LIGURIA (A. T., 24-25-26)
È la più piccola delle regioni italiane, con una superficie di 5433,42 kmq. Entro gli attuali confini amministrativi comprende quasi tutto il versante tirrenico delle Alpi e poi dell'Appennino, dal bacino della Roia a quello della Magra, e nella parte centrale, dove lo spartiacque corre più vicino al mare, vasti lembi del versante padano sia delle Alpi che dell'Appennino.
Più precisamente il confine, da Grimaldi, poco a E. di Mentone, si dirige prima a NNO. poi a NE., tagliando la valle della Roia, di cui perciò solo il corso inferiore appartiene alla Liguria, prosegue quindi con andamento irregolare, includendo l'alto bacino sorgentifero del Tanaro, lasciando al Piemonte le sorgenti della Neva col Colle S. Bernardo, ma poi comprendendo nella Liguria le alte valli delle Bormide, dell'Orba, della Scrivia, della Trebbia, dell'Aveto; oltre il M. Penna segue lo spartiacque principale, poi quello tra Vara e Magra, della quale include solo il basso corso. Questi confini non delimitano una regione naturale: la regione naturale della Liguria marittima dovrebbe comprendere il versante meridionale delle Alpi e dell'Appennino dal Varo alla Magra. Ma la regione abitata dai Liguri nell'antichità, la repubblica di Genova nel Medioevo e nell'età moderna, il compartimento italiano oggi, non corrisposero mai soltanto alla Liguria marittima, anzi fu sempre compresa nei loro confini una parte del versante padano, che fu vastissima in antico (v. sotto). Qui si considera la Liguria nei suoi attuali confini amministrativi.
Caratteristiche fisiche. - Geologia e morfologia. - Poiché le Alpi e l'Appennino scendono con i loro contrafforti fin sul mare, e la cimosa costiera è assai limitata anche alla foce dei maggiori corsi d'acqua, la Liguria risulta una regione per eccellenza montuosa e collinosa. Essa è molto varia nelle sue parti: qui infatti s'incontrano e si saldano le Alpi e l'Appennino e, mentre nella sezione occidentale della regione si ritrovano ancora - sebbene assai attenuate - alcune caratteristiche delle Alpi e in quella orientale già appaiono i caratteri peculiari dell'Appennino, la sezione centrale, dal Colle di Cadibona al Passo dei Giovi, può considerarsi una zona di trapasso fra le Alpi e l'Appennino.
La zona a occidente del Colle di Cadibona, il cui rilievo è formato dalle Alpi Liguri, si può dividere in due parti. La sezione occidentale fino a una linea che si può all'ingrosso tracciare da Albenga al Colle di Nava, comprende il solo versante marittimo delle Alpi, caratterizzato qui dal fatto che sui terreni più antichi affioranti nell'altro versante, si addossa una coltre di terreni dell'Eocene (principalmente calcari marnosi a fucoidi, riposanti sopra una potente formazione di macigno, e costituenti il cosiddetto "piano liguriano"), molto erodibili, che formano un paesaggio alquanto uniforme, più accidentato però e con ripidi pendii, dove le rocce furono portate a notevole altezza. Il rilievo è formato dalle dorsali montuose che dalla catena spartiacque si dirigono verso la costa, in senso N.-S. e anche O.-E. formando valli longitudinali (come quella dell'Arroscia): quella che culmina col M. Ceppo (1627 metri), raggiunge ancora col Monte Bignone, a soli 7 km. dal mare, 1299 metri. La massima altezza è toccata dal Monte Saccarello (metri 2200), importante nodo oroidrografico, nel quale hanno le sorgenti il Tanaro, l'Argentina e la Levenza (Roia); su una dorsale che si diparte da esso verso E. il Frontè tocca i 2153 metri e il M. Monega i 1882; su un'altra dorsale che si dirige a SO. la Cima Marta tocca i 2138 m. e più a S. superano i 2000 m. i monti Ceriana, Grai e Pietravecchia: queste però non sono le maggiori elevazioni delle Alpi Liguri: al di là dei confini assegnati alla Liguria, sulla catena che affiancandosi a quella spartiacque separa il bacino sorgentifero dei Tanaro dalla Pianura Padana (Mongioie, 2630 m.) se ne trovano delle maggiori.
Della sezione orientale delle Alpi Liguri è compreso nei confini amministrativi della Liguria, non solo il versante marittimo, ma anche parte di quello padano con le alte valli della Bormida di Millesimo e della Bormida di Spigno. Qui cessa sul versante marittimo la coltre di terreni eocenici così ampiamente estesa a O. La catena spartiacque - che ha modesta elevazione: M. Armetta 1739 m.; M. Galero 1708; La Gianea 1226; Rocca Barbena 1142; M. Carmo 1389; Pian dei Corsi 1028; M. Alto 956 - si avvicina sempre più alla costa per poi seguirla a una distanza media di una diecina di km.: perciò invece delle lunghe dorsali della zona eocenica scendono al mare brevissime catene. Molto diverso è l'aspetto dell'altro versante, dove si sviluppano contrafforti assai lunghi che degradano verso la zona collinosa terziaria delle Langhe e del Monferrato; esse chiudono fra loro le alte valli longitudinali delle Bormide e la valle del Tanaro, limitata verso la Pianura Padana occidentale dalla continuazione della catena del Mongioie. Quanto alla costituzione geologica, il rilievo è essenzialmente formato da terreni del Paleozoico e Mesozoico che appartengono alla zona alpina del Brianzonese (v. alpi): scisti cristallini, anageniti, quarziti, calcari marmorei e dolomitici del Triassico; scisti, gneiss, diorite con granito e porfido del Permico; arenarie e conglomerati, giacenti sopra scisti grafitosi e talora coperti da un calcare ceroide o marmoreo, con intercalati banchi di antracite (che furono oggetto di ricerche minerarie), del Carbonico. Questi terreni imprimono generalmente al paesaggio un carattere più variato e grandioso, più alpino, che lo differenzia dal paesaggio modellato nei terreni teneri dell'Eocene.
Un cenno speciale va fatto del deposito miocenico del Finalese, che costituisce la nota "pietra di Finale", deposito litorale, che raggiunge una potenza anche superiore a 120 m., il quale fu portato in alto da un sollevamento e appare poggiato in grossi strati regolari pressoché orizzontali su quelli verticali od obliqui dei calcari del Triassico: da questa particolare disposizione della "pietra di Finale" e dalla sua erodibilità dipende la caratteristica disposizione tabulare di molti monti del Finalese, separati da valli incassate su cui la "pietra di Finale" si affaccia con pendii tagliati a picco. Alla base e a contatto con la formazione inferiore la "pietra di Finale" presenta numerose, caratteristiche caverne. Essa è costituita da un calcare grossolano, cristallino, roseo, ma si presenta con molte varietà (dove assume grana minuta e si fa più compatta e omogenea viene estratta per usarla come pietra architettonica) ed è ricca di fossili marini.
Nella zona dove il Colle di Cadibona (435 metri) segna la più bassa intaccatura della catena spartiacque, si nota un generale abbassamento di tutta la catena, mentre la presenza di sedimenti di origine marina sollevati a più centinaia di m. s. m. denota che in tempi geologici non molto antichi un braccio di mare s' insinuava qui facendo comunicare il Tirreno con il Golfo Padano: perciò si pone ormai generalmente qui il limite fra le Alpi e l'Appennino.
I monti che s'innalzano dal Colle di Cadibona fino al solco segnato dalle valli della Polcevera e della Scrivia e dal Passo dei Giovi (472 m.), dei quali restano entro i confini della Liguria l'intero versante marittimo e parte di quello padano, formano quello che comunemente viene chiamato Appennino ligure occidentale, ma per la loro costituzione geologica fanno piuttosto parte del sistema alpino. Consistono infatti per la massima parte di calcescisti e micascisti, con intercalate serpentina, eufotide, diabase, cioè quelle stesse rocce che nelle Alpi formano la zona delle "pietre verdi". Questa formazione, che i geologi denominano "gruppo di Voltri" e attribuiscono al Mesozoico, geologicamente deve considerarsi come l'ultima propaggine meridionale delle Alpi Occidentali, e dall'Appennino vero e proprio è tettonicamente separata per mezzo di uno hiatus corrente da Sestri Ponente a Voltaggio circa (v. alpi; appennino). Le rocce del "gruppo di Voltri" formano un paesaggio nel quale ai pendii dolci e regolari delle zone scistose, rivestite di prati e di boschi, fanno contrasto i nudi dirupi delle "pietre verdi", che, al contrario degli scisti, oppongono tenace resistenza all'erosione. La catena principale spartiacque si distingue per la sua modesta elevazione e ampiezza (massime altezze: M. Ermetta, 1267 m.; Beigua, 1287; Reisa, 1183): essa si avvicina al mare fino a una distanza minima di 5 km., per poi allontanarsene nuovamente. Grande è il contrasto fra i due versanti: su quello marittimo scendono fin sul mare brevi sproni montuosi, separati dalle valli di piccoli torrenti; su quello padano si dipartono più lunghe dorsali in senso S.-N., fra le quali scorrono gli alti corsi dei fiumi Erro, Orba, Stura, Gorzente, in parte compresi nei confini liguri: esse degradano nella zona terziaria delle Langhe. I caratteri peculiari dell'Appennino settentrionale cominciano solo a E. del Passo dei Giovi, con l'Appennino ligure orientale. Muta la costituzione geologica: ha infatti largo sviluppo l'Eocene, costituito, verso O., da calcari, tra cui hanno grande estensione i calcari a fucoidi, associati a scisti e arenarie; verso E., invece, per lo più da arenaria e qualche volta da scisti argillosi. Al limite col gruppo di Voltri e più ampiamente fra le due formazioni terziarie s'insinua una formazione ofiolitica, costituita da rocce serpentinose (serpentina, gabro rosso, diabase, ecc.) accompagnate da calcari, scisti, conglomerati, ecc., attribuita da taluni allo stesso Eocene, da altri invece al Cretacico (v. appennino: Geologia). Nei due promontorî che chiudono il Golfo della Spezia si ritrovano rocce eccezionalmente antiche: calcari, scisti, ecc., del Paleozoico e Mesozoico. Più evidente del mutamento della composizione geologica del suolo (i terreni eocenici in genere facilmente erodibili dell'Appennino ligure orientale formano un paesaggio non molto dissimile da quello degli scisti del gruppo di Voltri e anche qui si levano le forme più aspre degli spuntoni serpentinosi) è quello dell'orientamento e della disposizione delle catene oltre il Passo dei Giovi. Si comincia a notare infatti l'orientamento NO.-SE che è quello peculiare dell'Appennino; né si trova più una sola catena principale, ma cominciano ad affiancarsi sul versante tirrenico più catene parallele che chiudono fra loro valli longitudinali; già si delinea insomma quella caratteristica struttura "a quinte", che apparirà poi evidente nell'Appennino toscano (v. appennino). A levante della valle del Bisagno, alla catena principale culminante nel M. Ramaccio (1345 m.), si affianca lungo il mare una catena meno elevata che limita con la prima il solco longitudinale in cui scorrono l'alto corso del Bisagno e la Lavagna (Valle di Fontana Buona); altre valli longitudinali chiuse da catene parallele, sono la valle della Vara, che si continua nella bassa valle della Magra, la quale in tempi geologicamente recenti era ancora occupata dal mare, e il Golfo della Spezia, non interamente emerso nei moti di sollevamento della regione. Il promontorio di Portofino e il promontorio occidentale del Golfo della Spezia sarebbero i residui della catena più interna, in gran parte demolita. Le catene che corrono lungo la costa non sono molto elevate, ma poiché s'innalzano vicinissime al mare, scendono su questo con versanti assai ripidi, che conferiscono alla Riviera di Levante un carattere più selvaggio di quella di Ponente. Fra i Giovi e il M. Penna il confine ligure include anche una parte del versante padano, con le alte valli della Scrivia, Trebbia e Aveto: questi fiumi hanno smembrato il versante esterno dell'Appennino in lunghi ed elevati gioghi trasversali, onde intenso è il contrasto con il versante marittimo. Le massime altezze di questa parte della Liguria si trovano sul suo confine, ai monti Antola (1598 m.), Oramala (1538), Maggiorasca (1803), Penna (1735), Zatta (1400), Gottero (1640): alcune di queste cime si trovano oltre lo spartiacque principale, sul versante padano, iniziandosi qui un altro carattere dell'Appennino settentrionale, dove le massime altezze non sono sullo spartiacque, ma al di là di questo sul versante adriatico.
I corrugamenti che in varie riprese determinarono il formarsi delle pieghe alpine e appenniniche furono accompagnati e seguiti da vasti movimenti di sollevamento e di abbassamento. Essi ebbero come risultato un bradisisma negativo lungo la Riviera di Ponente, come attesta il fatto che le valli dei corsi d'acqua che vi sboccano si continuano sotto il livello del mare fino a 900 m. e più; mentre la già ricordata presenza di sedimenti di origine marina nella zona del Colle di Cadibona e anche in quella del Passo dei Giovi e la presenza di sedimenti pliocenici a varia altezza, lungo la Riviera di Ponente (fino a oltre 500 m. a E. di Mentone), attesta un vasto moto di emersione. Lenti sprofondamenti e sollevamenti si continuarono anche dopo la comparsa dell'uomo e in epoca storica e si continuano in parte anche oggi: dei primi attestano ruderi di costruzioni antiche ora sommersi, resti umani e tombe ora invasi dal mare; dei secondi i fori di litofagi che si trovano a un livello ove oggi più non giunge il mare, la presenza di depositi appartenenti a un'antica spiaggia alcuni metri sopra l'attuale livello di spiaggia, la presenza di terrazze, ecc. La Liguria è in parte una plaga ancora instabile della crosta terrestre: gravi e frequenti terremoti colpirono specie la Riviera di Ponente; il terremoto disastroso più recente è quello che il 23 febbraio 1887, accompagnato da maremoto produsse gravi danni lungo la riviera occidentale e in qualche punto dell'interno. Una zona di forte sismicità è pure l'alta valle della Vara.
Idrografia. Coste. Clima. - Poiché il crinale delle Alpi e dell'Appennino ligure corre vicinissimo al mare, specie nella parte centrale della regione, non vi si possono sviluppare importanti bacini fluviali; se a questo si aggiunge il fatto che il letto dei fiumi si apre generalmente su terreni impermeabili o poco permeabili, che traggono in gran parte alimento da piogge irregolarmente distribuite durante l'anno, se ne dedurrà che i fiumi liguri sono brevi e a carattere torrentizio, con piene improvvise e grande potenza erosiva e di trasporto. Ma alle due estremità occidentale e orientale della Liguria lo spartiacque si allontana dal mare: questo fatto, a cui si aggiunge, soprattutto all'estremità orientale, la presenza di valli longitudinali, vi consente un maggiore sviluppo dei bacini fluviali. Nell'estremità occidentale, lasciando il Varo, che è completamente escluso dal confine ligure, vanno ricordati: la Roia (48,3 km.), della quale appartiene però alla Liguria solo l'ultima parte del corso; poi il Nervia, l'Argentina, l'Impero e soprattutto il Centa, formato dagli affluenti Lerrone, Neva e Arroscia (36,5 km.). I corsi d'acqua che seguono non sono che brevi torrenti i quali dal crinale alpino e appenninico raggiungono il mare scorrendo entro valli trasversali a pendio assai ripido: asciutti o quasi nei periodi secchi, gonfiano improvvisamente dopo piogge abbondanti recando talora anche gravi danni. I più noti sono il Quiliano, il Letimbro, il Sansobbia, la Polcevera, il Bisagno; ancora più brevi i torrenti che le catene costiere, le quali si affiancano a quelle interne oltre il Bisagno, inviano direttamente al mare. Tra Chiavari e Lavagna sfocia l'Entella, il quale raccoglie le acque degli affluenti Lavagna, Sturla e Graveglia: il Lavagna (28 km.), il più lungo, scorre nella valle longitudinale di Fontana Buona. In una valle longitudinale scorrono la Vara (60 km.), il più lungo fiume interamente compreso in territorio ligure, e la Magra oltre la confluenza della Vara. Accanto ai corsi di acqua ricordati, il confine amministrativo assegna alla Liguria l'alto corso di alcuni fiumi del versante padano: Tanaro, Bormida di Millesimo e Bormida di Spigno, Erro, Orba, Stura, Lemmo, Scrivia, Trebbia, Aveto; di alcuni appartiene alla Liguria la regione sorgentifera o poco più, di altri (le Bormide, la Scrivia, la Trebbia, l'Aveto), porzioni più notevoli del corso. Per il loro corso più tranquillo, entro valli ampie e a pendio assai più dolce, per la maggiore regolarità del regime, essi contrastano fortemente con i fiumi del versante marittimo, specialmente con i torrenti della sezione centrale.
