LIMOGES
(lat. Augustoritum; Lemovicum, Urbs Lemovicum, Urbs Lemovicina, Lemovica, Lemovicae, Lemovicas nei docc. medievali)
Città della Francia occidentale, capoluogo del dip. Haute-Vienne, il cui toponimo deriva da quello della popolazione gallica dei Lemovici. L. è la capitale storica e politica del Limosino, che a sua volta corrisponde in buona misura all'antica diocesi.Antica città della provincia romana dell'Aquitania Prima, in seguito integrata nel regno visigoto (472), L. come sede vescovile è attestata per la prima volta da Sidonio Apollinare nel 475 (Ep., VII, 6), ma la cristianizzazione fu sicuramente anteriore ed è tradizionalmente legata al primo vescovo, s. Marziale, menzionato da Gregorio di Tours (Hist. Fr., I, 28) e riferito generalmente agli inizi del 4° o forse anche alla metà del 3° secolo. Dopo una fase di contrasti in epoca merovingia, L. venne governata da un conte carolingio nei secc. 8°-9°, poi da un visconte alla fine del 10°; questo nuovo potere andò a sovrapporsi a quelli del vescovo e dell'abate di Saint-Martial, prima dell'affermarsi delle comunità urbane nel 12° secolo. Infine, furono i rappresentanti dei re di Francia e di Inghilterra a imporsi progressivamente, nel quadro delle lotte della fine del Medioevo.La città romana sembra essere una fondazione di epoca augustea, di cui sono state ritrovate importanti vestigia nel corso di recenti indagini archeologiche; essa venne costruita fiancheggiando un itinerario protostorico di lungo percorso che collegava il Mediterraneo all'Armorica (Augustoritum, 1990). Si stendeva sulla sponda destra del fiume Vienne, ai margini di un pianoro che si abbassa in dolce pendio verso S-E, fino al ponte Saint-Martial. Gli assi urbani rintracciati presentano una quadrettatura pressoché regolare; sono noti gli elementi essenziali (foro, teatro, terme, templi, anfiteatro), ma non è stata riportata alla luce alcuna struttura di epoca anteriore alla conquista romana. In realtà, la capitale della popolazione gallica dei Lemovici sembra doversi situare a una ventina di chilometri di distanza, nei pressi della città di Saint-Léonard, sul vasto sito fortificato dell'oppidum di Villejoubert (Augustoritum, 1990, p. 40).La documentazione scritta su L. medievale si basa essenzialmente su alcune cronache, in particolare sulle Chroniques de Saint-Martial, sugli annali manoscritti di L. (Annales manuscrites, 1872) e sui documenti municipali emanati dai consolati di L. (Guibert, 1897-1902). A questi occorre aggiungere i fondi archivistici del clero secolare e del clero regolare (Arch. dép. de la Haute-Vienne, serie G, 3G, H). Le rappresentazioni della città non fecero la loro comparsa prima dei secc. 16°-17° (Bibl. mun., pianta Fayen, pianta Jouven de Rochefort) e le piante più dettagliate, prima del catasto del 1812, sono dell'ultimo quarto del sec. 18° (Arch. dép. de la Haute-Vienne, serie C).Nel Medioevo L. era formata da due nuclei urbani indipendenti, tra i quali si costituirono progressivamente dei sobborghi (Lavedan, Hugueney, 1974). Durante l'epoca tardoantica due agglomerati distinti, all'origine dei due nuclei urbani medievali, la Cité (Civitas) e lo Château (Castrum), si svilupparono ai confini settentrionali della città antica: il primo sul Puy Saint-Etienne, dove si innalzava la cattedrale, certamente dotata di battistero (Prévôt, 1989, pp. 72-73), il secondo intorno alla tomba di s. Marziale, evangelizzatore e primo vescovo della città; questo sito, collocato in una necropoli al margine nordoccidentale della città antica, divenne assai rapidamente oggetto di un importante pellegrinaggio.La Cité era formata dalla città alta, situata nell'area occidentale, quella più elevata, e dalla città bassa, collocata sul pendio orientale che declina verso il fiume fino al ponte Saint-Etienne. Il nucleo centrale della città alta era costituito dalla cattedrale di Saint-Etienne, circondata dal quartiere dei canonici, dall'antica chiesa di Saint-Jean e dal palazzo episcopale, più volte riedificato fino al sec. 18° (Soulard, 1994). Molte chiese parrocchiali, oggi scomparse, testimoniavano l'importanza di questa parte della Cité. La ricostruzione della cattedrale a partire dal sec. 13° comportò alcune trasformazioni in quest'area, con l'apertura della Rue-Neuve-Saint-Etienne per accedere al cantiere. La città bassa era meno densamente popolata, soprattutto nella parte settentrionale; in quella meridionale - costituita dal quartiere popolare dell'Abbessaille, parrocchia di Saint-Domnolet - ricadeva sotto la giurisdizione della vicina abbazia di Notre-Dame de la Règle. Questo monastero femminile, attestato dall'epoca di Ludovico il Pio (814-840; Astronomo, Vita Ludovici imperatoris), era dotato di una propria cinta di mura, sul limite sudorientale dell'agglomerato urbano. Prima del sec. 14° la Cité era posta sotto l'autorità del vescovo, che svolgeva il ruolo di signore e amministratore di giustizia e che vigilava sulla sua manutenzione e sulla sua difesa: una cinta muraria, attestata nel sec. 10°, che nel Duecento contava cinque o sei porte, venne parzialmente distrutta nel 16° secolo. L'episcopato ricavava vantaggi economici dal proprio porto fluviale sul fiume Vienne, il Naveix, la cui principale risorsa era la fluitazione del legname. Nel 1307 venne raggiunto un accordo tra il re di Francia e il vescovo circa la divisione dei poteri; da allora in poi un siniscalco, che aveva la sua sede dietro la cattedrale, rappresentò il re. Per contro, un consolato costituito poco tempo prima ebbe solo semplici funzioni subalterne.Intorno alla fiorente basilica di Saint-Martial, servita da chierici che nell'848 adottarono la Regola benedettina, si era andato strutturando un altro nucleo urbano, lo Château, protetto dal sec. 10° da una cinta muraria. La dimora vicecomitale era posta nelle sue vicinanze, nel sito dell'od. Place de la Motte. Lo Château, che nel sec. 12° si dotò di un'organizzazione municipale, ovvero di un consolato, attrasse le attività economiche, come testimonia lo sviluppo dell'arte della smaltatura nei secc. 12° e 13°; l'espansione urbana venne allora segnata da una nuova cinta assai più vasta. Vi si svilupparono parrocchie importanti, in particolare Saint-Pierre-du-Queyroix e Saint-Michel-des-Lions nei pressi della motte.Al di fuori dei due agglomerati principali, un certo numero di sobborghi monastici si andò formando intorno alle abbazie, come nel caso di quelle di Saint-Augustin, attestata già in epoca tardoantica (Soulard, 1988a), e di Saint-Martin; vi si impiantarono anche diverse chiese parrocchiali. La chiesa di Saint-Cessateur, in una zona di necropoli, possedeva una cripta, ritrovata nel corso delle indagini archeologiche e databile nella sua ultima fase a epoca carolingia (Barrière, 1987). I nuovi Ordini dei Domenicani e dei Francescani si stabilirono nel sec. 13° nell'area compresa tra le due città, dove venne così a crearsi un terzo nucleo urbano, l'Entre-deux-villes, sviluppatosi integrando i sobborghi a minore densità insediativa che separavano i due agglomerati principali.Durante tutto il Medioevo si registrarono violenti scontri tra le popolazioni della Cité e dello Château: la Cité si risollevò abbastanza bene dalle devastazioni del 1103 a opera degli abitanti dello Château, ma altrettanto non poté fare dopo il sacco compiuto nel 1370 da Edoardo principe di Galles, detto il Principe Nero (1330-1376), nel corso dei conflitti franco-inglesi, durante i quali i due agglomerati si schierarono su posizioni opposte. La Cité rimase in seguito spopolata, conservando soprattutto funzioni ecclesiastiche, mentre lo Château continuò a espandersi. Cité, Château ed Entre-deux-villes furono riuniti amministrativamente solo nel 1792, dando così origine all'od. città.Degli edifici e delle costruzioni di epoca medievale rimangono oggi solo la cattedrale, alcuni resti dell'abbazia di Saint-Martial, le chiese parrocchiali di Saint-Michel-des-Lions e Saint-Pierre-du-Queyroix, i due ponti di Saint-Etienne e di Saint-Martial e alcune abitazioni.La cattedrale di Saint-Etienne non ha restituito molte testimonianze archeologiche di epoca paleocristiana. Per contro, rimangono alcuni elementi dell'edificio romanico che si estendeva sotto la chiesa gotica attuale. Verso O una torre di facciata porticata (tour-porche) conserva i tre livelli inferiori della metà del sec. 