volgarizzamenti, lingua dei
Il verbo volgarizzare (attestato dal 1268) significa, in senso stretto, volgere un testo latino in lingua volgare (secondo un processo di traduzione ‘verticale’, dalla lingua più prestigiosa a una meno); in senso più ampio, significa tradurre da un volgare in un altro (secondo un processo di traduzione ‘orizzontale’ tra lingue sorelle).
Per la storia, i modi e il significato del volgarizzare (e del suo sinonimo traslatare), nonché per le differenze concettuali con tradurre, estensione semantica del latino traducere impiegata per la prima volta da Leonardo Bruni (1400) e poi rapidamente diffusa in tutte le lingue europee, si veda il fondamentale studio di Folena (1991).
Il rinnovamento culturale che caratterizzò il XIII e il XIV secolo (➔ Duecento e Trecento, lingua del) e l’emancipazione della cultura volgare favorirono la diffusione presso il nuovo pubblico cittadino di testi che fino ad allora erano appannaggio di chi sapeva il latino (chierici e notai in primo luogo): si assistette quindi a un moltiplicarsi di traduzioni, adattamenti, rimaneggiamenti in volgare di opere relative agli ambiti più vari, dall’epica classica alla storia (almeno inizialmente romanzata), dalla trattatistica (retorica, filosofico-morale, scientifica) alla narrativa, dalla letteratura religiosa a quella didattica.
La dizione volgarizzamenti indica il solo modo di produzione, ovvero la dipendenza della sostanza del discorso da un’opera preesistente (originale o essa stessa frutto di volgarizzamento) e comprende quindi entità disomogenee, prodotte a partire da lingue diverse (§ 2.1) in luoghi e in contesti culturali differenti (§ 2.2), realizzate, in prosa e più raramente in versi, in modi molto vari, anche a seconda della perizia del volgarizzatore (§ 2.3), e soprattutto appartenenti a generi testuali anche molto distanti tra loro (§ 2.4).
In età medievale, il confine tra volgarizzamento e opera originale è molto labile: sono rare le traduzioni fedeli al testo di partenza, scevre da interpolazioni (siano contaminazioni da altre fonti o aggiunte secondarie), e sono ancor più rare le prose originali prive di debiti più o meno dichiarati nei confronti di altri testi. Spesso è l’organizzazione della materia a garantire l’originalità di un’opera: per es., il Tresor di Brunetto Latini è in massima parte un sapiente montaggio di brani volgarizzati, in francese, da una molteplicità di fonti latine.
Si volgarizza a partire da lingue diverse: dal latino in primo luogo e poi dal francese, marginalmente dal provenzale e dal castigliano e, nel Trecento, anche dal toscano.
La lingua dell’originale è in qualche misura connessa al genere testuale (§ 2.4) e gode di un vario prestigio: massimo il latino, da cui dipendono i volgarizzamenti di retorica e arte oratoria o epistolografica, di filosofia e scienza, di religione e devozione, nonché di letteratura, di storiografia, di polemistica, condotti su opere classiche, tardoantiche e mediolatine; poi il francese, da cui dipendono i romanzi, anche se di materia romana (ad es., i Fatti dei romani, i Conti di antichi cavalieri), la letteratura didattica (il Tesoro) e in genere la produzione di livello concettuale inferiore; infine il provenzale, lingua per eccellenza della poesia, che qui interessa solo per il volgarizzamento del Barlaam e Josafat, e il castigliano, da cui i Libri astronomici di Alfonso el Sabio.
Nel Trecento non sono rari i casi di volgarizzamenti realizzati a partire dal toscano, come accade in Sicilia almeno con La istoria di Eneas (riduzione in prosa dell’Eneide) di Angilu di Capua e con il Libru di li vitii et di li virtuti volgarizzato da un frate del monastero benedettino di San Martino delle Scale presso Palermo, entrambi dipendenti da versioni toscane (cfr. Guthmüller 1989: 213-215).
L’operazione di transcodifica culturale messa in atto tra metà Duecento e metà Trecento è motivata dall’intenzione di divulgare i saperi necessari al nuovo pubblico cittadino, in Toscana soprattutto mercantile, al Nord già signorile (lo rivelano, per es., le dediche ai volgarizzamenti; cfr. Guthmüller 1989: 206-208, 210-213).