Da quanto si è detto risulta quale è la natura della costa ligure, nella quale non si è potuta formare una cimosa alluvionale un po' estesa. I fiumi hanno breve corso, il fondo marino scende rapidamente a grande profondità e manca una forte corrente litoranea: perciò, se anche in alcuni periodi l'interrimento, aiutato da movimenti di sollevamento, ha avuto qua e là la prevalenza, l'azione distruttrice delle onde è quella che ha avuto la maggior parte nel determinare l'attuale aspetto del litorale ligure; e anche ora è il mare che guadagna a spese della costa, anche nei brevi tratti alluvionali.
Il grande arco costiero, che ha il suo vertice presso Voltri, si suole dividere in due parti, Riviera di Levante e Riviera di Ponente. Più ripida e selvaggia la prima, nella quale i monti scendono a picco sul mare, talora con scarpate nude e dirute, specialmente nel tratto fra Portovenere e Sestri Levante, nel Promontorio di Portofino, il quale, protendendosi in mare, forma il Golfo di Rapallo, e oltre questo fino a Genova. Piane costiere un po' estese, costituite di terreni alluvionali quaternarî e recenti, si aprono soltanto in fondo al Golfo della Spezia, intorno a Sestri Levante e intorno alla foce dell'Entella. Nella provincia della Spezia è compresa la piana della bassa Val di Magra, che però è fuori della Riviera. Più aperta e un po' meno ripida è la Riviera di Ponente, nella quale sboccano valli più ampie, specialmente nella sua sezione occidentale, ma anche qui le colline giungono generalmente fino alla riva del mare, nel quale si protendono a formare degli sproni che separano pittoresche insenature, dove si adagiano, più numerosi che nella Riviera di Levante, i paesi e le cittadine e si aprono piccoli porti; né mancano esempî di costa a picco e di pittoreschi dirupi. Alla Riviera di Ponente appartiene la vasta piana costiera di Albenga, formata dalle alluvioni del Centa, con propaggini lungo le valli della Neva e dell'Arroscia: al posto di questo piano, dove oggi si sviluppano fiorentissime colture, si stendeva ancora nel Pliocene medio un golfo marino; in tempi recenti si dovette arginare il corso del Centa perché le sue acque, dilagando in seguito alle piene rendevano malsana la pianura. Altro piano alluvionale un po' esteso è quello di Loano.
In complesso la costa ligure ha carattere chiuso: nella Riviera di Levante sono difficili le comunicazioni col retroterra, anche per l'interporsi, lungo la costa, delle catene longitudinali ricordate: perciò non vi sono sorti porti importanti. Alla sua estremità però si apre il magnifico Golfo della Spezia, cui la costruzione delle grandi strade moderne e delle ferrovie ha ormai assicurato un vasto retroterra, e al quale del resto la posizione naturale ha riserbato l'importante funzione di piazzaforte marittima. Il porto più importante della Liguria, Genova, si è localizzato presso il vertice dell'arco costiero, in corrispondenza al punto dove una serie di valichi apre più agevoli comunicazioni col retroterra; l'altro grande porto, quello di Savona, è sorto sulla Riviera di Ponente in corrispondenza al punto ove l'arco montuoso più si abbassa nel facile passo del Colle di Cadibona. Oltre Savona assai difficili sono le comunicazioni con il retroterra, perché si accrescono l'altezza e l'ampiezza della barriera montuosa.
Il rapido elevarsi dei monti alle spalle della costa ligure, se rende difficili le comunicazioni con il retroterra e lega più che mai gli abitanti al mare, riparando la riviera dagl'influssi climatici settentrionali, concorre insieme alla vicinanza del mare a conferirle il mitissimo clima marittimo. Specialmente la Riviera di Ponente oltre Savona, dove le Alpi Liguri formano una barriera più ampia e più elevata, è una vera oasi climatica, con inverni straordinariamente miti, data la latitudine, in netto contrasto con l'opposto versante padano, a clima continentale. La zona meno favorita è tra Savona e Genova, dove la barriera montuosa più si deprime.
Le precipitazioni, che cadono in prevalenza in autunno, inverno e primavera, sono abbondanti, specialmente nella Riviera di Levante, mentre quella di Ponente è meno piovosa e gode di una maggiore serenità del cielo, carattere che accresce ancora l'incanto di questa regione privilegiata. Infatti, mentre la striscia costiera a O. di Savona ha meno di 800 mm. di pioggia all'anno, quasi in tutto il resto della riviera si oltrepassano i 1000 mm. e in taluni punti i 1200 (intorno a Genova, nel Promontorio di Portofino, da Levanto alla Spezia); in fondo al Golfo della Spezia la piovosità si aggira sui 1500 mm. La piovosità aumenta generalmente con l'altezza, fino a oltrepassare, in alcuni punti, lungo l'asse della catena appenninica, i 2000 mm. annui, per poi diminuire gradatamente sull'altro versante. Scarsa la nevosità. La temperatura diminuisce rapidamente allontanandosi dal mare ed elevandosi in altezza. Le zone della Liguria situate sul versante padano hanno clima continentale: netto è il contrasto anche per questo carattere con il versante marittimo: nell'inverno si possono avere anche differenze di 5°-6° fra la costa e il versante padano.
Flora. - La Riviera ligure va famosa in tutto il mondo per la bellezza e varietà dei suoi panorami, che essa deve per molta parte anche alla flora. Il mite clima vi permette infatti lo sviluppo di una rigogliosa e varia vegetazione, alla quale imprimono un carattere particolare le numerose piante esotiche che, specialmente nella Riviera di Ponente, adornano i giardini pubblici dei centri costieri e quelli privati delle splendide ville, numerosissime lungo il mare e sulle prime pendici dei colli. Soprattutto nella zona costiera sono frequenti le piante rare provenienti da lontani paesi dell'Africa, delle Indie, dell'America Meridionale, dell'Oceania: varie specie di palme, eucalipti, acacie, euforbie indiane, Cycas, cactacee, agavi, fichi d'india, ecc. Sul promontorio del Capo Mortola, a circa 6 km. da Ventimiglia, Tommaso Hanbury creò nel 1867 un giardino di acclimazione, che è tra i più famosi del mondo. Spesso sulle colline si sono conservati i boschi di pini e la macchia di tipo mediterraneo, caratterizzata da querce, carpini, ornelli, aceri, ontani, olmi, salici e da arbusti di noccioli, pruni, ginestre, cisti, lentischi, mirti, eriche, carrubi, corbezzoli, oleandri. Talora si spingono fin sul mare boschi di pini, e anche di castagni. La flora della zona montana era costituita in passato da magnifici boschi, che in gran parte furono distrutti e ora sono sostituiti da macchia e pascoli. Sopra i 1800 m. si trovano i prati e i pascoli della zona subalpina.
Popolazione: incremento, emigrazione densità. - Al 21 aprile 1931 vivevano in Liguria 1.436.858 ab. variamente distribuiti nelle quattro provincie in cui il compartimento amministrativamente si divide.
Mancano i dati per stabilire con una qualche esattezza il numero degli abitanti della Liguria nei secoli passati. Assai fitta doveva essere la popolazione nei secoli XIII e XIV, quando le industrie e i traffici più erano in fiore: dalla cronaca del Varagine, arcivescovo di Genova, si apprende che nel 1293 la Repubblica allestì un'armata di 200 galee e 45.000 combattenti, e che ne rimasero ancora tanti da armarne altre 40: se ne deduce che la popolazione marittima del genovesato ammontava a circa 54.000 uomini e facendo la proporzione con dati posteriori, si calcola che gli abitanti della Liguria marittima fossero allora circa 800.000. Le tristi vicende del sec. XV fecero diminuire fortemente la popolazione: il Giustiniani inizia i suoi Annali di Genova, che pubblicò nel 1535, dando un elenco dei paesi della Liguria (che comprendeva la Liguria marittima da Ventimiglia alla Magra e i "paesi d'oltre gioghi", cioè i territorî di Novi, Ovada, oggi non compresi in Liguria) con la popolazione per fuochi (quella di Genova per case): attribuendo a ciascun fuoco 4 abitanti si ottiene una cifra di circa 334.000 abitanti. Secondo un censimento pubblicato d'ufficio, questa contava allora 603.000 ab., ai quali si devono aggiungere quelli del principato di Oneglia, che ne era escluso. La popolazione diminuì al principio del secolo XIX: un censimento del 1802, due anni dopo il famoso blocco di Genova, dà, per la Liguria marittima e "paesi d'oltre gioghi" 560.860 ab. Nel 1839 questi sarebbero saliti a circa 700.000.
Nel settantennio 1861-1931 l'andamento della popolazione ligure si può seguire con sufficiente esattezza sulla scorta dei dati dei censimenti ufficiali del Regno d'Italia. La divisione della Liguria in quattro provincie, cui sono stati uniti anche alcuni comuni delle limitrofe provincie di Massa e Pavia, è di questi ultimi anni; tuttavia nella tabella seguente, anche per i censimenti anteriori al 19931, i dati sono stati raggruppati secondo l'attuale circoscrizione amministrativa.
L'incremento di popolazione appare notevole, durante tutto il periodo preso in considerazione, soprattutto nelle provincie di Genova e della Spezia; ma esso non è dovuto a un accrescimento naturale: la demografia della Liguria è infatti caratterizzata, come quella del vicino Piemonte, da una bassissima natalità e per conseguenza, nonostante la debole mortalità, da un minimo di eccedenza dei nati sui morti; il valore di questa, già assai basso nell'anteguerra, è ancora disceso negli ultimi anni: fu del 7,5‰ nel periodo 1910-14 (Regno 12,7‰); del 3,72‰ nel 1926-30 (Regno 10,68‰). L'incremento della popolazione è pertanto dovuto soprattutto all'immigrazione richiamata dall'intenso sviluppo delle industrie e dei traffici negli ultimi decennî: infatti forte è la percentuale di abitanti nati fuori della regione, in altri compartimenti italiani o all'estero (nel 1921 237‰). L'alta percentuale di nati all'estero si connette però specialmente all'emigrazione; mentre la forte percentuale di abitanti risiedenti fuori del comune di nascita denota la grande mobilità della popolazione. Negli ultimi decennî alta appare la percentuale di alfabeti (90% nel 1921).
All'emigrazione la Liguria ha dato un notevole tributo, ma non ha conosciuto gli esodi in massa che hanno diminuito notevolmente la popolazione di altre regioni italiane. Il movimento s'iniziò con coefficenti d'intensità fra i massimi del regno, ma in seguito il suo ritmo ascensionale non fu pari a quello di altre regioni: infatti, mentre dal 1876 (dal quale anno soltanto si cominciano ad avere dati ufficiali) al 1887 la percentuale di emigranti sulla popolazione totale raggiunse in Liguria un valore superiore a quello medio del regno (1876: 407,8 emigranti su 100.000 ab.; 1884: 703,2; nel regno rispettivamente 391,7 e 500,7), da quell'anno in poi vi rimase sempre inferiore: nel 1913 la percentuale di tutto il regno fu di 2463,7 emigranti su 100.000 ab., quella della Liguria di 765,8. Gli emigranti liguri di anteguerra provenivano quasi tutti dalla provincia di Genova (vecchi confini) e si dirigevano di preferenza nei paesi oltre oceano, sia per la facilità dei traffici, sia per il carattere stesso della popolazione dotata di grande mobilità e abituata per tradizione alla navigazione; emigravano di solito individualmente e nell'America Meridionale svolsero una vivace attività economica; caratteristica l'emigrazione temporanea di alcuni lavoratori che, trascorsa l'estate in patria, si recavano quindi nell'America Meridionale a passarvi l'estate australe. Va notata anche la presenza di colonie liguri nell'Australia. Invece gli emigranti provenienti dalla provincia di Porto Maurizio si dirigevano in prevalenza in paesi dell'Europa e del bacino mediterraneo, specialmente nella vicina Francia, emigrazione questa a carattere temporaneo. Cessata quasi del tutto durante gli anni della guerra, l'emigrazione transoceanica non riprende più nel periodo post-bellico l'importanza di prima, rimanendo sempre inferiore (salvo che nel 1921) a quella diretta nei paesi di Europa e del bacino mediterraneo: questa, dopo il massimo del 1919 (oltre 11.200 emigranti, di cui ben 5885 provenienti dalla provincia di Imperia), ha subito varie oscillazioni, ma negli ultimi anni è andata sempre assottigliandosi. Nella tabella seguente sono riportati i dati sull'emigrazione ligure nel periodo 1876-1930; si è dovuta conservare anche per gli ultimi anni la vecchia divisione amministrativa della regione in due provincie.
La popolazione ligure si distribuisce con densità molto diversa nelle quattro provincie della regione (v. tab. pag. 127): dal massimo di 470,5 ab. della Provincia di Genova, si scende al minimo di 137,3 di quella d'Imperia, ma anche questo è superiore alla media del regno e la Liguria nel suo complesso è il più densamente popolato fra i compartimenti italiani. L'alta densità della popolazione ligure si connette soprattutto con l'intenso sviluppo che hanno assunto nella regione le industrie e i traffici: il valore massimo è dato infatti dalla provincia di Genova, dove, in una zona fra le più intensamente industriali d'Italia, si apre il massimo porto commerciale del regno: nel solo comune di Genova viveva nel 1931 circa il 42% della popolazione di tutta la Liguria. Se dalla distribuzione per provincia si passa a considerare quella secondo le zone fisiche, si vedrà subito che il massimo della densità è dato dalla striscia prossima al mare, sia perché questo è la ragione principale di vita per molti centri liguri e per i massimi fra essi, sia perché lungo il mare si trovano le più estese zone pianeggianti che hanno permesso lo sviluppo degl'impianti industriali e anche delle colture più redditizie, sia infine perché lungo il mare si trovano condizioni di clima particolarmente favorevoli. La popolazione diminuisce rapidamente con la distanza dal mare e con l'aumentare dell'altezza, man mano che l'attività industriale e commerciale cessa, le comunicazioni si fanno difficili, il clima diventa più rigido, tutta la vita più dura; al di là del crinale alpino e appenninico la popolazione si fa di nuovo un po' più fitta lungo le vallate dei fiumi padani.
Condizioni economiche. - L'agricoltura e l'allevamento. - Le condizioni dell'agricoltura ligure non sono generalmente fiorenti, per tutto un complesso di cause, quali: il suolo di solito poco fertile, e talora arido; l'estrema scarsezza di zone pianeggianti un po' estese: la maggior parte del territorio si estende infatti in colline e montagne, spesso a ripido pendio, e l'agricoltore ha dovuto faticosamente conquistare il suolo coltivabile, spezzettando i fianchi dei monti in quelle fasce o terrazzi, difesi da muri a secco, che costituiscono una delle caratteristiche della regione ligure; la deficienza di strade, conseguenza dell'asprezza del rilievo, la quale rende malagevole al contadino lo smercio dei suoi prodotti e l'acquisto di ciò che gli occorre per render meno dura la sua vita; il grande frazionamento della proprietà, il quale ostacola il progresso dei moderni metodi colturali; il carattere stesso del ligure, più propenso, per secolare tradizione, legata alla posizione e alla natura del suolo che abita, ai traffici e alle industrie, e alle più rapide e vantaggiose speculazioni che queste attività offrono in confronto al lento svolgersi dell'industria agraria. Tutta l'agricoltura ligure è più o meno colpita dall'esodo dei contadini, i quali, già usi a migrazioni temporanee fra le zone interne e il litorale italiano e francese, hanno abbandonato definitivamente in gran numero i campi, specialmente nelle zone montane e collinose più povere, per stabilirsi nei centri industriali della zona costiera o emigrare all'estero. Secondo il censimento agricolo eseguito il 19 marzo 1930, solo circa il 12% della popolazione ligure si dedica all'agricoltura come occupazione principale (provincia di Imperia 26,6%; di Savona 18,5%; della Spezia 16,5%; di Genova 6,4%); il 7,4% vi si dedica come occupazione secondaria.