11°, a pianta quadrata, inglobati nella muratura del sec. 14° e sormontati dai quattro livelli del sec. 13° (il primo quadrato, gli altri tre ottagonali, con torrette angolari, secondo il tipo limosino). Il portico del livello inferiore, prima di essere inglobato, presentava tre archi su ogni lato, era coperto da volte a crociera e suddiviso da quattro colonne; il secondo livello si apriva sulla navata, costituendo una cappella alta. Sul lato orientale, una cripta, probabilmente contemporanea alla torre, costituisce una testimonianza della pianta dell'antico coro romanico con abside centrale e deambulatorio affiancato dalle due absidiole del transetto. La cripta si compone di una parte centrale, la confessione, con volte a crociera sorrette da colonne a rocchi con capitelli appena sgrossati (coperti di intonaco dipinto al pari dei muri e delle volte), e di un corridoio anulare, che si apriva sulla confessione attraverso un muro forato da tre archi e due finestre; sulla parete esterna di questo deambulatorio si possono riconoscere tracce nella muratura, forse corrispondenti a cappelle radiali (Soulard, 1993). Il corpo longitudinale di questa cattedrale romanica, scomparso, era coperto nella navata centrale da una volta a botte acuta, sostenuta dalle botti acute disposte in senso trasversale delle navatelle, come testimoniano alcune ammorsature osservate nel sec. 19°: questa copertura può essere datata agli inizi del sec. 12° (Soulard, 1988b, pp. 27-30). Nella seconda metà del sec. 13° venne avviata la ricostruzione del coro, determinata, tra l'altro, dall'aumento del numero dei canonici e del clero ausiliario. I lavori proseguirono lentamente e con interruzioni nel sec. 14° con la costruzione del transetto, la cui pianta riprende quella dello stretto transetto romanico precedente, e si arrestarono agli inizi del sec. 16°, dopo la realizzazione di due campate del corpo longitudinale. Il completamento delle tre ultime campate del corpo longitudinale e il collegamento con la torre centrale di facciata vennero realizzati in stile solo alla fine del sec. 19° (Soulard, 1988b, pp. 48-51). Il coro, la cui costruzione fu avviata in seguito al lascito del vescovo Aymeric de la Serre (m. nel 1272), venne eretto in uno stile assai prossimo a quello della cattedrale di Notre-Dame a Clermont-Ferrand, cominciata una trentina di anni prima; una parentela evidente lo avvicina alle cattedrali di Notre-Dame a Rodez (dip. Aveyron), di Saint-Just a Narbona e di Saint-Etienne a Tolosa, ovvero agli edifici dello stile detto Gotico meridionale cui legò il proprio nome la famiglia di architetti Deschamps (Davis, 1986; v. Jean Deschamps).La scultura gotica è presente in Saint-Etienne in due tombe di prelati della prima metà del sec. 14°: il cardinale avignonese Raynaud de La Porte e suo nipote, il vescovo di Auxerre, Bernard Brun. Posti negli intercolumni su entrambi i lati dell'altare maggiore, verso il quale si aprivano in origine (oggi rivolti verso il deambulatorio), i due monumenti funebri partecipavano all'ufficio divino in una sorta di scenografia: sono decorati da rilievi ispirati essenzialmente all'agiografia limosina e uno di essi, quello del cardinale, è presentato da due angeli turiferari che scostano le cortine dinanzi al giacente, inaugurando questa formula in Francia (Soulard, 1989).Dell'abbazia di Saint-Martial non restano che alcuni elementi visibili nella cripta archeologica: l'ipogeo di s. Marziale, punto focale della necropoli paleocristiana e poi dell'abbazia, più volte rimaneggiato (Gregorio di Tours, De gloria confessorum, 27-29); il 'santuario' vicino, con il c.d. sarcofago del duca di Aquitania Tève le Duc, citato nei Miracula sancti Martialis; le sostruzioni della chiesa di Saint-Pierre-du-Sépulcre, fondata nel sec. 6° e menzionata da Gregorio di Tours (De gloria confessorum, 27-29), rimaneggiata nel sec. 13° con la creazione di un nuovo accesso; la cappella dell'Angelo Guardiano; i resti della cappella monastica di Saint-Benoît, anch'essa rifatta nel sec. 13°, e il basamento di una galleria di uno dei due chiostri, il 'chiostro piccolo', della fine del Duecento (Desbordes, Perrier, 1990). Per contro, il resto degli edifici monastici è completamente scomparso ed essi possono essere ricostruiti solo in base alle piante e ai disegni del sec. 18°; l'abbaziale, in particolare, era una costruzione della seconda metà del sec. 11°, con torre di facciata porticata, coro a deambulatorio con cappelle radiali, navate laterali che si prolungavano nel transetto al pari delle tribune coperte a semibotte; questi ultimi sono caratteri comuni alle chiese di Sainte-Foy a Conques (dip. Aveyron), di Saint-Sernin a Tolosa, dell'antico Saint-Martin a Tours o di Santiago de Compostela, edifici che sono stati talvolta definiti chiese 'delle reliquie' o chiese 'di pellegrinaggio'.La chiesa di Saint-Michel-des-Lions sembrerebbe trarre origine da una cappella funeraria del sec. 6°; nel sec. 9° era una parrocchiale, vicina alla motte dei visconti, e dipendeva dall'abbazia di Saint-Martial, che ne rivendicava il possesso con la presunta donazione del vescovo s. Lupo (sec. 7°). La chiesa venne ricostruita su impulso del bibliotecario di Saint-Martial, Pierre de Verteuil, e consacrata il 2 giugno 1213, poi quasi totalmente rifatta nel sec. 14°: la posa della prima pietra della nuova costruzione avvenne il 25 maggio 1364. Il corpo longitudinale fu consacrato solo nel 1455 e completato nel sec. 16° con una campata supplementare e con la facciata; il portale settentrionale risale al 15° secolo. Questo edificio, di impianto decisamente trapezoidale, con transetto non sporgente, prevede sei campate per il corpo longitudinale e un coro rettilineo sorretto da solidi contrafforti. Il coro presenta tre navate di uguale altezza, secondo il tipo della chiesa 'a sala', dando vita a uno spazio unitario; le volte a ombrello ricadono su snelli pilastri. L'entrata meridionale, preceduta da leoni in pietra, è sormontata da un campanile di tipo limosino, con due livelli a impianto quadrato cui si sovrappongono tre piani a pianta ottagonale con torrette angolari rotonde e poi poligonali, culminanti in piccole guglie che circondano la guglia centrale.La chiesa di Saint-Pierre-du-Queyroix (de Quadrivio) venne fondata presso un quadrivio, forse a opera del vescovo Ruricio nel sec. 6° (Venanzio Fortunato, Carm., IV, 5); il suo orientamento corrisponde peraltro al reticolo viario antico. Riedificata dopo un incendio nel 1123, essa fu totalmente ricostruita nei secc. 14° e 15° e la consacrazione ebbe luogo nel 1454. La sommità della facciata e la navata centrale vennero profondamente rimaneggiate nel Cinquecento. La pianta si presenta come un ampio rettangolo irregolare, affiancato dal campanile che si innalza sul lato meridionale della facciata; supporti cilindrici scandiscono l'interno in cinque navate, fiancheggiate da cappelle laterali; la chiusura del coro è rettilinea. Il campanile, di tipo limosino, sembra risalire alla fine del sec. 13° o agli inizi del 14° e presenta anch'esso due livelli di pianta quadrata, sormontati da altri due livelli ottagonali con quattro torrette angolari.Dei due ponti medievali tuttora conservati a L., il ponte Saint-Martial, databile agli inizi del sec. 13°, sembra essere stato eretto sulla base di un ponte romano e il ponte Saint-Etienne, probabilmente contemporaneo, dava accesso alla Cité. In entrambi i casi la carreggiata, dal profilo bombato, è sorretta da archi acuti. Alcune case di epoca medievale rimangono nei quartieri della Boucherie nello Château e dell'Abbessaille nella città bassa: si tratta di edifici a vocazione commerciale ampiamente aperti sulla strada mediante arcature; anche intorno alla cattedrale restano antiche case canoniche, più ricche e spaziose. Queste costruzioni, alcune delle quali databili al più presto al sec. 14°, presentano in linea generale un livello inferiore in pietra, sormontato da diversi piani a traliccio; tutte prevedono la presenza di cantine, che costituiscono in qualche caso un vero reticolo sotterraneo.Il Mus. Mun. de l'Evêché custodisce, oltre alle collezioni di smalti limosini, un importante deposito lapidario proveniente dalla cattedrale, dal Saint-Martial (anche il materiale trovato nel corso degli scavi archeologici) e da altre abbazie e chiese limosine (Musée municipal, 1980).
