LIMNOLOGIA
(XXI, p. 165)
Il quadro attuale dei complessi problemi che riguardano lo studio scientifico delle acque continentali costituisce l'argomento della moderna limnologia. Dal suo uso originario di ''studio dei laghi'' il termine fu in seguito esteso allo studio di tutte le acque continentali, stagnanti e correnti, superficiali e sotterranee. Da scienza originariamente biologica la l. è divenuta scienza sintetica che studia le raccolte d'acqua sotto tutti i possibili punti di vista, considerandone l'origine, la distribuzione, i fattori fisico-chimici, gli organismi che le abitano e i rapporti fra questi e l'ambiente. In altre parole il limnologo considera laghi, stagni, paludi, pozze, ecc., come altrettanti ecosistemi (v. ecologia: Analisi degli ecosistemi, App. IV, i, p. 617) e identifica i meccanismi che sono alla base del loro funzionamento in stretta connessione con il territorio circostante.
A un primo periodo, in cui gli approcci con i laghi sono stati di natura comparativa, descrittiva o rivolta all'analisi di temi limitati e si è tentata una classificazione biologica dei laghi, è seguita una nuova fase di ricerca, iniziata da R.L. Lindeman (1942), il quale sviluppò il concetto trofo-dinamico del flusso di energia attraverso i vari livelli della catena alimentare, nonché i concetti di produzione e produttività. La produttività dei bacini è questione affrontata dagli studi sulle popolazioni, prendendo soprattutto in considerazione la struttura e la consistenza delle comunità biologiche, la dinamica delle popolazioni e i loro equilibri (comprese le competizioni alimentari e spaziali). Tali equilibri sono determinati dalla disponibilità e distribuzione delle sostanze organiche e inorganiche nell'ecosistema. A questo riguardo, assumono particolare importanza gli studi sulle modificazioni che insorgono in un determinato ecosistema e che possono inibire o accelerare le trasformazioni ai vari livelli trofici. Le alterazioni che si manifestano nei bacini lacustri possono essere prodotte dall'evoluzione naturale del lago, che rappresenta nella rete idrografica soltanto un ''fenomeno transitorio'', o prodotte dall'uomo in rapporto a quella che viene definita ''la storia meccanica dell'umanità''. Le prime sono molto lente e abbastanza prevedibili; le seconde, più accelerate, rientrano nei fenomeni di eutrofizzazione (v. idrobiologia, App. IV, ii, p. 144) e d'inquinamento (v. App. IV, ii, p. 206). Questi fenomeni vengono affrontati da una branca della l., la l. applicata e sperimentale, che cerca di fondere gli approcci analitici, per poter risolvere problemi pratici di gestione delle acque e, in ultima analisi, di recupero degli ambienti compromessi.
La valutazione dello stato trofico di un lago può essere fatta a livello biologico, ma anche a livello chimico, considerando le cause e gli effetti dell'eutrofizzazione. Tra le prime vi sono principalmente le concentrazioni di fosforo; tra i secondi, l'aumento della biomassa algale, la concentrazione di clorofilla, la diminuzione di trasparenza, il deficit ipolimnico di ossigeno, ecc.
Uno dei problemi che i limnologi si sono trovati a dover affrontare per evidenziare le modificazioni chimiche delle acque lacustri è stato il calcolo del bilancio idrologico, che consente di valutare gli apporti e le perdite delle varie sostanze chimiche disciolte nelle acque e di prevederne l'accumulo nel tempo. Con l'ausilio di modelli matematici opportunamente scelti, sono state elaborate le leggi del bilancio idrologico nei bacini naturali, in modo da poter prevedere il tempo necessario al recupero di un lago inquinato, dal momento in cui viene a cessare l'immissione delle sostanze inquinanti. Il tempo teorico di rinnovo delle acque lacustri è stato definito come rapporto fra il volume dell'acqua del lago e quello dell'acqua dell'emissario. S'ipotizza in questo caso che il lago perda una quantità d'acqua pari a quella che vi entra. Ci si è accorti però che questa ipotesi non tiene conto di numerosi fenomeni idrodinamici (correnti, sesse) e fisico-chimici (termici), che intervengono nel determinare il mescolamento o meno degli strati (circolazione, stratificazione, meromissi) e rendono quindi difficile stimare l'esatto tempo di permanenza dei materiali organici e inorganici presenti o apportati al lago. Solo con una perfetta conoscenza dei vari parametri è possibile calcolare il tempo reale di ricambio che può risultare a volte molto diverso da quello teorico (per es., per il Lago Maggiore, 14,5 anni contro 4 teorici).