Si possono all'ingrosso distinguere nella regione ligure tre grandi zone agricole. La prima è quella che comprende le zone alluvionali pianeggianti poste allo sbocco delle valli maggiori o lungo il mare, e i primi pendii delle colline e dei monti, fino a 300-350 m.: vi si sviluppano le colture degli ortaggi, fiorenti specialmente nella riviera savonese e genovese; dei fiori, delle piante ornamentali e da profumeria, diffuse soprattutto nella zona di S. Remo (provincia di Imperia), poi in provincia di Savona nelle zone di Albenga, Alassio, Loano, Pietra Ligure, e in piccola parte anche in provincia di Genova, tra il capoluogo e Chiavari; degli alberi da frutta (anche agrumi), consociati alle colture degli ortaggi e dei fiori, o in coltura specializzata (pescheti); dell'ulivo e della vite, in coltura specializzata o consociati a piante erbacee. A questa zona succede quella comunemente denominata della media montagna litoranea; vi predominano le colture dell'ulivo e della vite, poi degli alberi da frutta, in coltura specializzata o consociati ai seminativi. Segue la terza zona, sopra i 650 m., nella quale cessano le colture dell'ulivo e poi della vite, e succedono i seminativi (cereali, foraggi, patate, ecc.), i boschi e castagneti, i prati e i pascoli. A queste tre zone se ne può aggiungere una quarta, costituita dai pendii montuosi e dalle valli del versante padano, nei quali prevalgono le colture proprie delle vicine regioni piemontese ed emiliana: cereali, patate, prati naturali e artificiali, vite, cui succedono in alto boschi, prati e pascoli permanenti.
In complesso scarsa importanza hanno in Liguria le colture cerealicole, e in specie dei seminativi (appena il 16% della superficie agraria e forestale, la quale complessivamente occupa il 92% dell'intero territorio), fatta eccezione per le colture orticole, che specialmente in alcune zone (anche ortaggi di primizia in parte sotto serra) hanno assunto grande sviluppo, e per quella dei fiori, che in Italia è monopolio della regione ligure e alimenta un importante commercio di esportazione. Questa coltura, prevalentemente iemale, che ha cominciato a diffondersi e ad assumere fisionomia industriale nella seconda metà del secolo scorso a spese dell'uliveto e agrumeto decadenti, e che, favorita dal clima, ha dovuto però lottare con l'asprezza del suolo, la penuria di acqua, ecc., è, specialmente nella provincia d'Imperia, tecnicamente progredita, ma tuttavia bisognosa di miglioramenti anche per far fronte alla concorrenza estera; insieme all'orticoltura e alla frutticoltura forma le zone agricole che meno risentono del generale disagio dell'agricoltura ligure. Suscettibile di sviluppo la coltura di piante da profumi e lo sfruttamento, da parte di quella stessa industria, delle piante aromatiche spontanee che la macchia possiede in abbondanza. Grande importanza hanno le colture legnose dell'ulivo, della vite e degli alberi da frutta (per la massima parte peschi, albicocch, poi peri, meli, ciliegi, mandorli, fichi, agrumi), in coltura specializzata (ulivo 36.131 ha.; vite 202.719 ha.) o consociate; ma le prime due sono colpite dalla crisi generale dell'agricoltura. Gli uliveti abbisognano di essere svecchiati, coltivati più razionalmente, per poter aumentare lo scarso rendimento (nel 1931 - annata buona - fu di 10,7 q. di ulive per ettaro di uliveto a coltura specializzata); il vigneto è stato gravemente colpito dalla fillossera e lenta e difficile ne è la ricostituzione; più prospere le condizioni della frutticoltura, che è in via di sviluppo ed è fiorente soprattutto nella provincia di Savona. Va ricordata la coltura delle palme a Bordighera. Il 45,9% della superficie agraria e forestale è occupato da boschi e castagneti, il 22% da prati e pascoli permanenti, ma questi non sono adeguatamente curati e sfruttati. Il bosco è in stato di abbandono, rado e invaso dalla macchia, e grandi diboscamenti sono stati operati fino a pochi anni fa (durante la guerra si distrussero perfino degli uliveti per ricavarne legname), con grave danno per la regione, anche per le conseguenze sul regime delle acque: gran parte delle colture liguri deve lottare contro la mancanza d'acqua o i danni dei torrenti. Specialmente nelle provincie d'Imperia e di Savona sono diffusi i castagni; delle altre specie le più frequenti sono il faggio, il cerro, il carpino, l'ontano, il pino, l'abete, il larice. Tra i prodotti del sottobosco meritano di essere ricordati i funghi.
Nella tabella a piè di pagina sono riuniti i dati delle principali produzioni nelle provincie liguri (media annua del triennio 1930-32: per i fiori valore lordo in lire correnti nel 1932).
Un beneficio all'economia agricola ligure deriverà certamente da una maggiore diffusione e razionalizzazione dell'allevamento del bestiame e industrie connesse. Le zone montuose, le quali possiedono ampî pascoli, potrebbero alimentare assai più numerosi ovini e anche bovini, con grande vantaggio della popolazione, che vi troverebbe una fonte di guadagno per migliorare le proprie condizioni di vita; le zone migliori, specialmente le vallate, potrebbero nutrire bovini più numerosi e di razze migliori. Ma per questo è necessario che sia migliorata la rete stradale, siano diffuse le opere d'irrigazione e curata la sistemazione della zona montana con razionali rimboschimenti. Fatta eccezione per i suini e i muli e bardotti, tutte le specie di animali di allevamento appaiono diminuite dal 1918 al 1930. Nel 1918 la Liguria possedeva: 10.439 cavalli, 10.305 asini, 8692 muli e bardotti, 99.063 bovini, 9620 suini, 91.995 ovini, 49.047 caprini; i ;risultati del censimento del 19 marzo 1930, per provincie, sono riassunti nella tabella seguente (l'area della Liguria nel 1930 è un po' maggiore che nel 1918 per la già ricordata annessione di alcuni comuni delle provincie confinanti):
Molto diffuso, ma quasi sempre con carattere domestico, l'allevamento degli animali da cortile. Nella provincia di Savona si alleva in piccole quantità, ma con ottimo rendimento, il baco da seta. Gli abitanti dei paesi e città del litorale si dedicano poi, come occupazione principale o più spesso secondaria, alla pesca, che esercitano su imbarcazioni a vela e a remi, accanto alle quali si cominciano ora a diffondere i motopescherecci. Il Mar Ligure è per altro poco pescoso in confronto all'Adriatico. Alla fine del 1931 appartenevano al compartimento marittimo della Spezia 1059 barche e battelli con un tonnellaggio di 1947 tonn.; a quello di Genova 952 con 2592 tonn.; a quello di Savona 420 con 795 tonn.; a quello d'Imperia 367 con 542 tonnellate. Nel Golfo della Spezia si esercitano anche la mitilicoltura e, in piccola parte, l'ostricoltura.
Industria. - L'industria è, insieme al commercio, l'attività economica più importante della Liguria. Benché colpita in questi ultimi anni dalla crisi generale, che si è naturalmente fatta sentire in modo diverso nei varî rami industriali, a seconda che li ha trovati più o meno saldi o già in lotta con difficoltà da superare, essa conserva un'intensa efficienza e resiste in genere abbastanza saldamente. Secondo il censimento industriale del 1927, la forza motrice impiegata nelle industrie è di 528.171 HP; gli addetti nei varî rami dell'industria sono 225.706 (16,1% della popolazione totale; 5,6% degli addetti alle industrie in tutto il regno), così ripartiti nelle quattro provincie: Genova 155.048 addetti (68,6% degli addetti alle industrie in tutta la Liguria, circa il 19% della popolazione totale della provincia); Imperia 11.753 (rispettivamente 5,2%; oltre il 7%); La Spezia 28.326 (12,5%; circa il 13%); Savona 29.578 (13,1%; oltre il 13%). La maggiore concentrazione industriale si ha dunque nella provincia di Genova; la meno industriale è la provincia d'Imperia. Le industrie che contano il maggior numero di addetti sono: quella dei trasporti e comunicazioni (56.324; 24,9% del totale addetti alle industrie); quella meccanica (46.346; 20%), quella delle costruzioni (8%), la siderurgica e metallurgica (7,6%), quella del vestiario e abbigliamento (7,3%), le alimentari e affini (6,9%).
Gli stabilimenti industriali, specialmente quelli appartenenti alla categoria della grande industria, si affollano in tre zone preferite: nella Grande Genova, che costituisce il più poderoso complesso industriale della regione; nel Golfo della Spezia, nella zona di Savona-Vado. I grandi focolai dell'industria ligure sono dunque tutti sul mare: dal mare infatti possono agevolmente giungere le materie prime, mentre attraverso il mare stesso, oltre che per le vie terrestri, possono essere distribuiti i prodotti finiti; col mare e con i traffici marittimi sono in relazione quasi sempre i principali rami dell'industria: primeggia infatti l'industria dei cantieri navali, che ha fatto poi sorgere tutta una serie di lavorazioni ausiliarie.
Poca importanza hanno le industrie minerarie, data la povertà di minerali del sottosuolo. Si estraggono in piccola quantità rame, pirite di ferro, manganese, lignite. Più importanti le cave: quelle di marmo "portoro" nella dorsale O. del Golfo della Spezia, "rosso di Levanto", "verde di Polcevera" e altre varietà. In varie località si scavano calcare e marna da cemento, pietre da costruzione, arenaria, calcare, argilla; sul versante tirrenico dell'Appennino fra Lavagna e Recco si estrae la nota ardesia. Grande importanza hanno le industrie siderurgiche e metallurgiche, che contano grandiosi stabilimenti a Genova (acciaierie, fonderie, ferriere, laminatoi, stabilimento metallurgico Delta che tratta una lega di rame), nel Golfo della Spezia (fonderia di Pertusola per minerali piomboargentiferi, ecc.), a Savona (il grande stabilimento de "La Siderurgica"), un'acciaieria a Imperia, ecc.; e quelle meccaniche, in particolare i cantieri navali, dai quali sono uscite navi fra le maggiori della marina mercantile e militare italiana, e che lavorano anche per stati esteri. I maggiori cantieri si trovano a Genova (fra cui l'Ansaldo a Genova-Sestri, il massimo fra quelli del regno e uno dei più grandi del mondo), a Riva Trigoso (Sestri Levante), nel Golfo della Spezia, nel quale sorge anche il cantiere del grande arsenale militare, che con gli stabilimenti dipendenti assomma tutti i valori della potenza navale italiana nel Tirreno, ed a Pietra Ligure. Accanto ai cantieri navali è tutta una serie di altri stabilimenti meccanici, alcuni - come lo stabilimento meccanico Ansaldo di Genova-Sampierdarena - potentissimi: si può ricordare qui come la Società Ansaldo sia una delle più potenti organizzazioni industriali del mondo; le appartengono o ne sono in qualche modo dipendenti quasi tutti i più importanti stabilimenti siderurgici, metallurgici, meccanici e i cantieri navali liguri, soprattutto quelli del genovesato. Tra i prodotti meccanici delle officine liguri ricordiamo: locomotive e locomotori elettrici, veicoli ferroviarî e tramviarî, apparecchi elettromeccanici, artiglierie e armamenti, motori, rotaie, macchinarî e materiali elettrici, automobili, apparecchi telefonici e radiotelefonici, materiale ausiliario di bordo, serbatoi, rubinetterie, utensili varî, ecc. Industrie particolari sono quelle della demolizione e riparazione delle navi e dei bacini di carenaggio.
Fra le industrie che lavorano minerali non metallici vanno ricordate: la fabbricazione di cemento, che vanta le grandi fabbriche del cemento Portland a Genova e degl'Italcementi a Imperia; quella della calce, gesso, laterizî, refrattarî, ceramiche (tra cui le mattonelle di terracotta gresificate preparate a Ponzano Magra, provincia della Spezia, dalla Ceramica Ligure, che vengono mandate si può dire in tutto il mondo, e le ceramiche comuni e artistiche del Savonese); e ancora la lavorazione del marmo e dell'ardesia; l'industria vetraria, a Savona, Altare e Sarzana; la raffinazione dello zolfo.
Le industrie chimiche contano numerosi organismi industriali, alcuni di grande entità: si lavorano olî e grassi per usi industriali, lubrificanti, si trattano benzina e petrolio per i quali vi sono anche grandi impianti di deposito (tra gli altri a Savona ha sede un grande stabilimento della Società italo-americana del petrolio), e a La Spezia ha sede il più moderno ed efficiente impianto italiano di piroseissione (craking) dei residui di oli minerali; a Vado Ligure è un grande stabilimento per la produzione di ammoniaca sintetica. Le industrie chimiche sono inoltre rappresentate da saponifici (per questa industria, che è concentrata soprattutto a Genova, la Liguria ha il primato in Italia); da fabbriche di glicerina e candele, di alcool, di colori minerali e vernici, specialmente in dipendenza dei bisogni dell'industria navale, di ossigeno; da stabilimenti per la preparazione del coke e del gas e per il ricupero dei sottoprodotti del litantrace (cokerie di Vado e di Genova), da fabbriche di prodotti esplodenti, di estratti tannici e da concia, di concimi chimici e solfato di rame, ecc.
Anche le industrie tessili contano nella regione importanti stabilimenti, soprattutto il cotonificio (provincie di Genova e Savona), lo iutificio (a La Spezia e nel Genovesato) e anche il canapificio (cordami adoperati sulle navi) e linificio; minore importanza ha il lanificio; né vanno dimenticate alcune industrie artigiane che inviano anche all'estero i loro caratteristici prodotti: come la tradizionale lavorazione dei velluti e seterie a Zoagli; quella dei tulli, merletti e ricami al tombolo a Rapallo, S. Margherita, Portofino; dei damaschi e broccati tessuti a mano a Genova; di passamanerie, reti da pesca, vele, ecc., un po' dovunque.
L'industria del legno lavora materia prima indigena e importata, nelle segherie di solito annesse ai maggiori depositi del legname (gran parte del legname importato in Italia passa per il porto di Genova), nei numerosi cantieri che costruiscono imbarcazioni in legno, nella fabbricazione di materiali accessorî per le navi, di mobili e altri oggetti di ebanisteria, di fusti e botti, veicoli di legno, di imballaggi, puntelli, pali, travi, e in altre lavorazioni caratteristiche; si lavora anche il sughero.
Un gruppo d'industrie, importante per il numero di addetti e per la diffusione e notorietà di alcuni suoi prodotti, è quello delle alimentari: la molitoria, esercitata a Genova in relazione col commercio dei grani che si fa attraverso il porto, a Imperia, La Spezia, ecc.; il pastificio, specialmente nel Genovesato e nell'Imperialese; lo zuccherificio, che conta a Genova la grandiosa raffineria della Ligure-Lombarda. Carattere di grande industria ha la raffinazione dell'olio d'oliva, che non lavora soltanto l'olio prodotto dagli uliveti liguri, ma soprattutto olio di altri paesi del bacino mediterraneo, importato grezzo per raffinarlo e poi diffonderlo, può dirsi, in tutto il mondo: grandi raffinerie si trovano nel Genovesato, e oltre a olio per alimentazione, dànno anche olio per usi industriali, per lubrificazione, illuminazione, ecc. Ma l'oleificio è l'industria principale della provincia d'Imperia, dalla quale proviene il 60% di tutto l'olio esportato dall'Italia: oltre a numerosissimi frantoi, essa vanta alcune grandiose raffinerie (tra cui lo stabilimento dell'Olio Sasso e quello della S.A.I.R.O.), nelle quali si raffinano grandi quantità di olio greggio estero; questa industria maggiore ha provocato il sorgere di altre ausiliarie o dipendenti, come la preparazione d'imballaggi varî per la spedizione del prodotto, la fabbricazione di olio al solfuro, il saponificio, e anche l'industria della farmaceutica olearia. La lavorazione dei semi oleosi ha invece importanza specialmente nella provincia di Genova. Ma l'industria dell'olio indigeno attraversa un periodo di crisi, che è dovuta a varie cause, specialmente alle deficienze dell'olivicoltura e della preparazione dell'olio, che si fa in frantoi in gran parte non convenientemente attrezzati: a ciò si aggiungono la sopraproduzione, il fatto che gli olî greggi esteri raffinati hanno deprezzato sui mercati l'olio ligure, la concorrenza dell'olio di semi, ecc. Fra le industrie alimentari della regione vanno ancora ricordate: la preparazione delle frutta sciroppate, candite, in marmellata, quella della conserva di pomodoro e di altri vegetali, specialmente nel Savonese e nel Genovesato, che inviano anche all'estero i loro prodotti; l'industria della preparazione del pesce, molluschi e frutti di mare in scatole; l'industria dolciaria, che conta qualche caratteristico prodotto locale.
Fra le altre industrie devono essere ricordate: l'industria conciaria: la provincia di Genova ha il primato in Italia per la preparazione del cuoio da suola; quella del vestiario e abbigliamento, che ha generalmente carattere di piccola industria e artigianato; quella delle calzature; l'industria cartaria (nel Genovesato); la manifattura dei tabacchi; l'industria delle costruzioni edilizie e stradali, che ha avuto un periodo d'intenso incremento, specialmente nei grandi centri per l'estendersi dell'area delle città, i lavori portuali, quella dei cavi sottomarini (La Spezia), ecc. In comune di Uscio è una grande fabbrica di orologi da torre e da campanile, che vengono esportati in tutto il mondo; nel Genovesato si esercita anche l'industria della fondita delle campane. Nella provincia di Imperia si esercitano alcune industrie ausiliarie della floricoltura: oltre quella degl'imballaggi e delle stuoie, l'industria chimico-floricola vanta uno stabilimento a Vallecrosia per la preparazione di essenze e profumi. Non mancano in alcune località industrie artigiane caratteristiche: a quelle già ricordate si possono aggiungere la lavorazione della filigrana a Genova e quella del corallo.
