Liguria
Si deve intendere per L. la regione marittima che D. circoscrisse fra Lerici e Turbia (Pg III 49), precisando il primo limite sul fiume Magra che per cammin corto / parte lo Genovese dal Toscano (Pd IX 88-89), secondo l'opinione di Plinio basata sulla divisione augustea. Identificazione in cui al tempo di D. coincideva l'area politica della ‛ Januensis Marchia ' con un'unità linguistica (VE I VIII 7). Questa regione è fra quelle poste sul lato destro dell'Appennino (I X 7), ossia è delimitata a nord dalla displuviale alpino-appenninica. D. ebbe sulla L. nozioni abbastanza precise, non solo da Pomponio Mela, ma dai portolani, relativamente esatti. Il nome L., tuttavia, nelle sue opere non appare, in quanto considerato equivoco, spesso scambiato allora con quello di Lombardia. Persino nel Catholicon del genovese Balbi (1286) la L. è definita " quaedam provincia in qua sunt Vercellae, Novaria, Mediolanum, Papiae "; d'altra parte il planisfero di Hereford nell'età dantesca designa la pianura lombardo-veneta come " Longobardia haec et Liguria ". Usato, invece, in Ep VII 11 è il termine ‛ Ligurum fines ' nel significato di ‛ Januensis Marchia '.
Non abbiamo alcuna prova di un soggiorno di D. in Liguria. Nella sua opera vi sono precisi richiami a Lerici, alla fiumana bella che s'adima fra Sïestri e Chiaveri (Pg XIX 100-101) alla ripida discesa dalla strada litoranea all'abitato di Noli (IV 25), a Turbia (III 49); essi assumono particolare valore se al secondo si attribuisce il significato proposto da A. Chiama di designazione dell'intera valle del Lavagna, da Siestri di Neirone al mare di Chiavari, dove oggi il fiume ha ripreso il nome classico di Entella. Una conoscenza così precisa implicherebbe che D., viaggiando verso Genova, avesse risalito il corso del fiume. Tuttavia riteniamo sia da tener presente che esaurienti informazioni sulla vallata del Lavagna, e sui domini dei conti di Lavagna, cui Adriano V farebbe così preciso riferimento, D. in ogni caso poté avere conversando con Alagia Fieschi, la nipote buona da sé (XIX 143) del pontefice, e moglie di Moroello Malaspina marchese di Giovagallo.
Gli altri riferimenti alla L. sono assai meno puntuali, e non richiedono conoscenza diretta dei luoghi. Tanto meno possono servire per avallare un viaggio in Francia di Dante. Da tempo è contrastata la tesi di un soggiorno di D. nel monastero di S. Croce del Corvo sulla punta estrema della penisola di Lerici, desunta dalla lettera di frate Ilaro (v.). Né si ha alcuna prova di un soggiorno di D. a Genova, ospite dei Fieschi (in realtà per lui casa malvagia: Pg XIX 144). E leggendario pare il racconto del cronista genovese U. Foglietta (Clarorum Ligurum elogia, Roma 1577, 80) di un'aggressione subita a Genova dal poeta a opera di scherani di Branca Doria, e da lui vendicata con l'invettiva di If XXXIII 151-153, di cui in realtà è difficile trovare una cagione specifica, mentre genericamente sovvengono la tradizione latina, alimentata dal ricordo delle lunghe e difficili guerre condotte dai Romani contro i Liguri, le ‛ malvagità ' dei Fieschi e dei Doria, e il pesante giudizio che dei molesti vicini davano i Malaspina. Il Pézard vorrebbe vedere nelle due invettive contro Pisa e Genova la condanna delle repubbliche traditrici della cristianità crociata (Le chant XXXIII de l'Enfer, in " Bull. Société d'Études Dant. du C.U.M. " IX-X [1961] 7-34).
La più famosa citazione pertinente la L. ricorda le scoscese frane della costa fra Lerici e Turbia (Pg III 49-51), di cui può avere avuto conoscenza anche solo costeggiando le Cinque Terre, o da descrizioni. Il riferimento a Turbia è più facile sia quello di un letterato che quello di un viaggiatore.
