LIBELLI (Libellius, Archilibellius), Lilio (Lilio Tifernate, Lilius Egidius)
Nacque nel 1417 o 1418, probabilmente a Città di Castello (Tifernum Tiberinum), da Bartolomeo di ser Antonio e da Battista di Florido.
Talvolta il L. è stato confuso con Gregorio da Città di Castello, suo contemporaneo: difficile stabilire quali fossero i rapporti tra questi due umanisti tifernati, visto che né Gregorio né il L. ne fanno mai menzione. In una biografia anonima di Gregorio, verosimilmente composta tra la fine del XV e l'inizio del XVI secolo, si legge che i due si sarebbero dedicati insieme alle lettere greche (Biblioteca apost. Vaticana, Vat. lat., 6845, c. 157r).
Il nonno paterno, Antonio di Egidio da Fabriano, presente a Città di Castello fin dal 1381 in qualità di notaio, dopo aver sposato nel 1383 Caterina di Berardo ottenne nel 1387 la cittadinanza tifernate. Al nonno materno del L. invece, Florido di Martino, mercante di lana e proprietario terriero del contado tifernate, la cittadinanza era stata conferita nel 1383 per meriti militari. Nel 1391 Florido prese in moglie Antonia di Benedetto di Vanne e dal matrimonio nacque Battista, che sposò Bartolomeo nel 1413. Costui, negli anni successivi, fece vari acquisti terrieri e immobiliari, compreso quello, nel 1431, di una domus in città, nel rione Porta S. Maria dove anche il L., nel 1462, avrebbe comprato una casa, forse sul luogo dove si trova tuttora il palazzo cinquecentesco della famiglia Libelli. Bartolomeo ricoprì varie cariche pubbliche nel 1418-21 e di nuovo nel 1434, anno della sua morte. La sua lunga assenza dalla vita pubblica tra il 1421 e il 1433 è forse da collegare alle turbolenze politiche che agitarono Città di Castello durante il dominio di Andrea Fortebracci (Braccio da Montone), e che dovettero causare a Bartolomeo anche difficoltà economiche.
Mancano notizie sull'infanzia e sull'adolescenza del L.; probabilmente frequentò il gymnasium publicum tifernate, dove ebbe come maestro Mariotto di maestro Antonio e dove ottenne forse anche la formazione di notaio pubblico: il titolo di ser è documentato per la prima volta nel 1437.
Non risultano neppure notizie dirette sulla sua formazione universitaria, anche se esiste qualche indizio che egli abbia compiuto gli studi giuridici a Siena con Ludovico Pontano tra il 1433 e il 1435-36.
Dalla fine del 1439 a tutto il 1440 il L. soggiornò in Oriente, a Costantinopoli e in Grecia.
Non si conosce la data della sua partenza per l'Oriente, probabilmente preceduta dalla partecipazione al concilio di Firenze nel 1438-39, quale notaio o esperto di diritto canonico, o anche per una certa conoscenza del greco. A Firenze stabilì contatti con Cristoforo Garatone, che era stato più volte nunzio apostolico in Oriente, il quale nell'ottobre del 1439, dopo la chiusura del concilio, partì per Costantinopoli per la sua ultima missione diplomatica - sembra portando con sé come collaboratore il giovane L. - prima di tornare a Firenze sul finire del 1441.
Al nipote del nunzio, Cornelio Garatone, il L. dedicò i suoi In Claram versus, probabilmente intorno al 1440 (Roma, Biblioteca Casanatense, Mss., 869, c. 50, autografo). Testimonianza principale per i rapporti con il nunzio Garatone è il breve trattato In laudem Constaninopoleos et unionis Grecorum che il L. dedicò a papa Callisto III probabilmente nel 1455 (Madrid, Biblioteca nacional, Mss., 10456, cc. 145r-147r).