Rientra nel quadro delle industrie anche l'organizzazione dei trasporti e comunicazioni, che come si è visto occupava nel 1927, fra i varî rami d'industria, il maggior numero di addetti. Oltre le industrie dei trasporti terrestri, hanno grande importanza quelle dei trasporti marittimi, accentrate specialmente a Genova, il massimo porto armatore del Mediterraneo: vi hanno sede numerose società di navigazione, tra le quali la Società Italia, costituitasi nel 1932, che riunisce la N. G. I. e il Lloyd Sabaudo e controlla finanziariamente la Società Cosulich. Al cnmpartimento marittimo mercantile di Genova appartenevano, alla fine del 1931, 535 piroscafi con stazza netta di 1.053.401 tonnellate, cioè il 60,9% della stazza netta totale dei piroscafi mercantili italiani, e 47 motonavi, con una stazza netta di 96.836 tonnellate, cioè il 30,6% della stazza netta totale delle motonavi italiane.
Alla mitezza del suo clima e alla bellezza dei suoi paesaggi la Liguria deve un'altra fonte di ricchezza, quella dell'industria turistica e del forestiero: su ambedue le riviere, ma specialmente su quella di Ponente, è tutta una serie di stazioni climatiche e di villeggiatura, alcune di fama mondiale, frequentate da una numerosa clientela estera e anche italiana, che vi si reca a trascorrere il mite inverno o nell'estate per i bagni. Alcune di queste stazioni vantano un'organizzazione alberghiera e turistica di prim'ordine; le principali sono: S. Remo, che si può dire alla testa delle stazioni climatiche italiane, Bordighera, Diano Marina, Ospedaletti, Ventimiglia, in provincia d'Imperia; Alassio, Celle, Finale, Loano, Spotorno, Varazze, in provincia di Savona; Nervi, Portofino, Rapallo, S. Margherita, Sestri Levante, in provincia di Genova; Levanto, in provincia della Spezia.
L'energia elettrica destinata ad animare le industrie liguri, a dar la forza motrice ai mezzi di trasporto e a provvedere agli altri complessi bisogni della fittissima popolazione (illuminazione, ecc.), proviene in parte da centrali poste nella Liguria stessa, in parte maggiore da centrali di altre regioni: la Liguria è importatrice di energia elettrica. Non sono molte né molto potenti le centrali idroelettriche (alla fine del 1931 erano 16 con una potenza installata di 40.128 kW e una produzione di energia di 120.062,7 kWh; nel regno, rispettivamente, 940 centrali, 3.943.632 kW e 9.664.708,8 kWh.); le principali sono quelle di Bevera e di Airole (Roia), del Gorzente (Tanaro), di Caroso e S. Michele (Entella), di Arlia (Magra). Assai maggiore importanza relativa ha l'industria termoelettrica (1931: 14 centrali con una potenza installata di 128.732 kW e una produzione di energia di 3558 kWh; nel regno, rispettivamente, 238 centrali, 819.777 kW e 220.041 kWh), che vanta a Genova la massima centrale termoelettrica italiana, quella del Concenter, che quando sarà completata avrà una potenza di 176.000 kW. A integrare la fortissima richiesta di energia elettrica della regione ligure (il consumo è di oltre 2 miliardi di kWh all'anno) provvedono le potenti centrali dei compartimenti vicini.
Commercio, porti e vie di comunicazione. - Il commercio, attività tradizionale dei Liguri, è anche oggi accanto all'industria precipua fonte di vita per la regione. Secondo il censimento commerciale del 1927, gli addetti al commercio in Liguria sono 90.240 (circa il 6% della popolazione del compartimento; il 5,4% della popolazione italiana dedita al commercio), così ripartiti nelle quattro provincie: Genova 59.693 (oltre il 7% della popolazione totale della provincia; il 66,1% degli addetti al commercio in tutta la Liguria); Imperia 10.701 (rispettivamente circa il 7% e l'11,8%); La Spezia 8771 (circa il 4%; 9,7%); Savona 10.075 (oltre il 5%; 12,2%). Si è già visto inoltre come un'alta percentuale della popolazione ligure sia occupata nell'industria dei trasporti e comunicazioni attività intimamente connessa a quella commerciale. L'importanza commerciale della Liguria è del resto più che evidente quando si pensi che appartiene alla regione il porto di Genova, di gran lunga il massimo dei porti italiani per il traffico mercantile, il quale con l'altro grande porto di Savona, che in parte ne integra le funzioni, è lo sbocco sul mare della più importante regione industriale italiana, la Pianura Padana centro-occidentale, e dopo l'apertura delle ferrovie del Gottardo e del Sempione, anche della Svizzera e della Germania occidentale. Per le notizie sui massimi porti liguri si rimanda alle voci a ciascuno di essi dedicate; qui basti solo ricordare che nel 1929 il porto di Genova ebbe un movimento complessivo di merce sbarcata e imbarcata di 7.933.947 tonn., che rappresentò il 20,6% del movimento di tutti i porti del regno; se al movimento del porto di Genova si aggiunge quello dei porti di Savona (2.022.647 tonn.), anch'esso uno dei maggiori porti italiani, e della Spezia (922.464 tonn.), poi quello dei porti minori (fra i quali Oneglia, Porto Maurizio, S. Remo, Vado), si vedrà quale alta percentuale del movimento mercantile marittimo del regno spetti alla Liguria. Nel 1930 e 1931 il movimento mercantile è un po' diminuito, in seguito alla depressione economica, ma sempre alta rimane la proporzione dei porti liguri nel complesso del regno. Minore importanza ha il movimento dei viaggiatori: si svolge quasi solo attraverso il porto di Genova, che rimane molto inferiore a quelli di Trieste, Napoli, Fiume (nel 1931 i viaggiatori sbarcati e imbarcati furono 138.425).
Nel movimento mercantile dei porti liguri prevalgono di gran lunga le merci sbarcate su quelle imbarcate: essi soprattutto riforniscono di materie prime occorrenti alle industrie (carbone, petrolio, cotone, lana, ferro, legname, ecc.) e di alcuni generi alimentari (cereali) le regioni del retroterra. Una parte delle materie prime è destinata alle industrie della regione, le quali a loro volta esportano, per via marittima o terrestre, alcuni dei loro prodotti finiti insieme a taluni prodotti agricoli: fra questi soprattutto fiori, ortaggi di primizia, frutta; fra i prodotti industriali, oltre a fornire navi alla flotta mercantile e militare italiana e anche di stati esteri, la regione esporta altri prodotti dell'industria meccanica, metallurgica, chimica, estrattiva, prodotti alimentari, ai quali si è già accennato nel capitolo sulle industrie.
La Riviera ligure sarebbe tagliata fuori dalle comunicazioni col paese retrostante se nella catena che la chiude a poca distanza dal mare non si aprissero alcuni passi importanti: i maggiori centri sorgono infatti sul mare in corrispondenza ai punti in cui i monti sono più facilmente valicabili. Il Passo di Tenda, all'estremità occidentale, è utilizzato dalla strada Cuneo-Ventimiglia, la quale è però costretta ad attraversare un angolo di territorio francese; dalla valle del Tanaro scendono due strade, l'una per i colli di Nava e S. Bartolomeo nella valle dell'Impero e a Imperia, l'altra per il Colle S. Bernardo nella valle del Neva e ad Albenga; altre strade provenienti dal Piemonte si riuniscono a Carcare, donde per il Passo di Cadibona una grande strada scende a Savona; un'altra via scende per il Colle del Giovo e con due rami raggiunge Albissola e Varazze; un'altra per il Passo del Turchino raggiunge Voltri; il Passo della Bocchetta e quello dei Giovi sono utilizzati dalle strade provenienti dal Piemonte e dalla Lombardia che scendono nella valle della Polcevera e a Genova; per il Passo della Scoffera questa è raggiunta da un'altra grande strada proveniente dall'Emilia; per il Passo delle Cento Croci un'altra strada scende dalla valle del Taro sulla Riviera di Sestri; La Spezia e la bassa Val di Magra comunicano col Parmense attraverso le strade che utilizzano i passi della Cisa e del Cerreto. Tutte queste strade scendono fino sulla riva del mare a innestarsi sulla grande via litoranea, la Via Aurelia, la "Cornice" di fama mondiale per i suoi panorami. Ma nelle maglie interposte fra l'una e l'altra delle vie trasversali le comunicazioni sono poco sviluppate e tale deficienza, dovuta all'irregolarità e asprezza del rilievo, ostacola lo sviluppo economico, basato sull'agricoltura e allevamento, delle regioni montane. Va ricordata la grande camionabile Genova-Milano, ora in costruzione. Il tracciato delle ferrovie segue quello delle grandi strade: una grande linea ferroviaria, la cui costruzione ha dovuto superare non lievi difficoltà, corre lungo la costa provenendo dall'Italia centrale e proseguendo per la Riviera Francese; su di essa s'innestano le linee provenienti dal retroterra: la Cuneo-Ventimiglia, quella che da Ceva, dove si riuniscono parecchie linee del Piemonte, scende a Savona, la Alessandria-Acqui-Savona, le linee dal Piemonte, dalla Lombardia e dall'Emilia a Genova, quelle da Milano e Parma a La Spezia. La massima parte delle ferrovie liguri sono elettrificate. Alla fine del 1931 erano in circolazione sulle strade della Liguria: 3169 motocicli, 10.270 autovetture, 589 autobus, 4598 autocarri. Nel 1931 le linee automobilistiche in servizio pubblico erano 117 con una lunghezza di km. 1705. Numerose linee di navigazione uniscono Genova ai principali scali del Mediterraneo, a quelli americani e asiatici dell'Atlantico e del Pacifico, e all'Australia. Genova è anche importante nodo per le linee aeree civili: vi fanno capo la Trieste-Venezia-Pavia-Genova, la Palermo-Roma-Genova, la Genova-Marsiglia-Barcellona; vi passa la Roma-Genova-Barcellona-Cartagena-Gibilterra.
I centri abitati. - Dei 1.126.904 ab. censiti in Liguria nel 1921, 1.092.335 vivevano distribuiti in centri; i rimanenti 234.569, cioè solo il 20,8% del totale, nelle case sparse.
I maggiori centri liguri e anche la massima parte di quelli minori sono sul mare: il popolo ligure è per eccellenza un popolo marinaro. Sono sorti soprattutto allo sbocco delle valli fluviali, nelle insenature della costa, dove generalmente è più estesa la cimosa pianeggiante. Sono queste le regioni che si trovano nelle condizioni più favorevoli per le comunicazioni, quelle nelle quali le colture trovano le condizioni migliori, le fabbriche industriali lo spazio necessario per sorgere. Il massimo centro ligure si è sviluppato sul mare, nel punto dove si apriva una piccola baia naturale e soprattutto più favorito per le comunicazioni marittime e col retroterra. Ma spesso in passato i nuclei abitati, anziché adagiarsi sui brevi piani, si sono arrampicati sui colli vicini per difendersi dalle incursioni dei pirati, mentre oggi, cessato questo pericolo, le nuove costruzioni preferiscono stendersi in piano, lungo il mare: sicché, ai vecchi quartieri con le loro vie strette e le case ammassate, fanno contrasto i nuovi, con strade ampie e aperte. Talora, specialmente sulla Riviera di Levante, i paeselli si arrampicano pittorescamente su scogli diruti perché manca quasi del tutto la cimosa pianeggiante: così i caratteristici paesi delle Cinque Terre.
I paesi, che sorgono ancora numerosi sulle pendici e le cime delle prime colline e lungo le principali valli fluviali si fanno sempre più rari col crescere dell'altezza e della lontananza dal mare. Altri centri, alcuni notevoli, si trovano nelle valli del versante padano, o in quelle longitudinali. Per il numero di abitanti, oltre Genova, che superava nel 1921 i 300.000 ab., ai quali si devono aggiungere quelli dei vicini centri, ormai incorporati al nucleo dell'abitato della metropoli (cui sono amministrativamente uniti a formare la Grande Genova; v. genova, XVI, p. 555), altri due centri superano i 50.000 ab.: La Spezia (62.972) e Savona (51.832); Imperia e San Remo superano i 15.000, pochi altri soltanto i 5000.
Bibl.: G. Casalis, Dizionario geografico, storico, statistico, commerciale degli stati di S. M. il re di Sardegna, voll. 28, Torino 1833-56; A. Issel, Liguria geologica e preistorica, voll. 2 e 1 atl., Genova 1892; G. Marinelli, La Terra, IV: Italia, parte 1ª e 2ª, Milano s. a.; T. Fischer, La penisola italiana, Torino 1902; G. Strafforello, La patria. Geografia dell'Italia: Provincie di Genova e Porto Maurizio, Torino 1892; G. Aicardi, Nota preliminare sulla distribuzione della popolazione nella riviera ligure, in Rivista geogr. ital., XIX, fasc. 7°, pp. 546-554; id., La popolazione della riviera ligure dal 1851 al 1901, ibid., XX, fascicolo 1°, pp. 58-65; G. Anfossi, La pioggia nella regione ligure, in Memorie geografiche, n. 17, ottobre 1911; S. Grande, Liguria, Torino 1929; Consiglio Prov. dell'economia di Genova, Relazione sull'andamento economico della provincia di Genova nell'anno 1928, Genova 1929; U. Formentini e T. Valenti, La Spezia e la sua provincia, La Spezia 1931; G. Ruatti, L'economia floreale della Liguria, Roma 1929; id., Alta, media e bassa montagna di S. Remo, in Lo spopolamento montano in Italia, I: Le Alpi Liguri-Piemontesi, Milano-Roma 1932; E. Turbati, Alta valle dell'Arroscia, ibid.; T. C. I., Guida d'Italia. Liguria, Milano 1933; Min. Agric. Ind. e Comm., Memorie illustrative della Carta idrogr. d'Italia. Liguria, Roma 1894; Min. Lavori Pubblici. Serv. idrogr., Risorse idrauliche per forza motrice utilizzate e ancora disponibili, fasc. VI, Roma 1931.
Folklore.
Il folklore ligure presenta, spesso, spiccatissime differenze tra luoghi vicini. In molti paeselli perdura il rito del ciocco (zocco, confuoco, ecc.) natalizio: in Genova, gli uomini delle valli della Polcevera e del Bisagno offrivano al doge il tronco di lauro, che si accendeva, distribuendo al popolo i tizzi e le ceneri. I falò sono in uso in parecchie feste, specie in quella di S. Giovanni (24 giugno). Nell'Epifania, ha luogo la "Ricca": fanciulli che cantano di soglia in soglia, portando in trionfo un compagno vestito da Befana. Nel carnevale, oltre le maschere di Geppin e Nena, si hanno balli e altre cerimonie. Del "piantar maggio" restano tracce in rappresentazioni simili ai maggi toscani e nell'uso di appendere alle finestre delle fanciulle ramoscelli di pino (segno di bellezza), di ciliegio (segno di civetteria), di frassino (insulto). La fidanzata nel territorio di Sarzana portava sull'orecchio destro il "ranuncolo", o "mazzetto" o "fiore" di seta, offertole dal suo caro, di nascosto dai parenti; per le nozze dei vedovi si fanno in segno di riprovazione le "baccilate". In qualche villaggio il feretro viene collocato sul focolare spento; ai parenti i piagnoni recano la torta di riso; è di rito il "desinare del morto", di magro. Scomparsi i caratteristici costumi, ne rimangono i tipi a Biassa (con il pezzotto, le pezzuole, le reticelle rosse per il capo e il busto di seta), a Sarzana e altrove. Echi di leggende feudali, religiose e saracene, circondano i castelli e i santuarî. Il Cerro di Campodonica, a Zeri, è celebre per le streghe.
Bibl.: G. Pitrè, Bibliogr. delle tradiz. pop. d'Italia, Torino 1894; G. Podenzana, Tipi di costumi lunigianesi, La Spezia 1928; U. Formentini, La Spezia, ivi 1930; F. Noberasco, Folklore savonese, Genova 1929; I. Scovazzi, Origini, miti e leggende liguri e piemontesi, Genova 1932.
Dialetti.