I primi generi coinvolti sono quindi l’oratoria e la retorica, intesa come arte del rettore comunale (ne sono esempio la Rettorica di Brunetto Latini, dal ciceroniano De inventione, e le varie versioni toscane e bolognesi del Fiore di rettorica, dalla Rhetorica ad Herennium), o la storia, fondativa del mito della continuità con l’epoca classica (le Storie de Troia e de Roma, Le miracole de Roma); al Nord non mancano la letteratura (il Panfilo, versione veneziana di una commedia elegiaca del XII sec.) e la precettistica morale (i Disticha Catonis, volgarizzati anche in Toscana e nell’Italia centrale; ➔ volgari medievali).
L’orientamento verso il pubblico determina la spiccata natura attualizzante dei primi volgarizzamenti, destinata a venir meno nel corso del Trecento con il maturare di un diverso e maggiore rispetto per il testo di partenza: così, respublica è tradotta dapprima con comune o comunanza (Brunetto), poi con il latinismo republica (Bartolomeo da San Concordio); legatus con ambasciatore o con l’endiadi legato ed ambasciatore (Brunetto), poi con il solo latinismo legato (Terza Deca di Tito Livio); exercitus prima con oste, gente e cavalleria (Brunetto), poi con esercito (Bono Giamboni; gli esempi da Segre 1963: 60; Pfister 1978: 62). Nel Trecento la generale tendenza al recupero diretto della classicità comporta la diminuzione delle versioni dal francese di divulgazione più spicciola, a favore di quelle dal latino di tono e materia più impegnata (per es. la Metaura, dal De Meteoris aristotelico attraverso i commenti di Alberto Magno e Tommaso d’Aquino); per contro, acquistano rilevanza i volgarizzamenti degli statuti comunali (il primo a Siena, nel 1309) e corporativi.
Nella Napoli angioina e nella Sicilia aragonese le diverse realtà istituzionali e politiche implicano un pubblico differente: se alla corte napoletana fioriscono le versioni dal latino in francese (Guthmüller 1989: 230-231), in Sicilia i principali volgarizzamenti (anche quelli dipendenti da fonti toscane) nascono, oltre che a corte, nei monasteri per un pubblico interessato alla devozione e alla predicazione (Guthmüller 1989: 213-215).
La qualità dei volgarizzamenti dipende in primo luogo dalla capacità e dalla cultura del volgarizzatore: in genere, una minor conoscenza della lingua di partenza comporta una più pedissequa riproduzione dell’originale, mentre un più spiccato intento attualizzante e divulgativo si associa a una maggiore libertà (per es., nel lessico o nell’uso di costrutti prevalentemente paraipotattici).
I volgarizzatori dal latino sono soprattutto giudici e notai (Brunetto, Bono Giamboni, Andrea da Grosseto, Soffredi del Grazia, Zucchero Bencivenni, Vivaldo Belcalzer, Andrea Lancia), ma anche maestri di grammatica e arti liberali (Bonvesin da la Riva, Accurso di Cremona) o ecclesiastici (Bartolomeo da San Concordio, Giovanni Campulu, Domenico Cavalca, Giacomo Filippo da Padova).
I volgarizzamenti dei romanzi (o della storiografia romanzata) dal francese, spesso realizzati da anonimi ‘traduttori per diletto’ o da mercanti, sono in genere di qualità più modesta, fino a versioni parola per parola, spesso senza neppure il necessario adattamento alle strutture fono-morfologiche della lingua d’arrivo (un caso limite è il Bestiario d’amore, versione pisana primotrecentesca del Bestiaire d’amours di Richart de Fornival), anche se non mancano esempi di prosa più meditata (per es., i volgarizzamenti di Zucchero Bencivenni).
A rendere i volgarizzamenti un insieme tanto eterogeneo è soprattutto la varietà delle tipologie coinvolte.
