LIGURIA
Regione dell'Italia nordoccidentale, caratterizzata da un territorio prevalentemente montuoso, solcato da strette valli perpendicolari alla costa del Mar Ligure.La L. è costituita da contesti storico-geografici difficilmente collegati tra loro da fattori unificanti e assume, nei secoli del Medioevo, i caratteri di una regione dallo spiccato policentrismo politico e culturale, area 'di frontiera' per eccellenza, veicolo di esperienze mediate da e verso più direzioni, canale di comunicazione con la Francia, punto d'incontro tra il Mediterraneo e la pianura Padana.I confini medievali ebbero contorni variabili e non coincidenti con quelli attuali, soprattutto laddove caratteri geografici o accadimenti militari diventarono veicoli di coagulo di culture (come nelle Alpi Marittime e in val Roia, in Lunigiana, nell'Oltregiogo genovese e in val Bormida).Regione di arroccamento dei Liguri nella protostoria, la L. visse un momento di parziale unificazione territoriale con la colonizzazione romana (fu parte della Regio IX Italica augustea), limitata tuttavia alle grandi strade consolari, lungo le quali, soprattutto a Ponente, sorsero importanti municipi. Il passaggio dalla Tarda Antichità al Medioevo fu connotato dall'organizzazione territoriale bizantina, la Provincia Maritima Italiorum, e da una tardiva conquista barbarica, a opera dei Longobardi (643).Nel primo riassetto territoriale dato alla regione da Berengario II del Friuli nel 950-951, con finalità difensive antiislamiche, vennero poste le basi della rinascita medievale. Tra il sec. 10° e l'11° furono definiti gli spazi politici dei protagonisti: le famiglie feudali, che arretravano a difendere, in castelli e borghi montani, i loro privilegi, i comuni, che crescevano in potenza mercantile e libertà giuridica, e, dal sec. 12°, il Comune di Genova, centro egemone della regione, che per tutto il Duecento e oltre fu impegnato, con una progressiva espansione nelle riviere (assegnate giuridicamente alla città nel 1162 da Federico Barbarossa), nella costituzione di uno Stato che peraltro non raggiunse una reale continuità territoriale e fu compagine politicamente instabile, neppure consolidata dal punto di vista amministrativo.
Pur costituendo i secoli dell'Alto Medioevo il momento d'incubazione di un'organizzazione territoriale che trovò negli insediamenti benedettini e nella neocostituita rete plebana i propri fattori costitutivi, rari e frammentari sono gli insediamenti superstiti, piuttosto documentati da scavi archeologici che da riconoscibili testimonianze architettoniche.Noti attraverso scavi sono i resti delle cattedrali di Ventimiglia, di Albenga, di Luni, delle pievi ponentine del Finale e di Noli; qui (spesso in continuità di insediamento con le epoche antica e paleocristiana-bizantina) sono emerse tracce più o meno consistenti di edifici ecclesiastici a una o tre navate, datati tra il sec. 8° e il 10°, in qualche caso dotati di cripta (la più integra quella di Ventimiglia) e accompagnati da battisteri coevi o più antichi.Più problematico il quadro delle pievi rurali del Levante e in particolare il rapporto che sembra esistere (almeno a Framura e a Montale di Levanto) tra esse e un ipotetico e molto discusso sistema difensivo di epoca carolingia (sec. 9°), ritenuto all'origine delle poderose torri isolate riadattate a campanili.Poco unitario è anche il quadro degli insediamenti monastici, in qualche caso, anche importante, non più riconoscibili (come il S. Pietro di Varatella, presso Toirano), oppure noti soltanto nella fase paleocristiana-bizantina (quelli delle isole di Bergeggi e della Gallinara), o testimoniati da problematici resti: un'abside all'isola del Tino, gli intonaci e i perduti stucchi dipinti di età carolingia dell'oratorio dell'isola del Tinetto, la fase altomedievale dell'insediamento bobbiense di Brugnato e gli ambienti - soprattutto un vano triabsidato - recentemente ritrovati a S. Fruttuoso di Capodimonte, presso Camogli, datati prima della fase edilizia del 10° secolo.Notevole ricchezza di manufatti in elevato si riscontra, al contrario, con l'11° secolo. Piuttosto omogenea e originale è l'edilizia della riviera di Ponente (e qui soprattutto le diocesi di Albenga e di Ventimiglia, quest'ultima estesa al contiguo arco alpino provenzale), che si colloca nei circuiti del premier art roman meridionale. È un tipo di architettura minimale, dalle semplici planimetrie senza transetto, dal parato murario a petit appareil, dall'articolazione delle pareti con cornici, lesene, specchiature; un linguaggio architettonico diffuso dalla Lombardia alla Catalogna, nel quale gli elementi morfologici definiti convenzionalmente 'lombardi' vengono oggi ritenuti non segni di vere trasmigrazioni di maestranze, ma risultati paralleli, una sorta di 