Bibl.:
Fonti. - Sidonio Apollinare, Epistolae, a cura di C. Luetjohann, in MGH. Auct. ant., VIII, 1887, pp. 108-110; Venanzio Fortunato, Carmina, a cura di F. Leo, ivi, IV, 1, 1881, pp. 82-83; Gregorio di Tours, Historia Francorum, a cura di W. Arndt, in MGH. SS rer. Mer., I, 1, 1884, pp. 1-450: 47-48; id., De gloria confessorum, a cura di B. Krusch, ivi, 2, 1885, pp. 744-820: 764-766; id., Miracula sancti Martialis, in BHL, II, 1901, pp. 816-818; Astronomo, Vita Ludovici imperatoris, a cura di G. Pertz, in MGH. SS, II, 1829, pp. 616-617; Chroniques de Saint-Martial de Limoges, a cura di H. Duplès-Agier (Collection de la Société de l'histoire de France), Paris 1874; L. Guibert, Documents, analyses de pièces, extraits et notes relatifs à l'histoire municipale des deux villes de Limoges (Archives historiques du Limousin, 7-8), 2 voll., Limoges 1897-1902; Annales manuscrites de Limoges, a cura di E. Ruben, F. Achard, P. Ducourtieux, Limoges 1872; Bonaventura di Saint-Amable, Histoire de Saint-Martial, 3 voll., Clermont-Limoges 1676-1685.
Letteratura critica. - J. Arbellot, La cathédrale de Limoges, histoire et description, Paris 1883; P. Ducourtieux, Limoges d'après ses anciens plans, Bulletin de la Société archéologique et historique du Limousin 31, 1883; L. Guibert, Tableau historique et topographique de Limoges, ivi, 59, 1911, pp. 205-336; Limoges, CAF 84, 1921; P. Ducourtieux, Histoire de Limoges, Limoges 1927 (rist. Marseille 1975); Dictionnaire des églises de France, II B, Auvergne-Limousin-Bourbonnais, Paris 1966; P. Lavedan, J. Hugueney, L'urbanisme au Moyen Age (Bibliothèque de la Société française d'archéologie, 5), Paris-Genève 1974; Musée municipal de Limoges. Collection archéologique, Limoges 1980; M. Aubrun, L'ancien diocèse de Limoges des origines au milieu du XIe siècle, Clermont-Ferrand 1981; B. Barrière, Limoges. Haute-Vienne (Atlas historique des villes de France), Paris 1984; M.T. Davis, Le choeur de la cathédrale de Limoges: tradition rayonnante et innovation dans la carrière de Jean Des Champs, Bulletin archéologique du Comité des travaux historiques et scientifiques, n.s., 22, 1986, pp. 51-114; B. Barrière, Limousin, in Le paysage monumental de la France autour de l'an Mil, a cura di X. Barral i Altet, Paris 1987, pp. 493-502; J.P. Loustand, T. Soulard, Limoges. La ville antique et médiévale, in Limousin, Les monuments historiques de la France, n.s., 33, 1987, 152, pp. 49-56; T. Soulard, Une abbaye suburbaine aujourd'hui disparue. Saint-Augustin-lès-Limoges: l'utilisation des données archéologiques, Histoire médiévale et archéologie 1, 1988a, pp. 107-119; id., Histoire de la cathédrale, in L'achèvement de la cathédrale de Limoges au XIXe siècle, cat., Limoges 1988b, pp. 27-62; id., Les gisants des prélats limousins au XIVsiècle, in La figuration des morts dans la Chrétienté médiévale, "Colloque international, Fontevraud 1988", Fontevraud 1989, I, pp. 163-182; Histoire de Limoges, a cura di L. Pérouas, Toulouse 1989; F. Prévôt, Limoges, in Province ecclésiastique de Bourges (Topographie chrétienne des cités de la Gaule, 6), Paris 1989, pp. 67-77; Augustoritum. Aux origines de Limoges, cat., Limoges 1990; J.M. Desbordes, J. Perrier, Limoges, crypte Saint-Martial, Paris 1990; C. Andrault-Schmitt, Les premiers clochers-porches limousins (Evaux, Lesterps, Limoges) et leur filiation au XIIsiècle, in La façade romane, "Actes du Colloque international organisé par le Centre d'études supérieures de civilisation médiévale, Poitiers 1990", CahCM 34, 1991, pp. 199-223; T. Soulard, La Cité épiscopale de Limoges au Moyen Age, enquête autour d'une cathédrale (tesi), Paris 1993; id., Limoges, in De l'archéologie à l'histoire. Les chanoines dans la ville. Recherche sur la topographie des quartiers canoniaux en France, a cura di J.C. Picard, Paris 1994, pp. 255-263.T. Soulard
Nota agli studi soprattutto per la ricchissima produzione di manufatti in smalto, la regione limosina ha prodotto anche una discreta quantità di libri miniati, in massima parte concentrata tra il 10° e il 12° secolo.L'insieme dei codici di L., attualmente raccolto nei fondi della Bibliothèque Nationale di Parigi, forma un corpus tra i più vasti e omogenei del Medioevo transalpino. Nelle forme decorative di questi manoscritti si riflettono i principali caratteri del libro francese di età romanica: il costante richiamo a fonti carolinge, l'influsso orientaleggiante di ispirazione mozarabica, il segno della grande irradiazione di Cluny, la crescente influenza espressiva di tecniche pittoriche parallele, come la coeva pittura su smalto.La porzione più significativa e consistente di queste testimonianze manoscritte è riferibile all'officina grafica dell'abbazia benedettina di Saint-Martial a Limoges. La biblioteca del monastero, sorto intorno a uno dei più prestigiosi santuari del Sud-Ovest e sede di una celebre scuola musicale, fu acquistata quasi integralmente alla collezione libraria della Corona di Francia nel 1730.La vicenda storica dell'abbazia ha origini remote. Area di precoci e radicate tradizioni cristiane, la città galloromana alimentò sin dall'Alto Medioevo una folta messe di culti locali. Tra questi assunse presto particolare richiamo la memoria del vescovo Marziale, del quale Gregorio di Tours menziona il sepolcro, precoce meta di pellegrinaggi (Hist. Fr., I, 28; De gloria confessorum, 27-29). L'impianto di una comunità monastica vera e propria in prossimità della cripta che ospitava le spoglie del martire avvenne tuttavia solo in epoca carolingia (848). Sede di una reliquia assai venerata, a partire dalla fondazione il monastero ricevette dai sovrani numerosi benefici territoriali e cospicui donativi di libri e oggetti suntuari. Tra questi si segnalano i volumi che Carlo III, re di Francia, detto il Semplice (879-929), avrebbe offerto all'abbazia dopo la vittoria di Soissons (923): l'Evangeliario di re Roberto, un trattato di computo e due libri di storia ecclesiastica (Ademaro di Chabannes, Historia, I; PL, CXLI, coll. 39-40).