Il L. approfittò della permanenza in Oriente per approfondire gli studi greci sotto la guida del cardinale Bessarione a cui indirizzò l'ode Pragmatice de Crucis tropheo in Orientem et Africam coruscante…, composta intorno al 1460 (Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Fondo antico latino [Zanetti], 73, cc. 1v-3v). Le prime opere del L. come traduttore dal greco sono probabilmente databili al suo soggiorno orientale o poco dopo; tra esse si ricordano l'omelia Super (In) dominicam sepulturam et descensionem ad inferos dello Pseudo Epifanio (prologo del L. edito in Jaitner-Hahner, 1993, II, p. 472). Tuttavia la prima traduzione compiuta dal L. fu probabilmente la stesura iniziale delle Storie vere di Luciano, che risale presumibilmente al 1439-40: il codice greco quasi sicuramente utilizzato, il gr. 434, del secolo X-XI, conservato nella Biblioteca Marciana, apparteneva a Bessarione. Le successive rielaborazioni di questa prima stesura perduta contengono numerose modifiche del testo apportate dallo stesso Libelli. Tali interventi attestano una sempre maggiore padronanza del greco e dell'arte di tradurre ad sententiam, capacità che però nelle traduzioni successive si affievolirono sempre di più.
Il L. rientrò in Italia probabilmente con Bessarione, sul finire del 1440, o con Garatone, alla fine del 1441; nel novembre 1442 è documentato come segretario di Bessarione.
Il trasferimento della corte pontificia da Firenze a Roma nel settembre 1443 coincise con il ritorno del L. a Città di Castello che, dopo anni di lotte interne, era sul punto di sottomettersi al potere pontificio. Agamennone Arcipreti, il governatore pontificio, nominò il L. cancelliere dei Priori per sei mesi a partire dal 1° ott. 1443, destituendo il cancelliere in carica, Battista di ser Angelo, con la motivazione che il L. era "vir doctissimus, amans et servitor S. Romane ecclesie et domini nostri pape", il quale "presentia sua civitati ipsi et hominibus multum prodesse potest" (Jaitner-Hahner, 1993, II, p. 427). Pur di trattenerlo in città, il governatore gli rinnovò la carica fino al 1449, ma nel turbolento periodo successivo il L. fu prima destituito e poi riammesso all'incarico, cui rinunciò nel 1445, per trasferirsi molto probabilmente a Roma. Qui pare che abbia soggiornato dal maggio 1445 fino al 1448, quando Niccolò V gli restituì la carica tifernate. Rientrato nell'ufficio nel maggio 1448, il L., nei due anni successivi, fu più volte spodestato e tra l'aprile 1449 e il maggio 1450 risulta di nuovo a Roma.
Il fatto che egli dedicò la sua traduzione di 16 omelie dello Pseudo Giovanni Crisostomo (De patientia in Iob e De poenitentia, Biblioteca apost. Vaticana, Vat. lat., 406) a Niccolò V come contributo preparatorio per l'anno santo 1450 si concilia perfettamente con l'ipotesi di una sua presenza tra il 1445 e il 1450 presso la corte pontificia, dove il L. sperava di trovare una sistemazione. Presumibilmente a Roma egli compì anche le sue prime traduzioni di Filone Alessandrino, dedicandosi ai primi quattro brani del De specialibus legibus (Ibid., Barb. lat., 662, apografo dell'esemplare di dedica perduto, con il prologo a Niccolò V, edito in Jaitner-Hahner, 1993, II, pp. 473 s.). A Roma copiò, probabilmente per uso personale, un codice contenente Macrobio e un frammento dell'Orthographia di Giovanni Tortelli (Biblioteca apost. Vaticana, Vat. lat., 1540).
Le speranze di una carriera in Curia non si realizzarono e il L. fece ritorno a Città di Castello, dove il 23 maggio 1450 assunse nuovamente il cancellierato, che tenne fino al 1463.
Fu il periodo più stabile della sua vita, durante il quale non abbandonò comunque i contatti con la corte pontificia. Il L. fu per lungo tempo simpatizzante del futuro signore di Città di Castello, Niccolò Vitelli, coetaneo del L., senza tuttavia esibirsi mai come suo fervente sostenitore. Fautori decisi dei Vitelli furono invece la famiglia della moglie del L., Maddalena Magalotti, che egli aveva sposato probabilmente poco dopo il 1450, e soprattutto Baldo di Venturuccio, padre di Maddalena, ricco mercante patrizio personalmente legato a Niccolò Vitelli. Con il matrimonio il L. entrò nell'antico patriziato castellano, accrescendo così il suo prestigio personale e consolidando le proprie condizioni economiche. Dall'unione nacquero Giovanni Battista, Antonio Olivo, morto nel 1463, Bernardina e Gina.
