scienza, lingua della
La lingua della scienza è il linguaggio settoriale (➔ linguaggi settoriali) di cui sono tipicamente costituiti i testi prodotti nell’ambito della ricerca scientifica e della sua diffusione nella società. Si tratta di testi nei quali si realizzano le seguenti condizioni: l’oggetto del testo è esclusivamente la realtà extrasoggettiva ed è bandita ogni intrusione soggettiva dell’autore; al centro del rapporto fra testo e realtà extratestuale c’è il principio della verificabilità o falsificabilità delle asserzioni prodotte; il testo deve essere decodificato in base a codici standardizzati e ha robusti vincoli all’interpretazione.
Da queste proprietà discende il modo di costruire linguisticamente i testi scientifici. La necessità che il testo si basi su codici standardizzati e che ammettano una sola interpretazione spiega l’esistenza di ➔ terminologie, ma anche di schemi uniformi e ora sempre più codificati di strutturazione dei testi (sicché le lingue tecniche e scientifiche sono molto più regolate di quanto sia, o possa essere, la lingua comune; ed esistono enti di regolazione). L’esclusione della soggettività dell’autore fa sì che le asserzioni scientifiche siano focalizzate sul processo e non sull’autore o sull’agente degli eventi rappresentati.
Si possono riconoscere quattro categorie che regolano le scelte linguistiche che presiedono alla stesura di testi scientifici: precisione, concatenazione, condensazione, deagentivizzazione (cfr. Altieri Biagi 1990; De Mauro 1994; Cortelazzo 2004).
La precisione si realizza soprattutto sul piano lessicale, dove si punta all’univocità di interpretazione di parole e termini. Si creano le terminologie, sottosistemi lessicali caratterizzati da rapporti biunivoci tra significato e significante, per cui, di norma, un significato è espresso da uno e un solo significante, e un significante rappresenta un solo significato: risultano, quindi, fortemente ridotte sinonimia (➔ sinonimi) e polisemia. La rigorosità del lessico scientifico, tuttavia, è un obiettivo non sempre facile da conseguire: la stessa esistenza di enti di uniformazione terminologica indica che quello della univocità è un ideale non sempre realizzato nella pratica e che ha bisogno, per essere attuato pienamente, di istituzioni apposite.
Gli elementi lessicali che costituiscono le terminologie si chiamano termini. Sono segni aggiuntivi rispetto a quelli della lingua comune e rispondono alle esigenze di designazione della scienza cui si riferiscono, che sono più estese o più raffinate di quelle rappresentate dalla lingua comune. I termini possono essere parole del tutto nuove (➔ neologismi) o parole del linguaggio comune che, quando diventano termini, vengono ridefinite. Alcune scienze, come la fisica, prediligono la ridefinizione di parole esistenti; altre, come la chimica, anche per l’ampio bisogno di unità lessicali e per l’organizzazione sistematica di molte denominazioni, preferiscono le neoformazioni.
Neoformazioni assolute, cioè parole create ex novo, sono rarissime. I termini, e le altre parole specifiche in campo scientifico, nascono dalla rideterminazione semantica di parole del lessico generale (o del lessico di altre scienze), oppure sono neoformazioni derivazionali o composizionali, sigle oppure ➔ prestiti o ➔ calchi da lingue straniere.
La rideterminazione semantica di unità appartenenti alla lingua comune è particolarmente presente nelle scienze ‘classiche’ (per es., la fisica, con termini di lunga durata come massa, forza, fuoco, gravità, impulso, inerzia, onda, potenza; ➔ Galilei), ma è riscontrabile anche negli sviluppi scientifici più recenti (per es., amplificazione in biologia, dove significa «aumento del numero di copie di una sequenza di DNA specifica»). Sono possibili anche processi di rideterminazione semantica di parole di altri linguaggi settoriali (in linguistica: valenza, che indica il numero e il tipo di argomenti richiesti obbligatoriamente da un verbo, tratto dal lessico della chimica; oppure, in astrofisica: inflazionistico, in riferimento a una delle teorie della formazione dell’universo, preso dall’economia, e collasso «rapida contrazione di stelle dovuta al prevalere delle forze di gravità su quelle di pressione», proveniente dalla medicina).