Si hanno trattati di retorica e orazioni (le tre cesariane di Cicerone volgarizzate da Brunetto), opere filosofiche e morali (i trattati di Albertano da Brescia volgarizzati da Andrea da Grosseto e da Soffredi del Grazia; gli Ammaestramenti degli antichi di Bartolomeo da San Concordio, centone di opere classiche e mediolatine; l’anonima versione toscana del Moralium dogma philosophorum di Guglielmo di Conches; la versione di Zucchero Bencivenni della Somme le roi di Laurent du Bois), trattati scientifici (il Tesoro, in varie redazioni; le anonime Questioni filosofiche, dalle Quaestiones naturales di Adelardo di Bath; la Sfera di Sacrobosco e la Santà del corpo di Aldobrandino da Siena volgarizzati ancora da Zucchero; il De proprietatibus rerum di Bartolomeo Anglico vòlto in mantovano da Vivaldo Belcalzer; le diverse versioni del Secretum secretorum e del Libro di Sidrach; il Libro agregà de Serapiom in volgare padovano; il Palladio e il Crescenzi volgare, ecc.). Non mancano la letteratura classica (Virgilio, Ovidio, Lucano, Seneca), la storiografia (Sallustio, Tito Livio, Valerio Massimo), la trattatistica tardoantica e mediolatina (Orosio, Vegezio, Giovanni Crisostomo, Girolamo, Agostino, Boezio, Gregorio Magno, il Chronicon maius di Isidoro di Siviglia, la Scala Paradisi, la Navigatio sancti Brendani, le Vitae Patrum, la Legenda Aurea, ecc.), fino ai romanzi (le numerose versioni del Tristano, quelle del San Gradale, il Palamedés, la Storia di Merlino, il Barlaam e Josafat, la Storia di Apollonio di Tiro, ecc.) e alla variegata produzione didattica e moraleggiante (lapidari, bestiari, mascalcie, le versioni del Fiore di virtù e del Libro dei sette savi, il Libellus super ludum scaccorum di Jacopo da Cessole, ecc.). Non vanno dimenticati gli statuti, frequentemente volgarizzati nel corso del Trecento. Per l’elenco dei volgarizzamenti – troppo lungo e composito perché si possa ripercorrerlo qui – si vedano Artale (2003), Guthmüller (1989: 227-251, 333-348), Giovanardi (1994), D’Agostino (1995: 573-585) e Porta (1995).
La lingua dei volgarizzamenti – a parità di registro e di tipo di pubblico – non è in sostanza diversa da quella della coeva prosa originale. Lessico e sintassi sono gli ambiti più esposti alla pressione del modello linguistico del testo originale: le acquisizioni maturate nella pratica traduttiva possono divenire patrimonio stabile della lingua, consolidare modelli già produttivi oppure restare confinate nella contingenza del singolo volgarizzamento.
Va però precisato che non si tratta mai di un passaggio meccanico del lessico e delle strutture sintattiche dal testo originale al testo tradotto, ma di una ‘accelerazione’ conseguente alla pratica traduttoria, che, confrontando costantemente sistemi culturali, modelli linguistici e testuali diversi, sollecita e arricchisce di per sé la prosa volgare allora in formazione. Se così non fosse, non si darebbe ragione della quantità di ➔ francesismi presenti nei volgarizzamenti dal latino o della presenza di ➔ latinismi privi di esatto corrispondente nel testo latino di partenza; per tutti si veda: «Da quello luogo lo Sole, essente nel mezzo, vide il giovane» (Metamorfosi), che rende con un forte costrutto latineggiante (il participio presente assoluto) l’originale Inde loco medius […] Sol oculis iuvenem […] vidit (Segre 1963: 76).
Il volgarizzare, soprattutto quando esercitato su testi di rilievo concettuale o di forte tecnicizzazione, ha comportato «una vera e propria fondazione del vocabolario volgare, con tanto di lemmatizzazione e definizione delle parole chiave del sapere volgarizzato» (Coletti 1993: 68).
Il volgare si è così dotato di nuove parole (per latinismo o per neoformazione), relative soprattutto ai concetti astratti e alla terminologia specialistica: per es., sono i volgarizzamenti ad attestare per primi gli astratti alleanza, amicizia, asprezza, azione, cautela, contraddizione, contrapporre, dannoso, difficoltà, discernere, disporre, elevare, facile e facilità, favorire, faticoso, fatuo, ecc.; e i tecnicismi (dell’anatomia) arteria, cerebro e cervello, costola, cristallino, duodeno, femore, ugola, (dell’architettura) archivolto, cemento, fastigio, guglia, (della botanica) acacia, acero, alga, anguria, assenzio, basilico, borragine, capelvenere, cappero, carruba, girasole, (della chimica) arsenico, canfora, (del diritto) censura, cessione, contraente, dazione, (della matematica e geometria) cateto, equilatero, ecc. (cfr. TLIO 1997-: ad voces).
Alcuni tipi di composti nominali paiono particolarmente sollecitati, per es. in -mento e -anza per tradurre termini astratti: disponimento (ma altrove disposizione) per dispositio, confondimento per confusio, aspettamento per expectatio, comunanza per communio, ecc. (Dardano 1969: 66 nota 107; Pfister 1978: 66); e in -tore per «component[i] di perifrasi atte a tradurre vocaboli latini che non hanno facili corrispondenti in volgare» (Dardano 1992: 277). Il testo originale di per sé non induce prestiti o calchi nel testo volgarizzato: se in alcuni volgarizzamenti dal latino troviamo faccia per facies «aspetto», ripetere per repetere «ritornare» (Segre 1963: 57), uomo levissimo per homo levissimus «superficiale», altrettanto frequenti sono i casi di refrattarietà al latinismo lessicale o semantico (cfr. Dardano 1969: 65-66 e nota 107).
