linguaggi settoriali
In generale, un linguaggio settoriale è il modo di esprimersi (parole, espressioni, termini tecnici, ecc.) proprio di un ambito specialistico, in particolare (ma non soltanto) di natura tecnica o scientifica. In tal senso, il linguaggio settoriale ha delle affinità con i gerghi professionali e di mestiere (➔ gerghi di mestiere), di cui rappresenta una evoluzione, anche se se ne distingue per la maggior precisione e in taluni casi (si pensi al linguaggio della matematica o della fisica) per la formalizzazione esplicita.
Il concetto di linguaggio settoriale come modo di esprimersi tecnico e, in genere, poco comprensibile per il profano, è ben presente al parlante comune. L’espressione stessa è spiegata nei dizionari, per es., così: «linguaggio utilizzato in determinati settori specialistici e caratterizzato da una terminologia tecnica che spesso si discosta dal lessico comune o lo usa in accezioni particolari» (GRADIT, ad vocem). In parafrasi di questo tipo pare difficile evitare formulazioni tautologiche (... settoriale ... utilizzato in settori) e vaghe (... determinati ... spesso …). Settore (specialistico) non è, infatti, un tecnicismo né della linguistica né della sociologia, ma un termine comune con cui ci si riferisce a entità eterogenee. Sono «settori», per es., l’idraulica, la teoria delle probabilità, la vulcanologia, ma anche ambiti più ampi e articolati come quello sportivo, medico, giuridico, citati nello Zingarelli alla voce settoriale, linguaggio. Il settore medico, per es., comprende tutto ciò che attiene alle numerosissime discipline mediche (➔ medicina, lingua della): linguaggio settoriale medico, pertanto, corrisponde alla somma dei linguaggi dei vari settori medici ovvero all’insieme da essi condiviso, tenendo conto però che, data la dinamica della ricerca e la continua formazione di nuove discipline, i linguaggi settoriali delle varie branche tendono a costituire piuttosto insiemi disgiunti. D’altra parte, i settori medico, sportivo, giuridico s’incrociano nella medicina legale e nella medicina dello sport, entrambe composte a loro volta da sottodiscipline come la tossicologia forense, la traumatologia sportiva e altre.
Quanto ai tipi di linguaggi settoriali (per i quali esistono in italiano varie denominazioni, cfr. Sobrero 1993: 237 segg.), si possono sommariamente distinguere tre grandi categorie. La prima si manifesta nella comunicazione relativa ad attività pratiche, destinate o alla produzione di beni materiali in settori come, per es., l’agricoltura, il ricamo, la microelettronica, o alla fornitura di servizi in settori come i trasporti ferroviari e l’informatica. La seconda è connessa alla comunicazione di ordine precipuamente teorico-scientifico nell’ambito delle scienze umane e sociali (come la storiografia, la filosofia, la linguistica, ecc.). La terza ha in comune con la seconda la funzionalità teorico-scientifica, con riferimento però alle scienze esatte e naturali come la matematica, la fisica, la biologia.
I linguaggi settoriali sono caratterizzati inoltre da un’articolazione verticale (Cortelazzo 1990). Ai livelli alti si colloca generalmente il linguaggio settoriale teorico, usato in connessione con il ➔ registro formale, soprattutto in testi scritti come i trattati scientifici. Ai livelli bassi si situa il linguaggio settoriale applicativo e pratico, impiegato in testi scritti come i manuali d’istruzione e, spesso assieme al registro informale, in testi orali come la conversazione tecnica in officina o in laboratorio. Invece, nel caso, per es., del linguaggio settoriale della pubblicità, si distingue quello professionale degli addetti ai lavori (pubblicitari, grafici) dalle modalità d’uso ricorrenti nei messaggi pubblicitari (➔ pubblicità e lingua).