Durante il lungo cancellierato del L. si verificarono avvenimenti di particolare rilievo, tra cui, nel 1454, l'istituzione di una rappresentanza permanente a Firenze dell'arte dei lanaioli tifernati, il terremoto del 1458, la consacrazione della cappella di S. Bernardino, nel 1459, nonché la regolamentazione dell'attività bancaria degli ebrei residenti in città. In tali occasioni, come in numerose altre, il L. si distinse per l'accuratissima registrazione degli avvenimenti e delle relative delibere e provvedimenti consiliari in verbali che elaborava con evidente attenzione allo stile e ornava di numerose citazioni classiche. Egli compilò inoltre un Inventarium iurium Communis et Populi civitatis Castelli e un elenco di tutti i libri reformationum.
Nello stesso tempo proseguì la sua attività di copista, scrittore e forse anche traduttore. Tra i testi risalenti a questo periodo sono da segnalare i citati trattati In laudem Constaninopoleos et unionis Grecorum e Pragmatice de Crucis tropheo, che precede la sua trascrizione dei Flores beati Augustini de Trinitate di François de Meyronnes, realizzata per Bessarione intorno al 1460. Il dialogo De pedestribus certaminibus fu composto in occasione della Dieta di Mantova e dedicato a Pio II, di cui il L. pretendeva di essere familiaris (Biblioteca apost. Vaticana, Chigi, F.IV.104, autografo; la dedica, datata 8 giugno 1459, e l'inizio del dialogo sono editi in Jaitner-Hahner, 1993, II, p. 465). È una compilazione in forma di un symposium erudito tra l'imperatore Federico III, il duca Francesco I Sforza e il marchese Ludovico III Gonzaga, basata su numerosi exempla tratti da vari autori classici, tra cui Plutarco e Polibio nelle versioni latine di Leonardo Bruni (il dialogo complementare che precedeva l'opera, De navalibus certaminibus, è perduto). Nello stesso periodo il L. trascrisse gran parte del voluminoso lessico greco di Suda, lavoro che terminò poco dopo il 1462 (Biblioteca apost. Vaticana, Vat. gr., 2371), mentre le trascrizioni di Sallustio e di Pseudo Gallo ossia Massimiano (ambedue Roma, Biblioteca Casanatense, Mss., 869) risalgono forse ai primi anni Cinquanta. Il lavoro di copista potrebbe essere collegato con l'attività didattica che il L. svolse nella sua città, dopo che i Priori lo avevano incaricato, nel dicembre 1452, di insegnare autori classici e Dante nella scuola pubblica.
Nel 1463 il L. accettò la nomina alla carica di cancelliere dei Priori di Volterra, che nel 1452 aveva rifiutato e che, dal 1° ott. 1463, lo avrebbe impegnato per tre anni. A Volterra ricoprì inoltre, nel 1465, l'ufficio di executor legum recentemente istituito, che richiedeva il titolo di dottore in diritto civile. Pertanto il L. in ottobre si recò ad Arezzo presso lo Studio che era stato rifondato nel 1456 quasi esclusivamente per consentire il conseguimento della laurea ai forestieri. Qui il L. conseguì la laurea in diritto civile il 18 ott. 1465. Quando la città di Arezzo gli conferì la cittadinanza, il 27 ottobre successivo, il L. era già rientrato a Volterra.
A Volterra, libero Comune ancora di nome ma in realtà da qualche tempo passata nel dominio fiorentino, il L. ebbe numerose occasioni di stabilire contatti con i Medici: durante il suo cancellierato vi furono stretti rapporti diplomatici tra Firenze e Volterra attraverso una serie di ambascerie, documentate in un volume redatto dal L.; questo libro, conservato presso l'Archivio storico di Volterra (Ser. B nero 2) contiene le istruzioni (notule) date a tutti gli ambasciatori, nonché le relazioni da loro compilate a missione compiuta. La prima ambasciata a Firenze registrata dal L. fu la visita ufficiale di condoglianze a Cosimo de' Medici e a suo figlio Piero dopo la morte del secondogenito di Cosimo, Giovanni, deceduto il 1° nov. 1463. Le due epistole di condoglianze dei Priori ricordano la retorica sfarzosa di alcuni prologhi delle opere letterarie del Libelli.
Durante la permanenza volterrana il L. mantenne stretti legami con Città di Castello, e chiese più volte licenza di poter tornare in patria. Proprio in quegli anni la peste affliggeva tutta la Toscana; nel maggio 1464 il L. si ammalò ed ebbe due settimane di licenza per curarsi nei vicini Bagni di Morba. Probabilmente nello stesso periodo fece testamento a Volterra presso il notaio ser Dino di ser Giusto Naldini.