È possibile che il più prezioso di questi manoscritti - l'evangeliario ex auro et argento - sia da identificare con un piccolo codice dei vangeli (Parigi, BN, lat. 260). Il manoscritto, che presenta un antico ex libris con il nome dell'abbazia, non è illustrato ma conserva un interessante corpus di iniziali dipinte. Lo stile degli ornati rivela la caratteristica intonazione classicista - con tralci e palmette d'acanto - che distingue i codici dello scriptorium di Saint-Martin a Tours, dove il volumetto potrebbe essere stato confezionato verso la fine dell'8° secolo. La presenza di un simile modello nella biblioteca di L. spiega bene l'origine dell'influenza tourangelle che impronta l'ornamentazione dei più antichi manoscritti realizzati nello scriptorium dell'abbazia. La verosimile disponibilità di codici illustrati di età carolingia sembra del resto comprovata da un tardo ritratto di Ludovico il Pio, risalente all'inizio del sec. 12°, recentemente identificato in una copia del Chronicon di Ademaro di Chabannes (Parigi, BN, lat. 5927, c. 157r; Mütherich, 1994).Nel periodo immediatamente successivo alla fondazione - tra la seconda metà del sec. 9° e l'inizio del 10° - il monastero visse una stagione di grande prosperità economica; al culmine di questa fase, conclusa dall'abbaziato di Stefano (920-937), si colloca una vasta campagna edilizia, finalizzata alla costruzione di una vera e propria cittadella monastica (Stephanopolis), esterna all'antico centro abitato. Rimonta con buona probabilità allo stesso momento anche l'avvio di un'attività di copia.Alla seconda metà del sec. 9° o ai primissimi anni del secolo successivo è in effetti attribuita (Bischoff, in Gaborit-Chopin, 1969a) l'esecuzione della prima testimonianza decorativa di un certo impegno realizzata nel monastero: la grande Bibbia in due volumi meglio nota come Prima Bibbia di Saint-Martial di L. (Parigi, BN, lat. 5). L'opera conserva un imponente complesso di lettere decorate, riferibile - sembra - a una sola personalità, forse identificabile nel copista Bonebertus che trascrisse entrambi i volumi, apponendovi una curiosa firma in note tironiane. La data d'esecuzione del codice è tuttora oggetto di discussione. La struttura testuale, l'aspetto grafico e le forme classicheggianti dell'ornato lo accomunano alla grande edizione carolingia della Bibbia legata al nome di Alcuino di York (post 730-804). La veste decorativa relativamente sobria e l'assenza dell'oro, propri dell'esemplare limosino, si inquadrano abbastanza agevolmente nell'ambito della produzione 'non ufficiale', che si sviluppò accanto ai grandi manufatti di lusso realizzati intorno alla metà del sec. 9° a Tours (L'art roman, 1950). La presenza di altri caratteri - in special modo le inconsuete iniziali zoomorfe - ne hanno tuttavia suggerito anche una datazione più avanzata (Cahn, 1982), da collocarsi entro i primi decenni dell'11° secolo. A questa stessa data riportano i referenti monumentali romanici spesso chiamati in causa per l'impianto architettonico e le forme animali che movimentano le tavole dei canoni della Bibbia limosina (Mâle, 1922).Alla controversa valutazione stilistica del manoscritto contribuisce senz'altro in modo determinante la totale assenza di illustrazioni, forse contenute nei primi fascicoli del codice, attualmente dispersi. L'ipotesi cronologica più alta - insieme al conforto di un autorevole giudizio paleografico - ha l'indubbio merito di giustificare anche il relativo isolamento stilistico del codice parigino nell'arte libraria limosina del primo sec. 11°: un isolamento tanto più sorprendente quando si consideri che, sotto il profilo tipologico, la decorazione della Prima Bibbia di Saint-Martial sembra al contrario avere profondamente influenzato la successiva produzione dello scriptorium.Tra la fine del sec. 10° e il primo trentennio dell'11° il monastero attraversò un periodo di rinnovata prosperità economica. La crescente fortuna devozionale del santuario, propiziata nel 994 dalla conclusione di una pestilenza e sancita nel 1031 dal titolo apostolico conferito al santo patrono, trovò puntuali riflessi nella produzione libraria. Il corredo liturgico dell'abbazia, forse gravemente danneggiato dall'incendio che aveva distrutto la cripta nel 991, fu in buona parte rinnovato. In questa fase, testimoniata da un numero relativamente alto di manufatti librari, nei manoscritti di Saint-Martial si precisano i canoni dello stile aquitano: i morbidi tralci vegetali della Bibbia parigina si cristallizzano nel caratteristico acanto spinoso che distingue le iniziali limosine. Le tappe evolutive di questo stile possono riconoscersi nel lezionario con la Vita sancti Martialis (Parigi, BN, lat. 5301), databile intorno al Mille, e in due tropari (Parigi, BN, lat. 1121, lat. 1119), entrambi riferibili all'abbaziato di Odolrico (1025-1040). I radi inserti figurativi presenti nei manoscritti di questo periodo tradiscono un'evidente influenza dell'arte mozarabica, alla quale si ispirano le due figure di musici e la danzatrice di un tropario-prosario (Parigi, BN, lat. 1118).La genesi di questo repertorio ornamentale rimane per molti aspetti oscura. Forme assai prossime a quelle adottate dai manoscritti di L. risultano precocemente diffuse anche in altre officine librarie della Francia meridionale. Iniziali di tipo aquitano caratterizzano, per es., verso la metà del secolo un sacramentario prodotto a Figeac (Parigi, BN, lat. 2293), un graduale proveniente dalla cattedrale di Albi (Parigi, BN, lat. 776) e un volume di Vitae sanctorum copiato a Moissac (Parigi, BN, lat. 17062). Tuttavia è assai probabile che il polo d'irradiazione di questo stile debba identificarsi nello scriptorium di Saint-Martial. In effetti, il periodo di formazione dell'ornato aquitano corrisponde, nella vita del monastero, a un momento di particolare vivacità culturale; appartiene tra l'altro a questa fase l'affermarsi della scuola musicale che ebbe come centro di nascita il foyer dell'abbazia.Il primo trentennio del sec. 11° a Saint-Martial è inoltre dominato dalla presenza di Ademaro di Chabannes (988-1034). A questo personaggio, autore di alcune cronache preziose per la conoscenza delle vicende storiche di L., sono collegate l'esecuzione di un certo numero di codici decorati e quella di uno dei rarissimi libri di modelli riferibili all'Occidente altomedievale (Leida, Bibl. der Rijksuniv., Voss.lat. 8°,15). Il movimentato profilo biografico di Ademaro consente di illuminare la trama di relazioni, contatti e scambi che animò la vita del monastero nella prima parte dell'11° secolo. Lemovicense per origini familiari e formazione, Ademaro divise i suoi studi di archivista, letterato e musico tra il monastero di Saint-Cybard presso Angoulême e l'abbazia limosina, cui avrebbe legato i suoi libri partendo per la Terra Santa nel 1034.Alla fioritura libraria del tempo di Odolrico subentra un vuoto di testimonianze, forse collegabile all'incendio che investì nuovamente la cripta dell'abbazia nel 1053; in quest'occasione finirono probabilmente distrutti molti dei manoscritti che i più antichi cataloghi della biblioteca ricordano conservati in sepulchro. Una nuova fase d'espansione, tanto culturale quanto grafica, accompagnò l'ascesa all'abbaziato di Ademaro (1063-1114); questa figura, che segnò l'apice della parabola storica di Saint-Martial, vide entrare l'abbazia nell'orbita di influenza di Cluny. Abate per un certo periodo di entrambe le