'grado zero' dell'edificare, assestato nell'attività media di maestranze locali che utilizzavano i materiali disponibili in loco.A questo quadro vanno ascritte le prime fasi delle cattedrali di Ventimiglia (facciata e muri perimetrali) - con il suo battistero - e di Albenga (resti di murature inglobate nella facciata), insieme a moltissime fondazioni plebane e monastiche del comprensorio di Ventimiglia (per es. la pieve di Saorgio e S. Pietro di Camporosso), dell'Albenganese (la cappella della Santa Croce), del Finalese, delle valli montane del Roia, del Nervia, dell'Argentina, dell'Arroscia. Ma l'edificio più precoce e più risolto di tutta l'area ponentina è la chiesa di S. Paragorio di Noli, datata tra la fine del sec. 10° e i primi decenni dell'11°: coerente a questa data è infatti il parato esterno (seppure in parte rimaneggiato), a lunghe e strette specchiature; più monumentali sono la soluzione dei pilastri interni e la copertura voltata delle navate laterali, che sembra risentire di una continuità costruttiva altomedievale di derivazione oltremontana.Meno ricco e meno uniforme è il panorama della riviera di Levante, dove un nucleo omogeneo è formato dall'insediamento benedettino dell'isola del Tino e dalla chiesa castrense di S. Pietro di Portovenere (metà del sec. 11°), che presentano un'identica pratica muraria piuttosto evoluta (blocchi lapidei medi, sbozzati, in alcune parti disposti nel più regolare stadio della muratura 'a filaretto'), le stesse scelte planimetriche, simili apparati scultorei, che parlano, forse, di maestranze identificabili anche da scelte di gusto, come le superfici prive di elementi di scansione. Tale pratica costruttiva (presente, seppur variata, anche nella chiesetta biabsidata dell'isola del Tinetto, nella facciata di S. Prospero di Vezzano e nella cinta muraria di Portovenere), pur sfuggendo ancora a una precisa collocazione in termini di maestranze, si enuclea con chiarezza, differenziandosi dalla produzione media del Protoromanico lombardo e da quella lunigianese del maturo sec. 12° (S. Maria di Vezzano).L'architettura del golfo si apparenta al contrario, per nessi planimetrici, costruttivi e scultorei, alla produzione di area genovese, come l'urbano S. Tommaso di Fassolo, il castrum della stessa città, ma soprattutto il modello eminente di S. Fruttuoso di Capodimonte (datati tra il sec. 10° e l'11°). Il paradigma di riferimento viene così a essere un edificio prestigioso, strettamente connesso all'ambito vescovile e benedettino della città, che risente di un ampio contesto di cultura imperiale e bizantino-mediterranea.Riferibile invece alla vasta produzione lombarda di accezione comasca e alpina è una serie di chiese, omogenee anche a molte pievi della Lunigiana, che, tra sec. 11° e 12°, sorsero lungo gli itinerari della riviera (S. Prospero di Vezzano, S. Venerio di Migliarina, S. Bartolomeo di Ponzò, le pievi di Montale e di Framura); ancora lungo gli itinerari verso il Genovesato, nei pochi resti del S. Lorenzo della Costa, a metà, sotto il profilo litotomico, tra le pievi del Levante e l'edilizia genovese antelamica, sembra potersi intravedere il momento di svolta nella pratica costruttiva ligure.Caratterizza infine lo sviluppo architettonico del Levante la frequente soluzione planimetrica a due navate e due absidi, di tipo pievano (S. Prospero di Vezzano) e monastico (a Brugnato, al Tinetto), ma presente anche a Ponente, nella cripta del S. Ampelio di Bordighera e nel S. Eugenio di Bergeggi. Derivata forse dal prototipo altomedievale del Tino, sembra trovare una ancora discussa motivazione d'origine in generiche funzioni liturgiche o nel culto locale delle reliquie (Dufour Bozzo, 1986).Un ambito limitato e quasi compresso ha in L. la produzione del pieno sec. 12°, che si presenta scarsa e fortemente frantumata. È inesistente a Levante, mentre a Ponente si ha invece un diffuso tessuto edilizio che conserva un lessico di base protoromanico, talvolta vivificato da deboli apporti antelamici, e che perdurò fino al sec. 14° e oltre. È un'architettura 'senza tempo', diffusa soprattutto ma non solo in ambito rurale, secondo logiche che sembrano rispondere a situazioni di indisponibilità economica oltre che a condizioni di isolamento culturale; riconoscibile per le semplificate soluzioni planimetriche e per il tipo di muratura, a tessuto molto disordinato e forse intonacata, continuò a essere prodotta anche in età moderna, quasi un'"architettura romanica perenne" (De Negri, 1974a, p. 171).In questo quadro, sul finire del secolo, emerge isolata l'esperienza della parziale ricostruzione della cattedrale di Ventimiglia, notevole per qualità (presenta, tra l'altro, un gruppo di reimpieghi) e che, per le molte assonanze con l'architettura oltralpina borgognona e provenzale (chiare