Negli anni 1463-66 il L. fu probabilmente precettore privato di Raffaele Maffei, rappresentante di una prestigiosa famiglia volterrana legata alla Curia romana. Il terzo anno della carica volterrana offrì al L. la possibilità di incontrare alcuni personaggi prestigiosi che influirono molto sulla sua vita; nell'aprile 1466 Migliore Cresci, membro di una prestigiosa famiglia fiorentina e amico di Marsilio Ficino, assunse a Volterra la carica di capitano del Popolo.
Può darsi che il L., tramite Cresci, fosse venuto a contatto con il platonismo della cerchia ficiniana; a meno che ciò non fosse già avvenuto in occasione dell'incontro con l'amico di Ficino Michele Mercati, che nel 1464 insegnava grammatica a Volterra. L'amicizia tra Mercati e il L. è documentata da un'epistola da loro redatta a Firenze il 23 ott. 1469, Biblioteca apost. Vaticana, Vat. Lat., 1441 (ed. Jaitner-Hahner, 1993, II, pp. 435-437) e indirizzata a Donato Acciaiuoli, che a Volterra aveva appena assunto la carica di capitano del Popolo. Alla lettera, sorta di scherzosa chiacchierata erudita, sensibile a certi influssi del platonismo ficiniano, Acciaiuoli rispose il 4 nov. 1469 (ibid., pp. 438 s.).
Il 15 sett. 1466 i Priori proposero il L. ai Senesi come giudice del podestà, chiedendo la sospensione del divieto statutario secondo cui il titolare doveva essere addottorato in diritto civile da almeno cinque anni. Ma il L. non andò a Siena, probabilmente perché aveva già prospettive professionali più prestigiose. Suo successore a Volterra fu Antonio Ivani, il quale, in una lettera indirizzata al L. databile al primo 1467 (ed. Jaitner-Hahner, 1993, II, p. 433) si congratulava con il L. per le sue brillanti prospettive di lavoro. Ivani alludeva presumibilmente alla prestigiosa carica di ufficiale forestiere della Mercanzia di Firenze, alla quale il L. fu chiamato il 24 dic. 1466.
Indubbiamente questa carica, che gli fu conferita nonostante il divieto statutario, secondo il quale il candidato doveva essere addottorato in diritto civile da almeno tre anni, segnò il culmine della sua carriera. Nella lettera di nomina il L. porta, tra l'altro, il titolo di comes palatinus. Nel verbale che documenta la sua entrata in carica, il 9 giugno 1467, è usato il cognome de Archilibellis, che da quel momento sarebbe stato usato sempre più spesso, accanto alla forma de Libellis, anche nei documenti pubblici.
Nel primo semestre 1467 il L. risulta impegnato nella vita politica di Città di Castello, dove tra il 1463 e il 1466 a seguito delle lotte interne tra le famiglie più potenti, vi era stata l'ascesa definitiva al potere di Niccolò Vitelli. Nel marzo e nell'aprile 1467 il L. fu priore e in varie occasioni lavorò accanto a Vitelli.
Il 9 giugno il L. prestò giuramento a Firenze come ufficiale forestiere della Mercanzia. La carica, finalizzata a garantire l'osservanza degli statuti della Mercanzia in tutte le attività delle arti maggiori e minori richiedeva la costante presenza dell'ufficiale nel palazzo della Mercanzia. Il contatto diretto con il ceto mercantile, cui appartenevano non pochi personaggi culturalmente aperti, dovette procurare al L. nuovi incontri con il mondo intellettuale fiorentino.
Il L. lasciò la carica nel novembre del 1467, prima della scadenza prevista, e tornò a Città di Castello. Nei primi mesi del 1468 fu nominato ambasciatore presso Paolo II e membro del Consiglio dei sedici, ma il consolidamento della signoria di Niccolò Vitelli lo portò già da settembre a ritirarsi dalla vita pubblica e ad allontanarsi dalla città.