La forma più produttiva di creazione di termini e di altri elementi del lessico scientifico è costituita dalle neoformazioni per ➔ derivazione o per ➔ composizione. Derivazione e composizione sono mezzi particolarmente adatti per formare le parole scientifiche, per diversi motivi: la possibilità di creare, con un numero limitato di elementi, un vasto numero di denominazioni; la stretta coerenza del microsistema che si viene così a creare, tenuto insieme sia dalla rete dei rapporti semantici, sia dall’inserimento di ogni elemento in una serie paradigmatica omogenea (per es., cardiopatia fa parte della serie cardiochirurgia, cardiocircolatorio, cardiografia, cardiologia, cardiopolmonare, cardiotonico, cardiovascolare, da una parte; e in quella angiopatia, broncopneumopatia, cerebropatia, coronar(i)opatia, epatopatia, linfoadenopatia, neuropatia, osteopatia, dall’altra) (➔ medicina, lingua della); l’incremento della motivazione del significante, dal momento che il significato del termine è prevedibile a partire dalle parti che lo compongono.
Nella derivazione possono essere utilizzati morfemi derivativi della lingua comune (per es., -oso: angiomatoso, acciaioso; -are: polmonare, papillare, reticolare, tentacolare; -ale: infusionale, intralesionale, monoclonale, staminale, fecale), o morfemi derivativi ed elementi compositivi esclusivi delle linguaggio scientifico: si pensi alla serie, piuttosto recente e molto prolifica, di composti con l’elemento formativo nano- (➔ elementi formativi): nanocomposito, nanoelettronica, nanomacchina, nanodispositivo, nanomateriale, nanomedicina, nanometro, nanometrico, nanometrologia, nanoparticelle, nanoscala, nanoscienza, nanostrutture, nanotecnologia, nanotubo; o anche all’elemento retro- in accezione specifica in biologia: retrotrascrizione, retrotrasposone, retrovirus; oppure, -geno: estrogeno, fibrinogeno, mutageno, patogeno, teratogeno. In alcuni casi, la distinzione si annulla, quando suffissi della lingua comune acquistano un valore semantico specialistico, in quanto inseriti in un sistema derivativo rigidamente normato (per es., -oso in chimica, per designare i composti di un elemento elettropositivo quando la sua valenza è più bassa, e -ico, per designare i composti dello stesso elemento quando la sua valenza è più alta: fosfato piomboso ~ fosfato piombico; perclorato auroso ~ perclorato aurico; permanganato cobaltoso ~ permanganato cobaltico).
Nei composti del linguaggio scientifico, oltre alla presenza di elementi compositivi non appartenenti al lessico comune e all’alta produttività, sono notevoli l’ordine determinante-determinato dei componenti, plasmato sul greco o sull’inglese (ad es., epatomegalia, dove il determinante epato- «fegato» precede il determinato megalia «ingrossamento», in contrasto con l’ordine usuale dell’italiano che produrrebbe la sequenza ingrossamento del fegato); la possibilità di far entrare in composizione più elementi (per es., [acido] desossiribonucleico, citotrofoblasto, autoradiografia, angiocardioscintigrafia); la mancata esplicitazione del rapporto fra gli elementi compositivi (appendicectomia «asportazione chirurgica dell’appendice», ma pleurorrea «versamento di liquido nella pleura»). Quest’ultima caratteristica si realizza anche nelle parole polirematiche (cellula germinale, linea germinale, clonaggio posizionale, procreazione assistita; ➔ polirematiche, parole) o in giustapposti nominali non (ancora) stabilizzati (per es., rapporto flusso polmonare-flusso sistemico, requisiti ingresso-uscita, scambio alogeno-metallo, resistenza d’attrito scafo-acqua).