Oltre che la discesa su Noli dall'antica strada litoranea, ha valore di riferimento preciso - come sempre in D. - l'uso dei toponimi nell'episodio di Adriano V; ma non meno significativa è la contrapposizione retorica di s'adima con fa sua cima in un episodio rifatto, come exemplum, sulla tradizione riferita ad Adriano IV da Giovanni di Salisbury. Il passo, piuttosto che una commozione di poeta colpito dalla vista della fiumana bella, sembra scoprire la volontà di compiacere Alagia Fieschi.
Fortuna di D. in Liguria. - Allo stato attuale delle ricerche, sembra che in L. - forse a Genova, secondo il Vandelli - sia stato esemplato (1354) un solo codice, l'attuale 10186 della Bibl. Nazionale di Madrid. Si ricorda peraltro che proprio a Genova fu esemplato da Antonio " de Firimo " il prezioso codice Landiano, oggi a Piacenza, che, al contrario dell'altro, non presenta alcuna caratteristica linguistica propriamente ligure. I codici delle opere dantesche esistenti in biblioteche liguri sono: i tre codici della Commedia conservati un tempo nella biblioteca dei marchesi Durazzo-Pallavicini (due di essi ora nella collezione Negrotto Cambiaso Giustiniani, sempre a Genova), tutti del sec. XV; una Commedia membranacea del sec. XIV col commento del Lana alla Comunale di Savona; il codice Baratta, pure membranaceo, del sec. XLV, proprietà del Banco di Chiavari e della Riviera Ligure, oltre a vari frammenti a Genova e a La Spezia.
Assai povera l'attività editoriale genovese. La prima edizione della Commedia è del 1839 (per la questione se essa fu stampata a Genova, come scritto sul frontespizio, o a Firenze, come riportato sulla copertina, v. Mambelli, Annali 109); del 1882 è la cosidetta ‛ prima edizione ligure ', non seguita da altra per un cinquantennio. Un collezionista dantofilo, Evan Mackenzie, raccolse in Genova esemplari di quasi tutte le edizioni dantesche, e nel 1921 un magnifico catalogo, a cura di U.L. Morichini, illustrò questa biblioteca, nel 1939 donata alla città di Genova, e dal 1958 affidata alla Comunale Berio. Nello stesso anno il comune acquistò la collezione di A. Beer, contenente edizioni pregiate delle opere minori di D., e molte opere critiche. Queste due collezioni, unite al fondo Berio, incrementato con opere recenti, costituiscono un complesso assai importante, che fra l'altro comprende 518 edizioni, 144 traduzioni della Commedia, 3000 monografie. Alla Berio sono pure depositati due dei codici Durazzo, e il Convivio del 1490 di Francesco Bonaccorsi.
La fortuna di D. in L. segue a grandi linee quella del poeta nelle altre regioni d'Italia, salvo un minor interesse correlato a una minore partecipazione alla vita letteraria. Di Genova è il primo oppositore alla Monarchia, Guglielmo da Sarzano; ma le opere di D. in volgare certamente tardarono a diffondersi per difficoltà linguistiche, e furono apprezzate per la loro dottrina arcana o scoperta. Il diffondersi della cultura, il prestigio ormai universale delle " tre corone ", tuttavia, favorirono la presenza del capolavoro dantesco nelle biblioteche liguri nobiliari, e certo anche ecclesiastiche, alla fine del Trecento, e poi nel Quattrocento.
Alla seconda metà di questo secolo appartiene l'attività di Bartolomeo Gentile Falamonica, i cui Canti sono un vasto poema enciclopedico in terzine, che vuol esporre il sistema della realtà universale attraverso gl'insegnamenti di Raimondo Lullo. L'opera fu da taluno addirittura preferita alla Commedia; in realtà fu presto dimenticata, poi ritrovata nel 1821. E in 42 canti, e sostituisce al dramma etico della salvezza la celebrazione del sapere. Gli ultimi canti sono dedicati ai tre regni dell'oltretomba. Ma si tratta di un D. filtrato attraverso il Petrarca. Su analoga strada procedeva Antonio Fileremo Fregoso, che scrisse attorno al 1505 Il riso di Democrito e Il pianto di Eraclito.
L'età del manierismo e del barocco non fu propizia a D.; ricordiamo di questo tempo, fra coloro che, non intendendo il significato storico né l'eccezionalità del poeta, ne studiarono o imitarono i modi, Poliziano Iacopo Mancini, critico della tesi dantesca sulle macchie lunari; il Chiabrera, che dando al poeta " gran vanto per la forza del rappresentare e particolareggiare le cose ", ne biasimò la terzina e l'uso della rima, ne approvò la dottrina linguistica; il marchese A.G. Brignole Sale; il gesuita G.B. Pastorini. Il commento all'Inferno e al Paradiso del Pastorini risente il gesuita nella richiesta di sottomissione totale al papa, e nella rettifica di tesi teologiche.