queste ultime anche nella vicina chiesa di S. Michele, soprattutto nella copertura voltata a botte ogivale), enuncia visivamente l'omogeneità culturale del comprensorio delle Alpi Marittime, forse anche in un ultimo tentativo di autonomia nei confronti dell'avanzata genovese.Il momento di cesura rappresentato dalla conquista genovese delle riviere si manifesta infatti anche con il trapianto dell'architettura urbana dei magistri Antelami (v. Genova), la cui presenza è attestata dai dati morfologici degli edifici e da alcuni documenti d'archivio, redatti tra il sec. 12° e il 14° a San Remo, a Ventimiglia, in val di Vara.Questa produzione - che Formentini (1942, p. 291) definiva "arte coloniale genovese" - appare uno dei fatti maggiormente simbolici e celebrativi della conquista: essa si concretizzò in edifici di forte monumentalità, dalla perfetta muratura in pietra da taglio, in interventi non solo religiosi ma anche difensivi, infrastrutturali o di pianificazione urbanistica, e fornì al territorio un'inedita omogeneità costruttiva, seppure limitata ai centri di specifico interesse militare o politico. Si definì così un tipico rapporto tra un centro egemone e un territorio periferico dove vennero esportate, con notevole tempestività rispetto alla presa militare, e a volte con incarichi dai contorni ufficiali, maestranze dalla ben rodata organizzazione di cantiere e dai modi costruttivi messi a punto almeno dal primo 12° secolo. Fu esportata nelle riviere una cultura architettonica fortemente conservatrice, che si attestò, anche nel sec. 13° e 14°, su un prevalente linguaggio di 'continuità romanica'; per essa, anche nei casi di maggior apertura a stimoli esterni, appare oggi improprio accettare l'utilizzata definizione di Gotico.L'architettura antelamica, già nel sec. 12°, costituì il tessuto edilizio nelle aree di precoce annessione, veri territori genovesi anche sotto il profilo costruttivo: in alcune città dell'Oltregiogo, sul promontorio di Portofino con il S. Nicolò, a Rapallo con la benedettina S. Tommaso al Poggio, a Portovenere con la parrocchiale, edificio-simbolo del burgus definitivamente acquisito.Il rapporto centro-periferia assunse in qualche caso connotati dialettici, soprattutto nel 13° secolo. È il caso di due edifici del golfo della Spezia (il corpo absidale della chiesa di S. Pietro di Portovenere e la cappella di S. Anastasia nel castello di Lerici, costruiti tra il 1256 e il 1277; Di Fabio, 1986), dove gli usuali modi costruttivi produssero risultati di qualità, vivificati da elementi nuovi, come le coperture a crociera costolonata su pilastri polistili o le cappelle rettilinee, recepiti con duttilità all'interno del cantiere.Testo di riferimento è la basilica gentilizia di S. Salvatore dei Fieschi presso Cogorno, eretta tra il 1244 e il 1252 da un cantiere antelamico. La chiesa è - certo anche a ragione dell'eccezionale committenza, papa Innocenzo IV Fieschi (1243-1254) - insieme il frutto maturo dell'architettura genovese e un prodotto di un estremo rigore formale, che, nella forte monumentalità, nell'articolata massa del capocroce, nelle cappelle terminali voltate, nella poderosa torre quadrata, presenta soluzioni progettuali informate dell'architettura oltralpina e cistercense. In questo caso è la provincia a diventare sede dell'elaborazione di un modello che sembrerebbe assunto di lì a pochi anni nelle grandi chiese mendicanti della città, soprattutto in quella francescana, oggi perduta.Dopo il caso di S. Salvatore, in genere l'architettura della conquista procedette sulle codificate scelte delle tre navate senza transetto, delle facciate dicrome, dell'apparato scultoreo minimale, come nella parrocchiale di Levanto, nella seconda fase del S. Lorenzo di Portovenere, nel gruppo omogeneo delle chiese delle Cinque Terre (edificate tra la metà del sec. 13° e il 1340), edifici per i quali il ruolo del modello fliscano sembrerebbe opportuno limitare a qualche soluzione absidale e all'uso enfatico del rosone di facciata.Nella riviera di Ponente questo momento non presenta la stessa ricchezza di spunti, ma si manifesta in alcune fondazioni della diocesi di Albenga - cattedrali di San Remo, di Albenga (seconda fase, 1255-1289) e chiesa castrense dei Ss. Giacomo e Filippo di Andora - dove l'attività dei magistri Antelami, seppure attestata su medi livelli provinciali, è confermata soprattutto dalla scelta, innovativa nella zona, del parato lapideo; per San Remo, poi, la stessa presenza è documentata da una fonte scritta che testimonia nel 1254 la conclusione di lavori effettuati dall'Antelamus genovese Blancus de Molzano.A Ponente, inoltre, la presenza delle maestranze genovesi sembra aver creato i presupposti per lo sviluppo di un'architettura di livello medio, per la quale, se non si vuole