La sua presenza a Firenze nel 1469 è documentata dalla ricordata lettera ad Acciaiuoli del 23 ottobre, che contiene anche una serie di otto componimenti poetici dedicati ad avvenimenti fiorentini. Non vi è nessun indizio che il L. abbia ricoperto cariche pubbliche a Firenze dal 1469; pare invece che per qualche tempo si dedicasse interamente agli studi, forse per una crisi che lo portò verso nuovi orientamenti spirituali, come testimonierebbe, oltre la lettera all'Acciaiuoli, uno scritto del 1482 indirizzato a Sisto IV (Ex doctrina Philonis epistola de spiritu dei, de angelis, de animabus aereis ac de gigantibus; Biblioteca apost. Vaticana, Vat. lat., 183, cc. 147-155), in cui egli riporta una conversazione su temi di magia e astrologia, avuta a Firenze con un monaco camaldolese di S. Maria degli Angeli, dove il L. stava copiando il De sanctis angelis theologicus codex nostra aetate compilatus (c. 148).
Benché il L. avesse acquisito la cittadinanza di Firenze, probabilmente tra il 1469 e il 1470, la permanenza in quella città fu, in mancanza di prospettive di carriera, di breve durata e negli anni successivi tutte le sue speranze di farvi ritorno con una carica importante furono vane. Le cinque petizioni indirizzate dal L. a Lorenzo de' Medici tra l'aprile 1471 e il maggio 1473 (ed. Jaitner-Hahner, 1993, II, pp. 442-449) affinché gli procurasse qualche carica non ebbero alcun successo.
Nel 1470 il L. entrò, per la prima e unica volta, nel mondo universitario, con la cattedra di oratoria presso lo Studio di Perugia. Il suo insegnamento iniziò il 18 ott. 1470 e terminò il 29 marzo 1472, perché fu nominato podestà di Gubbio da Federico da Montefeltro per il semestre che iniziò il 1° apr. 1472 e si concluse l'11 ottobre con il conferimento della cittadinanza eugubina.
Il 27 apr. 1472 il L. accolse a Gubbio il cardinale Bessarione, che era in viaggio per la Francia come legato pontificio e che a Gubbio cresimò Guidubaldo, figlio di Federico da Montefeltro. Nel luglio 1472 fu coinvolto nell'organizzazione delle esequie per la morte improvvisa della giovane moglie di Federico, Battista Sforza, per la quale il L. compose due elegie funebri in versione greco-latina che si presentano come un dialogo tra la defunta e il vedovo (Biblioteca apost. Vaticana, Urb. lat., 1193, cc. 109v-111r, testo greco autografo, testo latino ed. Jaitner-Hahner, 1993, II, pp. 456 s.).
Federico lo chiamò a Urbino come precettore dei suoi figli e la presenza del L. a corte è documentata dal maggio 1473 all'ottobre 1476. Scarse e brevi visite lo riportarono a Città di Castello, dove la situazione era cambiata radicalmente con il pontificato di Sisto IV, il quale nel 1474 pose fine alla signoria di Vitelli, sottomettendo alla Chiesa la città e affidandone la protezione a Federico da Montefeltro, da quell'anno duca di Urbino. Il silenzio in cui il L. avvolge tali avvenimenti potrebbe essere il segno del suo distacco dagli avvenimenti politici della città.
Due delle tre poesie composte dal L. a Urbino (Biblioteca apost. Vaticana, Urb. lat., 797, autogr.) si riferiscono alla sua attività didattica e ai rapporti con i figli del duca: nella lettera del 9 ott. 1476, precedente la prima poesia e indirizzata a Lodovico da Mercatello, segretario di Federico, un epitalamio per la figlia illegittima del duca, Gentile, sposa ad Agostino Fregoso nel 1474 (ed. Jaitner-Hahner, 1993, II, pp. 457-459), il L. si definisce "preceptor ac magister" della giovane, mentre in un epigramma De parvulo comite Guidone illustri, come anche nella precedente dedica a Ottaviano Ubaldini conte di Mercatello, fautore dei letterati, fa riferimento alla lettura di Sallustio cui avrebbe avviato il piccolo Guidubaldo e sua sorella Giovanna (ibid., pp. 461 s.). A Ottaviano è indirizzata anche la precedente poesia De nativitate illustris principis…Federici Feltrensis Urbini ducis (ibid., pp. 459-461).