Le neoformazioni dei linguaggi scientifici possono essere costituite anche da acronimi o ➔ sigle, che spesso acquistano autonomia rispetto ai sintagmi di cui sono abbreviazione e si comportano come unità lessicali (si pensi a DNA, RNA, AIDS, BSE; ma soprattutto a forme come laser, radar, sonar, in italiano non analizzabili come acronimi e semmai sentiti come forestierismi per la loro struttura fonica).
Infine, tra le forme endogene, o parzialmente endogene, vanno ricordati derivati e sintagmi eponimi, cioè denominazioni che includono un nome proprio. Si realizzano in vari modi: la semplice transcategorizzazione (cioè passaggio da nome proprio a nome comune: newton, unità di misura di forza); la formazione di derivati (in mineralogia: bentonite, clintonite, mendelevite, montmorillonite, ecc.); la costituzione di parole polirematiche (curva di Gauss, teorema di Euclide, morbo di Crohn, t di Student).
Oltre a risemantizzazioni e neoformazioni di vario genere, il lessico scientifico utilizza sempre più spesso ➔ forestierismi, certamente favoriti dalla circolazione internazionale delle terminologie e dall’uso di un’unica lingua di comunicazione tra scienziati provenienti da diverse aree linguistiche (la lingua in cui si trasmettevano le conoscenze scientifiche un tempo era il latino, oggi l’inglese, ma quella di poter fare riferimento a un unico codice internazionale è sempre stata un’esigenza fortemente sentita dalla comunità scientifica). Di conseguenza, nel linguaggio scientifico risultano frequenti, specie al giorno d’oggi, i prestiti integrali (per es., in genetica, crossing over «scambio reciproco di sequenze nucleotidiche che avviene tra cromosomi omologhi durante la meiosi»; DNA fingerprinting «tipizzazione del DNA, impronta genetica»; hot spot «regione di DNA in cui la frequenza di ricombinazione o di mutazione è molto superiore rispetto alla frequenza media di regioni con grandezza simile»; linkage «tendenza di due geni a essere ereditati insieme come risultato della loro collocazione sullo stesso cromosoma»; northern blot «tecnica di biologia molecolare mediante la quale molecole di RNA sono trasferite da un gel di agarosio a una membrana»), anche se non mancano prestiti semantici e calchi. Inoltre, anche tra i composti e i derivati, gli acronimi e le sigle e le denominazioni eponime vi sono molte forme comuni, a parte eventuali adattamenti fono-morfologici, a tutte le lingue di cultura o che derivano da una forma corrispondente in una lingua diversa dall’italiano.
Il corrispondente sintattico-testuale della precisione e dell’esplicitezza del lessico è l’esplicitazione della concatenazione logico-semantica delle frasi, che si realizza evidenziando, di solito per mezzo di ➔ connettivi frasali e testuali, la coesione del testo (➔ coesione, procedure di).
In generale, non è necessario che sia esplicitato il legame esistente tra due frasi semanticamente o logicamente collegate; è sufficiente che tra le frasi che compongono il testo ci sia una buona coerenza logico-semantica. Nel testo scientifico non solo questa coerenza è molto stretta, ma è anche sottolineata dalla tendenza a connettere tra loro in maniera esplicita, più di quanto avvenga in altri testi, le frasi e le varie porzioni del testo.
I connettivi più frequenti sono quelli che esplicitano i rapporti di successione (prima, poi, infine), di seriazione (in primo luogo, in secondo luogo, in terzo luogo), di causalità (perciò, poiché, dato che, in conseguenza, a causa di ciò), le relazioni ipotetiche (se ... allora), limitative (a condizione che, se e solo se), argomentative (infatti, in effetti, allora, dunque, quindi, così, ne consegue che, se ne deduce che).