ipotizzare la diretta presenza della corporazione genovese, si deve certo pensare a maestranze venute a contatto con quella esperienza: è il caso di un piccolo gruppo di edifici dell'Imperiese, come S. Pietro e S. Maria di Lingueglietta, S. Maria di Diano Castello, S. Caterina di Cervo, datati al sec. 13° e tecnicamente esemplati sulle chiese antelamiche della riviera.Nella riviera di Ponente la cultura architettonica dei magistri Antelami si colloca poi in una circolazione di più ampio raggio: è quello un tempo definito della école des Alpes, i cui 'caratteri lombardi' accomunano strettamente (nelle planimetrie ma soprattutto nelle murature impeccabili in conci di media grandezza, a volte dicrome, e nelle partiture decorative), tra la fine del sec. 12° e il 13°, alcuni edifici romanici delle Alpi francesi e della Provenza con l'architettura antelamica, come le cattedrali di Embrun e di Grasse (la cui facciata sembra strettamente apparentata con quella di Andora), nelle quali è stata ipotizzata anche la presenza di maestranze provenienti dall'Italia (Thirion, 1981). L'adozione di volte con crociere costolonate quadre avvicina poi le cattedrali di Fréjus e di Grasse alla chiesa genovese di S. Giovanni di Pré (fabbrica antelamica della fine del sec. 12°, che mediò forse proprio dalle ricerche provenzali il tipo di copertura).Assai difficile risulta ricostruire l'immagine dell'architettura degli ordini monastici e in ispecie di quella cistercense, che, nonostante la precocità del monastero di S. Maria di Tiglieto (1120, manufatto più padano che ligure; Pistilli, 1990), non si distingue per i molti insediamenti ed è piuttosto un fenomeno urbano. Laddove, come a S. Maria di Valle Christi, presso Rapallo (1204), la presenza cistercense sembra riconoscibile nella struttura absidale, ancora è necessario leggervi la presenza costruttiva delle maestranze antelamiche.Più delineata la realtà architettonica degli insediamenti francescani dei secc. 13° e 14° (a Sarzana, Noli, Cairo, Finalborgo, Ventimiglia), che presentano un'originaria facies assai più coerente alle direttive dell'Ordine di quella degli edifici genovesi.Infine può essere difficilmente ricondotta alle linee di fondo dell'architettura in L. la chiesa monastica di S. Andrea di Borzone (in val di Sturla), datata al 1244 da un'epigrafe (e, nonostante questo, molto discussa). Ad aula unica e cappella terminale rettilinea voltate a botte (Mazzino, 1956), riecheggiava soluzioni cistercensi, ma la monumentalità e la raffinatezza di dettaglio (cornici e ordini sovrapposti di archeggiature cieche in laterizio, chiuse da brani di muratura in pietrame, articolano le pareti) sono coerenti all'importante ruolo storico che ebbe l'insediamento, oggetto, tra l'altro, di donazioni finalizzate a opere edilizie da parte di papa Innocenzo IV.
La L. offre, nell'Alto Medioevo, un panorama scultoreo ricco e di qualità, anche se frammentario. Numerosi pezzi erratici di arredo provengono infatti dalle fasi longobarda e carolingia di alcuni edifici della riviera di Ponente (Ventimiglia, Albenga, Noli), costituendo un gruppo di manufatti dalla notevole omogeneità stilistica (è stata individuata la 'bottega delle Alpi Marittime' attiva anche nell'arco alpino; Casartelli Novelli, 1978). Più modesto e opera di maestranze provinciali è il corpus dei pezzi altomedievali del Levante (Luni, Brugnato, Vezzano), spesso anche decontestualizzati e reimpiegati (Frondoni, 1987).La scultura del Medioevo si connota in termini piuttosto diversi nelle due riviere. Il Levante soltanto nel sec. 13° e con l'annessione a Genova offre un panorama scultoreo di una qualche omogeneità, ma dalla qualità molto modesta, condizionata dalla pratica antelamica che aveva ormai limitato quasi del tutto il ruolo della scultura. A Portovenere, a S. Anastasia di Lerici, a S. Salvatore dei Fieschi l'apparato di scultura architettonica è opera di lapicidi del cantiere antelamico, mentre i limitati interventi figurativi scelgono toni arcaicizzanti, nel segno di una 'continuità romanica' di origine lombarda, incoerente alle più complesse soluzioni architettoniche; resta ancora da indagare "perché ideologie 'forti' come quelle che si esprimono nel S. Salvatore e nella S. Anastasia siano affidate a immagini dall'arcaizzante, 'debole', concezione formale" (Di Fabio, 1987). Caratteri precipui ha invece l'apparato scultoreo dei portali e dei rosoni delle parrocchiali delle Cinque Terre (Corniglia e Manarola), dove, nella seconda metà del sec. 14°, a maestranze di cantiere che riproducevano modi e schemi romanici e protoromanici succedettero botteghe di origine campionese dal linguaggio rinnovato in senso lombardo-toscano.Più articolata la situazione pregenovese del Ponente, riflesso di un vitale policentrismo, dove si