La sua principale attività a Urbino era costituita dalle traduzioni dal greco, che egli riprese dopo quasi un ventennio, avendo a disposizione nella splendida biblioteca urbinate diversi codici contenenti i testi greci, di cui almeno due sono identificabili tramite numerose congetture ed emendazioni che il L. vi apportò e che spesso trovano riscontro nelle sue versioni latine. Tradusse, probabilmente nel primo 1473, le epistole dello Pseudo Aristotele ad Alessandro (dall'Urb. gr., 34 della Biblioteca apost. Vaticana) che poi unì al De Re publica Lacedaemoniorum di Senofonte (dall'Urb. gr., 7 della stessa biblioteca, ed. in D. Marsh, Sparta and Quattrocento humanism: Lilius Tifernas' translation of Xenophon's Spartan Constitution, in Bibliothèque d'humanisme et Renaissance, LIII [1991], pp. 91-103). Seguirono, tra il 1473 e il 1474, le versioni greche di tre opere di Filone Alessandrino, De transmigratione, De gigantibus e De agricultura (tradotte dal Vat. gr., 378). Tutte queste opere, unite nel codice Urb. lat., 227, sono precedute da dediche a Federico da Montefeltro. Numerose sono le tracce lasciate dal L. anche in altri codici urbinati, come i due manoscritti di Valerio Massimo (Urb. lat., 418 e 434) che gli fornirono la base per la propria trascrizione di quest'autore, portata a termine il 16 marzo 1476 (Vat. lat., 1921). Inoltre emendò e completò il testo corrotto di due traduzioni latine umanistiche, quella di Erodoto, realizzata da Lorenzo Valla e quella di Diodoro Siculo, compiuta da Poggio Bracciolini (Urb. lat., 430 e 431). Il testo latino corretto della traduzione valliana gli servì da base per l'Epitoma historiarum Herodoti (Vienna, Österreichische Nationalbibliothek, Cod. Lat., 3384).
Non è noto quando il L. concluse il suo periodo urbinate, ma il 22 maggio 1477 risulta a Roma, dopo che Sisto IV lo aveva nominato castellano della rocca di Ceprano. Qui si dedicò alla traduzione della maggior parte delle opere di Filone Alessandrino (comprese le versioni rivedute degli scritti filoniani già tradotti a Urbino) che avevano al suo centro la figura di Mosè, il typus papae secondo la dottrina teologica quattrocentesca. A Ceprano, di cui lamentava l'inospitalità, il L. lavorò dal 1477 fino a poco prima della morte. Tra il 1477 e il 1485 prese più volte in prestito dalla Biblioteca Vaticana codici greci contenenti le opere filoniane, personalmente o tramite il figlio Giovanni Battista, che fin dal 1478 assunse varie cariche presso la corte pontificia.
Sei splendidi volumi pergamenacei, illustrati e autografi, contengono le versioni filoniane, dedicate a Sisto IV e poi a Innocenzo VIII (Vat. lat., 180-185) e accompagnate da prologhi ai singoli volumi e da epistole che precedono le singole opere.
Il L. morì a Ceprano il 21 luglio 1486; è ignoto il luogo della sepoltura.
La moglie Maddalena gli sopravvisse almeno fino al 1501. Il figlio Giovanni Battista rientrò da Roma a Città di Castello nel 1488, dove in seguito si impegnò nella vita politica, mantenendo stretti rapporti diplomatici con la corte di Roma.
Tra le opere letterarie del L., ebbero fortuna le traduzioni delle Storie vere di Luciano e delle omelie De patientia in Iob e De poenitentia di Giovanni Crisostomo che ebbero una notevole circolazione manoscritta e a stampa e sono state riutilizzate anche nelle grandi edizioni posteriori dei due autori greci. Una discreta diffusione manoscritta in età umanistica ebbe inoltre la sua poesia In Claram versus, con l'epistola ad Antonio Giacomo Venier che la precede.
In Jaitner-Hahner, 1993, pp. 446-523 sono stati editi, soprattutto dagli autografi, alcuni testi del L. (poesie, dedicatorie, prologhi).
La traduzione di Luciano è pubblicata in Lilio Tifernate, Luciani De veris narrationibus, a cura di G. Dapelo - B. Zoppelli, Genova 1998 (ampia bibliografia); la dedicatoria in P. Bracciolini, Opera omnia, a cura di R. Fubini, IV, Torino 1969, pp. 667-669. Un elenco delle edizioni della traduzione di Giovanni Crisostomo è in Jaitner-Hahner, 1993, I, pp. 326-331; la dedica è stampata in E. Martène - O. Durand, Veterum scriptorum et monumentorum… amplissima collectio, I, Parisiis 1724, col. 1595. Le poesie sono edite in G. Zannoni, Porcellio Pandoni ed i Montefeltro, in Atti della R. Acc. dei Lincei. Rendiconti, cl. di scienze morali, storiche e filologiche, s. 5, IV (1895), pp. 497 s.
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