di lignite a bassa temperatura sono stati studiati pure in Italia. A S. Giovanni Suergiu (Sardegna) è stato collaudato un impianto di questo tipo (brevetti Bianchi-Guardabassi): sue particolarità sono il tipo del forno a coclea e un sistema catalitico che permette di crackizzare nel forno stesso il catrame primario arricchendolo in parti leggiere. Il semicoke si dovrebbe impiegare per la fabbricazione del litopone, il catrame per ottenere benzina, mentre i gas che dal cracking del catrame vengono arricchiti in idrocarburi leggieri dovrebbero subire una speciale lavorazione di ricupero prima di essere impiegati per il riscaldamento dei forni. L'impianto non è ancora in esercizio normale. Il nocciolo del problema è l'impiego del semicoke: il problema, tecnicamente risolto, presenta solo incognite di ordine economico. La distillazione della lignite italiana a bassa temperatura, dato l'elevato costo della materia prima per speciali condizioni geologico-minerarie, deve affiancarsi a un'altra lavorazione che adoperi direttamente il polverino di semicoke risultante dalla distillazione per valorizzarlo al massimo. Secondo il valore di questo polverino, l'industria può o no riposare su basi economiche, salvi più alti interessi nazionali.
La gassificazione delle ligniti è pure largamente praticata. In Italia vi si è fatto ricorso, specialmente durante la guerra, quando la difficoltà e la penuria dei trasporti rendevano necessario adoperare materie prime locali, in sostituzione del carbone.
Così presso gli Altiforni di Piombino la lignite è stata gassificata a gas Siemens in gassogeni speciali, da sola o unita ad altri carboni per alimentare i forni Martin: analoghe installazioni funzionano a Terni presso le locali acciaierie ove si usano i piligni di Spoleto. Ecco la composizione del gas di gasogeno ottenuto con alcune ligniti italiane:
Altri impianti sono sorti in Italia a Pietrafitta (Perugia) e recentemente al Bastardo (Gualdo Cattaneo). Ambedue gassificano le ligniti torbose delle sottostanti miniere in gasogeni a griglia girevole con aria satura di vapore d'acqua. Il gas misto, dopo condensazione del vapore, viene lavato con soluzioni acide di solfato ammonico per ricuperare l'ammoniaca, quindi viene depurato dai catrami. Nell'impianto del Bastardo la depurazione del catrame vien eseguita con depuratori elettrostatici, sistema Lurgi, in due stadî onde recuperare i catrami pesanti e gli olî leggieri contenuti nel gas. I gas depurati vengono adoperati a Pietrafitta per produrre vapore onde azionare turboalternatori; al Bastardo invece il gas è inviato a bruciare in motori a scoppio azionanti direttamente alternatori trifasi: i gas di scappamento combusti cedono il loro calore a caldaie per produzione di vapore. Da 150.000 tonn. di lignite si preventivava produrre kWh 70-80.000.000; solfato ammonico q. 40.000; catrame q. 25.000. I due impianti non sono ora in esercizio.
Le ligniti possono anche gassificarsi a gas d'acqua, ben inteso con le riserve dipendenti dalla loro costituzione e dalla loro natura, cui abbiamo già accennato. Esperienze interessanti si sono fatte recentemente in Germania per produrre gas d'acqua dalla lignite in gassogeni a marcia continua, costituiti da una camera di reazione riscaldata dall'esterno con gas di generatore, nella quale camera vengono iniettati contemporaneamente polvere di lignite e vapore surriscaldato.
Recenti studî di gassificazione di combustibili con ossigeno e vapore sono in particolar modo interessanti perché possono riguardare possibili applicazioni della lignite per la produzione di combustibili liquidi sintetici (alcool metilico, benzine sintetiche, ecc.).
Alcune varietà di ligniti picee hanno una compattezza tale, un così intenso color nero e una brillantezza così viva, da fare adoperare questo combustibile (giaietto) per la fabbricazione di minuterie ornamentali. Un'altra varietà di lignite detta Lipobiolite o carbone ceroso contiene una sostanza cerosa detta piropissite: di tali ligniti se ne avevano con un contenuto in cera del 70%; oggi sono considerate ricche quelle che ne contengono il 25%.
Per ricavare la cera (Montanwachs) si può comprimere fortemente il combustibile riscaldato o meglio sottoporlo a un'estrazione con benzolo. La lignite essiccata, frantumata in granelli e di nuovo essiccata, viene trattata in apparecchi a estrazione a caldo con benzolo: l'estratto separato per distillazione dal benzolo contiene oltre la cera, il 25-50% di resina. Riprendendo a caldo con una quantità dosata di solvente, si separa con successivo raffreddamento la cera greggia il cui punto di fusione si aggira intorno agli 80-90°. La cera fossile per distillazione dà paraffina: è un perfetto isolante, serve per indurire grassi e cere non consistenti vegetali e animali, per dischi di fonografo, paste per lucidare, ecc.: è assai simile per aspetto e per i suoi usi alla cera carnauba.
Riserve. Produzione. - Le riserve mondiali di lignite, accertate o presunte fino alla profondità di 2000 metri, si calcolano in 2910 miliardi di tonnellate così distribuiti fra i varî continenti: Europa 50; Asia 10; Africa 10; America 2800; Oceania 40. In Europa, le maggiori riserve sono possedute dalla Germania (15 miliardi), dall'U.R.S.S. (12 miliardi), dalla Cecoslovacchia (13 miliardi).
La produzione degli ultimi anni risulta dalla tabella:
La Germania ha dato il maggiore sviluppo alla produzione di lignite. Essa ha molti depositi, ma sfrutta su vasta scala principalmente i depositi della regione di Lusazia, quelli intorno a Halle, a Weissenfels, a Bitterfeld (sede dell'industria chimica), a Colonia. Le condizioni della produzione sono molto favorevoli. L'escavazione è fatta spesso a cielo aperto. Il prodotto è principalmente destinato alla produzione di energia elettrica (v. elettrica, energia) e all'industria elettrochimica.
La riserva italiana di lignite si aggira intorno ai 400 milioni di tonnellate in situ: questa cifra, a dir vero molto approssimativa, indica solo un ordine di grandezza, perché non tutti i giacimenti sono conosciuti e non tutti i conosciuti sono stati esplorati e stimati. La cifra di 400 milioni è così formata: 217 milioni di tonnellate di lignite torbosa, 112 milioni di torbo-legnose, 71 milioni di picee e semipicee: solo l'80% di questi quantitativi in situ è però estraibile dato che, generalmente, in Italia la lignite non affiora alla superficie del terreno, ma, per raggiungerne gli strati, occorre spesso discendere e lavorare in galleria. Adottando il rapporto 9/2 per l'equivalenza fra lignite e carbon fossile, rapporto stabilito dalla Conferenza economica internazionale di Ginevra, le riserve italiane di lignite corrisponderebbero a circa 70 milioni di tonnellate di carbon fossile.
Bibl.: A. Fürth, Braunkohle u. ihre chem. Verwetung, Lipsia 1926; C. Richter e P. Horn, Die mechan. Aufbereitung d. Braunkohle, Halle 1926; G. De Florentiis, Ligniti e torbe, Milano 1927; A. Pacchioni, in Gas e Acqua.