Il quadro si complica ulteriormente se si considerano settori come quello scolastico, militare, religioso. Sia nella comunicazione interna alle istituzioni, sia verso l’esterno, si riscontra una pluralità di linguaggi settoriali. Al linguaggio settoriale centrale, legato alla funzione principale dell’istituzione, si aggiungono difatti come costante quello amministrativo (➔ giuridico-amministrativo, linguaggio), nonché altri, in genere più periferici. Nel settore scolastico, per es., al linguaggio settoriale della pedagogia si sommano quelli relativi alle singole materie scolastiche.
Esistono poi discipline come la cosmologia, scienza fisica e nel contempo storica, oppure la mineralogia, interrelata sul piano degli oggetti di studio con la geologia e la petrologia, sul piano metodologico con la fisica e la chimica, sul piano applicativo con la gemmologia e la ceramica. Alla crescente specializzazione delle attività e dei saperi, conseguenza della divisione del lavoro e del progresso tecnologico, si accompagna contemporaneamente un’estensione degli ambiti di pertinenza dei settori. Si hanno quindi collegamenti interdisciplinari anche fra materie tradizionalmente distanti, come, per es., l’archeologia e l’astronomia o la neurologia e l’economia, da cui si sviluppano l’archeoastronomia e la neuroeconomia. Con le nuove branche autonome e gli ambiti pluridisciplinari si correlano linguaggi settoriali, almeno in una prima fase, composti.
Si pone allora il quesito se i linguaggi settoriali siano da rappresentare innanzitutto come entità contrapposte nel loro insieme alla lingua comune, oppure vadano affrontati prioritariamente come entità distinte che, in via secondaria, condividono, in opposizione alla lingua comune, una serie di tratti (Ammon 1998). Certo è che i linguaggi settoriali, seppure di difficile determinazione, risultano componenti costitutive dei settori in quanto indispensabili per l’elaborazione concettuale e per la comunicazione in genere. Conviene pertanto assumere che nell’ambito della lingua italiana contemporanea esista, in relazione agli innumerevoli settori e sottosettori, un insieme aperto e in costante espansione di linguaggi settoriali dai confini sfumati, sia al loro interno sia in rapporto alla lingua comune. Per tutti questi motivi pare opportuno parlare di linguaggi settoriali al plurale e dare al concetto stesso un valore principalmente euristico.
Da un punto di vista sistemico, i linguaggi settoriali sono un tipo di varietà diafasica (➔ varietà; ➔ variazione diafasica), usato in relazione all’ambito tematico, e la lingua comune è la varietà non marcata su tale asse di variazione. Quale tratto generale dei linguaggi settoriali si indica la natura stessa del lessico tecnico, intrinsecamente diversa dalle espressioni della lingua comune. In quanto composti in primo luogo da termini aggiuntivi rispetto alla lingua comune, i linguaggi settoriali sono detti anche sottocodici (Berruto 1987: 154). Molti termini sono formati, infatti, a partire da basi latine o greche (➔ elementi formativi), oppure sono mediati da altre lingue come l’inglese o il francese (come, per es., aracnofobia in psicologia, bufferizzare in informatica), dando luogo così a termini tecnici (detti anche tecnicismi). Ma non tutte le parole di tale origine sono dei tecnicismi (per es., crisi, hobby, ecc.); viceversa, non pochi tecnicismi sono di trafila ereditaria, rappresentano cioè espressioni della lingua comune che assumono anche accezioni tecniche, come accadde, ad es., per momento in fisica (➔ Galileo Galilei; ➔ scienza, lingua della), statistica, musicologia o per forza in varie discipline. Non esiste, cioè, un criterio formale che permetta di distinguere a priori tra tecnicismo e parola comune. Sul piano semantico tra l’accezione comune di un’espressione e il suo valore come termine tecnico ci sono rapporti scalari, all’interno dei quali si distinguono almeno i seguenti tipi:
(a) alto grado di affinità semantica tra i due significati (per es., distanza in geometria);
(b) condivisione di un tratto semantico (per es., connesso in matematica);
(c) completa assenza di tratti semantici condivisi (per es., perfetto in botanica; cfr. le rispettive definizioni nel GRADIT).