comunità, Ademaro fu all'origine dell'importazione di artisti e moduli formali d'ispirazione borgognona che trovò un nitido riverbero nella cultura figurativa dell'atelier limosino. Anche in questo caso, all'arricchimento della biblioteca corrispose una fase di riassestate fortune economiche, testimoniata dalla ricostruzione della chiesa e degli edifici abbaziali, messa in opera negli ultimi decenni del secolo. Uno stesso rilievo sembra occupare, tra gli interessi dell'abate, l'arricchimento della collezione libraria.Riflessi abbastanza puntuali della penetrazione cluniacense possono riconoscersi in diversi manoscritti decorati riferibili all'abbaziato di Ademaro. Nel ritratto che orna il frontespizio della Vita sancti Martialis (Parigi, BN, lat. 5296A) traspirano evidenti richiami alla maniera bizantineggiante che accomunò, intorno alla fine del sec. 11°, codici e opere monumentali legate all'arte di Cluny (Schapiro, 1964). La presenza di artisti borgognoni all'interno dell'atelier è del resto testimoniata dagli ornati di un altro codice parigino (Parigi, BN, lat. 5351) e dei Moralia in Iob (Parigi, BN, lat. 2208), dotati di un colofone nel quale è esplicitamente ricordato l'abate. Nelle iniziali di entrambi i volumi tornano i grandi racemi vegetali e la tavolozza brillante, a colore saturo, dei manoscritti prodotti intorno alla fine del secolo nell'officina grafica di Cluny.Risonanze meno spiccate degli stilemi di importazione borgognona sembrano invece avvertirsi nel documento più alto prodotto nello scriptorium limosino intorno alla fine del sec. 11°: la Seconda Bibbia di Saint-Martial (Parigi, BN, lat. 8). Suddivisa come l'altra in due volumi, diversamente dall'esemplare più antico la Seconda Bibbia di L. conserva un discreto numero di iniziali figurate. Opera di più artisti, il manoscritto associa ai moduli decorativi tradizionali della scuola - le iniziali franco-sassoni arricchite dai caratteristici ornati aquitani - una lingua figurativa di chiaro accento monumentale. Alle sciolte cadenze pittoriche di questo stile è stata a ragione accostata la maniera dei frescanti attivi, intorno al 1100, nella volta di Saint-Savin sur Gartempe (Gaborit-Chopin, 1969a). In assenza di riferimenti cronologici precisi, il rapporto che lega gli artisti della Seconda Bibbia al cantiere pittorico di Saint-Savin resta tuttavia indefinito. Il precoce riverbero che la decorazione della Bibbia sembra conoscere, non solo in manoscritti prodotti nell'atelier dell'abbazia ma in un insieme di codici di più generica origine francomeridionale - tra gli altri una Bibbia (Parigi, BN, lat. 7; Cahn, 1982) -, conforta una collocazione relativamente precoce dell'opera, compiuta forse entro l'ultimo decennio del sec. 11° (Gaborit-Chopin, 1970a).Meno convincente risulta il recente tentativo di spostare l'esecuzione della Seconda Bibbia di Saint-Martial intorno al 1120-1130 (Cochetti Pratesi, 1987; 1992), che attribuisce al primo maestro della Seconda Bibbia una possibile conoscenza della maniera bizantina che toccò, tra il secondo e il terzo decennio del secolo, lo scriptorium di Cîteaux (v.).Meglio leggibili, spesso quasi stupefacenti, appaiono i molti nessi che collegano il repertorio figurativo del codice a quello della nascente industria di opere in smalto. Un registro stilistico e tipologico comune avvicina, per es., l'immagine che orna il frontespizio del Libro dei Giudici (Parigi, BN, lat. 8, I, c. 91r) alla grande placca funeraria realizzata poco dopo il 1150 da una bottega limosina per il sepolcro di Goffredo il Bello, detto il Plantageneto, conte d'Angiò e duca di Normandia (Le Mans, Mus. de Tassé; Lauer, 1927; Gauthier, 1987).Ai colori e alle forme dell'opus Lemovicenum sembra anche più decisamente ispirarsi l'ornamentazione di un altro importante manoscritto copiato a L. intorno allo scadere del sec. 11°: un piccolo sacramentario composto per l'uso della cattedrale (Parigi, BN, lat. 9438). Il volume è provvisto di un sontuoso corredo di illustrazioni a piena pagina, con un interessante ciclo di storie dell'Infanzia e della Passione di Cristo; a questo si accompagna una rappresentazione del Martirio di s. Stefano, dedicatario della cattedrale di Limoges. Il ritmo concitato e il violento cromatismo di queste immagini individuano una temperie espressiva molto lontana da quella testimoniata, negli stessi anni, dai manoscritti di Saint-Martial. Tra le fonti di questo stile deve forse riconoscersi l'influsso dei modelli ottoniani che suggerirono alcune soluzioni iconografiche per le scene della Vita di Cristo (L'art roman, 1950). La raffinata sapienza compositiva di queste miniature rivela tuttavia l'esperienza di un artista monumentale, presumibilmente lo stesso al quale fu affidata l'esecuzione di un ciclo di pitture nella cripta della nuova cattedrale della città (Gaborit-Chopin, 1969a; 1970b). Il complesso decorativo, del quale si conserva appena qualche brandello, è databile con assoluta sicurezza tra il 1095 e il 1105 (Gauthier, 1969). La commissione delle pitture fu infatti affidata e conclusa nell'intervallo di tempo che intercorse tra la consacrazione dell'edificio ricostruito e l'incendio che lo investì qualche anno più tardi. Ciò fornisce un terminus ad quem anche per l'esecuzione del sacramentario.Una questione a parte concerne la possibile ricostruzione dell'attività di questo pittore, alla cui maniera possono essere accostati diversi altri manoscritti limosini. Si tratta di due codici della Bibbia - l'uno proveniente dal priorato di Saint-Yrieix (Saint-Yrieix-la-Perche, Mairie) e l'altro, di origine sconosciuta, in due volumi a Parigi (Maz., 1, 2) - e di una copia delle Homiliae in Ezechielem di Gregorio Magno (Londra, Abbey Coll., già Dublino, Chester Beatty Lib., 18). Nel colofone di quest'ultimo manoscritto il copista Petrus de Casta, canonico del priorato di Saint-Jean-de-Cole, dichiara di impegnarsi a copiare ogni anno cinque fascicoli di un codice purché gli sia consentito di risiedere a Limoges. In questo personaggio potrebbe identificarsi, se non l'artista, almeno il possibile committente delle iniziali del volume, che verosimilmente vennero eseguite a L. dallo stesso Petrus de Casta o da un pittore attivo nella città (Gaborit-Chopin, 1969a; 1970a).Nell'arco del sec. 12° la parabola vitale della miniatura limosina sembra rapidamente esaurirsi. Nei codici, ancora relativamente numerosi, prodotti nello scriptorium di Saint-Martial le cifre caratteristiche della scuola si affievolirono sino a perdere ogni connotazione peculiare. Alla fine di questo processo, intorno alla fine del secolo, le iniziali di un graduale (Parigi, BN, lat. 910) mostrano una stanca replica di formule decorative elaborate molto tempo prima e ormai isterilite.
