LIMINA, Pietro Balsamo, marchese di
Nacque a metà del XVI secolo dal barone Francesco. Il 28 marzo 1574 ricevette dal padre, a Messina, la baronia di Limina, nei pressi di Taormina, che il nonno paterno, suo omonimo, il 18 ott. 1548 aveva acquistato da Francesca Maria Girifalco. Ne fu investito, insieme con il feudo denominato Vigna del Re, ancora minorenne, il 27 marzo 1575.
L'8 ag. 1597 sposò a Palermo Francesca Aragona Tagliavia, figlia di Carlo dei principi di Castelvetrano e di Anna Ventimiglia. Il 10 apr. 1599 il re di Spagna Filippo III gli concesse da Valencia il titolo di marchese, con provvedimento eseguito il 14 agosto nel Regno di Sicilia. Il 23 sett. 1600 il L. ebbe pertanto nuova investitura del marchesato e del feudo di Vigna del Re. Dal 1609 al 1614 fece parte della Deputazione del Regno, organo che in rappresentanza del Parlamento provvedeva alla ratifica dei suoi deliberati perché avessero esecuzione, in particolare per la riscossione dei donativi e dei sussidi. Nello svolgimento di tali funzioni, il L. fu protagonista di un episodio di resistenza all'autorità del viceré.
Nel Parlamento siciliano del 1609, la cui seduta di chiusura si tenne a Palermo il 22 maggio, fu offerto al viceré Juan Fernández Pacheco, duca d'Escalona, un donativo straordinario di 60.000 scudi anche per contribuire al riscatto del figlio Diego, catturato dai Turchi. La proposta era stata fatta dal braccio militare, che l'aveva approvata già il 31 marzo, ma il consenso dato dal braccio demaniale non fu subito seguito da quello del braccio ecclesiastico, disponibile a un accoglimento solo formale della proposta, a condizione che il viceré rifiutasse con la motivazione di non poter anteporre l'interesse privato a quello pubblico. Dopo il previsto diniego di Fernández Pacheco, si volle comunque informare Filippo III sia dell'offerta formalmente fatta dal Parlamento sia della risposta negativa del viceré. Solo in segno d'onore e per cortesia verso quest'ultimo, il 27 maggio la Deputazione scrisse al sovrano, chiedendogli di autorizzare l'accettazione del donativo e di annullare il divieto, che si sapeva essere stato posto da Filippo III. In realtà, fin dal 30 aprile il re di Spagna aveva invece accondisceso alla richiesta che Fernández Pacheco gli aveva fatto pervenire attraverso il suo segretario e aveva già autorizzato segretamente il viceré a ricevere un donativo per compensarlo delle spese da lui sostenute durante la precedente ambasceria a Roma. Inaspettatamente, Filippo III disattese pertanto sia le disposizioni emanate dal Supremo Consiglio d'Italia sia la consuetudine di non ammettere il donativo straordinario: il 21 agosto il re autorizzò dunque ufficialmente il viceré a ricevere quella considerevole somma, che il Parlamento nel suo insieme non aveva mai avuto veramente intenzione di versare.
Il 22 dicembre il viceré chiese pertanto alla Deputazione di provvedere alla riscossione del donativo; ne nacque un contrasto con il viceré e tra i deputati, per l'opposizione di Vincenzo Branciforti, Baldassare Naselli conte di Comiso e pretore di Palermo, e del L., il quale tenne il comportamento più fermo e duro. In un primo tempo Naselli aveva firmato con gli altri deputati le lettere monitorie, necessarie per effettuare la riscossione dei 60.000 scudi nell'isola; Branciforti, per l'intermediazione dell'arcivescovo di Palermo cardinale Giannettino Doria, finì per firmare la lettera che il 4 maggio il viceré volle fosse inviata in risposta al sovrano, ma con l'assicurazione che avrebbe potuto formalizzare a parte le sue riserve, come fece alcuni giorni dopo. Il L. invece rifiutò sempre di apporre la sua firma su qualunque atto. La notte del 13 maggio 1610, dopo l'ultimo rifiuto di assoggettarsi al viceré, egli fu quindi arrestato e sospeso dall'ufficio di deputato insieme con Naselli. Accompagnato da squadre di archibugieri, fu rinchiuso nel Castellammare di Palermo. La mattina dopo i loro beni furono inventariati e posti sotto sequestro per ordine del viceré.
