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LIMITE

di Giovanni Lampariello - Enciclopedia Italiana (1934)
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LIMITE

Giovanni Lampariello

(fr. limite; sp. límite; ted. Grenzwert, Limes; ingl. limit). -1. Il concetto di limite, fondamentale nelle matematiche, è sorto dalla necessità di caratterizzare in termini logici precisi la tendenza di un numero variabile a un determinato valore. Se consideriamo, ad es., i reciproci dei numeri interi positivi

riconosciamo che il loro valore diminuisce costantemente, e che, comunque si pensi un numero ε > 0, per quanto piccolo, basterà prendere il denominatore sufficientemente grande, perché tutte le frazioni aventi il denominatore maggiore di questo siano minori di ε. Così, supposto ε = 1/103, basta che sia n > 1000 per avere i/n 〈 ε; se ε = 1/106; si ha 1/n 〈 1/106 per ogni valore di n > 1000000 e così via. Si dice che i numeri considerati si avvicinano costantemente a zero o tendono a zero al crescere indefinito del denominatore o infine che la successione (di numeri), i cui termini si ottengono dall'espressione 1/n, ponendo al posto di n tutti i possibili numeri interi positivi, ha per limite zero.

Che cosa s'intende col dire che la variabile intera n cresce indefinitamente? Ciò significa che le è consentito di assumere valori maggiori di qualsiasi valore pensato, e si esprime, con frase puramente convenzionale, dicendo che essa tende all'infinito (tende all'∞).

Orbene, sia data una successione di numeri

di cui il termine corrispondente al generico intero n è denotato con an Si dice che la (A), al tendere di n all'∞, ha per limite un numero l se, comunque si fissi un numero ε > 0, si può determinare un numero p tale che, per ogni n > p, si abbia la ∣an −l∣ 〈 ε.

Nell'esempio citato dianzi è an = 1/n, l = 0; e il numero p non è che 1/ε o un qualsiasi numero maggiore di questo. Il fatto contenuto nella definizione posta or ora si esprime anche dicendo che an tende ad l al tendere di n all'∞ e si scrive

Le successioni aventi per termine generico

tendono a 1, perché, per ognuna di esse, si ha ∣an − 1∣ = 1/n e mentre i termini delle prime due tendono al proprio limite rispettivamente sempre decrescendo e sempre crescendo, il termine generico della terza assume alternatamente valori minori e maggiori di 1 o, come si dice, oscilla attorno al valore 1.

Si dice che an tende a + ∞ (0 − ∞) al tendere di n all'∞, se, comunque si fissi un numero H > 0, si può determinare un numero p tale che, per ogni n > p, si abbia an > H (oppure an 〈 − H). Si scrive

Infine si dice che an tende all'∞, senza alcuna specificazione di segno, se, comunque si fissi un numero H > 0, si può determinare un numero p tale che, per ogni n > p, si abbia ∣an∣ > H. Si scrive

2. La definizione fondamentale del limite è dovuta, in una forma sostanzialmente equivalente a quella or ora enunciata, a John Wallis (Arithmetica infinitorum, 1655), ma è stata precisata e posta a fondamento di una trattazione rigorosa nel sec. XIX da B. Bolzano e L.-A. Cauchy, le cui celebri ricerche posero fine alle controversie suscitate da inesatte interpretazioni dei principî sugl'infinitesimi date da taluni seguaci di Newton e Leibniz. Il metodo dei limiti, che consiste nel passare da relazioni che hanno luogo tra numeri variabili a relazioni analoghe tra i loro limiti, ha però un'origine geometrica nel metodo di esaustione di Eudosso (sec. IV a. C.). Questo metodo fu applicato dai geometri greci (Euclide, Archimede) per il calcolo di lunghezze, aree e volumi di figure geometriche semplici (v. endosso; integrale, calcolo).