Le glosse (introdotte in genere da cioè, ovvero: cfr. Segre 1963: 61-63; Dardano 1969: 66-67 nota 108) e soprattutto le dittologie sinonimiche rispondono al desiderio di illustrare – per approssimazione progressiva o per amplificazione – il significato del termine originale, come pare chiaro ai volgarizzatori stessi: «conviene spesse fiate d’una parola per lettera [= in latino] dirne più in volgare, e non saranno però così propie» (Bartolomeo da San Concordio, cit. da ultimo in Guthmüller 1989: 225). La casistica registra dittologie formate da un latinismo e da un suo sinonimo di tradizione diretta: «parati e disposti» per parati, «suscita e muove» per suscitat (Segre 1963: 62), «disinore e infamia» per infamia, «pessimi e maliziosi» per pessimi, «le cose fitte e simulate» per omnia ficta, ecc. (Dardano 1969: 66), o da due voci sinonime o quasi-sinonime indipendenti dal latino di partenza: «niuna sospizione di guerra né di battaglia» per nulla belli suspicio, «alcuno guidatore e governatore» per aliquem ducem (Pfister 1978: 64), «senno e misura» per modum, «rocca e fortezza» per receptaculum, ecc. (Dardano 1969: 67).
Infine, i francesismi ‘casuali’ o ‘d’inerzia’ – cioè gli adattamenti estemporanei (anche imperfetti) di voci dell’originale francese, dovuti all’imperizia del traduttore – sono propri dei volgarizzamenti di livello più basso: nei Fatti dei romani nella versione di Lapo di Neri Corsini (1313) si trovano agregiarono per agreigierent «peggiorarono», attento per atente «speranza», corniere per cornieres «angoli», corsuto per corsuz «forte», cremore per cremor «paura», ecc.
L’attività traduttiva ha concorso, insieme al costante confronto con i modelli latini, all’implementazione delle strutture sintattiche volgari, consentendo il progressivo superamento della paratassi tipica della prima prosa in volgare.
Sono frequenti i calchi del participio congiunto, sia presente – «a te dante è la pace bella ed ampia, a noi domandanti più necessaria che onesta»; «te ogni cosa audacissimamente incominciante mai non ingannò la fortuna» (Segre 1963: 73) – sia passato: «facto consolo Cesar, e mandato in Francia, esso prima combatteo e vense» (Dardano 1969: 140-141); «Poi tornato Melibeo, […] incominciò fortemente a piangere»; «Lucio Bebio andato in Ispagna, ingannato da’ Liguri, con tutta l’oste sua fue morto» (Pfister 1978: 68-69).
A partire dalla metà del Trecento acquista rilievo anche la costruzione dell’➔accusativo con l’infinito (Pfister 1978: 83), fino allora poco presente nei volgarizzamenti, seppure già ben attestata nella prosa latineggiante di Guittone e di ➔ Dante. Per contro, non mancano i volgarizzamenti che mostrano una spiccata tendenza all’abbandono dei costrutti latini in favore di «altri genuinamente volgari» (Dardano 1969: 69); lo stesso participio congiunto è spesso reso con il gerundio, produttivo anche nella prosa coeva: «poscia intendendo quanto potessero a la preda» per dum deinde in quantum possent praedae inhiantes; «fortemente discorrendo» per valenter […] percurrens; «non potendo seguitare» per exequi proibitus; «testimoniando con sì violenta morte» per tam violenta morte testatus (Pfister 1978: 67-68).
La prolessi dell’➔oggetto, che «non dipende dall’influsso del latino, ma rappresenta un’inversione di tipo romanzo» per ragioni pragmatiche (Dardano 1969: 107), trova largo impiego, anche al di là della necessità di topicalizzazione: i «duchi […] procedono […] molte belle cose prima acquistate o ad accrescere quel dì o a perderle in tutto» (Segre 1963: 73); «un’altra ragione n’asegna Boezio»; «ben nuovo malificio e unque mai non udito ha proposto quel mio parente Teverone» (Pfister 1978: 64). Per i casi di inversione tra verbo modale e verbo (il tipo «far non si può» per fieri nequit), e tra soggetto e verbo dopo subordinata si veda Pfister (1978: 81-82).