Nella prospettiva sistemica, tratto costitutivo dei linguaggi settoriali è la monosemia: si ha monosemia quando un termine tecnico appartenente a un sottocodice presenti un solo significato. Si parla allora anche di univocità nel rapporto tra tecnicismo e significato. Quando tale particolare significato a sua volta non può essere espresso che tramite un unico tecnicismo, escludendo in tal modo l’esistenza di sinonimi, si parla di biunivocità.
Mentre della parola comune si può solo fornire una parafrasi relativa al valore che assume nell’uso, in molti settori specialistici è invece costante l’esigenza di fissare attraverso enunciati metalinguistici la relazione tra i tecnicismi e il loro significato. Si ricorre in particolare, quando è possibile, alla definizione intensionale della logica aristotelica: l’enunciato che contiene la definizione è composto dalle categorie del genere prossimo e della differenza specifica. Per es., in una formulazione come si definisce prefisso l’affisso che precede la radice, il termine affisso rappresenta il genere prossimo cui appartengono anche il suffisso e l’infisso; che precede la radice indica la differenza specifica, il tratto cioè che permette di distinguere il prefisso dagli altri affissi.
Definizioni di questo tipo sono, di regola, collegate ad altre, nell’esempio citato con quelle di affisso e di radice. Esse tendono, in maniera più o meno estesa a seconda del settore, a costituire fasci di tecnicismi terminologici. La terminologia in senso stretto raffigura quindi, spesso in strutture gerarchiche, l’ordinamento concettuale proprio di una disciplina. Talora s’intende per terminologia anche l’insieme dei termini esclusivi di un linguaggio settoriale (per es., metilarsinato in chimica, anadiplosi in retorica, ecc.). In settori come la biologia e la chimica esistono inoltre delle nomenclature, insiemi di termini chiusi destinati a coprire in modo sistematico ambiti molto vasti della disciplina. Fra le entità i cui termini compongono il lessico nomenclatorio non sussiste necessariamente un rapporto definito in maniera rigorosa; è sufficiente l’esistenza di un elemento di differenziazione raffigurabile secondo regole formative prestabilite. Talora il termine nomenclatura è usato come sinonimo di terminologia, talora come iponimo, in riferimento ai soli oggetti concreti della disciplina o nel senso di ‘terminologia standardizzata’.
La lessicografia specializzata ha il compito di descrivere tutta la gamma dei tecnicismi, da quelli ricorrenti nella comunicazione specializzata ma con valore tecnico non formalmente definito, ai frequenti sinonimi (per es., triangolo equilatero, equiangolo, regolare in geometria), ai tecnicismi terminologici standardizzati. Prescrittiva è invece la produzione di norme terminologiche da parte di organismi nazionali e internazionali, volta ad agevolare la comunicazione e a contrastare gli effetti della crescita esponenziale del lessico specialistico.
L’esistenza di nomenclature o terminologie costruite su definizioni tecniche e secondo schemi di formazione delle parole propri alla singola disciplina è considerata il criterio con cui discernere nell’approccio sistemico le cosiddette lingue speciali all’interno della categoria dei linguaggi settoriali. Le interconnessioni con la lingua comune rimangono tuttavia strette (cfr. già Beccaria 1973), anche al di fuori dei trasferimenti lessicali dalla lingua comune ai linguaggi settoriali (uso specialistico di parole comuni come momento: v. sopra) e viceversa (uso traslato o esteso di termini tecnici: per es., la definizione di depressione in psicologia e il significato di «scoraggiamento anche solo temporaneo» che può avere nella lingua comune). Così, per evitare circoli viziosi in cui nella definizione compaia un termine tecnico non definito altrove, almeno al livello gerarchico più alto del genere prossimo ricorre necessariamente un’espressione della lingua comune (Roelcke 20052: 55 segg.). Più vasta è poi l’estensione semantica di un termine e più tendono a diminuire la precisione intensionale e ad aumentare le definizioni contrastanti. Di parola, per es., esistono varie definizioni linguistiche di cui nessuna universalmente accettata. Che elementi basilari di una disciplina non trovino una definizione da tutti accolta è tuttavia fondamentalmente riconducibile all’esistenza di teorie, prospettive e metodi d’indagine diversi.