Un secondo problema strettamente legato ai calcoli del bilancio idrologico è rappresentato dalla determinazione dei carichi areali di fosforo accettabili o pericolosi in un bacino, in funzione del rapporto fra profondità media e tempo teorico di ricambio in anni. L'aumento del fosforo (P) nelle acque innesca infatti i processi che portano alla loro eutrofizzazione, controllando l'aumento della biomassa algale. Le concentrazioni di P sono quindi indici del grado di eutrofizzazione di un bacino. Per tale motivo i ricercatori che operano nel settore limnologico concordano sul concetto che il controllo del P debba essere la prima tappa da conseguire per la prevenzione e il contenimento del fenomeno dell'eutrofizzazione dal punto di vista chimico. Le principali ricerche in tal senso prevedono la conoscenza delle fonti di P, la quantificazione dei suoi carichi derivanti dal bacino di drenaggio e il controllo del rilascio del P a livello dei fondi. Indispensabile è anche la determinazione del carico di P totale accettabile da un determinato bacino, sulla base del suo volume d'acqua. I calcoli prendono in considerazione la quantità di P che è possibile introdurre senza innescare un processo di eutrofizzazione. I modelli di R.A. Vollenweider evidenziano come una quantità totale che arrivi a 20 mg/l sia da considerare critica. Le concentrazioni di 10 e 20 mg/l di P vengono assunte come limiti di passaggio dalla situazione di oligotrofia a quella di mesotrofia e da quella di mesotrofia a eutrofia. L'applicazione dei metodi per la determinazione della trofia in base al valore medio di concentrazione di P totale, nel periodo di mescolamento primaverile, ha dato buoni risultati e ha portato in molti paesi a un ''ordinamento'' dei laghi in base alla trofia. Per quanto riguarda l'Italia, il P è risultato il maggior responsabile dei processi di eutrofizzazione e rappresenta il fattore limitante nell'85% dei laghi studiati, che sono stati così classificati: 18% oligotrofi; 40% mesotrofi; 41% eutrofi; 10% ipereutrofi.
Un altro problema, che negli ultimi anni è divenuto drammatico in molti paesi (Scandinavia e Nord America) e ha attirato sempre più l'attenzione dei limnologi, è il processo di acidificazione dei corsi d'acqua. Il fenomeno delle deposizioni acide appare attualmente una delle forme più gravi ed estese d'inquinamento (v. in questa Appendice). Esso è collegato essenzialmente alle emissioni, a varia altezza, degli ossidi di zolfo e di azoto le cui trasformazioni atmosferiche in acidi forti provocano un aumento di acidità delle deposizioni e una conseguente acidificazione del suolo e delle acque nei territori meno dotati di capacità neutralizzanti. La capacità tampone è massima infatti nelle rocce carbonatiche e minima per le rocce acide, quali graniti, gneiss e micascisti. Responsabili delle emissioni artificiali di ossidi sono le grandi centrali termoelettriche, le industrie siderurgiche e di trasformazione, gli autoveicoli e gli impianti di riscaldamento domestico. Anche le emissioni di ammonio, derivanti principalmente dagli allevamenti zootecnici e dai fertilizzanti (Europa e Nord America), determinano acidificazione. Gli inquinanti emessi, inoltre, permangono nell'atmosfera e possono essere trasportati a grande distanza rispetto ai punti di emissione, divenendo ''inquinanti internazionali''. Gli effetti sulle comunità e sulle popolazioni degli ecosistemi d'acqua dolce sono, in ultima analisi, una riduzione qualitativa delle biocenosi, con una diminuzione della diversità e la scomparsa o la forte riduzione numerica delle specie non acidofile, in particolare dei pesci.