La questione di stabilire se una successione (A) ammetta un limite appartiene alle matematiche moderne; è stato Cauchy il primo a trovare le condizioni per l'esistenza del limite. Il suo criterio generale, dimostrato nell'Analyse Algébrique (1821), si enuncia così. Condizione necessaria e sufficiente affinché an ammetta limite finito al tendere di n all'∞ è che, comunque si fissi un numero ε > 0, si possa determinare un numero p tale che, per due numeri interi quali si vogliano n′, n″ maggiori di p, si abbia ∣an′ − an″∣ 〈 ε.

Un caso particolare notevole in cui è certa l'esistenza del limite finito - incontrato implicitamente dai geometri greci e relativamente al quale questi non hanno avvertito la necessità di una dimostrazione - si ha quando an non decresce (o non cresce) mai al crescere di n e si può trovare un numero K maggiore (o, rispettivamente, minore) di ogni an.

Il limite di una successione siffatta è il cosiddetto limite (o estremo) superiore Λ (o inferiore λ), designandosi con tal nome un numero soddisfacente alla duplice proprietà di non esser superato (o non esser maggiore) da (o di) alcun numero della successione, e tale che si possa sempre trovare un numero di questa maggiore (o minore) di un qualsiasi numero minore (o maggiore) di Λ (o di λ), prossimo quanto si vuole a Λ o a λ.

È in questa forma che l'idea del limite ricorre in Euclide per la misura della piramide.

Accertata comunque l'esistenza del limite, come si calcola? A questa domanda non si può dare una risposta che valga in ogni caso. Il calcolo numerico del limite e lo studio della sua natura aritmetica offrono, in generale, notevoli difficoltà, anche in casi in cui il calcolo di an per ogni n esige soltanto operazioni elementari; e caso per caso queste questioni si esauriscono in base alle proprietà di an.

Così, per citare un limite classico, consideriamo la successione di numeri razionali

di cui il termine corrispondente a n è manifestamente an = (i + 1/n)n. Si dimostra che questo an cresce sempre al crescere di n ed è minore di 3, qualunque sia n. In virtù del criterio particolare di esistenza del limite testé enunciato, la successione ammette per limite il suo limite superiore. Dunque, ha significato il simbolo

e questo definisce un numero che si suole denotare con la lettera e (costante del Neper, base del sistema dei logaritmi neperiani o naturali) e di cui il valore approssimato per difetto ameno di 10-12 è dato da 2, 718281828459 (v. logaritmo). Il numero e non è razionale, anzi si dimostra che non è nemmeno algebrico, cioè non soddisfa ad alcuna equazione algebrica a coefficienti razionali; e il suo valore approssimato mediante numeri decimali si calcola nel miglior modo ricorrendo alla serie dei reciproci dei fattoriali dei numeri interi

Limite di una funzione. - 3. Il concetto di limite può essere esteso al caso di una funzione f(x) di una variabile x continua, suscettibile cioè di assumere qualsiasi valore reale (a differenza della variabile n di poc'anzi), esclusi, al più, eventuali valori in corrispondenza ai quali la f(x) non abbia significato.

Per enunciare questa estensione, teniamo presente la corrispondenza, che si può istituire tra i numeri reali e i punti di una retta su cui sia stato definito un sistema di ascisse e consideriamo una funzione f(x). Sia x0 un valore particolare della variabile x (punto x0). La f(x) si suppone definita in ogni punto x di un intervallo al quale appartiene x0, ma non necessariamente in x0. In via intuitiva, si è condotti ad affermare che la f(x) tende a un limite finito l, al tendere di x a x0, quando in corrispondenza a valori di x vicinissimi a x0, la f(x) assume valori vicinissimi a l. L'idea accennata così vagamente vuol dire in sostanza che si può scegliere un intervallo I contenente x0 (intorno di x0) abbastanza piccolo perché i valori di f(x), corrispondenti a valori di x di I, diversi da x0, differiscano da l, in valore assoluto, meno di una quantità prefissata ε > 0, comunque piccola.