Dal punto di vista pragmatico, non si nega che i linguaggi settoriali siano varietà diafasiche, ma si colloca al centro il testo o il tipo di testo tecnico (➔ testo, tipi di), integrando pertanto il livello sistemico con quello dell’uso (Gotti 2005). Tale ampliamento si rende necessario in quanto alcune proprietà ascritte ai linguaggi settoriali emergono soprattutto o solo a livello testuale. Le ricerche empiriche sui linguaggi settoriali evidenziano, per es., che la concezione della monosemia come una loro proprietà sistemica rappresenta in realtà un luogo comune errato (Rovere 1998). Ma già consultando dizionari si constata la frequenza di tecnicismi con significati diversi a seconda del linguaggio settoriale in cui ricorrono: inclusione, per es., è marcato nel GRADIT come tecnicismo dei linguaggi settoriali di biologia, matematica, retorica, mineralogia, metallurgia e botanica. Anche entro lo stesso linguaggio settoriale la polisemia è un fenomeno normale: si pensi, per es., alla varietà di significati di morfema o di fonema in linguistica.
Di fronte al crescente bisogno di denominazioni tecniche e scientifiche agisce, infatti, il principio dell’economia, volto a contenere la proliferazione di neologismi monosemici o addirittura biunivoci. La monosemia si raggiunge allora spesso solo con l’aiuto del contesto, per es., attraverso esplicitazioni.
Osservazioni analoghe si possono fare a proposito della precisione dei tecnicismi, intesa come riferimento più adeguato possibile agli oggetti o concetti del relativo settore specialistico. Il ricorso a determinazioni integrative rispetto al valore semantico sistemico del tecnicismo permette, infatti, di soddisfare il grado di precisione richiesto nella concreta comunicazione. La precisione comunicativa si manifesta d’altronde, a prima vista paradossalmente, anche in forma di indeterminatezza semantica, quando, per es., per motivi referenziali varie opzioni di lettura debbono rimanere possibili. La scelta di tecnicismi ad ampia estensione risulta allora la soluzione più precisa ed economica (sulla tematica, poco studiata in rapporto all’italiano, cfr. Antia 2007).
L’ampliamento dell’ottica, dal termine al testo tecnico, sposta l’attenzione sugli obiettivi comunicativi e sulla selezione dei corrispondenti mezzi linguistici. Entrano in gioco quindi i tipi di azione linguistica e gli atti linguistici (➔ pragmatica; ➔ illocutivi, tipi) frequenti nella comunicazione tecnica, come esporre, spiegare, istruire, ma anche dedurre, presupporre, formulare ipotesi, ecc. Indicatori per il tipo di testo o per l’atto linguistico sono innanzitutto le convenzioni che regolano l’esposizione a tutti i livelli, dalla macrostruttura ai mezzi di coesione (➔ coesione, procedure di), alla progressione tematica, ecc. Nel caso di tipi di testi come le istruzioni per l’uso di medicinali, nella lingua colloquiale chiamate maliziosamente anche bugiardini per segnalare il fallimento dell’obiettivo comunicativo, intervengono norme testuali e lessicali vincolanti. Si vedano in tal senso anche testi giuridici come, per es., il testamento, dove, se non si rispettano le modalità di stesura prescritte, si ha come effetto l’invalidamento dell’atto.