evidenzia il centro di Savona, il cui patrimonio scultoreo (come quello architettonico) è quasi totalmente disperso; i pochi resti denotano comunque - per l'impianto iconografico e la buona qualità esecutiva (capitello della loggia Sansoni, prima metà del sec. 13°) - l'importante ruolo della città. Un'area di produzione omogenea sono le diocesi di Albenga e Ventimiglia (e il vicino arco alpino provenzale), dove schemi ripetitivi e provinciali propongono tematiche apotropaiche altomedievali spesso dalla difficile datazione e dove spiccano le sculture reimpiegate della cattedrale di Albenga, dei primi del sec. 12°, e i portali laterali del S. Siro di San Remo, dalle tematiche più varie e dalla più evoluta concezione volumetrica. Con la conquista genovese la scultura sparì quasi del tutto e l'apparato di scultura architettonica appare opera standardizzata dei cantieri antelamici (ad Albenga, Andora, fino a Fréjus).
Bibl.: Storia di Genova dalle origini al tempo nostro, 3 voll., Milano 1941-1942; U. Formentini, L'arte romanica genovese e i ''Magistri Antelami'', ivi, III, 1942, pp. 275-312; N. Lamboglia, Albenga romana e medievale, Bordighera 1953 (19663); V. Vitale, Breviario della storia di Genova. Lineamenti storici ed orientamenti bibliografici, 2 voll., Genova 1955; E. Mazzino, L'abbazia di S. Andrea di Borzone, Bollettino ligustico 8, 1956, pp. 35-56; N. Lamboglia, I monumenti medioevali della Liguria di Ponente, Torino 1970; J. Thirion, L'influence de l'Italie du Nord sur l'art roman de la Provence orientale, "Atti del II Congresso storico Liguria-Provenza, Grasse 1968", Bordighera-Aix-Marseille 1971, pp. 37-60; N. Lamboglia, La cattedrale di Ventimiglia e il Romanico provenzale e francese, ivi, pp. 61-67; T.O. De Negri, Il Ponente ligustico. Incrocio di civiltà, Genova 1974a; id., Storia di Genova, Milano 1974b; M.C. Magni, Note su alcuni caratteri dell'arte romanica in Lunigiana, AStParma, s. IV, 25, 1974, pp. 71-84; La Liguria di Levante, a cura di N. Carboneri, Torino 1975; D. Vicini, Correlazioni tra il Romanico ligure e il Romanico provenzale, in Il Romanico, "Atti del Seminario di studi, Varenna 1973", a cura di P. Sampaolesi, Milano 1975, pp. 225-237 (rec.: M. Ricchebono, Atti e Memorie della Società savonese di storia patria, n.s., 11, 1977, pp. 180-185); S. Casartelli Novelli, Confini e bottega ''provinciale'' delle Marittime nel divenire della scultura longobarda dai primi del sec. VIII all'anno 774, StArte, 1978, 32, pp. 11-22; S. Chierici, D. Citi, Il Piemonte. La Val d'Aosta. La Liguria (Italia romanica, 2), Milano 1979; G. Rossini, L'architettura degli ordini mendicanti in Liguria nel Due e Trecento, Savona 1981; J. Thirion, La Costa Azzurra. Le Alpi provenzali (Europa romanica, 5), Milano 1981; C. Dufour Bozzo, Un complesso monumentale sul territorio dei Fieschi: S. Salvatore di Cogorno, per una scheda sulla basilica, in La storia dei Genovesi, "Atti del IV Convegno di studi sui ceti dirigenti nelle istituzioni della Repubblica di Genova, Genova 1983", Genova 1983, pp. 443-472; Archeologia in Liguria II. Scavi e scoperte 1976-1981, a cura di P. Melli, Genova 1984; G. Airaldi, Genova e la Liguria nel Medioevo, in A.M. Nada Patrone, G. Airaldi, Comuni e Signorie nell'Italia settentrionale: il Piemonte e la Liguria, in Storia d'Italia, a cura di G. Galasso, V, Torino 1986, pp. 363-513; A. Frondoni, Architettura ecclesiastica al Tino: i dati archeologici, in San Venerio del Tino. Vita religiosa e civile tra isole e terraferma in età medioevale, "Atti del Convegno, Lerici-La Spezia-Portovenere 1982", La Spezia-Sarzana 1986, pp. 143-178; id., Architettura ecclesiastica al Tinetto, ivi, pp. 179-202; C. Di Fabio, L'architettura ecclesiastica a Portovenere fra XI e XIV secolo, ivi, pp. 203-247; C. Dufour Bozzo, L'architettura ecclesiastica: note per un bilancio in prospettiva, ivi, pp. 329-338; S. Paragorio di Noli. Scavi e restauri, a cura di A. Frondoni (Quaderni della Soprintendenza archeologica della Liguria, 3), cat. (Noli 1986), Genova [1986]; A. Frondoni, L'Altomedioevo: età longobarda e carolingia. VII-IX secolo, in La scultura a Genova e in Liguria, I, Dalle origini al Cinquecento, Genova 1987, pp. 35-49; C. Di Fabio, Geografia e forme della scultura in Liguria, ivi, pp. 87-130; A. Dagnino, Maestranze e cantieri, ivi, pp. 153-163; I.M. Botto, Una ricostruzione ipotetica: il Trecento, ivi, pp. 179-213; C. Di Fabio, Note sulla chiesa romanica, in San Lorenzo della Costa. Itinerario storico-artistico, Genova 1988, pp. 11-20; Archeologia in Liguria III. 2. Scavi e scoperte 1982-1986, a cura di P. Melli, Genova 1990; P.F. Pistilli, Santa Maria di Tiglieto: prima fondazione cistercense in Italia (1120), AM, s. II, 4, 1990, 1, pp. 117-149; San Fruttuoso di Capodimonte. L'ambiente, il monumento, Milano 