Bibl.:
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L. può vantare di aver dato il proprio nome a un tipo di produzione artistica particolare. Con la definizione di òpera di L.' (labor de Limogia, opus Limogiae, opus Lemovicense, opus Lemovicenum) si designa l'applicazione di smalti champlevés su oggetti di oreficeria in rame, a sottolineare come tale genere di lavorazione fosse specifico di questa città.La ricca produzione delle manifatture limosine interessò cronologicamente un arco di tempo compreso tra la metà del sec. 12° e la fine del 14°, e sino al Quattrocento con gli smalti dipinti. Assai vasta è la bibliografia relativa a tale produzione, dal momento che i numerosi oggetti conservati sono presenti nei tesori delle chiese, nei musei e nelle collezioni private del mondo intero. La classificazione di decine di migliaia di dati, in funzione dell'elaborazione di un corpus esaustivo curato dal Centre National de la Recherche Scientifique (C.N.R.S.), creerà le condizioni per una valutazione generale e qualitativa dell'arte degli smalti medievali. Già nel sec. 12° la reputazione - prima europea (in particolare in Spagna, in Italia, in Inghilterra e in Svezia) e poi mondiale (fino in Cina) - di questi smalti non si può spiegare che con esportazioni successive e progressivamente sempre più abbondanti: una produzione quasi seriale, che ne comportò peraltro una svalutazione, benché l'arte delle manifatture di L. abbia in ogni caso saputo dar prova di una stupefacente ricchezza inventiva.I pezzi usciti dalle botteghe, in una prima fase monastiche e successivamente anche laiche, si suddividono in tre gruppi distinti: gli oggetti con funzione liturgica, i reliquiari e i manufatti a destinazione funeraria o profana. La prima categoria è la più varia, comprendendo pissidi, colombe eucaristiche, cibori, croci (millecento esemplari conservati, pari a un decimo della produzione stimata), ostensori, reliquiari portatili, pastorali, candelabri, ampolle, navicelle per l'incenso, bacili gemelli, acquamanili, piatti di legatura per evangeliari, tabernacoli, trittici e antependia. Le diverse forme che gli smaltisti limosini seppero dare al ricettacolo eucaristico hanno lasciato un'eco testuale in un sinodo svoltosi a Winchester nel 1229. Su indicazione del papa Innocenzo III (1198-1216), vi si raccomandava l'opus Lemovicense come adeguato alla conservazione dell'ostia consacrata (la produzione delle colombe eucaristiche, per es., fiorì tra il 1210 e il 1270). Gli scrigni preziosi venivano realizzati anch'essi in forme svariate: casse e cofanetti, statuette-reliquiario, braccia e busti. Le casse, prodotte in grandissimo numero, raggiungevano in qualche caso dimensioni ragguardevoli, come nella parrocchiale di Saint-Viance (dip. Corrèze) la cassa di s. Vincenziano, prodotta intorno al 1250 (altezza mm. 660, lunghezza mm. 820, profondità mm. 245). Gli scrigni per la maggior parte erano composti di placche smaltate assemblate su di un'anima lignea, ma altri, più rari, venivano realizzati interamente in rame dorato; le casse poggiavano normalmente su piedi, mentre motivi floreali a smalto e cristalli tagliati a cabochon completavano l'ornato delle sommità.Un altro tipo di classificazione delle opere di L., funzionale alla determinazione di una cronologia relativa, si basa sul tipo dei fondi e sulla tecnica esecutiva: fondi risparmiati (dorati, lisci, rabescati o con girali incisi, detti 'vermicolati') oppure smaltati, con o senza elementi aggiunti a tutto tondo, anch'essi talvolta smaltati, anche in relazione alle loro dimensioni. Questo tipo di catalogazione pone qualche problema, giacché in molte opere si trovano associate tecniche diverse. Una linea evolutiva di tale produzione può comunque essere tracciata: nel primo tipo di tecnica champlevée le figure a smalto si stagliano su un fondo risparmiato e dorato; nel secondo è il fondo a essere smaltato, mentre le figure sono risparmiate, incise e dorate, o applicate a medio rilievo su di una sagoma risparmiata. Nel primo gruppo, diffuso tra il 1180 e il 1225, i fondi risparmiati apparvero ben presto incisi a bulino con motivi 'vermicolati' (frontale della Vergine, del 1175-1180, nel santuario di San Miguel Excelsis in Navarra; placchetta della Risurrezione di Adamo, degli inizi del sec. 13°, Roma, BAV, Mus. Sacro) - quindi decorati con piccole stelle (lastra d'altare con l'Annunciazione del secondo quarto del sec. 13°, Parigi, Mus. Nat. du Moyen Age, Thermes de Cluny) e, infine, con semplici motivi ad arabesco (croce di Bonneval del 1220, Parigi, Mus. Nat. du Moyen Age, Thermes de Cluny).Nel secondo tipo il fondo a smalto presenta in linea generale tre aspetti differenti: nel corso di una prima fase, e parallelamente all'altra categoria, lo sfondo unitario a smalto è disseminato di rosoni policromi e decorato da bande, come nella cassa di s. Calminio, del 1181-1197, nel tesoro dell'abbaziale di Saint-Pierre a Mozac in Alvernia (dip. Puy-de-Dôme). Poi, a partire dal 1200, lo sfondo a smalto è segnato da girali risparmiati che terminano in fioroni in smalto policromo, come in un frontone del 1200-1210 ca. (Londra, British Mus., Keir Coll.). Poco dopo la metà del sec. 13° l'importanza del colore si affermò nella misura in cui assunsero un ruolo centrale gli elementi a tutto tondo; infine, le figure apparvero niellate in blu e rosso su uno sfondo unitario di smalto, come in un cofanetto profano degli inizi del sec. 14° (Parigi, Louvre).I soggetti presenti sulle opere destinate al servizio liturgico sono vari e legati al culto di Cristo, degli apostoli, della Vergine e dei santi. Appaiono frequentemente rappresentati i santi patroni del Limosino: s. Marziale, fondatore della più antica sede episcopale dell'Aquitania, e s. Valeria, convertita appunto da Marziale e poi martire; anche s. Stefano era incluso nel repertorio agiografico limosino. Soggetto iconografico assai diffuso era anche s. Tommaso Becket, assassinato nel 1170 durante la celebrazione della messa: si contano cinquantadue casse di produzione limosina, tutte databili tra il 1185-1195 e il 1215, su cui sono raffigurate la Morte dell'arcivescovo di Canterbury e la sua Sepoltura. Soggetti specifici, come quello che decora il cofanetto della Vera Croce, della fine del sec. 12° (Tolosa, Saint-Sernin, tesoro), furono eseguiti su commissione, mentre alcune casse mostrano un gusto specifico per narrazioni articolate, come per es. la cassa di s. Fausta, del 1230 ca. (Parigi, Mus. Nat. du Moyen Age, Thermes de Cluny).La tecnica della decorazione a smalto consiste nell'arricchire il metallo con ornamentazioni policrome attraverso un processo fisico-chimico che, a caldo, fissa quelle gemme artificiali che sono gli smalti, prodotti cristallini, miscela di ossido di piombo e di sabbia quarzosa, che si combinano in silicati con una base, soda o potassa, con l'aiuto di leganti. Ad alta temperatura (700-800°C) questa sostanza vetrosa, utilizzata sotto forma di polvere, entra in fusione per fare in seguito corpo con il suo eccipiente. La massa trasparente che fonde viene colorata per mezzo di ossidi metallici (cobalto, argento, antimonio, ferro, stagno, manganese, oro). Prodotto dall'arte del fuoco, lo smalto è un tipo particolare di vetro colorato. Il blu fu il colore prediletto dagli smaltisti limosini, che lo utilizzarono in quattro toni: nero, lapislazzuli, chiaro e turchese. Gli altri colori furono il rosso vivo opaco, il rosso porpora semitraslucido, il verde scuro e il verde chiaro, così come anche il giallo e il bianco. Il supporto impiegato era un rame rosso estremamente malleabile, che fonde intorno ai 1080°, fattore che permette di lavorare ugualmente bene sia le lamine sia i rilievi. Per accogliere lo smalto la superficie metallica doveva essere dotata di alveoli: una delle tecniche, quella cloisonnée, consisteva nel saldare sottili nastri metallici sul fondo e perpendicolarmente a questo; si parla invece di champlevage allorché lo smaltista ricava i singoli alveoli scavando nello spessore di una lamina