La configurazione geografica della Liguria favorisce senza dubbio il differenziamento dialettale, notevolissimo se si consideri l'area relativamente piccola della regione. Il dialetto di Genova è andato soggetto, come quello di ogni centro di civiltà, a una rapida evoluzione, e pertanto fenomeni della sua fase più antica si ritrovano di solito in zone liguri appartate o laterali. Interesse offrono anche i dialetti delle colonie: quello di Bonifacio in Corsica (i Genovesi s'impadronirono di Bonifacio verso il 1200), che rispecchia per lo più una fase arcaica, e quelli di Carloforte e Calasetta in Sardegna, colonie fondate dagli abitanti di Pegli nel sec. XVIII.
Vocalismo. - Caratteristici sono gl'incontri di vocali. Per alcuni nessi si verificano non solo adattamenti di colore e di apertura, ma addirittura contrazioni; inoltre nei gruppi tonici l'accento si porta sulla vocale più aperta (p. es., gen. máëna "marina" di fronte a sùénu "giovane"). Anche qui i dialetti mostrano fasi diverse: si ha, p. es., raêûe "radice" ad Airole, Borgomaro, a Cassana e Castelnuovo (raêûa), ma ráièa a Sassello, e, infine, réòûe, oltre che a Genova, a Calizzano, Noli, Isola e Rovegno, Zoagli. Altri esempî tipici sono: láite léte "latte", maístru méëstru "maestro", maúûi móùûi "marosi", aûéu aûóù "aceto", maü′o mö′ëu "maturo", meúlla móùla "midollo", âamáu âamóù "chiamato", peskaú peskóù "pescatore".
La vocale ù, tonica e atona, è continuata da ü (püu "puro", lüûernà "abbaino"). L'estremità orientale dalla Magra al Frigido presenta già u. La vocale ñ tonica in sillaba aperta dà ö (fögu "fuoco"). Il fenomeno, che è del piemontese, del lombardo e dell'emiliano occidentale, abbraccia quasi tutta la Liguria, ma La Spezia offre e, e la zona dalla Magra al Frigido o.
Le vocali å ê toniche in sillaba aperta, tranne davanti a nasale, sono continuate, come nel piemontese e in parte nell'emiliano, da é???ë a Genova e zone vicine (mé???ëôe "mese", né???ëve "neve"), da e nella Liguria occidentale dopo Savona e nel territorio tra la Magra e il Frigido. Per gli stessi suoni in sillaba chiusa e davanti a palatale, un'ampia zona delle Alpi Liguri presenta a (invece di e), come a Ormea e Altare, che documentano fraçe "freddo", prastu "presto".
Notevole è la tendenza di a tonica ad o in una vasta area della Liguria occidentale: p. es. vicino a r e a labiale, a Oneglia si ode un suono intermedio tra a e o (terå′ "telaio"), e le colonie sarde offrono ï; Ormea ha ï in ogni congiuntura. Però in tutt'e tre le zone rimane la a del suffisso maschile -atu (Oneglia: prau "prato").
Le vocali finali in genere rimangono, contrariamente a quanto avviene negli altri dialetti settentrionali; stanno a parte le finali in -e -u precedute da r l n e quelle in -i precedute da --́n -nd -nt che presentano esiti speciali.
Consonantismo. - I gruppi pl bl fl dànno â ç è (tra vocali pl dà ç): âañ "piano", çañku "bianco", èamá "fiamma" duçu "doppio". È questo uno dei tratti più notevoli del consonantismo ligure, benché in alcune località, p. es. a Isola e Rovegno e dalla Magra al Frigido, si abbia pë bë fë. Le sibilanti s ô diventano è û davanti a i (èi "sì", çüûía "gelosia, imposta"). Rimangono intatte ad Airole, Cassana, e in quasi tutti i paesi dalla Magra al Frigido.
Altro fenomeno quasi esclusivamente ligure è la caduta delle liquide tra vocali. In tale posizione l r passano in un primo tempo ad ó, suono che si ottiene "alzando meno la punta della lingua, ossia avvicinandola meno ai denti, cosicché la vibrazione diventa meno intensa e dalla punta della lingua si riduce piuttosto ai lati" (Parodi). Con l'accentuarsi di quest'articolazione, avviene la scomparsa completa dell'ó, la quale per il genovese si fa risalire al secolo XVI. Nelle aree isolate e laterali si ode ancora, più o meno distintamente, la fase ó.
Tra vocali, soprattutto nelle finali -ána, -ína e simili, si ode una nasale più o meno profondamente velarizzata (espressa con ñ). Questo suono, che è anche del Monferrato e di Torino, si avverte a Genova, nella zona centrale della Riviera (p. es., a Noli e a Zoagli), a Isola e Rovegno, nelle colonie sarde, ma manca all'estremità orientale (p. es., dalla Magra al Frigido) e a quella occidentale (Airole, Borgomaro), oltre che a Ormea, Calizzano, Sassello e alla colonia di Bonifacio. Notevole, accanto ai vari ñ, la pronuncia ñn: galiñna vicino a galiña "gallina".
Ce, ci iniziali o postconsonantici e të kë sono continuati da z (ts); e ge, gi (in ogni posizione, tranne in postonia), gë, dë, ë (iniziale o tra vocali) hanno dato û (ds). Le fasi z e û rimangono a Taggia, Ormea, Calizzano, Sassello, Isola e Rovegno, nella colonia di Bonifacio, e dalla Magra al Frigido (però alcuni dialetti di questa zona presentano anche â da ce, ci e ç invece di û); mentre ad Airole, Borgomaro, Noli, Genova, Zoagli, nelle colonie sarde e, in genere, in quasi tutta la riviera, si è giunti a s ô continuatori dei più antichi z e û: zeñtu accanto a señtu "cento", puzzu pussu "pozzo", ûeñûía ôeñôía "gengiva". Per la posizione intervocalica è da segnalare la tendenza allo scempiamento delle geminate, la sonorizzazione delle sorde, il dileguo delle occlusive dentali (t, d), fenomeni che compaiono anche negli altri dialetti settentrionali.
Bibl.: G. I. Ascoli, Del posto che spetta al ligure nel sistema dei dialetti italiani, in Arch. glott. ital., II, pp. 111-160; N. Lagomaggiore, Rime genovesi della fine del sec. XIII e del principio del XIV, ibid., II, pp. 161-312; A. Ive, Prose genovesi della fine del sec. XIV e del principio del XV, ibid., VIII, p. 1 segg.; G. Flechia, Annotazioni linguistiche alle "Antiche Rime Genovesi" e alle "Prose Genovesi", ibid., VIII, pp. 317-406, X, pp. 141-166; E. G. Parodi, Rime genovesi della fine del sec. XIII e del principio del XIV, ibid., X, pp. 109-140; id., Studi Liguri, ibid., XIV, pp. 1-21, 22-110; XV, pp. 1-82; XVI, pp. 105-161, 333-365; id., Intorno al dialetto di Ormea, in Studj romanzi, V, pp. 89-122; E. G. Parodi e G. Rossi, Poesie in dialetto tabbiese del sec. XVII, in Giornale stor. e letter. della Liguria, IV, p. 329 segg.; E. G. Parodi, Dante e il dialetto genovese, in Dante e la Liguria, Milano 1925, pp. 3-15; B. Schaedel, Die Mundart von Ormea, Halle 1903; G. Bertoni, Nota sul dialetto di Bonifacio (Corsica), in Romania, XLIV, pp. 268-273; G. Bottiglioni, Dalla Magra al Frigido: saggio fonetico, in Revue de dial. romane, III, pp. 77-143, e Note morfologiche sui dialetti di Sarzana, San Lazzaro, Castelnuovo Magra, Nicola, Cassano, Ortonovo, ibid., III, pp. 339-401; G. Bottiglioni, L'antico genovese e le isole linguistiche sardo-còrse, in L'Italia dialettale, IV, pp. 1-60, 130-149; G. Rossi, Glossario medioevale ligure, in Miscellanea di storia italiana, s. 3ª, IX, Torino 1898; L. Dionisi, Saggio di vernacolo onegliese (limitato al lessico), Oneglia 1908; G. Casaccia, Dizionario genovese-italiano, 2ª ed., Genova 1876 (il migliore). Per i contatti col provenzale, J. Ronjat, Grammaire istorique (sic) des parlers provenåaux, I e II, Montepellier 1930-32.
Letteratura dialettale.
Una lingua letterariamente incolta si presta meglio alla poesia che alla prosa; il che si verifica anche per i dialetti liguri, nei quali le prose sono rare. Oltre a parole isolate o a brevi frasi nelle carte dei notari, nei capitoli delle arti, e in genere nei documenti storici, frammenti che non appartengono alla letteratura, in prosa non ci rimane se non La leggenda di S. Elisabetta d'Ungheria nel dialetto di Savona del sec. XV, attribuita a un Alerame Traversagni. Più abbondante è invece la letteratura poetica: in ordine cronologico registriamo le anonime laudi sacre di Pietra Ligure, probabilmente del sec. XIV; i versi in dialetto ventimigliese di Gerolamo Lanteri, ancora vivente nel 1668, e quelli di Stefano Rossi, che poetò nel parlare di Taggia del sec. XVII. Considerazione speciale meritano Savona e La Spezia che, come centri di cultura, offrono una produzione relativamente copiosa, soprattutto nei nostri tempi. Per Savona si risale al Chiabrera e al suo contemporaneo Mulassana, né deve essere dimenticata l'opera incitatrice attualmente svolta dalla società A Campanassa. Per La Spezia oltre a G. B. Monti, morto nel 1615 e di cui sopravvive solo la memoria, si ricordi Ubaldo Mazzini (1868-1923), scrittore di autentico valore; anche in questa città dà incremento alla letteratura dialettale la società A Lavezaa, e notevole è l'uso, tuttora vivo, delle canzonette carnevalesche con la maschera popolare detta Batiston. Per la letteratura dialettale di Genova, v. genova, XVI, p. 570.
Dei moderni poeti dialettali dei centri minori si possono citare: R. Bodratti, Er me paise, ossia monografia di Piampaludo in ottava rima nel vernacolo olbese (Acqui 1897); A Cerveide, versi in dialetto rivierasco ligure (Oneglia 1907); F. G. Muratorio, I ribelli, poema eroicomico in dialetto ligure (Genova 1908); V. Jacono, U scioperu di maistri... sunetti nustrà... (San Remo 1919); E. Morteo, Rimme Araxine (cioè di Alassio; Genova 1928); L. Burrone Lercari, Un linguaggio mai scritto (Finale Ligure 1930).
Bibl.: V. Poggi, La leggenda di S. Elisabetta d'Ungheria in dialetto savonese della metà del sec. XV, in Giornale ligustico, XXIII (1898), pp. 7-33: il Poggi ricorda pure che "Agostino Abate (1495-1545) compilò in dialetto le cronache savonesi dal 1500 al 1570"; per tre sonetti rimastici del Lanteri v. in A. Neri, Studi bibliografici e letterari, Genova 1896, pp. 190-192; E. G. Parodi e G. Rossi, Poesie in dialetto tabbiese del sec. XVII, in Giornale storico e letterario della Liguria, IV (1903), pp. 329-399; P. Accame, Frammenti di laudi sacre in dialetto ligure antico, in Atti della società ligure di storia patria, XIX (1888), pp. 557-572; F. Noberasco, La poesia dialettale savonese, in Atti della società savonese di storia patria, X (1928), pp. 51-115; della Campanassa si vedano anche i calendarî; per il Monti, cfr. Giustiniani, Gli scrittori liguri, Roma 1667, p. 376, che ne ricorda Rime diverse così toscane come genovesi; U. Mazzini, Il libro dei sonetti ed altre poesie, La Spezia 1927; per le canzoni carnevalesche v. U. Formentini, La Spezia: il suo duomo, il nome, il blasone, la maschera, La Spezia 1927, pp. 55-61; E. Azaretti e F. Rostan, A Barma Grande, antulugia intermelia, Ventimiglia 1933.
Musica e canzone popolare.
La materia poetica popolare come quella musicale non si dimostrano molto ricche in questa regione. La canzone popolare ligure partecipa della zona gallo-italica, che ha notevoli relazioni con la Provenza e la Francia propriamente detta: versi a desinenza prevalentemente tronca. Molto, poi, le è venuto, per importazione e per assimilazione, dalla zona dell'Italia meridionale: il genere strambotto e stornello e il gusto delle rime piane.
A cura di M. Guelfi è stato per la prima volta possibile studiare nel 1929 saggi di musica popolare ancor viva presso i pescatori e i popolani del Golfo di Genova: melodie in prevalenza semplici, spigliate e in modo maggiore, del genere di quelle della zona dell'Italia settentrionele con substrato celtico. Accanto a queste s'incontrano anche melodie più ampie, nostalgiche e in modo minore, affini a quelle della zona dell'Italia inferiore con substrato meridionale e orientale. È difficile per ora, e per il poco che se ne conosce, determinare i periodi storici ed evolutivi; tanto più che da una considerazione generale della materia poetico-musicale è anche difficile trar fuori alcun carattere originale della regione; se per tale non si vogliano intendere un certo senso di arguzia, d'impertinenza e di vanteria e una certa felice disposizione a esprimere con evidenza e piacevolezza scenette della vita quotidiana.
La poesia popolare genovese ha le sue ninne-nanne, le sue canzoni e canzonette, le sue quartine di endecasillabi a rime alternate, reali o per assonanza, sul genere dello strambotto (bellezza, bontà, amore, gioia, matrimonio, insulti, maledizioni, motteggi), ha graziosi scherzi caricaturali o veristici e canti nostalgici di rimpianto e di malinconia. Ha pure le sue danze caratteristiche, proverbî, indovinelli, giuochi infantili e gridi di venditori ambulanti.
Nei seguenti esempî si trova una melodia di ninna-nanna, in modo maggiore, probabilmente derivata da un giuoco infantile o da una canzone arcaica e un'altra in modo minore, anch'essa di carattere arcaico, contenente tracce inconfondibili di modi orientali.
Le melodie di due canzoni gioconde si dimostrano affini di stile, di genere settecentesco e in modo maggiore entrambe.
Notiamo anche un'ampia e malinconica melodia marinara, in modo minore, che pur apparendo derivata da altre già note, e di sicura provenienza meridionale, assume tuttavia nella sua versione geno'vese un aspetto molto caratteristico e inconfondibile, così da meritare una considerazione particolare.
Le melodie popolari liguri in genere sono monodiche, benché accanto ad esse si trovi, in piccola proporzione, qualche canzone (importata) a due voci progredienti per terze parallele, a somiglianza delle consimili del Friuli e dell'Abruzzo.
Bibl.: Miscellanea, in Rivista delle tradizioni popolari, I, Roma 1894; O. Marcoaldi, Canti popolari inediti, umbri, liguri, piceni, piemontesi, latini, Genova 1855; F. Donaver, Antologia della poesia dialettale genovese, con introduzione, note e glossario, Genova 1910.
Preistoria.
Le felici condizioni naturali della Liguria marittima vi permisero la dimora dell'uomo più antico, l'uomo paleolitico.
Sono celebri gli estesi e profondi giacimenti delle caverne, largamente aperte sul mare, dette dei Balzi Rossi (Baoussé Roussé) o di Grimaldi, dal nome del soprastante villaggio, nel territorio del comune di Ventimiglia, metodicamente esplorate dal principe Alberto di Monaco, e recentemente dal conte D. Costantini. Nei livelli inferiori di quei depositi erano resti fossili della fauna di clima caldo, propria della fase interglaciale, che precedette l'ultima grande espansione dei ghiacciai alpini (Elephas antiquus, rinoceronte di Merck, ippopotamo); a essi si sovrapponeva, a gradi, la fauna di clima freddo e umido, coeva all'ultima espansione glaciale (elefante primigenio o mammut, rinoceronte ticorino, ecc.). Di questo lunghissimo incalcolabile spazio di tempo dà indizio il fatto che una di queste caverne, detta del Principe, lunga m. 33, larga in media m. 9 e alta all'ingresso m. 21, venne a rimanere quasi riempita da un deposito umano lentissimamente innalzatosi. L'industria era quella di Le Moustier, costituita soltanto di raschiatoi e punte, ottenute ritoccandosi su di una sola faccia larghe schegge di selce o di quarzite (Paleolitico inferiore). Nei livelli superiori, con resti fossili di fauna di steppa (renne, ecc.), propria di clima freddo e secco, accompagnatasi al graduale ritiro dei ghiacciai entro le valli alpine, apparvero i primi rozzi utensili e armi di osso, insieme ad armi e strumenti litici varî e adatti a diversi usi, tratti da lame silicee strette e lunghe, ritoccate con tecnica progredita su di una sola faccia; è questa la particolare industria del Paleolitico superiore, che in Italia trae nome appunto da Grimaldi. Le pochissime statuette di steatite, raffiguranti in modo estremamente schematico la donna nuda con le parti sessuali enormemente sviluppate, e le tombe relativamente numerose in questi livelli superiori, sono la testimonianza d'idee religiose, del culto dei morti, di un primo stadio di ordinamento sociale. Alla base di questi livelli superiori (grotta dei Bambini) una tomba conteneva due individui di una razza "negroide", detta di "Grimaldi", perché solo qui bene documentata. Le altre tombe rivelarono individui dolicocefali e di grande statura, della razza detta di Cro-Magnon, allora diffusa nell'Europa centrale e occidentale. Questi fossili umani dei Balzi Rossi rappresentano la quasi totalità di quelli finora riconosciuti in Italia per i tempi paleolitici. I cadaveri furono rinvenuti generalmente distesi, talora rannicchiati, non di rado sopra un letto di ocra, entro fosse aventi qualche volta una parziale protezione di lastroni di pietra, e aperte spesso presso i cosiddetti "focolari". Apparvero essere stati deposti ancora rivestiti di pelli di animali, ornati di collane e pendagli di conchiglie e denti di animali. Fin d'allora col cadavere era il corredo: qui segnatamente di oggetti litici.
