Dagover, Lil
Nome d'arte di Maria Antonia Seubert, attrice cinematografica tedesca, nata a Madioen (od. Madiun, Giava, all'epoca colonia del Regno d'Olanda, oggi Indonesia) il 30 settembre 1887 e morta a Monaco di Baviera il 23 gennaio 1980. Bruna ed elegante, dalla recitazione sobria e dai tratti signorili, fu una delle dive più conosciute e amate del cinema tedesco, soprattutto nell'epoca del muto. Interprete di alcuni dei capolavori dell'Espressionismo, come Das Cabinet des Dr. Caligari (1920; Dott. Calligari, noto anche come Il gabinetto del dottor Caligari) di Robert Wiene, contribuì, con il suo volto aristocratico, a creare l'archetipo dell'eroina dalla bellezza diafana e stilizzata del cinema espressionista. La sua carriera, prevalentemente tedesca, proseguì dopo l'avvento del sonoro, nonostante i cambiamenti cinematografici, nonché politici, sopravvenuti in Germania. Dopo i successi con Fritz Lang, Wiene e Friedrich Wilhelm Murnau, recitò nei musical degli anni Trenta e nei film di propaganda del regime nazista, continuando poi a lavorare fino agli anni Settanta.
Figlia di un forestale al servizio delle autorità olandesi a Giava, a sei anni la D. venne mandata a studiare in Germania, Paese d'origine dei genitori. Dopo l'improvvisa morte di entrambi, trascorse la sua adolescenza tra Baden-Baden, Karlsruhe, Ginevra e Weimar, presso amici e parenti. Sposò l'attore teatrale Fritz Daghofer (di cui adottò il cognome per la sua attività artistica, modificandolo in Dagover), che le fece conoscere Wiene. Questi, colpito dalla sua bellezza e fotogenia, la presentò a Fritz Lang, che la scelse come protagonista nel suo Hara Kiri (1919; Madama Butterfly). Successivamente Wiene le affidò la parte di Jane, la figura femminile che si muove nell'universo onirico, sospeso fra sogno e realtà, di Das Cabinet des Dr. Caligari cui la D. prestò il suo volto misterioso, disegnando un'eroina dolce e indifesa. Il successo fu immediato: nel 1921 interpretò, diretta nuovamente da Lang, Der müde Tod (Destino), in cui diede ulteriore prova delle sue doti drammatiche; l'anno successivo partecipò a Phantom (Il fantasma) e nel 1926 a Tartüff (Tartufo), entrambi di Murnau, consolidando con tali opere la sua immagine di icona femminile del movimento espressionista.
Con il passare degli anni, la sua bellezza da eterea diventò opulenta e l'attrice passò a ruoli di signora raffinata ed elegante. I successi in patria la fecero conoscere anche all'estero; fu infatti chiamata in Svezia da Gustaf Molander, che la diresse in Hans engelska fru (1926, La sua moglie inglese), e in Francia, dove lavorò, tra gli altri, con Julien Duvivier nel film Le tourbillon de Paris (1928) e con Henri Fescourt in Monte Cristo (1929; Il conte di Montecristo). Nel 1931 anche Hollywood si accorse di lei e la Warner Bros. la invitò a partecipare al film The woman from Monte Carlo (1932; L'avventuriera di Montecarlo) di Michael Curtiz. La parentesi americana fu però breve e senza seguito, e la D. tornò in Germania, continuando a lavorare intensamente e cimentandosi in diversi generi; per il drammatico Die Kreutzersonate (1936; La sonata a Kreutzer) di Veit Harlan, in cui è una donna distrutta da una perversa spirale di gelosia, ottenne il titolo di 'attrice di Stato' conferitole da P.J. Goebbels. Il talento drammatico, dimostrato all'epoca del muto, emerse nuovamente nel melodramma di Detlef Sierk (poi Douglas Sirk) Schlussakkord (1936; La nona sinfonia), in cui la D. è la moglie infelice di un direttore d'orchestra.
Nel secondo dopoguerra continuò a recitare, soprattutto in ruoli di supporto o come guest star, diradando sempre più la sua attività, per dedicarsi anche al teatro. Le ultime apparizioni, che siglano la fine di una lunga carriera di successo, risalgono ai film Karl May (1974), singolare opera biografica del raffinato cineasta Hans Jürgen Syberberg e Geschichten aus dem Wienerwald (1979) dell'attore-regista Maximilian Schell.Nel 1949 aveva pubblicato un'autobiografia, che già nel titolo (Ich war die Dame) sintetizza l'eleganza un po' enigmatica del suo personaggio.
C. Romani, Le dive del Terzo Reich, Roma 1981, pp. 61-68; J. Kobal, Interview with Lil Dagover, in "Film and filming", 1983, 348, pp. 10-12; V. Martinelli, Le dive del silenzio, Recco 2001, pp. 68-69.