Gli effetti di queste deposizioni sono state documentate in vari paesi, dove il fenomeno si è manifestato in modo eclatante, con danni anche economicamente gravi (per es., per la pesca in Svezia e Norvegia). La presenza, in Italia, della catena alpina che limita gli scambi internazionali di inquinanti ha determinato un certo ''isolamento'' italiano rispetto al discorso scientifico-biologico, che ha diffuso queste problematiche in varie nazioni dell'Europa centrale. In anni recenti si è cercato anche in Italia, con appositi simposi (Pallanza 1987), di fare il punto sulle conoscenze scientifiche in materia. In particolare le preoccupanti indicazioni fornite da numerosi studi sulla chimica delle deposizioni atmosferiche hanno messo in evidenza la necessità di indagini volte a valutare il livello di acidificazione raggiunto dalle acque interne italiane. Il fenomeno delle deposizioni acide riguarda attualmente aree di notevole estensione in particolare nell'Italia settentrionale, ove sono stati notati incrementi nella deposizione di nitrati di circa il 60% nell'arco di un decennio. Gran parte dei laghi italiani subalpini, per le favorevoli condizioni geologiche, che vedono largamente presenti nei loro bacini terreni e rocce carbonate, non presenta fenomeni di acidificazione. Circa il 56% dei laghi alpini d'alta quota, invece, può essere considerato a rischio; molti di essi già presentano episodi acuti di acidificazione (con valori più elevati nelle Alpi nord-occidentali) durante le prime fasi del disgelo. Particolare accento viene attualmente posto sulle cause e sui metodi di valutazione degli effetti dell'acidificazione sulla qualità delle acque. Si è così evidenziata la grande importanza dei processi di nitrificazione nel determinare l'acidificazione delle acque interne.
Quest'ultimo fenomeno è risultato molto evidente nella particolare situazione del Lago d'Orta (Novara), uno dei più grandi laghi acidi del mondo. La storia dell'inquinamento di questo lago inizia nel 1926, quando un'industria produttrice di rayon cominciò a riversare nel lago ammoniaca, solfato ammonico e rame, così che nel 1930 R. Monti poteva pubblicare un lavoro dal titolo: La graduale estinzione della vita del Lago d'Orta. Successivamente vennero immessi altri carichi inquinanti (rame, zinco, cromo), provenienti da industrie per la produzione di rubinetterie. Le ricerche limnologiche finalizzate al risanamento del Lago d'Orta, condotte dal CNR-Istituto italiano di idrobiologia di Pallanza (1990), hanno documentato tutte le fasi dell'inquinamento di questo bacino lacustre. In particolare è stato dimostrato come il deterioramento qualitativo dell'ambiente fosse dovuto, oltre che agli effetti provocati direttamente dagli apporti inquinanti, anche alla trasformazione che subivano nel lago: attraverso una complessa serie di reazioni chimiche e biochimiche si determinava una persistente, forte acidificazione che ne aumentava la tossicità. Anche se l'entrata in funzione di alcuni depuratori aveva portato alla diminuzione delle concentrazioni di azoto ammoniacale, il pH del lago si manteneva sempre su valori estremamente bassi. Considerando il tempo di ricambio del lago (8÷9 anni) e il forte accumulo di nitrati, i tempi di recupero apparivano molto lunghi. Nonostante i segnali di ripresa, il lago non era in grado di mantenere una popolazione ittica stabile, data la scarsa disponibilità alimentare e la tossicità delle sue acque, dovuta all'acidità e alla presenza di metalli pesanti. Si rendeva perciò necessario un intervento di risanamento mediante liming, vale a dire di neutralizzazione delle sue acque mediante aggiunta di carbonati di calcio di opportuna granulometria. Questa tecnica, applicata per la prima volta in Italia (1989-90), è già stata sperimentata, sempre con successo, dai limnologi dei paesi nordici.