La deagentivizzazione consiste nel fatto che il testo scientifico è incentrato sugli oggetti, sugli eventi, sui processi, soprattutto nella loro astrattezza, generalizzabilità, atemporalità, e non sull’agente. La messa in secondo piano, se non la completa cancellazione, dell’agente delle azioni rappresentate nel testo trasforma in processi gli eventi descritti, anche quelli che nel discorso non scientifico verrebbero rappresentati come azioni. La deagentivizzazione si realizza attraverso procedimenti sintattici o di semantica frasale che consentono l’occultamento o la messa in secondo piano dell’agente.
I mezzi sintattici che permettono la deagentivizzazione sono la preferenza di forme passive e impersonali (➔ passiva, costruzione; ➔ impersonali, verbi), il ricorso alle ➔ nominalizzazioni e la preferenza per le forme nominali del verbo (con conseguente riduzione della varietà di modi, tempi e, soprattutto, persona verbale; ➔ sostantivato, infinito). In particolare, va considerato l’uso di forme verbali passive, specialmente con cancellazione del complemento d’agente; o anche l’uso della forma inaccusativa dei verbi causativi (per es.: il paziente è guarito grazie alla terapia prescritta, invece di il medico ha guarito il paziente grazie alla terapia prescritta; ➔ causativa, costruzione; ➔ inaccusativi, verbi). È frequente anche il ricorso alla nominalizzazione, in particolare quando i nomina actionis (➔ azione, nomi di) vengono a ricoprire la funzione di soggetto (per es.: la somministrazione del farmaco ha guarito il paziente, oppure la somministrazione del farmaco ha portato alla guarigione del paziente).
Sul piano semantico, contribuisce alla deagentivizzazione l’uso di una rosa piuttosto ristretta di verbi semanticamente generici o polivalenti, che ricorrono con frequenza (essere, comportare, consistere, dipendere, esercitare, esistere, giungere, rappresentare, riferirsi, trovare, ecc.). Tali verbi tendono a ricorrere per lo più in sintagmi formati da un verbo più un nome (➔ sintagma, tipi di), nei quali il nucleo semantico è costituito dalla parte nominale (giungere a ebollizione, sottoporre a pressione, esercitare un’azione, avere origine, trovare applicazione). In particolari tipi di testo (per es., protocolli di osservazione scientifica, referti medici), sintesi e deagentivizzazione portano a produrre testi costituiti interamente, o in gran parte, da frasi nominali, con completa assenza del verbo.
La condensazione si realizza principalmente attraverso le nominalizzazioni e le proposizioni che utilizzano forme non finite del verbo. È espressione di quella tendenza all’economia che si è già notata ad altri livelli (ad es., nell’assenza di elementi funzionali subordinanti in composti e giustapposti nominali).
Per quel che riguarda la sintesi, è palese che il testo scientifico, almeno quello primario (cfr. § 3), presenti una ridondanza molto bassa e tenda quindi alla produzione di frasi sintetiche, anche attraverso una forte condensazione sintattica. Per es., una frase come per eliminare il silicio lo si introduce in un bagno liquido di elementi ossidanti nel linguaggio scientifico verrà preferibilmente formulata in questo modo: l’eliminazione del silicio avviene tramite l’introduzione in un bagno liquido di elementi ossidanti. I due enunciati, semanticamente equivalenti, hanno una ben diversa strutturazione sintattica: la frase del linguaggio comune è una frase complessa, mentre quella del linguaggio scientifico è una frase semplice. La complessità sintattica della prima frase si trasferisce nella seconda all’interno di un ➔ sintagma nominale (l’eliminazione del silicio) e di un ➔ sintagma preposizionale (tramite l’introduzione in un bagno liquido di elementi ossidanti), che includono al loro interno ulteriori sintagmi preposizionali (del silicio nel primo caso, in un bagno liquido e di elementi ossidanti nel secondo). Se in senso strettamente sintattico, dunque, la seconda frase si presenta come una frase semplice, dal punto di vista semantico si tratta di una frase più complessa, perché ingloba le informazioni altrimenti contenute in due proposizioni (➔ frasi nucleari). La condensazione favorisce l’emittente, che costruisce frasi sintatticamente più semplici, ma rende più onerosa la decodificazione da parte del ricevente.