1990; R. Pavoni, Liguria medievale, Genova 1992; G. Rossini, Architettura religiosa nella Riviera di Levante dal Sant'Andrea di Levanto al San Giovanni Battista di Riomaggiore: un contributo alla conoscenza del tipo edilizio, in Niveo de Marmore. L'uso artistico del marmo di Carrara dall'XI al XV secolo, a cura di E. Castelnuovo, cat. (Sarzana 1992), Genova 1992, pp. 280-287; M. Ratti Carpenzano, R.P. Novello, La decorazione delle facciate dell'estremo Levante ligure, ivi, pp. 288-289; F. Cervini, Architettura medievale in Valle Argentina, Triora 1994; id., Tre secoli di architettura, Le pietre e il mare. Rivista delle province liguri 7, 1994, pp. 23-26; A. Frondoni, Gli edifici di culto di San Paragorio di Noli. Campagna 1989-1991, "Atti del XII Congresso internazionale di archeologia cristiana, Bonn-Colonia-Treviri 1991" (in corso di stampa).A. Dagnino
La più importante testimonianza della cultura pittorica dell'epoca protomedievale in L. è il noto mosaico che orna una nicchia del battistero di Albenga, databile alla fine del sec. 5° o agli inizi del 6°: l'opera, che presenta sulla volta il triplice cristogramma ΧΡ attorniato da dodici colombe, due agnelli in adorazione della Croce nella lunetta e, sull'estradosso, i nomi dei santi di cui si conservavano le reliquie nell'edificio, si collega alla coeva produzione italiana e provenzale (per la tecnica di realizzazione e per i contenuti simbolici) e mostra soprattutto rapporti con la cultura e la liturgia ambrosiane (le menzioni dei ss. Gervasio, Protasio, Nabore e Felice), dovuti al fatto che la diocesi di Albenga fu suffraganea di quella di Milano sin dalla fondazione, probabilmente prima del 451, e fino al 12° secolo.Distruzioni e dispersioni successive impediscono di colmare la vasta lacuna della conoscenza della pittura in L. tra il sec. 6° e l'età romanica: è necessario infatti giungere alla prima metà del sec. 12° per ritrovare le tracce di una cultura figurativa che - secondo una tendenza costante in tutta la regione (v. Genova) - si apre alle suggestioni che provengono da altri centri di produzione, italiani e non. Datata 1138 è la croce dipinta da maestro Guglielmo, conservata nella cattedrale di Sarzana (dove, secondo tradizione, sarebbe pervenuta da Luni): l'opera, meglio leggibile nei suoi caratteri stilistici nelle scene laterali con storie della Passione che non nell'immagine del Crocifisso, ridipinta agli inizi del sec. 13° (Morassi, 1951, pp. 8-9, 27-28), è tra le più antiche testimonianze del corpus di croci monumentali pisano-lucchesi; in essa si colgono, accanto a echi bizantini e romani (Toesca, 1927, p. 953), i riflessi di una più moderna tendenza classicheggiante (Caleca, 1994, pp. 168-169).Databile alla prima metà del sec. 12° è anche il martirologio della cattedrale di Ventimiglia (Genova, Civ. Bibl. Berio, M.r. Cf. Arm. 9; Grassi, 1866; Spotorno, 1868; Pezzi, 1963; Cervini, 1992, p. 842, con datazione alla fine del sec. 11°), destinato forse, in origine, a una comunità lombarda di Canonici regolari (come sembra indicare il rilievo grafico dato ad alcune festività), ma giunto precocemente a Ventimiglia, dove, probabilmente nella seconda metà del secolo, furono copiate o inserite varie annotazioni di contenuto locale. Le due iniziali decorate del codice (cc. 1r, 64v), pur se di qualità non eccelsa, si collegano alla produzione padana occidentale (per es. il Cassiodori expositionis Psalmorum compendium, Torino, Bibl. Naz., K.II.1; l'Antiphonarium monasticum, ivi, F.IV.4; specialmente il codice contenente sermoni e omelie dei Padri, Piacenza, Bibl. Capitolare, 60) e arricchiscono l'eclettica fisionomia del panorama pittorico ligure.Il martirologio di Ventimiglia pone inoltre il problema dell'acquisizione più o meno precoce di manufatti e quindi del loro possibile influsso sulla produzione locale: è il caso, per es., della croce-reliquiario in filigrana d'argento dorato di Savona (Mus. della Cattedrale Basilica Nostra Signora Assunta), opera mosana dell'ambito di Hugo di Oignies databile intorno al 1240 e tradizionalmente legata al nome del vescovo Pietro Gara (1472-1498), che l'avrebbe donata alla chiesa (Algeri, 1982, pp. 43-45). Per la croce infatti si è formulata di recente l'ipotesi di un'importazione duecentesca - in eventuale rapporto con la cultura òltremontana' espressa nelle sculture del duomo genovese (Romano, 1986, p. 25) e con la presenza di orafi inglesi a Genova (Cervini, 1990, pp. 54-57; 1993, p. 152) -, che trova un primo possibile riscontro nella menzione di "crux una magna de argento" elencata nell'inventario della masseria della cattedrale del 1336 (Bruzzone, 1992, p. 294), ma che - ponendo in discussione il riferimento al vescovo Gara - attende ulteriori verifiche. Esse potrebbero coinvolgere forse anche il riccio