Da ciò che si è detto appare chiaro che l'ampiezza dell'intorno I di x0 risulterà tanto più piccola quanto più piccolo si sarà prefissato ε; onde si arriva a formulare nei termini seguenti la definizione di tendenza a un limite finito. Si dice che f(x) tende a un numero l al tendere di a x0, se, comunque si fissi un numero ε > 0, si può determinare un numero δ > 0 tale che, per ogni x diverso da x0, che appartenga all'intervallo (x0 − δ, x0 + δ), si abbia

Ciò si esprime scrivendo

Si dice che f(x) tende a + ∞ (0 − ∞) al tendere di a x0 se, comunque si fissi un numero H > 0, si può determinare un numero δ > 0 tale che, per ogni x, diverso da x0, compreso nell'intervallo (x0 - δ, x0 + δ) si abbia

Si scrive

Infine, si dice che f(x) tende all'∞, senza alcuna specificazione di segno, se, comunque si fissi un numero H > o, si può determinare un numero δ > 0 tale che, per ogni x, diverso da x0, dell'intervallo (x0 − δ, x0 + δ) si abbia f (x) 〈 H. Si scrive

Analoghe definizioni valgono per la tendenza di f(x) a un limite finito o all'∞ per x tendente a ∞, nel caso in cui la f(x) sia definita per ogni x comunque grande in valore assoluto.

Nello stabilire questa estensione del concetto di limite si verifica una circostanza che non si presenta nel caso di an al tendere di n all'm. Qui si possono (e talvolta si debbono) attribuire a x valori soltanto maggiori (o minori) di x0, del resto prossimi quanto si vuole a x0, e si perviene così al concetto di limite destro (o sinistro) in un punto x0. Se i limiti destro e sinistro esistono e sono eguali a uno stesso numero l, la f(x) ammette limite in xo nel senso ordinario chiarito da principio. Ma può benissimo accadere che i detti limiti esistano finiti e siano diversi o che almeno uno dei due non esista o sia infinito.

Nella definizione generale del limite si prescinde dall'eventuale valore della f(x) nel punto x0; se la f(x) è definita in questo punto e il limite per x tendente a x0 è f(x0) si dice che è continua in x0 (v. funzione, XVI, p. 187).

Due circostanze, altrettanto semplici quanto importanti, vanno chiarite. Se una funzione f(x) ammette un limite finito l al tendere di x a x0, essa non può tendere simultaneamente a un limite l′, diverso da l, quando x tende ancora a xo; se f(x) tende all'0m, non può tendere a un numero finito nello stesso tempo. Questo teorema di unicità del limite è una conseguenza immediata della definizione.

Da questa segue altresì che se f(x) tende a un numero l, diverso da zero, al tendere di x a x0 esiste un intorno di questo punto nel quale. esclusione fatta al più per x0, la f(x) ha valori dello stesso segno del limite.

4. Le considerazioni fatte circa l'esistenza del limite di una successione (n. 2) valgono anche per il limite di una funzione. Enunciamo il criterio generale di Cauchy. Condizione necessaria e sufficiente affinché f(x) ammetta limite finito al tendere di x a x0 è che, comunque si fissi un numero ε > o, si possa determinare un numero δ > 0, tale che, per due punti qualunque x′, x″, diversi da x″ dell'intervallo (x0 − δ, x0 + δ), si abbia

Condizione necessaria e sufficiente affinché f(x) ammetta limite finito al tendere di x a + ∞ è che, comunque si fissi un numero ε > o, si possa determinare un numero p, tale che, per due valori qualunque x′, x″, maggiori di p, si abbia ∣f(x′) − f(x″)∣ 〈 ε.

Un caso particolare notevole in cui è certa l'esistenza del limite destro in un punto x0 si ha quando in un intervallo, di cui x0 sia l'estremo sinistro, la f(x) non decresce (o non cresce) quando x tende a x0 sempre decrescendo e la f(x) si mantiene minore (o maggiore) di un numero assegnabile K. Un teorema analogo vale per il limite sinistro e per il caso in cui si faccia tendere x a ± ∞.