metallica.Gli storici delle arti suntuarie usano sottolineare che s. Eligio, vescovo di Noyon e patrono degli orafi, nacque a Chaptelat, a due leghe di distanza da L., e che nel 631 creò una scuola di oreficeria presso l'abbazia di Saint-Pierre a Solignac (dip. Haute-Vienne). La vera storia dell'arte dello smalto su rame nelle regioni della Francia meridionale, tuttavia, non ha nulla a che vedere con s. Eligio e con le paste vitree trattate a cloisonné. Si può invece dire che essa cominci agli inizi del sec. 12° con l'altare portatile di s. Fede, del 1087-1106 (Conques, Trésor de l'Abbaye), e il cofano della stessa santa, datato a prima del 1119, entrambi decorati con smalti cloisonnés, fabbricati con un procedimento che rivela l'intenzione dell'orafo di semplificare la tecnica bizantina su oro, al fine di rendere la produzione meno costosa. La distribuzione geografica dei più antichi smalti champlevés, tra il versante nordoccidentale del Massiccio Centrale e la Castiglia, invita alla prudenza nel definire 'limosina' l'origine di quest'arte. Gli artigiani innovatori, che misero a punto questo procedimento prima della metà del sec. 12°, ebbero abbastanza successo da essere chiamati a lavorare in diversi centri, dove reclutarono e formarono collaboratori. A Silos, in Castiglia, si lavorò prevalentemente nell'ambito del gusto del cloisonné, in collaborazione con gli smaltisti dell'Aquitania, come nell'urna di Santo Domingo, del 1160 (Burgos, Mus. Arqueológico Prov.). I primi esempi dell'arte romanica dello smalto furono medaglioni bombati, fissati sulle pareti lignee dei cofani, come quello di s. Fede o la cassa nel tesoro della parrocchiale di Notre-Dame a Bellac (dip. Haute-Vienne), realizzata intorno al 1130 da una bottega ispano-limosina.Alla metà del sec. 12° si diffuse la moda degli smalti e, intorno al 1150, la regione renano-mosana vide il moltiplicarsi delle scuole di smaltatura. A partire dalla metà del sec. 12° le botteghe dell'Aquitania produssero smalti di grandi dimensioni, come la lastra commemorativa (mm. 630330), eseguita tra il 1151 e il 1160, di Goffredo il Bello, detto il Plantageneto, conte d'Angiò e duca di Normandia (m. nel 1151; Le Mans, Mus. de Tessé). Benché l'arte dello smalto nel Limosino si sia diffusa contemporaneamente allo sviluppo dello stile gotico a N della Loira, gli orafi restarono comunque a lungo fedeli ai canoni stilistici dell'arte romanica, senza tener troppo conto, in un primo tempo, delle nuove formule stilistiche francesi.Per quel che concerne le fonti storiche, il più antico documento conosciuto che citi L. in relazione alla produzione di smalti è l'inventario della cattedrale inglese di Rochester, databile al 1167-1169. In quest'epoca gli smaltisti beneficiarono del patrocinio della famiglia dei Plantageneti. Enrico II, re d'Inghilterra (1154-1189), scelse come sede del pantheon dinastico il complesso religioso dell'abbazia di Grandmont, dipendente da Saint-Martial a Limoges. Egli commissionò un grande altare, che venne a poco a poco corredato di sette reliquiari (ca. 1190, 1220, 1250, 1269). Provengono da questo insieme, smembrato dopo il 1792, il reliquiario di s. Stefano di Muret (1182 ca.), conservato nella parrocchiale di Saint-Antoine ad Ambazac (dip. Haute-Vienne), e due lamine, datate ante 1190, raffiguranti i Ss. Nicola e Stefano di Muret e l'Adorazione dei Magi (Parigi, Mus. Nat. du Moyen Age, Thermes de Cluny): nella seconda la testa del Cristo è realizzata in rilievo. Le teste riportate su figure risparmiate sono caratteristiche della produzione limosina: fabbricate in serie e tirate dallo stesso stampo, esse compaiono identiche in centinaia di pezzi sin dagli inizi del sec. 13° e testimoniano di un'accentuata divisione del lavoro. Sulla cassa di s. Calminio nell'abbaziale di Saint-Pierre a Mozac sono interi personaggi a essere applicati sul fondo a smalto.Sono pervenuti alcuni nomi di orafi smaltisti. Si conservano per es. a Parigi (Louvre) una croce firmata proveniente da Savigny in Normandia, recante la scritta: "Iohannis Garnerius lemovicensis me fesis fratris mei", e una pisside conosciuta come pisside di Alpais (v.). Su quest'ultima si trovano impiegate numerose tecniche di oreficeria: fusione, incisione, cesello, smalto, doratura e incastonatura di pietre semipreziose; sul fondo della coppa è inciso, intorno a un medaglione, il nome dell'orefice: "Magister G. Alpais me fecit lemovicarum". Alpais contribuì senza dubbio ad assicurare il successo commerciale dell'opera di L., organizzando il lavoro in una grande officina attrezzata per una produzione industriale; fu del resto proprio tra il 1190 e il 1220 che l'esportazione delle manifatture limosine raggiunse la massima espansione.Di questa fase particolarmente felice della produzione rimangono alcuni esemplari significativi. Due lastre in forma di timpano del 1200-1210 raffiguranti due santi martiri coronati (Londra, British Mus., Keir Coll.; Cambridge, Fitzwilliam Mus.) e una rettangolare raffigurante la Dormizione della Vergine (Parigi, Louvre), che dovettero appartenere a un reliquiario dei ss. Quattro Coronati; le figure vi appaiono risparmiate su un fondo azzurro percorso da girali policromi. Nel 1896 venne riportato alla luce un gruppo di oggetti limosini del sec. 13° sepolti a Cherves-de-Cognac (dip. Charente), tra i quali si trovava un tabernacolo del 1225-1235 (New York, Metropolitan Mus. of Art) nella cui parte centrale è rappresentata la Deposizione e, sugli sportelli, scene illustranti la Risurrezione e le apparizioni di Cristo, a figure applicate.Con il quarto concilio ecumenico lateranense (1215) si aprì una nuova era per l'opera di L.: i suoi smaltisti presero la via dell'Italia per eseguire, ormai direttamente sul posto, le opere destinate a proteggere le reliquie dei santi sul luogo stesso della loro sepoltura. Anche il papa Innocenzo III fece eseguire per la confessio di S. Pietro in Vaticano una recinzione in legno ricoperta di smalti; se ne conservano la grande figura centrale applicata di Cristo in maestà in smalto e quelle di cinque apostoli, più piccole (Roma, BAV, Mus. Sacro). Questa Maiestas Domini (altezza mm. 410; lunghezza mm. 195; spessore mm. 50) fu eseguita a smalto con incrostazioni di cabochons; lo smaltista dovette lavorare sul posto e un'indicazione in questo senso è data dall'armonia cromatica generale dell'opera, che differisce da quella usuale a L., con una tavolozza comprendente un blu intenso e uniforme, un verde opaco e profondo, un turchese e un po' di rosso e di bianco. Questa intensità uniforme dei toni e l'assenza di sfumature rimasero anche in seguito il tratto caratteristico dei pezzi attribuibili alle botteghe italiane. Una lunetta, proveniente da S. Maria di Vulturella presso Tivoli (Roma, Mus. del Palazzo di Venezia), coronava l'insieme. Il maestro limosino che eseguì questo antependium potrebbe aver lavorato anche nella cattedrale di Pistoia per la cassa della tomba di s. Baronto. È noto che papa Innocenzo III, che aveva visitato l'abbazia limosina di Grandmont nel 1198, aveva ordinato una "basilicam de factura lemovica" per la chiesa dei Ss. Sergio e Bacco a Roma; questa cassa, distrutta, era contemporanea a un'altra smembrata, quella già citata dei ss. Quattro Coronati.Gli smalti di L., numerosi nella penisola italiana nel corso della prima parte del Duecento, e quelli realizzati in Italia 'alla maniera limosina' nel secondo quarto dello stesso secolo non ebbero in seguito grande diffusione (Gauthier, 1972b, tav. CIX); croci eseguite 'alla maniera limosina' si trovano in Sicilia. Gli smalti di L. conservati in Toscana appartengono a una generazione un poco posteriore e provengono da botteghe ben distinte da quelle chiamate a lavorare a Roma; si tratta comunque di oggetti eccezionali, come il braccio-reliquiario di Lucca (Opera del Duomo), del 1220-1230, o il reliquiario-ostensorio di s. Francesco d'Assisi (Parigi, Louvre). Quest'ultimo - ritenuto proveniente da Palma di Maiorca nelle Baleari, dove un convento francescano era stato