inserito nel pastorale donato nel 1491 alla stessa cattedrale (Savona, Mus. della Cattedrale Basilica Nostra Signora Assunta), assegnato a scuola mosana del sec. 13° (Algeri, 1982, pp. 45-46; Di Fabio, 1991, p. 253).Di sicura produzione locale sono le diverse serie di tavolette di soffitto che ornavano alcune chiese di Genova e della L. (Noli, S. Paragorio; San Remo, S. Siro, ora Genova, Mus. dell'Accad. Ligustica di Belle Arti; Diano Castello, S. Giovanni Battista; santuario di Soviore presso Monterosso), databili fra la metà ca. del sec. 13° e gli inizi del secolo seguente, accomunate - al di là delle caratteristiche individuali o di bottega - da una semplificazione del segno e della cromia e da un gusto decorativo desunto talora dalla miniatura (Di Fabio, 1983, p. 17; Romano, 1986, p. 28; Dagnino, in San Paragorio di Noli, 1986, pp. 167-170; Botto, 1994, pp. 7-8, 22-23; Di Fabio, 1994). Di matrice certo più aulica è la croce dipinta conservata nella chiesa dei Ss. Giacomo e Filippo a Nicola di Ortonovo, opera di artista toscano attivo verso la metà del sec. 13°, ispirato a modelli lucchesi (Berlinghiero) e pisani di poco precedenti (Martini, 1983, pp. 7-11).Se la penetrazione della cultura pittorica toscana nell'estremo Levante trova evidenti giustificazioni nella stessa posizione geografica di quel territorio di confine, va tuttavia ricordato come tale cultura si sia estesa verso O, nell'ultimo quarto del secolo: a Genova, con Manfredino da Pistoia e i pittori a lui collegati, e nel Savonese, dove il S. Cristoforo affrescato nella chiesa del castello di Piani d'Invrea, presso Varazze, già riferito al Maestro del Giudizio (Torriti, 1970, p. 35) e, recentemente, a Manfredino stesso (Bologna, 1994, p. 25), è più verosimilmente da ritenere opera ispirata all'attività pisana di Cimabue (Romano, 1986, p. 28).Nella stessa chiesa si conserva una croce dipinta su due lati (con la Vergine che abbraccia il Cristo di pietà e gli evangelisti sul verso), stilisticamente collegata ai modi del Maestro di S. Maria di Castello (Torriti, 1970, pp. 39-40; Rossetti Brezzi, 1986, p. 33), che Bologna (1994, p. 27) ha proposto d'individuare in Opizzino Pellerano da Camogli, artista di cui lo studioso offre una lettura in chiave protogiottesca e una collocazione cronologica ai primi decenni del 14° secolo. A un altro seguace del Maestro di S. Maria di Castello, verosimilmente più precoce dell'autore della croce di Piani d'Invrea, Bologna (1994, pp. 27-28) assegna anche la croce già in una cappella presso il ponte delle Pile a Savona e oggi alla Pinacoteca Civ. della città; croce nella quale certe durezze di tratto, un teso espressionismo e alcuni perduranti arcaismi denotano una probabile conoscenza non mediata anche della cultura protoduccesca (Opere restaurate, 1984, pp. 8-13).I diretti rapporti fra il Ponente ligure e la Toscana sono d'altronde testimoniati dai precoci affreschi (primo decennio del sec. 14°) del Maestro di S. Biagio e del Maestro del Presbiterio nella chiesa di S. Giorgio a Campochiesa, presso Albenga, legati alla cultura del Maestro di S. Torpé e di Deodato Orlandi (Migliorini, 1980; Rossetti Brezzi, 1990, pp. 1-8), e trovano conferma, qualche tempo più tardi, nell'attestata presenza di artisti toscani a Savona (Donato Fiorentino nel 1341, Vanni da Pisa nel 1347; Spotorno, 1827; Alizeri, 1870, pp. 97-107). Il polittico raffigurante la Madonna con il Bambino in trono e storie della Vita di Maria e di Cristo, datato 1345 e oggi conservato (mutilo dei pinnacoli superiori con la Crocifissione e quattro santi) nella cattedrale di Albi, in Francia, ma già nell'oratorio di S. Bernardo presso il santuario di Nostra Signora della Misericordia, nei dintorni di Savona (De Floriani, 1979, p. 14), mostra invece d'inserirsi nel più ampio quadro della c.d. cultura mediterranea (Castelnuovo, 1962, p. 16, n. 1; Bologna, 1969, pp. 257-258; Rossetti Brezzi, 1986, p. 33): se la struttura dell'opera si collega tanto ai dossali romanici toscani quanto a quelli d'area catalana, i caratteri di stile riflettono in parte il 'giottismo riformato' diramatosi lungo le coste del Mediterraneo occidentale nella prima metà del sec. 14° (Bologna, 1969, pp. 257-258, 298-323) e in parte recuperano - semplificandone l'impostazione compositiva, gesti e fisionomie - la lezione avignonese di Simone Martini e Matteo Giovannetti, espressa per es. nelle tavolette di Aix-en-Provence (Mus. Granet) e di New York (Metropolitan Mus. of Art, Robert Lehman Coll.), che, al pari del polittico di Albi, costituiscono anche un verosimile precedente per gli affreschi di Ferrer e Arnau Bassa in Santa Maria de Pedralbes (1348) a Barcellona.Nella seconda metà del sec. 14° nel Ponente si registra - accanto a sporadici casi di accentuato goticismo come il frammento