In altre parti della nostra Liguria marittima, si riconobbero spettare a diversi livelli paleolitici i piccoli depositi della grotta del Colombo in Val Varatiglia (Loano), delle Grotticelle di Pietra Ligure e della caverna degli Armorari (Verezzi); quelli più ampî della caverna delle Fate (Val Ponci nel Finalese) e della grotta dei Colombi nell'isola Palmaria (La Spezia).
Il lunghissimo spazio di secoli durante il quale le culture paleolitiche si trasformarono in quella successiva neolitica, si suole designare usualmente col termine di Miolitico. Furono vicende complesse e mal note, delle quali finora mancano documenti nell'Italia occidentale. Al graduale ridursi dei ghiacciai alpini alle testate delle alte valli, al conseguente sparire o ritirarsi in regioni fredde della fauna paleolitica, al costituirsi della regione nelle attuali condizioni geologiche, climatiche, di fauna e di flora, si accompagnò l'estensione delle dimore umane sull'Appennino, nella pianura del Po, prima inabitabile, fin entro le valli alpine. Anche gli scavi della Liguria marittima mostrarono che l'uomo, avendo addomesticato il cane, il bue, il cavallo, la pecora, la capra, il maiale, non era più soltanto cacciatore, ma anche pastore. Si può ritenere probabile che anche in Liguria l'evoluzione della civiltà e della cultura sia in parte frutto d'indipendente conquista locale, come vi è ormai certa qualche sopravvivenza della razza di Cro-Magnon.
La Liguria marittima tuttavia ci appare presto occupata da genti per certo sopravvenute a poco a poco della stirpe mediterranea dolicocefala, laguna e di piccola statura, cui appunto nei paesi mediterranei si suole attribuire lo sviluppo del Neolitico.
Nella Riviera di Ponente l'uomo continuò a vivere e a seppellire i morti nelle caverne, nelle grotte, negli anfratti segnatamente numerosi nel Finalese e nelle regioni adiacenti. Le caverne ampie, asciutte e illuminate offrirono dimora a famiglie, le quali solevano talora trattenersi anche all'aperto sui terrazzi soleggiati prossimi alle caverne stesse, come è dimostrato dai rinvenimenti.
Per i depositi umani delle età posteriori al Paleolitico sono da nominare le caverne e le grotte dei monti di Boissano e Toirano nel Loanese (del Pastore, ecc.), di Bardineto allo spartiacque appenninico, delle Arene Candide nel monte Caprazoppa (Finale Marina), di Finalborgo (Pollera, Sanguineto, dell'Acqua o del Morto, ecc.) di Noli, di Bergeggi.
Particolarmente notevoli per ampiezza di dimensioni, profondità di giacimenti e copia di oggetti usciti, le Arene Candide e la Pollera, nelle quali le numerose inumazioni ben attestano che si continuò, almeno senz'apparente interruzione, a deporre i morti accanto ai "focolari". I riti funebri erano infatti sostanzialmente ancora quelle del Paleolitico superiore di Grimaldi: i cadaveri entro fosse, per lo più contratti e giacenti sul fianco sinistro, con indizî non di rado di seppellimento "secondario" e qualche volta, pare, di coloritura del cranio a mezzo di ocra. Il corredo era fornito degli ornamenti stessi dei vivi, e di prodotti industriali varî: la primitiva ceramica familiare, le armi e gli utensili di osso levigato e di selce scheggiata con tecnica sempre più perfezionata. La natura litologica delle Prealpi piemontesi, e dell'Appennino liguro-piemontese, rese possibile nelle regioni subalpine occidentali e nella Liguria marittima, già in fase remota del Neolitico, la produzione, in molto maggiore copia che nelle regioni finitime, delle asce, accette e scalpelli di pietre verdi (giadeite, cloromelanite, serpentina, ecc.) levigate. Esclusivamente per deposizioni sepolcrali servirono le numerosissime grotticelle piccole e oscure e gli anfratti. In modo analogo vissero e seppellirono i "Liguri" cavernicoli delle non lontane Alpi Apuane e in genere le genti preistoriche, dovunque natura offrì siffatti ripari. Dove mancavano caverne atte ad abitazione, genti "liguri", affini alle cavernicole della Riviera e in possesso di cultura che pare abbia sempre presentato le stesse caratteristiche, vissero a lungo in numerose stazioni all'aperto (Sassello, Ponzone, ecc.).
Nonostante gli stessi amplissimi scavi delle caverne Pollera e Arene Candide, rimangono in genere oscuri gli aspetti successivi della civiltà dei cavernicoli della Riviera di Ponente: dal Neolitico antico, ancora privo delle più perfezionate armi silicee (deposito della grotta del Pastore, ecc.), via via ai tempi durante i quali giunsero anche nell'Italia settentrionale le prime armi e utensili di rame puro (fase eneolitica), e successivamente a quelli della generale diffusione della civiltà del bronzo.
Nelle caverne liguri si raccolsero bensì, eccezionalmente, qualche lama di ossidiana venuta dal Tirreno meridionale e, ancor più rari, piccoli frammenti di vasi dipinti con disegno geometrico, probabile importazione da regione meridionale d'Italia: monti e mare però segregarono i Liguri dell'Appennino, e ancora più quelli del litorale, ritardandovi lo svolgimento della civiltà e ostacolando le infiltrazioni etniche. La cultura vi conservò aspetti ancora quasi neolitici nella vita e negli usi funebri fin quasi, pare, all'avvento romano. Il succedersi dei molti secoli è dimostrato quasi unicamente dalla graduale evoluzione e perfezionamento dei prodotti ceramici, per i quali possiamo istituire confronti, ad es., con quelli analoghi delle genti padane. Più copiosi, e più lungamente che nelle regioni attigue, rimasero in uso gli oggetti silicei; quelli di bronzo, proprî dell'età cui dà nome questo metallo, appaiono molto rari, pur tenendosi conto che il prezioso metallo veniva incessantemente fuso e rifuso.
Questa scarsità apparentemente contrasta con la copia di armi e utensili di bronzo rappresentati nelle figure incise sulle rupi, ad altezza superiore ai 2000 m. s. m., nelle alte valli tutt'intorno all'isolato massiccio di Monte Bego (Alpi Marittime): figure che abbracciano lo spazio di tempo che va dai primordî dell'età del bronzo (pugnale triangolare) alle prime fasi almeno della successiva età del ferro. Particolarmente frequenti, le raffigurazioni delle cosiddette alabarde, o più propriamente accette d'arme, e in qualche caso anche falci, ossia delle lame triangolari isosceli inchiodate a un lungo manico in direzione o perfettamente normale o leggermente obliqua. Poche le figure umane, in relazione verosimilmente con la celebrazione di riti. Numerosissime poi le schematiche rappresentazioni di bovidi, spesso aggiogati all'aratro, nelle quali segnatamente appare racchiusa gran parte delle incognite di Monte Bego, insigne monumento di culto preromano. Una ragione peculiare di culto alla montagna del Bego adunatore di nubi non può essere messa in dubbio: questo culto poté essere uno degli aspetti locali con cui si manifestava quel substrato di concetti religiosi largamente diffuso nelle età preistoriche, almeno da quell'età del bronzo, che vide pure amplissimo lo sviluppo delle relazioni commerciali. Si spiegherebbero così anche le molte figurazioni di armi e di aratri. Che si sappia, nessuna gente preistorica, in nessun paese, lasciò tanta orma della propria civiltà quanto i preistorici di Monte Bego, i quali, come in genere le genti tutte dell'età del bronzo, erano oramai divenuti agricoltori.
Il pugnale triangolare pure rappresentato su alcune stele antropomorfe, rinvenute presso Fivizzano (Lunigiana), fa attribuire queste stele a una fase remota dell'età del bronzo. Da altri luoghi della Lunigiana stessa uscirono altre stele antropomorfe, anch'esse probabili monumenti funerarî, nelle quali il maggiore sviluppo del rilievo e del dettaglio e le armi (scure d'arme, ecc.) richiamano tempi più recenti, cioè fasi non remote dell'età del ferro. Una di tali stele reca un'iscrizione etrusca.
Nella Liguria marittima, con la fine del sec. V a. C., Genova cominciava ad essere l'"emporio dei Liguri". Infatti le numerose tombe del sepolcreto di Via XX Settembre erano di cremati: rito funebre il quale denota contatti e rapporti con le regioni finitime del nord e del sud. Buon numero degli stessi cinerarî, deposti sul fondo di pozzetti, erano grandi vasi greci o della Magna Grecia dipinti con figure rosse su fondo nero. Le tombe più antiche del sepolcreto spettavano all'incirca ai primi tempi del sec. IV, le più recenti agl'inizi dell'impero romano. In tutti questi secoli, il rito funebre della cremazione sembra fosse oramai il solo in uso nella Liguria orientale: lo si constata nelle tombe di Savignone (Alta Val Scrivia) degli ultimi tempi forse del sec. V, nelle tombe e sepolcreti "liguri" a cassetta di lastroni dell'estrema Riviera di Levante e della Lunigiana (Ameglia, Cenisola, Ceparana, Monterosso, Levanto, ecc.), i cui abbondanti corredi, frequenti di armi e di oggetti proprî d'industrie galliche, ci conducono fino ai tempi della conquista romana (v. apuani).
Nei secoli medesimi i Liguri della Riviera di Ponente sembra continuassero la tradizionale inumazione (caverma del Ponte di Vara presso Borgio, ecc.). Completamente isolata appare finora nuta in luce a Pornassio non lontano dal valico alpino detto di Nava.
Tito Livio, narrando le guerriglie e le vittorie romane sui Ligures, no1nina ripetutamente gli oppida, ossia quei recinti fortificati di grosse muraglie di pietre a secco, che oggi si denominano castellieri: ma nessuno finora è noto per vestigia archeologiche nella Liguria marittima. Le caverne della Riviera di Ponente continuarono pur sempre a essere frequentate, e ancora parzialmente quando già era stata compiuta la lenta romanizzazione, quando a lato della via Aemilia Scauri, condotta l'anno 109 a. C., restaurata e completata da Augusto (via Iulia Augusta) e munita d'insigni ponti in parte ancora superstiti, erano le città di Genua, Vada Sabatia (Vado), Albingaunum (Albenga), Albintimilium (Ventimiglia), delle quali restano tuttora monumenti notevoli, e il Trofeo di Augusto al sommo delle Alpi Marittime (v. albenga; genova; monaco; ventimiglia). Della floridezza della Liguria durante l'impero parlano ruderi di mansioni e di ville.
I Ligures furono le genti che, estese fin dal Neolitico per larga parte della penisola italiana, prime ebbero in Italia un nome. La Liguria di oggi, la romana Liguria Maritima, presenta ancora una larga sopravvivenza dell'antica stirpe per tutta la costa, e in parte anche sulle soprastanti Alpi e Appennini.
Bibl.: G. B. Amerano, in Bull. di paletnol. ital., XV, XVII, XVIII; N. Morelli, Iconografia della preistoria ligustica, in Atti della R. Università di Genova, Genova 1901; A. Issel, Liguria preistorica, 2ª ed., in Atti della Società ligure di stor. pat., XL, Genova 1908; M. de Villeneuve, M. Boule, M. Verneau, É. Cartailhac, Les Grottes de Grimaldi, Parigi 1906-1912; C. Bicknell, A Guide to the prehistoric Rock Engravings in the Italian Maritime Alps, Bordighera 1913; P. Baroncelli, Repertorio dei ritrovamenti e scavi di antichità avvenuti in Piemonte ed in Liguria, in Atti d. Soc. piemontese di archeologia, X, fasc. 3, Torino 1926; Edizione archeologica della Carta d'Italia al 100.000: fogli 95 (Spezia), 96 (Massa e Carrara) a cura di L. Banti, e 102 (San Remo) a cura di P. Baroncelli, Firenze, Istituto Geografico Militare, 1928 e '29. Cfr. inoltre le seguenti memorie recenti: U. Antonielli, La statuetta femminile steatopigica ecc., in Riv. d'antrop., XXVII (1926); P. Barocelli, La raccolta Amerano ecc., in Bull. d. paletnol. ital., XLIV (1922); id., Sepolcri neolitici dell'Italia occidentale, in Boll. d. Soc. piem. d. archeol., VII e VIII (1924); id., Le incisioni rupestri delle Alpi Marittime, in Historia, 1928; R. Battaglia, Lo "strato di Grimaldi", in Riv. di scienze naturali "Natura", XI, Pavia 1920, fasc. giugno-agosto; id., Ossa umane lavorate e trattamento del cadavere nei tempi preistorici, in Bull. di paletnol. ital., XLIV (1924); M. Boule, Les hommes fossiles, Parigi 1921; M. Boule e M. de Villeneuve, La grotte de l'Observatoire à Monaco, in Mémoires de l'Institut de paléontologie humaine, Parigi 1927; H. Breuil, Renseignements inédits sur les circostances de trouvaille de statuettes aurignaciennes des Bausses-Rousses, in Istituto italiano di paleontologia umana. Atti della prima riunione: 21-24 aprile 1927, Firenze 1930; H. Breuil, Un coup de poing chéllen de la Barma Grande, in Bollettino Assoc. Internaz. studi mediterranei, II, iii (1931), agosto-settembre; M. C. Burkitt, Rock Carwings in the Italian Maritime Alps, in Antiquity, 1929, pp. 155-64; L. Cardini, Il "paleolitico superiore" della Barma Grande ai Balzi Rossi, in Archivio per l'antropologia e la etnologia, LX-LXI (1930-31); D. Costantini, Rapporto su la nuova esplorazione della Barma Grande (Balzi Rossi), in Bollettino d'arte Minist. P. I., maggio 1928; A. Mochi, I sincronismi fra glaciazioni, faune ed industrie quaternarie in Europa e le concordanze italiane, in Archivio per l'antropologia e l'etnologia, LVII (1927), fasc. 1-4; U. Rellini, Lo strato di Grimaldi e l'età miolitica, in Riv. di antrop., XXIII, Roma 1919; id., Sulla ceramica cromica primitiva in Italia, in Bull. di paletnol. ital., XLV (1925); id., Le origini della civiltà italica, Roma 1929; C. Richard, La caverna degli Armorari presso Verezzi, in Boll. d. Soc. piem. di archeol., XVI (1932).
Storia.
Antichità. - I Liguri appaiono noti fin da epoca assai antica a scrittori greci (già in Esiodo essi sono tra i popoli siti ai confini della terra), che ne mettono in rilievo le condizioni primitive della vita, l'audacia come marinai e pirati sulle loro fragili imbarcazioni e il valore guerriero, dimostrato soprattutto come mercenarî al soldo di Cartagine. Abbondanti anche, come è da aspettarsi, i racconti aretalogici su di loro e sul loro paese (si narrava tra l'altro che essi avessero una costola di meno degli altri uomini). Ma la storia della Liguria marittima, allo stato attuale delle nostre conoscenze, si può fare solo datare dalla fine del sec. V a. C. Cominciò allora a formarsi presso l'oppidum dei Genuates il sepolcreto arcaico sopra accennato. Già allora Genua cominciava a essere l'"emporio dei Liguri" (Strabone). I rapporti di alleanza dei Genuates con i Romani risalgono ai tempi che seguirono la fine della prima guerra punica, quando Roma prese a curare la protezione di Pisa, la conquista del "Portus Lunae" e si ebbero le prime guerre contro i Liguri Apuani. Rimasta fedele a Roma durante la seconda guerra punica, Genova ebbe a soffrire dal cartaginese Magone, il quale era approdato a Savona e si era alleato con i potenti Ingauni della Riviera di Ponente. Dopo la sconfitta di Annibale a Zama, Genova, come Placentia, ecc., venne ricostituita; gli Apuani e gl'Ingauni definitivamente domati. Alla metà del sec. II, da Genova per la Val Scrivia e per la Valle Padana, venne condotta la grande via Postumia, fino a Verona e Aquileia. Mancano notizie sulle guerriglie contro i Liguri dell'estrema Riviera di Ponente. Al loro termine verosimilmente si riferisce l'indeterminata notizia di una vittoria riportata da M. Emilio Scauro sui Liguri l'anno 115 a. C. Se ne avrebbe conferma da un passo di Strabone, nel quale è detto che i Romani dopo ottanta anni di guerra conseguirono a stento che fosse libero il percorso della via litoranea per una larghezza di dodici stadî (circa un miglio e mezzo romano). Lo stesso M. Emilio Scauro, quale censore, condusse l'anno 109 a. C. la via che prese il suo nome (via Aemilia Scauri) per Pisa, Luni e Genova fino a Vada Sabatia (Vado Ligure), e di qui per il passo appenninico di Cadibona a Dertona (Tortona) sulla via Postumia.