Con il preromanticismo la poesia religiosa di D., pur filtrata nel frugonianesimo, stimola i Canti melanconici del somasco B. Laviosa, ed è giudicata sublime e robusta, imitata retoricamente. Ma soltanto il nuovo spirito dell'Ottocento sottrae al monopolio ecclesiastico le lettere, e anche a Genova gli studi danteschi acquistano cultori, come N.G. Biagioli, autore di un divulgato commento (1818-19), che ha lasciato manoscritti una Vita di D. con la difesa della Commedia, nonché un Saggio bibliografico; o imitatori del poeta cristiano in funzione conservatrice, come accade al patrizio L. Costa nel Canzoniere, nel poema Colombo e nell'incompiuto Cosmo.
In contrapposizione a tale conservatorismo il mazzinianesimo crea a Genova il culto di D. come uomo, pensatore, poeta. Dall'estero G. Mazzini, con lettere, programmi di edizioni, articoli, le cure all'edizione della Commedia stampata a Londra nel 1842, e saggi, fa di D. strumento del nostro Risorgimento, seguito su questa via dai fratelli Ruffini.
La strada dell'erudizione è segnata nell'Ottocento dal somasco M.G. Ponta, studioso di allegorie, astrologia e cosmografia, di storia della critica e dell'autenticità di testi minori (lettera a Guido Novello, commento di Pietro, epistola a Cangrande), della Monarchia e del De vulg. Eloq.; dal piemontese padre G.B. Giuliani, professore per qualche tempo nell'ateneo genovese, poi chiamato a Firenze, critico del Canzoniere, curatore del testo delle opere latine di D., autore di un Metodo di cementare la Commedia di D.A. (1861); dal dotto Federico Alizeri, autore di un commento alla Commedia (1877), preceduto da quattro discorsi; dal somasco S. Grosso; da U. Mazzini, A. Novara, G. Pedevilla, A.F. Gazzo.
La letteratura ispirata a D. si fa molteplice: dal D. in Liguria, piacevole e non critico omaggio al centenario (1865) di E. Celesia, ai versi dell'abate A. Bosio, alle leggende e novelle in prosa o in versi (frequente il tema di D. a S. Croce del Corvo, cantato anche dal Carducci in trentatré ottave), per le quali ricordiamo soltanto il nome di A.G. Barrili, autore anche di Conferenze dantesche, e quello di G. Gazzino.
Intanto si apre in Genova una nuova età per gli studi con E.G. Parodi (v.), uno dei maggiori nostri dantisti, i cui lavori sulla rima e i vocaboli in rima, sul comico nella Commedia, sull'ideale politico e sulle opere minori di D. - per citarne soltanto alcuni -, la direzione del " Bullettino della Società Dantesca Italiana " (dal 1906), e l'insegnamento, furono contributi eccezionali.
A questo punto è difficile parlare ancora di L. come termine culturale. A parte la versione in genovese della Commedia di A.F. Gazzo, studi di erudizione locale e scritti divulgativi, Genova è uno dei quadrivi della cultura nazionale. Qui dal 1904 avrà luogo una ‛ lectura ' (Lectura Dantis Genovese, Firenze 1904-1906) incompiuta. Il VII centenario della morte del poeta è stato celebrato nell'ateneo ligure con una serie di conferenze, raccolte in una Miscellanea di studi danteschi curata da V. Pernicone.
Bibl.- A. Chiama, " Siestri " e la " Fiumana bella ", in " Gazzetta di Genova " (1918) 10; S.L. Astengo, La L. e la D.C., Campobasso 1920; La raccolta dantesca della Bibl. Evan Mackenzie con la cronologia delle edd. della D.C., Firenze 1921; D. e la L., Milano 1925; L. Parmeggiani, L'invettiva di D. contro i Genovesi, in " Giorn. d. " XXXVIII (1935) 89-103; L. Saginati - G. Calcagno, La collezione dantesca della Bibl. civica " Berio " di Genova, presentazione di G. Piersantelli, Firenze 1966.