con S. Giorgio e un cavaliere, affrescato nel chiostro di S. Francesco, poi divenuto il duomo nuovo di Savona (Rossetti Brezzi, 1986, p. 33) - una rilevante presenza di opere dovute ad artisti documentati e attivi prevalentemente a Genova, città che in molti casi dovette agire come centro di diffusione di quella produzione. Di Barnaba da Modena sono la Vergine con il Bambino della cattedrale di Ventimiglia (oggi in vescovado), del 1380 ca., e il polittico della Madonna con il Bambino e santi della chiesa di S. Dalmazio a Lavagnola, presso Savona, del 1386 (Algeri, 1991, pp. 22-24), e alla sua cerchia vanno riferite la Madonna del santuario di Nostra Signora della Costa a San Remo e quella della Pinacoteca Civ. di Savona (Algeri, 1991, pp. 25-26, 32); alla tarda attività di Nicolò da Voltri - nei primi anni del sec. 15° - è poi attribuita la Madonna con il Bambino di S. Maria di Finalpìa (Algeri, 1991, p. 63).Diverso è il caso di Taddeo di Bartolo, la cui attività in L. è attestata, prima che a Genova, a Savona, nei perduti affreschi per la cattedrale (distrutta nel 1595), terminati nel 1392; ma già in precedenza il pittore senese aveva presumibilmente realizzato la Madonna con il Bambino, angeli e donatori della Pinacoteca Civ. di Savona, proveniente dal convento di S. Caterina a Finalborgo, dove lo stesso Taddeo collaborò agli affreschi, oggi frammentari, con scene della Vita di Cristo e della Vergine nella cappella Olivieri; a questi parteciparono anche altri due artisti nel cui stile si integrano influssi barnabiani e componenti toscane (Algeri, 1991, pp. 34-42). Al secondo periodo dell'attività ligure di Taddeo, caratterizzato da un marcato gusto decorativo, appartiene il Battesimo di Cristo della collegiata di S. Maria Assunta a Triora (Imperia), datato 1397, mentre probabile riflesso della produzione del pittore per il Savonese è il deperito affresco con la Madonna con il Bambino tra s. Francesco e s. Caterina d'Alessandria del convento di S. Francesco a Noli, databile ai primi anni del sec. 15° (Tassinari, in L'antica diocesi di Noli, 1986, pp. 43-44); l'ancor più precario stato di conservazione rende invece problematico il giudizio sugli affreschi delle tombe ad arcosolio all'esterno di S. Paragorio a Noli (Ciliento, in San Paragorio di Noli, 1986, p. 165) e sul Battesimo di Cristo, affresco staccato del battistero di Albenga (Marcenaro, 1993, pp. 216-218).Arricchisce il multiforme quadro della cultura savonese, aperto a differenti suggestioni figurative, la frammentaria serie di statuette in alabastro, raffiguranti Cristo e tre apostoli, forse proveniente dal duomo antico (Savona, Mus. della Cattedrale Basilica Nostra Signora Assunta), opera inglese della seconda metà del sec. 14°, forse ab antiquo in possesso del duomo, come confermerebbe la rete di rapporti commerciali intrecciati tra Savona e l'Inghilterra (Algeri, 1982, pp. 40-41; Cervini, 1990, pp. 57-58). È inoltre possibile ipotizzare una precoce acquisizione da parte della cattedrale di Savona anche per il gruppo argenteo della Fuga in Egitto (oggi nel Mus. della Cattedrale Basilica Nostra Signora Assunta), probabilmente opera di orafi francesi della fine del sec. 14° (Toesca, 1951, p. 193; Algeri, 1982, pp. 46-48), ma che non si esclude possa essere stata invece realizzata in una bottega ligure particolarmente aperta agli influssi della cultura tardogotica d'Oltralpe (Di Fabio, 1991, pp. 247-250).Soprattutto se confrontata con la situazione del Ponente, quella dell'estremo Levante del Tardo Medioevo appare oggi frammentaria e difficilmente riconducibile a un quadro unitario, anche se la Toscana resta l'ambito di riferimento privilegiato per la produzione scultorea e anche per alcune testimonianze pittoriche (la lunetta con Cristo in pietà tra i ss. Chiara e Francesco in S. Francesco a Sarzana, databile al 1330-1340; Donati, 1991) e di oreficeria (la croce argentea con smalti traslucidi di S. Maria Assunta a Sarzana, opera quasi certamente senese della metà del sec. 14°, realizzata forse per la stessa cattedrale sarzanese; Toesca, 1951, p. 898, n. 125; Donati, 1991). Tuttavia, la presenza in Nostra Signora di Roverano (La Spezia) di una Madonna con il Bambino (Meriana, 1993, p. 81), evidente derivazione dai modi della tarda attività di Nicolò da Voltri, postula un'apertura verso la cultura figurativa genovese, che già nel sec. 14° si era diramata verso il Tigullio (come attestano le due Madonne a Chiavari, Mus. Diocesano: l'una opera di un seguace del Maestro di S. Maria di Castello, l'altra di derivazione barnabiana; Algeri, 1986, pp. 17-20) e che, nel corso del secolo seguente, si fece man mano più diretta e percepibile anche nella L. dell'estremo Levante (Algeri, De Floriani, 1991).
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