Da segnalare, infine, una delle branche relativamente recenti della l., che ha conosciuto negli ultimi anni un rapido sviluppo: la paleolimnologia, che studia l'evoluzione nel tempo dei bacini lacustri. Il lago come noi lo vediamo rappresenta infatti un momento transitorio nell'evoluzione del bacino idrografico di cui fa parte, ed è destinato in tempi geologici a estinguersi. La sua evoluzione è lenta ma continua. Alcuni laghi antichi sono scomparsi, altri sono in fase di trasformazione, destinati a diventare stagni, poi paludi e infine a prosciugarsi. Le diverse fasi succedutesi nel tempo possono venire ricostruite attraverso l'esame dei sedimenti, che si sono gradualmente depositati sui fondi e che contengono frazioni minerali e parti indistruttibili di vegetali e animali. Questi sedimenti formano strati sovrapposti, detti varve, diversi per spessore e colore, e che sono stati depositati a intervalli regolari: attraverso il loro conteggio si può infatti risalire all'età del lago. Le informazioni che i sedimenti possono fornire sono estremamente varie e a volte difficili da interpretare. Tutti gli aspetti strutturali, mineralogici e geologici, l'analisi chimica, sia organica che inorganica (nutrienti, pigmenti vegetali), la distribuzione dei microfossili (resti animali e vegetali), consentono dettagliate interpretazioni sul clima passato, sulle condizioni del bacino idrografico, sul bilancio idrico ed energetico, sulla produttività e sul livello di eutrofizzazione. I resti degli organismi costituiscono inoltre una risorsa per lo studio della distribuzione geografica e dell'evoluzione delle specie.
Lo sviluppo di questa disciplina (iniziata intorno agli anni Cinquanta) è dovuto in parte alla messa a punto di tecniche sempre più sofisticate. Dai primi prelievi mediante sonde a pistone (carote), di spessore limitato, si è arrivati all'uso di carotatori (tipo Aoki) che prelevano strati anche di 200 m di spessore, permettendo di ricostruire la storia di laghi antichissimi (lago Paleobiwa, pleistocenico, in Giappone). La datazione della parte organica dei sedimenti, che permette la ricostruzione delle successive condizioni del lago, è stata ottenuta impiegando isotopi radioattivi (carbonio 14 e piombo 210) e più recentemente metodi magnetici. Le determinazioni delle concentrazioni dei pigmenti vegetali, in particolare dei carotenoidi, effettuate con fini tecniche analitiche, permettono di ricostruire le modificazioni dei popolamenti fitoplanctonici e batterici e quindi di delineare l'evoluzione trofica dei bacini. Lo studio degli indicatori animali e vegetali (tra cui lo studio dei pollini) ha messo in evidenza come l'evoluzione dei laghi sia in stretto rapporto con l'intervento dell'uomo (taglio di foreste, pratiche agricole, costruzioni ai limiti dei laghi, ecc.: Lago di Monterosi, Lazio). Tutti i contributi hanno confermato che lo studio dei sedimenti può veramente rivelare non solo l'evoluzione di un bacino lacustre, ma anche le vicende del suo territorio. È indubbio, da quanto finora detto, che la paleolimnologia attrae sempre di più l'interesse dei limnologi, in senso lato, che vedono nell'approccio paleolimnologico la possibilità di risolvere problemi attuali, quali quelli dell'acidificazione e del recupero, che prevedono un monitoraggio ambientale a lungo termine.
Quelli trattati finora sono solo alcuni degli attuali problemi della limnologia. A questi andrebbero aggiunti i risultati relativi all'impatto sulla vita acquatica dei cicli biogeochimici degli elementi metallici i quali, da micronutrienti indispensabili per il funzionamento di uno o più enzimi, si possono trasformare in microinquinanti, esplicando azione tossica, se presenti in quantità eccessiva.
La l., un tempo scienza tipicamente analitica, è attualmente rivolta allo studio del funzionamento dei bacini d'acqua, in termini di dinamica produttiva naturale e patologica: in essa, prevale soprattutto la tendenza al confronto tra conoscenze di base in bacini a diversa tipologia, che permettano, oltre alle ricostruzioni nello spazio e nel tempo degli effetti dovuti a condizionamenti antropici, di ottenere pianificazioni negli interventi di recupero o di depurazione.
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