Tra le molte motivazioni sostanziali e procedurali addotte per rifiutare la riscossione del donativo, che includevano l'avvenuta conversione all'Islam del figlio del viceré, è interessante - se messo in rapporto all'opposizione in precedenza manifestata nel Parlamento proprio dal braccio ecclesiastico, e forse anche alla missione romana di Fernández Pacheco - il richiamo da parte del L. a ragioni di coscienza. Tali ragioni erano intervenute dopo avere ascoltato sulla questione alcuni teologi di diversi Ordini religiosi, i quali si erano riuniti nel convento dei frati cappuccini e lo avevano assicurato e convinto che se si fosse comportato altrimenti avrebbe commesso peccato mortale e sarebbe potuto incorrere nella scomunica prevista dalla bolla In Coena Domini.
Il 28 maggio il L. inviò quindi a corte un memoriale, analogo a quelli spediti da Branciforti e da Naselli. Il 30 luglio Filippo III rispose avocando a sé la soluzione della controversia, che avrebbe affidato a giudici da lui nominati, ma ordinando intanto di procedere alla riscossione del donativo, che sarebbe stato depositato ed eventualmente destinato ad altre esigenze del Regno se i giudici avessero deciso che la somma non fosse spettata al viceré.
Alla fine di agosto il L. e il Naselli furono scarcerati e il 15 settembre il loro mandato di arresto fu annullato e i beni furono dissequestrati. Fernández Pacheco intanto era stato esonerato dal suo ufficio e il 12 settembre aveva lasciato la Sicilia tra gli insulti dei Palermitani. Pare che il donativo, per il quale il Parlamento aveva escluso una destinazione diversa da quella prevista, non sia mai stato riscosso.
La vicenda si era dunque conclusa con il pieno successo del L., il quale continuò fino al 1614 a far parte ininterrottamente della Deputazione del Regno. Nel 1612 fu anche stratigoto di Messina. Il 3 apr. 1613, con un privilegio del sovrano al quale fu data esecuzione in Sicilia il 3 giugno, ricevette inoltre il titolo di principe di Roccafiorita, un feudo limitrofo a quello di Limina. Fu ancora deputato del Regno dal 1621 al 1626. Il 14 marzo 1622 fu nuovamente investito dal re di Spagna Filippo IV, dopo la sua successione al trono, del marchesato di Limina, del principato di Roccafiorita e del feudo di Vigna del Re.
Fu anche presidente della Pia Istituzione dei cattivi, organismo che si occupava del riscatto dei siciliani prigionieri dei musulmani. Fu inoltre cavaliere di S. Giacomo della Spada e fondò, con la moglie, la chiesa di S. Mattia Apostolo, con la casa del noviziato dell'Ordine dei crociferi.
Morì a Palermo nel 1646, senza figli. Lasciò il marchesato a un nipote, Pietro Bonanno Balsamo, figlio della sorella Antonia e del duca di Montalbano, Giacomo Bonanno, che ne era stato investito già il 25 marzo 1641.
Fonti e Bibl.: V. Palizzolo Gravina, Il blasone in Sicilia ossia Raccolta araldica, Palermo 1871-75, p. 87; F. San Martino de Spucches, La storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia dalla loro origine ai nostri giorni…, IV, Palermo 1926, pp. 322-324; C. Giardina, Sul donativo straordinario del Parlamento di Sicilia al marchese di Vigliena. Una vertenza tra la Deputazione del Regno e il viceré (1609-1610), in Atti della R. Acc. di scienze, lettere e belle arti di Palermo, s. 3, XVIII (1934), pp. 141-166; R. Quazza, Preponderanze straniere, Milano 1938, p. 496.