Le caratteristiche del linguaggio scientifico sopra viste sono funzionali alle esigenze argomentative e comunicative dei testi scientifici primari, quelli nei quali si presentano i risultati della ricerca. Va notato, però, che al giorno d’oggi i risultati della ricerca scientifica vengono diffusi attraverso riviste di circolazione internazionale, che hanno abbandonato le diverse lingue nazionali a favore dell’inglese, di fatto unica lingua della comunicazione scientifica primaria.
Gli ambiti nei quali è possibile trovare realizzazioni di linguaggio scientifico in lingua italiana sono quelli dei testi secondari, legati alle interazioni tra esperto e profano (per es., medico-paziente), alla divulgazione attraverso i mass media, alla didattica. Nel livello divulgativo il linguaggio scientifico perde alcune delle proprie caratteristiche, si avvicina alla lingua comune, utilizza la lingua comune come metalingua (➔ divulgazione, linguaggio della). Sul piano lessicale ciò si verifica prima di tutto con il dissolvimento delle cristallizzazioni semantiche che caratterizzano i termini, che vengono trasposti in una lingua in cui sinonimia e polisemia sono caratteristiche naturali. I termini possono essere sostituiti con parole del lessico generale o con perifrasi, anche se di valore non completamente equivalente alle parole tecniche corrispondenti; oppure con l’affiancamento di una glossa o di una parafrasi al termine tecnico introdotto nel testo. Sul piano sintattico-testuale è stato notato un uso più variegato delle forme verbali; una minore prevedibilità dell’organizzazione testuale; una maggiore presenza di espressioni modali (➔ modalità).
Inoltre, i concetti tecnici possono essere spiegati per mezzo di metafore o analogie (➔ metafora; ➔ analogia): questo, unitamente alla sostituzione dei termini con parole polisemiche, può conferire al testo connotazioni, ad es. emotive, che il testo scientifico primario tende a escludere.
In Italia, forse per l’assenza di una sufficientemente lunga tradizione di divulgazione, fa fatica ad affermarsi un modello di lingua capace di divulgare tra il parlante medio le conoscenze scientifiche, al punto che De Mauro (in Bernardini & De Mauro 2003) ha dovuto dedicare un capitolo al tema L’italiano è una lingua inadatta alla divulgazione? (per argomentare che anche in italiano si può fare divulgazione scientifica). Il risultato è che, nonostante l’aumentato impegno di diffusione delle conoscenze specialistiche, le barriere linguistiche derivanti dalle ineliminabili diversità fra linguaggio scientifico e lingua comune sono ancora ben lontane dall’essere abbattute (Cortelazzo 1990). Così come l’➔educazione linguistica è lontana dal seguire l’esempio di quei paesi nei quali la didattica dei linguaggi specialistici ha permesso a molti cittadini di avvicinarsi alla cultura scientifica (Cavagnoli 2007: 77).
Altieri Biagi, Maria Luisa (1990), L’avventura della mente. Studi sulla lingua scientifica, Napoli, Morano.
Bernardini, Carlo & De Mauro, Tullio (2003), Contare e raccontare. Dialogo sulle due culture, Roma - Bari, Laterza.
Cavagnoli, Stefania (2007), La comunicazione specialistica, Roma, Carocci.
Cortelazzo, Michele A. (1990), Lingue speciali. La dimensione verticale, Padova, Unipress.
Cortelazzo, Michele A. (2004), La lingua delle scienze: appunti di un linguista, in Premio «Città di Monselice» per la traduzione letteraria e scientifica, 31-32-33, a cura di G. Peron, Monselice, Il Poligrafo, pp. 185-195.
De Mauro, Tullio (a cura di) (1994), Studi sul trattamento linguistico dell’informazione scientifica, Roma, Bulzoni.