Un altro criterio è spesso utile per dimostrare l'esistenza del limite e consiste in ciò. Se due funzioni f1(x) e f2(x), entrambe definite in un intervallo contenente un punto x0, fatta astrazione al più da x0, ammettono uno stesso limite finito al tendere di x a x0, ogni funzione f(x), che per ogni punto del detto intervallo abbia un valore compreso tra quelli che competono alle f1(x), f2(x) nello stesso punto, ammette lo stesso limite al tendere di x a x0.

5. Per le proposizioni fondamentali della teoria dei limiti, avente lo scopo di analizzare il comportamento dell'operazione di passaggio al limite di fronte alle operazioni elementari, rimandiamo ai trattati di analisi algebrica e infinitesimale. Basterà segnalare il fatto notevole, cui si deve che il concetto di limite sia così essenziale, che l'operazione di passaggio al limite è permutabile (v. commutativa, proprietà) con ogni operazione razionale e più generalmente con ogni operazione simboleggiata da una funzione continua. Così, ad es., enunciando in forma rapida: il limite di una somma, di un prodotto, ecc., è eguale alla somma, al prodotto, ecc., dei limiti; il lìmite del logaritmo di una quantità è eguale al logaritmo del limite della quantità, ecc.

Se si debba ricercare il limite del quoziente di due funzioni che al tendere di x ad x0 tendano entrambe allo zero o all'∞, il teorema del limite del quoziente non vale e si ricorre allora, generalmente, alla regola del de l'Hôpital (v. indeterminate, formule).

Questa regola, nel caso del quoziente di due funzioni della variabile intera n, va sostituita con i seguenti teoremi di E. Cesàro.

Se

si ha

purché esista il secondo membro.

Se

si ha

purché esista il secondo membro.

Se si considera una serie di funzioni, convergente in un intervallo contenente un punto x0, non vale senz'altro il teorema del limite della somma e si è costretti a considerare un aspetto particolare del concetto di convergenza (v. serie).

Più generalmente, in analisi infinitesimale, si analizza il comportamento dell'operazione di passaggio al limite di fronte alle operazioni, più elevate, del calcolo differenziale e integrale.

6. Il concetto di limite può essere esteso a una funzione f(x) definita in un insieme qualsiasi di punti, relativamente a un punto x0 di accumulazione (o punto-limite) di questo (v. insieme); può essere esteso altresì al caso in cui la variabile indipendente sia complessa.

7. Vogliamo da ultimo segnalare la forma, più generale ancora della pregedente, nella quale si presenta il concetto di limite, quando si definisce l'integrale di una funzione, la lunghezza di un arco di curva (adottando la definizione di L. Scheeffer), ecc. Se, per fissare le idee, consideriamo una funzione f(x) della variabile x, definita in un intervallo (a, b), ivi continua, compresi gli estremi, è ben nota la definizione di Mengoli-Cauchy per l'integrale di f(x) da a a b (v. integrale, calcolo). Si divide (a, b) in intervalli parziali δ1, δ2, ..., δn, di cui il massimo sia δ, si sceglie in ciascuno di questi un punto ξr, con legge arbitraria, e si costruisce la somma

Le somme Sδ sono infinite e si ottengono in corrispondenza a tutte le possibili partizioni di (a, b). Se, quando si fa tendere all'∞ il numero n degl'intervalli parziali e simultaneamente allo zero il massimo δ, la Sδ ammette un limite finito J, questo si chiama appunto integrale di f(x) da a a b.

Ora la Sδ non è una funzlone di una variabile ben determinata, e dicendo che essa ammette un limite finito J, s'intende affermare che esiste un numero J soddisfacente alla proprietà che, comunque si fissi un numero ε > 0, si può determinare un numero η > 0 tale che, per tutte le partizioni di (a, b) in intervalli δr, di cui il massimo δ sia minore di η, le corrispondenti Sδ soddisfino alla diseguaglianza

Ecco l'aspetto più generale dell'idea di limite cui alludevamo sopra.

Limiti fondamentali.

Bibl.: V. le bibliografie delle voci: differenziale, calcolo; integrale, calcolo.

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