Il quesito se la morfosintassi dei linguaggi settoriali presenti tratti esclusivi (a cui in genere si dà risposta negativa) è rilevante solo nell’approccio sistemico. Nella prospettiva pragmatica conta la distribuzione caratteristica degli elementi morfosintattici in relazione al tipo di testo o di atto linguistico. La nominalizzazione (➔ nominalizzazioni), per es., e il corrispettivo svuotamento semantico del verbo, che favorirebbero l’uso predominante di verbi generici (effettuare, costituire, ecc.), sono indicati come tratti generali dei linguaggi settoriali. In realtà, in testi in cui azioni e processi costituiscono l’argomento centrale, la valenza e la distribuzione di verbi tecnici giocano invece un ruolo rilevante per la strutturazione degli enunciati.
Un contributo fondamentale allo studio della dimensione lessicale e morfosintattica in testi tecnici viene dalla linguistica dei corpora (Connor & Upton 2004; ➔ corpora di italiano). Lo spoglio di corpora elettronici offre, in confronto ad altri tipi di raccolta dei dati linguistici, il vantaggio di un’analisi quantitativa attendibile. Nel caso di testi di lingua comune, per il carattere infinito dell’universo cui appartengono, una qualsivoglia valutazione della rappresentatività del campione parrebbe esclusa in partenza. Nel caso di testi tecnici si dà invece la possibilità di formulare ipotesi circa la validità dei risultati, in dipendenza dal grado di uniformità dei tipi di testo indagati. Un secondo vantaggio metodologico, di natura qualitativa, risulta dalla disponibilità sistematica di dati relativi alle correlazioni tra la dimensione linguistica e le caratteristiche delle rispettive situazioni comunicative, spesso tendenzialmente uniformi.
Le condizioni pragmatiche della produzione e ricezione del testo tecnico includono le caratteristiche sociali degli interlocutori in quanto portatori di ruoli. Si possono distinguere allora, come categorie: gli esperti dello stesso ramo (per es., carpentieri in un cantiere), gli esperti di settori diversi (per es., economisti e giuristi) o di rami diversi dello stesso settore (per es., architetti e ingegneri), gli esperti a livelli diversi dello stesso ramo (per es., medici e infermieri in una clinica specializzata), i semiesperti (persone con competenze tecniche acquisite al di fuori della formazione professionale specifica, per es., gli appassionati di bricolage; o persone in corso di formazione, come gli apprendisti e gli studenti), i profani. Nella comunicazione asimmetrica per competenze e potere, all’uso dei linguaggi settoriali può essere assegnata una funzione volutamente gergale, diretta a escludere dall’accesso ai contenuti della comunicazione chi non appartiene al proprio gruppo. Una caratteristica della comunicazione simmetrica, specie se informale, è l’azione del principio dell’economia sul piano dell’espressione. Le competenze tecniche e linguistiche degli interlocutori esperti intervengono, infatti, a risolvere i casi che ai profani apparirebbero di difficile o impossibile interpretazione, per es., i problemi posti da testi con un basso grado di coesione e di esplicitezza, e con molti accorciamenti e abbreviazioni tecniche di vario genere, nonché i fenomeni di polisemia non disambiguabili in base a criteri formali, presenti nel contesto.
Le funzioni cognitive della comunicazione specialistica portano a considerare la competenza tecnica degli interlocutori come rappresentazione mentale di sistemi di sapere (Lundquist & Jarvella 2000). In tale prospettiva appare evidente che gli ostacoli comunicativi, ricondotti in molta critica linguistica all’uso di tecnicismi non adeguatamente spiegati da parte di esperti che si rivolgono a profani, non sono in realtà eliminabili soltanto con riformulazioni semplificanti. Una precondizione al buon funzionamento della comunicazione consiste in un livello di formazione generale che permetta agli interlocutori profani di comprendere conoscenze per loro natura complesse.
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