Nella divisione augustea dell'Italia la Liguria formò la IX regione, che comprendeva, oltre la Liguria vera e propria, anche una buona parte del Piemonte: i suoi confini erano a occidente il Varo e le due provincie alpine delle Alpi Marittime e Cozie, a settentrione il corso del Po, a levante il corso della Trebbia e della Magra.
Dopo Diocleziano fu fatto un solo distretto della Liguria e dell'Emilia, ma già nel corso del sec. IV le due regioni tornarono a essere divise: alla Liguria era però stata unita tutta la Transpadana e la sua capitale era stata portata nella città più importante di questa, Milano: essa era retta da un consularis, alle dipendenze del vicarius Italiae.
Non si conosce quando Albintimilium (Ventimiglia) e Albingaunum (Albenga) siano sorte, quali colonie sul mare degli Intimili e degli Ingauni: queste piccole città ormai romane dovettero avere una certa importanza già nel sec. I a. C. Ma alla fine del sec. II neppure lo stesso territorio genuate era completamente romanizzato.
La sentenza, data l'anno 117 a. C. da Q. e M. Minucio, arbitri ex senatus consulto nella controversia fra i Genuati e i finitimi Langenses-Viturii, abitanti della valle della Polcevera (Tavola della Polcevera") è un monumento giuridico della massima importanza, un testo di diritto ligure interpretato dalla giurisprudenza romana. La sentenza determinò l'ager privatus e l'ager publicus dei Langenses; su quest'ultimo gravava l'obbligo di un canone annuo da pagare in publicum Genuam. L'ager compascuus era condominio pari dei Genuates, dei Langenses e di altri castella della regione. L'ordinamento genuate era sorto con carattere federale, verosimilmente da coloni mandati da un gruppo di castella, collegati fra loro in qualche modo, a difesa di un mercato aperto all'offesa del mare. L'oppidum genuate, così sorto, sembra abbia assimilato una colonia greca stabilitasi autonoma accanto ai gruppi indigeni.
L'imperatore Augusto domò definitivamente anche i Liguri Capillati delle Alpi Marittime, e costituì da Placentia per Dertona e Vada fino al Varo la via Iulia Augusta. Di sistemazione completamente nuova ne era il tratto litoraneo da Vada al Varo.
Al sommo delle Alpi Marittime, a lato della via stessa venne eretto il celebre Trofeo di Augusto (v. alpi, II, p. 638; monaco). Su questa via erano Albintimilium, presso il fiume Rotuba (Roia); la stazione di Lucus Bormani forse presso Diano Marina; Albingaunum presso il fiume Mevula, forse il Centa, di fronte all'isola Gallinaria; Vada Sabatia. Procedendo lungo il litorale verso oriente, erano Alba Docilia (Albissola); Genua tra i fiumi Porcifera (Polcevera) e Feritor (Bisagno). Nella Riviera di Levante era Segesta Tigulliorum (Sestri Levante). Come portus, ossia un seno di mare naturalmente atto a riparare le navi, Plinio il Vecchio nominava soltanto il portus Herculis Monoeci (Monaco), Vada e, nella Riviera di Levante, il portus Delphini (Portofino). L'importanza di Genova come porto è nota. Fonti posteriori a Plinio nominano pure il portus Maurici (Porto Maurizio). In tempi tardi dell'impero e nel periodo bizantino ebbe importanza Varigotti, anche quale approdo. Savo (Savona) è menzionata solo per i tempi della seconda guerra punica e per quelli longobardi: durante l'impero aveva importanza la vicina Vado. Furono municipî romani: Albintimilium, Albingaunum, Genua. È incerto se lo sia stata Vado.
Medioevo ed età moderna. - Molto oscure le vicende dei primi secoli medievali; le notizie di saccheggi di Eruli e di Goti fanno ritenere che la Liguria venisse successivamente in loro dominio. Rimase ai Bizantini più a lungo di altre regioni finché i Longobardi ne occuparono la parte marittima, cui era rimasto limitato il nome prima di assai più vasta estensione, nel 641. Anche il periodo longobardo è avvolto d'ombra: è generalmente ritenuto che la Liguria formasse un ducato, sebbene nessun nome di duca ci sia conservato. Quasi altrettanto oscura la storia ecclesiastica, nella quale tuttavia, da Luni a Ventimiglia, in diocesi risalenti alle circoscrizioni romane, rimangono alcuni nomi di vescovi. Secondo un'opinione molto discussa, con i Franchi la Liguria avrebbe fatto parte di un ducato del Litorale marittimo, diviso in alcuni comitati, e in quest'età tenebrosa rimane ricordo soltanto d'incursioni di pirati normanni e saraceni, da Luni a Frassineto, (presso l'attuale Le-Garde-Freinet) respinte spesso da rudimentali associazioni di privati armatori. Un po' più di luce si fa verso la metà del sec. X quando la Liguria appare divisa fra le tre marche, di origine ed estensione molto discusse, l'arduinica a occidente, l'aleramica al centro, l'obertenga a oriente. Dalle molte diramazioni delle tre famiglie marchionali derivano le maggiori case feudali della regione, che frazionarono nei secoli XI e XII i loro possessi nell'oltregiogo appenninico e nelle valli sino al litorale, mentre alcuni dei loro visconti o vassalli assumevano titolo comitale, o davano luogo alle famiglie viscontili, che poi formarono a Genova la maggiore nobiltà cittadina.
Con fenomeno diverso negli eventi particolari, ma sostanzialmente uniforme, in tutta la regione si combatte la lotta tra i feudatarî e i vescovi e, con l'accrescersi dell'autorità vescovile, nei maggiori centri abitati i diritti dei conti e dei marchesi si attenuano, mentre si vengono costituendo e rafforzando i nuovi organismi comunali, rappresentati per lo più dalle Compagne, che costringono i feudatarî maggiori di origine marchionale a rinunciare alla signoria delle città e a ridursi nelle vallate e a ridosso dell'Appennino.
I maggiori centri abitati della Riviera, Savona, Noli, Albenga, Ventimiglia, come hanno preso parte alle spedizioni di difesa contro i Saraceni, partecipano anche alle crociate ottenendo talvolta particolari concessioni, più spesso comprese nelle trattative e nelle concessioni di Genova che se ne atteggia a protettrice nell'ormai evidente aspirazione al possesso di tutto il litorale. Dacché nel sec. XII appare fortemente costituito il comune genovese, gran parte della storia dei paesi di Liguria consiste nei loro rapporti con la città dominante, negli sforzi per mantenere l'esistenza autonoma, tanto maggiori e più tenaci quanto più forte e attivo e popoloso il nucleo cittadino. Questa lotta ha caratteri diversi nelle due Riviere e sull'Appennino. Qui, sulla strada di Lombardia, necessaria per misura strategica ed economica, i marchesi di Parodi, i marchesi di Gavi e i feudatarî minori finiscono presto con l'essere sottomessi e costretti a far parte del comune; caratteristico esempio, Enrico di Gavi. Egualmente i marchesi di Parodi, gli Spinola, i Fieschi per le terre possedute nelle valli del Bisagno, della Scrivia, fino all'Entella, sono obbligati a riconoscere il dominio del comune. Altrettanto avviene, specialmente per i Fieschi, sulla Riviera di Levante nella quale i vasti possessi delle molteplici diramazioni dei conti di Lavagna sono successivamente ceduti, massime sulla costa. Il lavorio di penetrazione e di espansione è ad un tempo politico e religioso: il vescovo di Genova e il comune agiscono insieme estendendo l'autorità ecclesiastica sulle chiese prima sottoposte ad altri poteri, sottraendo una dopo l'altra le terre ai feudatarî. I signori da Vezzano, ricchi di vasti possedimenti, devono cederli a Genova nel sec. XII e già sul principio del 1100 su terreno loro appartenuto il comune costruisce il castello di Portovenere, all'ingresso del Golfo della Spezia, destinato a divenire sentinella avanzata contro Pisa, e subito le chiese del borgo e del castello sono tolte al vescovo di Luni e aggregate alla diocesi genovese, mentre verso la fine del secolo il comune acquista Lerici, sull'altra sponda del golfo, che costantemente contrastata da Pisa rappresenta per molto tempo l'estremo dell'espansione genovese da quel lato. Infatti a Sarzana la repubblica giunge nel 1407, a Pietrasanta nel 1430, dando luogo a lunghi conflitti con Firenze e con Lucca, e quegli estremi possessi sono spesso governati dal Banco di San Giorgio.
I grandi possedimenti conservati dai Fieschi nella Riviera e sull'Appennino costituirono per secoli la loro forza e la base di operazione nelle faziose contese; soltanto nella prima metà del sec. XVI la repubblica possedé effettivamente e senza interruzioni tutta la Riviera di Levante, dove già da lungo tempo aveva a Chiavari, sempre in contrasto con i Fieschi, una base sicura e fedele.
Anche più difficile la sottomissione della Riviera di Ponente, dove il maggior numero di considerevoli centri di popolazione costituiti a comune determinò più vivace resistenza. Anche qui l'azione del comune si congiunse e si sovrappose a quella del vescovo, il quale ebbe, ad es., dai conti di Ventimiglia il possesso del castello di San Romolo e ne derivarono complesse vicende del nucleo che assunse poi il nome di San Remo, passato dal vescovo ai Doria e da questi al comune col quale nella seconda metà del sec. XIV si unì, conservando una larga autonomia, con particolari convenzioni durate quasi quattro secoli. Ventimiglia sottrattasi ai suoi conti, e Porto Maurizio, Albenga e Savona ai marchesi, dovettero più volte sin dal sec. XII accettare patti di sottomissione o di accordo, cui tentarono poi di sottrarsi. Notevoli specialmente la lega dei comuni e dei feudatarî della Riviera al tempo di Federico II e l'appoggio da essi cercato in Carlo d'Angiò. Le signorie feudali dei Del Carretto nel Finale, dei Doria a Loano, a Oneglia, a Dolceacqua, dei Grimaldi all'estremo margine ligure, spesso anche a Ventimiglia, rappresentavano un ostacolo all'espansione territoriale dello stato genovese, e specialmente nelle torbide lotte dei secoli XIV e XV la Riviera di Ponente fu teatro di guerre violente tra i diversi elementi locali e tra questi e il comune maggiore, mentre il frequente porsi dei feudatari, specie i marchesi del Finale, sotto la diretta protezione dell'Impero determinava pretese d'intervento e di dominio imperiale, causa d'interminabili litigi diplomatici. Riconoscevano l'investitura dell'imperatore anche quelli che erano detti appunto feudi imperiali, in parte appartenenti agli Spinola, che circondavano al nord lo stato di Genova. Insofferente del dominio genovese, luogo di rifugio degli esuli delle fazioni a volta a volta soccombenti, sostenuta nelle sue aspirazioni autonomistiche dagli avversarî di Genova, Savona fu sempre nemica della repubblichetta di Noli, naturalmente appoggiata dalla dominante. Con la compiuta sottomissione di Savona nel 1528 - una delle condizioni poste da Andrea Doria a Carlo V - la formazione dello stato territoriale della Liguria si può dire compiuta. È vero che per una questione fiscale (1729) San Remo tenta di rompere gli antichi accordi e di porsi sotto la protezione imperiale, ma nel 1754 è definitivamente incorporata nello stato genovese e soltanto Noli rimane repubblica sino al 1797. Più gravi e pericolose cesure sono il marchesato di Finale, passato alla Spagna nel 1598 e comperato da Genova nel 1713, la contea di Oneglia acquistata da Emanuele Filiberto nel 1576, Loano venuta in dominio sabaudo nel 1736. Del modo onde lo stato regionale si era compiuto rimase traccia nei diversi tipi di reggimento delle città del territorio rette da podestà o governatori o commissarî (v. genova: Storia). I feudi imperiali furono uniti alla Liguria nel 1797, alla trasformazione della repubblica aristocratica in democratica, e Oneglia e Loano nel 1801, quando l'indipendenza della repubblica ligure era soltanto nominale; quando nel 1805 la Liguria fu unita all'impero francese, divisa nei dipartimenti di Montenotte, di Genova e degli Appennini, perdette pure il nome e il chiuso carattere autonomo; dopo la breve repubblica del 1814, passò a far parte, col nome di ducato di Genova, del regno sardo.
Bibl.: Antichità. - P. Barocelli, Albintimilium, in Mon. antichi dei Lincei, XXIX; id., Iscrizioni romane della Liguria occidentale inedite o poco note, in Atti d. R. Accad. d. scienze di Torino, LXVIII (1932); id., Serra Riccò: ripostigli di monete galliche, in Notizie di scavi d'antichità, s. 4ª, II, fasc. 7-9; G. De Sanctis, Storia dei Romani, III, i, Torino 1916, p. 289 segg.; IV, i, ivi, p. 418 segg.; U. Formentini, Conciliaboli, pievi e corti nella Liguria di Levante (saggio sulle istituzioni liguri dell'antichità e dell'alto Medioevo), in Mem. d. Accad. lunig. delle scienze, VI-VII; id., Le origini di Genova, in Boll. munic. del comune di Genova, 1926; N. Lamboglia, Le guerre romano-ingaune e la romanizzazione della Riviera di Ponente, in Collana stor. della Liguria occ., 1933; K. Miller, Itineraria romana, Stoccarda 1916, col. 233 segg.; G. Oberziner, Le guerre dei Romani contro i popoli albini, Roma 1900; id., I Liguri antichi e i loro commerci, in Gior. storico lett. della Liguria, III (1902); E. Pais, Romani ed Ingauni, in Dalle guerre puniche a Cesare Augusto, II, Roma 1918; G. Poggi, Le due Riviere, ossia la Liguria Maritt. nell'epoca romana, Genova 1901, G. Schiappapietra, Alba Docilia, Genova 1881; A. Lauterbach, Unters. zur Gesch. d. Unterwerfung von Oberitalien durch die Römer, Breslavia 1905, p. 78 segg.
Medioevo ed età moderna. - Non esiste uno studio storico sulla Liguria considerata come unità storica territoriale; bisogna ricorrere alle storie di Genova o delle singole città e terre, o delle maggiori famiglie feudali. V. inoltre C. Desimoni, Sulle Marche d'Italia e sulle loro diramazioni in marchesati, in Atti Soc. lig. st. pat., XXVIII, fasc. 1; G. Volpe, Lunigiana medievale, Firenze 1923; C. M. Brunetti, Castelli liguri, Genova 1932; per l'estrema Riviera occidentale, F. Poggi, Lerici e il suo castello, I, Sarzana 1907; II, Genova 1909; per l'occidentale, A. Calenda di Tavani, Patrizi e popolani nel Medioevo nella Liguria occidentale, Trani 1891.
Arte.
In Genova (v. genova: XVI, pp. 567-570), dominatrice commerciale e politica della Liguria, si accentua e si disegna anche la storia artistica di tutta la regione. Però essa non si esaurisce tutta entro le mura della città; e nella provincia si completa.
L'impronta di Roma non vi appare mai così durevole come nei ponti delle sue strade, che valicano ancora i fiumi (quattro ponti sulla Via Aurelia tra Quiliano e Cadibona, resti a Vado, a Piana Crisia, il Pontelungo con dieci archi presso Albenga, ecc.). I due centri più importanti di antichità romane sono alle estremità della Liguria: Ventimiglia, dove si poterono rintracciare il teatro, l'acquedotto, parte delle mura, resti del foro, mosaici, ecc.; Luni, dove sussistono imponenti le rovine dell'anfiteatro e minori tracce del teatro e delle mura (pregevoli marmi scavati si conservano a Carrara e al Museo archeologico di Firenze).