Il rapporto diretto con l’antichità affermato dall’Umanesimo rinnovò profondamente la traduzione, che con Coluccio Salutati, Leonardo Bruni e Guarino Veronese divenne oggetto anche di teoria (➔ Umanesimo e Rinascimento, lingua dell’); ma poiché «il banco di prova del tradurre umanistico è in sostanza di greco in latino», la traduzione dal latino al volgare perse di centralità culturale e digradò «verso livelli di cultura più bassi» (Folena 1991: 50-51).
Solo verso l’ultimo quarto del XV secolo, anche grazie alla politica filo-volgare di Lorenzo il Magnifico, si riaccese nei colti l’interesse per i volgarizzamenti: nel 1475 Cristoforo Landino tradusse la Naturalis Historia pliniana, a cui di lì a poco avrebbe risposto polemicamente la versione – subalterna alla sintassi e alla testualità dell’originale (Barbato 2001) – dell’umanista napoletano Giovanni Brancati, già traduttore della Mulomedicina di Vegezio e poi della Vita e favole di Esopo; nel 1481, sempre a Firenze, Bernardo Pulci tradusse le Bucoliche virgiliane.
Un capitolo a parte spetta ai volgarizzamenti della Bibbia, molteplici e ininterrotti a partire dal XIII secolo, ma di cui manca ancora un quadro d’insieme: il punto di partenza è ora fornito dai saggi raccolti in La Bibbia in italiano (Leonardi 1998).
TLIO (1997-) = Tesoro della lingua italiana delle origini, diretto da Pietro G. Beltrami (http://tlio.ovi.cnr.it/TLIO/).
Artale, Elena (2003), I volgarizzamenti del corpus TLIO, «Bollettino dell’Opera del Vocabolario italiano» 8, pp. 299-377 (la versione periodicamente aggiornata al sito di rete http://ovipc44.ovi.cnr.it/BibVolg/).
Barbato, Marcello (2001), Plinio il Vecchio volgarizzato da Landino e da Brancati, in Le parole della scienza. Scritture tecniche e scientifiche in volgare (secoli XIII-XV). Atti del Convegno (Lecce, 16-18 aprile 1999), a cura di R. Gualdo, Galatina, Congedo, pp. 187-227.
Coletti, Vittorio (1993), Storia dell’italiano letterario. Dalle origini al Novecento, Torino, Einaudi.
D’Agostino, Alfonso (1995), Itinerari e forme della prosa, in Malato 1995, vol. 1°, pp. 527-630.
Dardano, Maurizio (1969), Lingua e tecnica narrativa nel Duecento, Roma, Bulzoni.
Dardano, Maurizio (1992), Studi sulla prosa antica, Napoli, Morano.
Folena, Gianfranco (1991), Volgarizzare e tradurre, Torino, Einaudi.
Giovanardi, Claudio (1994), Il bilinguismo italiano-latino del medioevo e del Rinascimento, in Storia della lingua italiana, a cura di L. Serianni & P. Trifone, Torino, Einaudi, 3 voll., vol. 2° (Scritto e parlato), pp. 435-467.
Guthmüller, Bodo (1989), Die “volgarizzamenti”, in Grundriss der romanischen Literaturen des Mittelalters (GRLMA), hrsg. von H.R. Jauss & E. Köhler, Heidelberg, Winter, 1968-1993, 11 voll., vol. 10°/2 (Die italienische Literatur im Zeitalter Dantes und am Übergang vom Mittelalter zur Renaissance. Die Literatur bis zur Renaissance, dir. A. Buck), pp. 201-254.
Leonardi, Lino (a cura di) (1998), La Bibbia in italiano tra Medioevo e Rinascimento. Atti del Convegno internazionale (Firenze, Certosa del Galluzzo, 8-9 novembre 1996), Bottai [Impruneta], Sismel Edizioni del Galluzzo.
Malato, Enrico (dir.) (1995), Storia della letteratura italiana, Roma, Salerno Editrice, 14 voll., vol. 1º (Dalle Origini a Dante); vol. 2º (Il Trecento).
Porta, Giuseppe (1995), Volgarizzamenti dal latino, in Malato 1995, vol. 2°, pp. 581-600.
Pfister, Max (1978), Die Bedeutung der “volgarizzamenti” lateinischer Texte für die Herausbildung der literarischen Prosasprache, in Buck, August & Pfister, Max, Studien zu den “volgarizzamenti” römischer Autoren in der italienischen Literatur des 13. und 14. Jahrhunderts, München, Fink, pp. 45-86.
Segre, Cesare (1963), I volgarizzamenti del Due e Trecento, in Id., Lingua, stile e società. Studi sulla storia della prosa italiana, Milano, Feltrinelli, pp. 49-78.