fondato nel sec. 13° - ha forma di quadrilobo su colonnina e appare originale rispetto alla produzione dell'epoca; esso contiene le reliquie di s. Francesco e dovette essere realizzato poco dopo la sua canonizzazione, avvenuta nel 1228.Nel corso del secondo quarto del sec. 13° si cominciarono a ripetere le formule acquisite, con scarsa inventiva, e a riprodurre in serie i modelli a fini di lucro. Tra il 1210 e il 1230 la materia stessa dello smalto perse la qualità opaca e il blu cobalto intenso lasciò il posto a una tonalità lavanda grigiastra. D'altro canto, questi smalti non servivano più a riprodurre immagini o a istoriare, ma semplicemente a ornare. Anche i motivi decorativi mutarono: i girali degli anni 1175-1195, che erano stati progressivamente abbandonati per fare posto ai motivi a raggera del 1190-1200, ripresero, inizialmente poco alla volta poi sempre più esclusivamente, il loro ruolo, come nella cassa dei ss. Valeria e Marziale, del 1260-1270 (Londra, British Mus., Keir Coll.). L'incisione di lettere, che richiedeva un lavoro speciale e accurato, doveva far aumentare sensibilmente il costo dei reliquiari: nel sec. 13° le iscrizioni scomparvero dalle casse più piccole o, dopo il 1250, vennero eseguite in modo più trascurato, elemento questo a sostegno della tesi della prefabbricazione seriale di reliquiari generici.Parallelamente a tale declino e in questo stesso periodo si aprì una nuova fase grazie alla lavorazione a tutto tondo: gli artisti, ancora legati agli imperativi dell'astrazione romanica, furono sedotti anche dal realismo della volumetria gotica. Influenzati dall'ambiente di Chartres, essi si posero in competizione con gli scultori. Le cinque placchette a profilo semicircolare verosimilmente provenienti dal dossale dell'altare maggiore di Grandmont risalgono agli anni 1225-1230 (Firenze, Mus. Naz. del Bargello; Parigi, Mus. du Petit Palais e Louvre; New York, Metropolitan Mus. of Art; San Pietroburgo, Ermitage). Le figure degli apostoli, che si staccano da un fondo blu a girali, sono a forte rilievo e presentano incrostazioni. Su alcune tombe furono collocate figure di giacenti lavorate a bassorilievo, in cui lo smalto simula tessuti preziosi; se ne possono contare più di venti da Burgos a Londra. Prima del 1253 Luigi IX il Santo aveva fatto eseguire a L. le tombe dei suoi due figli, Bianca e Giovanni, già nell'abbazia di Royaumont, poi trasferite a Saint-Denis; nell'abbaziale di Westminster si trova la figura giacente di Guillaume de Valence (1288-1296), realizzata da una bottega limosina attiva a Londra. Numerose teste-reliquiario furono prodotte a partire dalla metà e nel corso dell'ultimo quarto del 13° secolo. La testa di s. Ferreolo, in rame battuto, conservata a Nexon (dip. Haute-Vienne) nella parrocchiale dedicata alla decollazione di s. Giovanni Battista, reca la data del 1346 ed è firmata da Aimeri Chrétien, orefice di Limoges.Lo smalto limosino contribuì anche, nel corso del sec. 13°, a determinare, attraverso i colori resi inalterabili, le caratteristiche degli 'smalti araldici', il cui codice si andava proprio allora definendo. È significativo che il termine smalto designasse, in seguito, i colori dello scudo; gli scudi ben presto si alternarono con i medaglioni di danzatrici e musicisti e, nel tempo, finirono per occupare il posto principale, come nel caso dei bacili gemelli della seconda metà del sec. 13° (Parigi, Mus. Nat. du Moyen Age, Thermes de Cluny).Intorno alla metà del Duecento il repertorio iconografico si allargò, arricchendosi di temi lirici e cortesi e di scene eroiche. L'opera di L. non si limitava quindi più al materiale liturgico: si fabbricavano anche oggetti ornamentali per uso profano. Dopo aver guardato a Chartres intorno al 1220-1230, gli artisti limosini stabilirono relazioni con i cantieri e i clienti parigini. Un centinaio di bacili gemelli, una decina di cofanetti e alcune scatole recano, collegati alle scene cortesi, gli scudi appartenenti ai grandi feudatari del regno, raggruppati intorno agli scudi di Francia, di Castiglia e d'Inghilterra. Il cofano di Aquisgrana (Domschatzkammer), anticamente conosciuto con il nome di cofano di Riccardo di Cornovaglia (m. nel 1272), è decorato da quaranta medaglioni dorati e da guarnizioni in ferro con motivi ornamentali; in diciassette di tali medaglioni sono raffigurate scene di caccia e di combattimento o animali, mentre gli altri ventitré sono decorati da differenti blasoni. È stato dimostrato che non si tratta delle armi di Riccardo di Cornovaglia, ma di quelle degli antichi duchi di Borbone; il cofano, commissionato in occasione del matrimonio alla fine del 1258 di Ugo IV, duca di Borgogna (1213-1272), con Beatrice di Champagne, venne eseguito a questa data e ricorda i legami di parentela dei duchi di Borgogna e del Brabante, del signore di Borbone e del visconte di L., Guido VI.La fine del sec. 13° e gli inizi del 14° costituirono la fase tarda della produzione limosina dello champlevé, all'interno della quale si possono distinguere due correnti: da una parte la ripetizione sempre più deformata delle maniere precedenti, dall'altra una spinta di rinnovamento che appare nelle figure non solo risparmiate ma anche decorate con incrostazioni dello smalto del fondo; gli smaltisti abbandonarono il digradare dei toni in favore dell'applicazione esclusiva di colori uniformi. Uno dei pezzi più rappresentativi di quest'ultima tendenza è un cofanetto nuziale (Parigi, Louvre), in cui figure e motivi appaiono ancora risparmiati; esso reca gli scudi con le armi di Francia e d'Inghilterra e un'iscrizione in lingua d'oc che corre lungo il coperchio. Sulla cassetta di Valence, degli inizi del sec. 14° (Londra, Vict. and Alb. Mus.), le armi indicano un destinatario principesco della stirpe regale dei Plantageneti o un alleato della famiglia del re d'Inghilterra Edoardo I (1272-1307). Un altro dato cronologico è fornito dalla Vergine della parrocchiale di La Sauvetat (dip. Puy-de-Dôme), offerta nel 1319 da Oddone di Montaigu, priore d'Alvernia della commenda di Saint-Jean de Jérusalem, nella diocesi di Clermont.Negli anni intorno al 1350 la produzione limosina scomparve pressoché totalmente, sconfitta dalla concorrenza delle botteghe di smaltisti, che andavano organizzandosi un po' ovunque in Europa, e da quella degli intagliatori in avorio. È possibile che gran parte delle botteghe sia andata distrutta con il saccheggio di L. nel 1370. In ogni caso solo dopo un secolo si affermò una nuova produzione, quella degli smalti dipinti.Gli smalti su rame, seppur economici, erano sempre meno ricercati. Lo smalto traslucido su oro e su argento dei Senesi, dal 1290, dei Parigini o degli Avignonesi, dal sec. 14°, abituò gli orefici e il clero ai piccoli dipinti in smalto e agli oggetti di dimensioni ridotte. Spinti dalle necessità commerciali, gli artigiani limosini seppero piegarsi ai capricci della moda e ricorsero a nuovi procedimenti tecnici. Intorno all'ultimo quarto del sec. 15° essi simularono il rilievo di base degli smalti traslucidi con tratti di smalto bruno, eseguiti a pennello e posti ad accentuare le ombre. Vennero così creati una tecnica e un genere nuovi: gli smalti 'su preparazione' (su disegno preparatorio). Ciò avvenne non senza qualche esitazione, come testimonia il disco dipinto a smalto applicato sulla cassa di Nexon. L., ancora una volta, diede il suo nome a questo nuovo procedimento e ne assicurò il successo; costituiscono un esempio in tal senso dieci lastre con scene della Passione (Parigi, Louvre) o una Pietà e un Calvario (Parigi, Mus. Nat. du Moyen Age, Thermes de Cluny). Utilizzando come modello probabilmente delle stampe, gli smaltisti limosini lavorarono nel sec. 16° più nel campo dei soggetti profani che non di quelli religiosi. I primi smaltisti si riunirono in botteghe, come la bottega di Nardon Pénicaud o quella del trittico di Luigi XII; in seguito alcuni nomi emersero dall'anonimato: Reymond, Courteys e il maestro Leonardo Limosino.
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