Quanto ad architettura, si può dire che la Liguria foranea poco abbia da invidiare alla sua capitale. Il più antico dei monumenti cristiani che rimangono interi in Liguria è il battistero di Albenga (sec. V) già creduto del sec. VIII-IX. L'arte romanica, anche per l'impulso dell'abbazia di Bobbio, che aveva giurisdizione fino alla Riviera di Levante, si diffuse nei piccoli centri e nelle campagne. La chiesa di Brugnato (le cui absidi si vogliono del sec. VIII) e la chiesa di. S. Martino a Durasca sono tracciate su pianta a due navate, assai rara. Il S. Paragorio di Noli, forse del principio del sec. XII, importante per la sua struttura e la sua suppellettile (ambone, ecc.), è architettonicamente singolare per le nicchie allungate dell'abside maggiore e del presbiterio, come in costruzioni bizantineggianti (Toesca); così la chiesa di S. Fruttuoso di Portofino, con torre campanaria sulla crociera, in cui s'intravvedono influenze dell'arte romanica provenzale, alla quale è anche più prossimo il duomo di Ventimiglia della fine del sec. XII (Toesca). Nelle campagne si trovano monumenti importanti, come le abbazie del Tiglieto (sec. XI) con chiostro (sec. XIII), di Borzone (secoli XII-XIII), i resti di quella di Vezema presso Voltri, la diruta basilica di S. Tommaso a Pigna (sec. XI); e piccole chiese, incantevoli nell'ambiente rustico, come S. Niccolò dell'Isola a Sestri Levante, e la Pieve di Novi Ligure. Chiavari poi offre l'esempio, unico in tutta la Liguria, di una città con le strade principali fiancheggiate da portici (imposti per legge alla fine del sec. XII; nel 1380 erano cinque le vie sistemate così, e sette i vicoli trasversali), sostenuti da pilastri di pietra nera di puro stampo romanico anche nei particolari (basi unghiate, capitelli cubici scantonati). L'architettura gotica si sviluppò di preferenza nella Riviera di Levante, con la basilica dei Fieschi a S. Salvatore di Lavagna (1210-1252) e a Riva Trigoso (trasformata) e le chiese delle Cinque Terre. Fra il sec. XII e il XIV, Vernazza, Corniglia, Monterosso, Manarola, Riomaggiore e Levanto vollero avere le loro chiese con la facciata di pietra e il ricco rosone intagliato; e la maggior parte hanno il paramento listato di bianco e di nero, come le chiese gotiche genovesi. A Levanto esiste anche la loggia del comune, contemporanea; un'altra, con grandi altissime crociere su basse colonne, esiste nell'altra Riviera, a Pigna. A Chiavari e S. Salvatore di Lavagna belli esempî di palazzo gotico signorile, nero il primo, a liste bianche e nere il secondo, tutti e due del sec. XIII, costruiti dai Fieschi.
Anche del Rinascimento in Riviera si trovano importanti monumenti: Nostra Signora di Loreto vicino a Finalborgo, la cui attribuzione a Bramante vale solo a testimonianza dello stile; e il palazzo di Giuliano della Rovere a Savona, opera certa di Giuliano da Sangallo. In questo periodo, vediamo l'uso tipicamente genovese dei portali istoriati diffondersi anche nelle Riviere, specialmente a Savona, dove sono assai numerosi (Via Pia, Via Vacciuoli, Via Untoria, Via Quarda superiore), e a Chiavari (Piazza S. Giovanni, Via Costaguta) dove sono da notare quelli esterni (1493) e interni del palazzo già Franzone (Via Rivarola, 16). Meno monumentali, ad ornamento di case modeste, ne esistono a Rapallo, Lavagna, Sestri Levante, intagliati nella tenera ardesia locale.
Anche la scultura figurata vera e propria si svolge in provincia sugli esempî di Genova. E sono di preferenza lombardi gli artisti che operano nella Riviera di Ponente (a Savona, i Sormano scolpiscono marmi per il duomo; e Michele e Giovanni Daria compongono la tomba ordinata da Sisto IV per i suoi genitori). Verso levante, com'è naturale, si chiamano invece i Toscani. A Sarzana, dove Balduccio aveva dato (in S. Francesco) la sepoltura per il figlio di Castruccio Castracani, per la cattedrale si chiederanno due pale d'altare in molti scomparti e figure a Leonardo e Francesco Riccomanni (collocata la prima nel 1435, la seconda nel 1471). Anche lastre tombali notevoli (nella Badia della Cervara a Portofino, e in quella del Boschetto a Rivarolo, nella chiesa di Cogorno, ecc.), sono da attribuirsi a questi scultori toscani e lombardi. Finché nel sec. XVII e nel sec. XVIII anche Genova avrà scultori suoi e allora vedremo Filippo Parodi a Savona; Francesco Schiaffino a Chiavari, a Sestri Levante, a Finalborgo, lui e suo fratello a Camogli, dare ornamenti e statue alle chiese nate allora o rifatte barocche; e Anton Maria Maragliano dare anche alle chiese e agli oratorî delle riviere i suoi crocifissi e le sue casse processionali.
L'architettura militare testimonia ad un tempo, in Liguria, le lotte interne continue e le vigili difese della repubblica. Fra i castelli feudali, non si numerano quelli dei Fieschi, la famiglia genovese più potente dal sec. XIII al XV, tutti diruti dal tempo e dalla vendetta dopo la congiura (Varese, Torriglia, Vobbia, Savignone, Montoggio, ecc.); e molti ne possedevano pure i Del Carretto, marchesi aleramici (Zuccarello, Stella, Segna), e anche i Doria (Bastia Soprana vicino a Sassello, rovine imponenti a Dolceacqua). Nell'alto Monferrato i castelli erano anche villeggiatura, come a Tassarolo, dove gli Spinola battevano moneta, a Silvano d'Orba, ecc.
Tra le fortificazioni militari propriamente dette basti ricordare quelle di Gavi, la fortezza di Savona (poi reclusorio, ora prossima a scomparire), i castelli del Golfo della Spezia, S. Giorgio, S. Terenzo, Lerici, Sarzana. Andora conserva ancora resti notevoli del suo Paráxo, residenza del podestà, che abbracciava mezzo miglio di circuito, e poteva contenere fino a mille combattenti. La porta, munita di torre, con arco rotondo in fuori e ogivale all'interno, è simile a quelle di Ventimiglia (particolarmente la Porta Canarda). I molti torrioni lungo il mare (Torre del Brandale a Savona, Noli, S. Fruttuoso di Portofino, ecc.) furono eretti per vedetta e segnalazione contro i corsari, alcuni dalla repubblica, altri da privati.
Numerose erano le ville patrizie, spesso di notevole valore artistico: sugli Appennini, al Sassello, nell'entroterra di Savona (villa Demari a Ferrania), in Val Polcevera (villa Durazzo-Pallavicini, ecc.), in Val Bisagno (villa Durazzo a Pino, ecc.); sul mare, a Sampierdarena e a Cornigliano, dove tutti i patrizî, gli Spinola, i Grimaldi, i Pallavicini, gli Scassi, i Franzone, possedevano ville, alcune delle quali magnifiche, e non poche di carattere alessiano. Posteriore è la moda di altre spiagge, come Cavi di Lavagna (villa Negrotto-Cambiaso), Sestri Levante (villa Piuma), Santa Magherita (villa Centurione, villa Orero, poi Spinola, alla Pagana), Arenzano (villa Negrotto-Cambiaso). Ad Albissola i Faraggiana, i Della Rovere, la cui villa (ora Gavotti) eretta a metà del Settecento dal doge di Genova Francesco Maria, ricca di statue, di fontane, di maioliche, è paragonabile alle più belle "delizie". Ancora nell'Ottocento, a Pegli si creò la villa Pallavicini (ora del comune di Genova) e a San Remo, Bordighera, Ventimiglia, sorsero giardini d'interesse anche botanico (villa Hanbury, ecc.).
Nella pittura, infine, vediamo attivi i "Rivieraschi" di levante fin dal Trecento con Bartolomeo da Camogli (Madonna dell'Umiltà, 1347, nella Pinacoteca di Palermo); i Pellerano di Camogli, Opizzino (1303), Antonio (1341), Bartolomeo (1346); Simone di Smeraldo da Rapallo (1369), Giovanni Re da Rapallo (not. 1348-1367), che accolse nella sua bottega quale aiuto Barnaba da Modena. Del Quattrocento, qualche nome si illustra con le opere: Giovanni Barbagelata di Rapallo (1460-1508; pitture a Casarsa), Benedetto Borzone chiavarese (1493-1510, Madonna dell'Orto), Michele da Passano di Rapallo (1516, Madonna a S. Pietro di Novella). Al principio del '500, anche La Spezia ebbe i suoi pittori, Antonio Carpenino (not. 1530-1552), Francesco Spezzino e Giacomo della Spezia. Fra tanti pittori andranno forse ricercati gli autori di numerosi polittici anonimi (Moneglia, S. Giorgio; santuario di Volastra; parrocchiale di Manarola, ecc.); mentre si conoscono le pitture di Lorenzo Fazolo (Chiavari, Clarisse), di suo figlio Bernardo (Chiavari, S. Giovanni), lombardi, di Giovanni Mazone alessandrino (S. Giulia di Centaura).
Diverso è il clima artistico della Riviera di Ponente. Meno frequenti gli artisti locali, e contributo di artisti forestieri di buon nome, quali Barnaba da Modena (Savona, Ventimiglia), Taddeo di Bartolo (Triora), Giovanni Canavesio (Pigna, 1482), il Foppa, Giovanni Mazone, Donato de' Bardi (Pinacoteca di Savona), Corrado d'Allemagna (Taggia, 1447). Niccolò da Voltri (not. 1385-1417, Genova, N. S. delle Vigne; Savona, Pinacoteca; Roma, Gall. Vaticana) è un intelligente imitatore di Barnaba. E nella Riviera di Ponente, ai confini del nizzardo, si forma alla fine del sec. XV una vera scuola pittorica, in tutto indipendente dalla vita genovese, che dovrà anzi subirne l'influenza. A Nizza, che nel Trecento conobbe artisti toscani (Giovanni di Andrea pistoiese e Giacomo da Siena vi dimoravano nel 1347), operavano nel sec. XV maestri come Giovanni Mirallieti (1420, ancona nella sacrestia della Misericordia), Iacopo Durando (1454, ancone nel monastero di Notre-Dame des Lérins). In Taggia, dove furono spesso ospiti dei Domenicani, operarono largamente i Brea da Nizza. Di Ludovico Brea (not. 1475-1519) sono opere a Montalto, Taggia, Savona, ecc. Di Francesco e di Antonio Brea vi sono dipinti a Taggia e Ventimiglia. Ne subì l'influenza Leonardo da Finale (1511, crocifisso nella cattedrale di Taggia). Più tardi un Gaspare Toesca dipingeva (Saorgio, Parrocchiale) risentendo di Gaudenzio Ferrari.
Dal sec. XVI in poi furono numerosissimi a Genova i pittori "genovesi" provenienti dal contado e dai piccoli centri delle riviere. Luca Cambiaso nacque a Moneglia, Sinibaldo Scorza a Voltaggio, il Fiasella a Sarzana, G. Andrea Ansaldo e Orazio De Ferrari a Voltri, Giulio Benso a Pieve di Teco, Bartolomeo Guidobono a Savona, il Cassana a Cassana presso Bonassola, Gregorio De Ferrari a Porto Maurizio. Dalla valle di Oneglia vennero i Ponzello e i Ricca, cioè i soli artisti liguri che contino nello sviluppo dell'architettura genovese. Ma questi casi hanno interesse puramente biografico. Tutti costoro si maturarono in Genova; e la loro provenienza non stabilisce un apporto. Soltanto di alcuni, come il Fiasella, l'Ansaldo, lo Scorza, il Guidobono, Gregorio De Ferrari, si trova qualche opera dove nacquero. Ma le opere di pittura genovese sparse in Liguria furono almeno per la maggior parte dipinte a Genova; sono cioè opere d'importazione, non meno del trittico di Bruges (1499) a S. Lorenzo della Costa presso S. Margherita, del Crocifisso di Van Dyck a S. Michele di Pagana, della Natività del Borgianni e dell'altorilievo con la Visitazione della scuola del Bernini, nel santuario di Savona.
Inveee, quasi tutte provinciali sono le industrie artistiche liguri; e in alcune la provincia superò il capoluogo. Da Castelnuovo Scrivia venne Anselmo De Fornari, il promotore della tarsia in Liguria; e le scanzelle del duomo di Genova non gli furono affidate (1514) se non dopo ch'egli lavorava da cinque anni a quelle del duomo di Savona. Se sia la Crocifissione intagliata in legno a Testana, troppo superiore alle creazioni degli artefici liguri, sia la delicatissima Annunciazione di S. Maria di Castello a Genova, anch'essa con caratteri esotici nella fisionomia, sono, anche per ragioni estrinseche, da ritenere importate, esistette tuttavia veramente, per quanto i saccheggi degli antiquarî ne abbiano diradato ormai le opere, una tradizione d'intaglio paesano in Liguria, osservabile specialmente nel Savonese (coro e sacrestia del santuario, Oratorio del Cristo a Savona, N. S. della Concordia ad Albissola) e anche nella Riviera di Levante (Oratorio di Moneglia, ecc.). La tessitura dei velluti e dei damaschi si praticava specialmente nel Chiavarese, a Zoagli, a Lorsica, a S. Giulia di Centaura, colonia di Lucchesi che vi trasferirono anche il culto del Santo Volto. Vi si trovano ancora le case che portano sull'architrave, come segno d'onore, una spola. E non ci sarebbe da meravigliare se i panni "genovesi" con stelle d'oro, ornati con uccelli, croci e leopardi (probabili imitazioni orientali), inventariati già nel secolo XIII nella cattedrale di S. Paolo a Londra, e nel XV in quella di Canterbury, fossero tessuti in Riviera. Le trine al tombolo si producono ormai quasi esclusivamente a Rapallo, S. Margherita, Portofino, ripetendo motivi tradizionali che si ritrovano già in camici e in abiti del Settecento. A Chiavari si tessono ancora i "macramè", asciugamani con frange lunghissime annodate a mano. A Sampierdarena si stampavano dal 1787 a circa il 1850 i "meseri", imitazione dei cotoni stampati indiani, inglesi e alsaziani, drappi amplissimi, che molte volte ripiegati le donne usavano come scialle. Sede classica dell'arte vetraria ligure è Altare, dove le fabbriche si conoscono per documenti dal 1495; e dal 1512 la corporazione, divisa in monsù (operai locali) e paisàn (aggregati) si chiamò università. Fino a tutto il Settecento non si produssero che lavori ordinarî in vetro scuro; solo dopo la Rivoluzione s'introdusse il vetro bianco. Savona e Albissola sono i centri storici di produzione della ceramica ligure, che dalla metà del Cinquecento al principio dell'Ottocento sviluppò il suo stile, fondato specie sul valore pittorico della decorazione più che sulla tecnica degli smalti. Ad Albissola l'industria è viva e partecipa alle lotte attuali.
V. tavv. XXXIII-XL.
Bibl.: R. Soprani e C. G. Ratti, Vite de' pittori, scultori e architetti genovesi, ecc., Genova 1768-69, voll. 2; C. G. Ratti, Descrizione delle pitture, scolture e architetture..... delle due Riviere, Genova 1780; Bertolotti, Viaggio nella Liguria Marittima, voll. 3, Torino 1834; Descrizione di Genova e del Genovesato, voll. 3, Genova 1846; F. Alizeri, Not. dei prof. del disegno in Liguria fino a tutto il secolo XVI, voll. 6, Genova 1870-80 (cfr. anche G. Bres, Not. intorno ai pittori nicesi... in relazione all'opera di F. A., Genova 1903); G. Bres, L'arte nell'estrema Liguria occidentale, Nizza 1914; Ministero della pubblica istruzione, Elenco degli edifici monumentali, VI: Provincia di Genova (i: Genova città; ii: Comuni della provincia), Roma 1924; G. Dellepiane, Alpi e Apennini liguri, 4ª ed., Genova 1914; W. Hörstel, Die Riviera, Bielefeld e Lipsia 1902; C. Brunetti, Castelli liguri, Genova 1932; G. B. Brignardello, I merletti del circondario di Chiavari, Firenze 1873; Rodino, L'arte vetraria di Altare, in Liguria ill., 1914, p. 17 segg.; O. Grosso, Il mesere, in Dedalo, II (1921-22), pp. 250-82; M. Labò, La ceramica di Savona, in Dedalo, IV (1923-1924), pp. 124-51.