cortesia, linguaggio della
Il linguaggio della cortesia è l’insieme delle strategie, norme e convenzioni verbali adottate da una comunità per contenere la conflittualità e favorire l’armonia nell’interazione comunicativa. In quanto tale, l’espressione linguistica della cortesia è un fenomeno socio-pragmatico nel quale intervengono parametri come la distanza sociale tra gli interlocutori, i rapporti di potere e/o di solidarietà, il grado di familiarità, partecipazione affettiva e coinvolgimento. Da questi dipendono scelte linguistiche che variano in relazione al contesto, allo stile, al registro, al canale e al mezzo di comunicazione.
La cortesia non è pertanto un valore assoluto degli enunciati, ma comprende un’intera gamma di sfumature, che dipendono in parte da valutazioni soggettive e in parte dalle norme socialmente condivise in una data situazione. Espressioni che denotano un comportamento rispettoso e sensibile, sentimenti empatici e nobiltà d’animo quali grazia, bontà, gentilezza, affabilità, amabilità, buone maniere, civiltà, compitezza, cordialità, garbatezza, urbanità sono perciò solo sinonimi parziali di un concetto ampio di cortesia che si manifesta in un insieme di forme e modi estremamente vasto ed eterogeneo.
La sistemazione teorica del concetto di cortesia linguistica deve molto ai contributi di sociologi e antropologi, che hanno richiamato l’attenzione sul fatto che in tutte le società e le epoche sono presenti espressioni e formule verbali che tendono a minimizzare i rischi dell’interazione comunicativa e a mantenere l’equilibrio e l’ordine sociale. In questo senso, la cortesia è un aspetto di una proprietà universale: la necessità di risolvere la tensione tra l’impulso biologico ad affermare l’istinto individualistico e l’esigenza di convivenza. Essa si manifesta tuttavia in forme diverse in epoche, culture e società diverse, e ciò giustifica la ricerca di principi generali sottostanti alla molteplice varietà delle sue espressioni.
Secondo un modello teorico molto noto (Brown & Levinson 1987), la logica della cortesia poggia su due presupposti universali: la razionalità e la ‘faccia’. Il primo è rappresentato dal cosiddetto principio di cooperazione formulato da Grice (1975) nel quadro di una filosofia della ➔ conversazione, che presuppone nel parlante e nell’ascoltatore la volontà di collaborare e una razionalità di fondo in grado di guidare inferenzialmente l’interpretazione contestuale degli enunciati. Il secondo, di origine sociologica (Goffman 1967), si riferisce all’immagine che ogni individuo ha di sé e che mette in gioco nell’interazione sociale, investendola di valori emotivi e dell’aspettativa di un riconoscimento reciproco da parte dei membri della comunità.
Reinterpretata come bisogno primario dell’individuo sociale, la nozione di faccia si articola in due profili: un profilo positivo, che corrisponde al bisogno di sentirsi apprezzati e approvati dalla comunità cui si appartiene; un profilo negativo, che corrisponde al bisogno di non subire imposizioni o limitazioni della propria indipendenza e libertà di parola e azione.
Il possesso di queste due proprietà essenziali – la razionalità e la faccia – rende ragione della capacità delle persone di mettere in atto e interpretare le strategie di cortesia come tattiche finalizzate a minimizzare l’impatto potenzialmente offensivo o aggressivo di alcuni atti comunicativi. Atti come ordini, richieste, minacce e avvertimenti sono infatti evidenti minacce al profilo negativo della faccia; accuse, critiche, insulti e lamentele rappresentano invece minacce al profilo positivo. Espressioni che rassicurano l’interlocutore circa il fatto che il parlante non intende recare fastidio o invadere il suo territorio, quali non vorrei disturbare o se mi è permesso disturbarla, contribuiscono a minimizzare minacce del primo tipo, mentre espressioni di solidarietà, riconoscimento e rispetto, quali lei che è un esperto o sarai d’accordo con me, servono a ridurre i rischi del secondo tipo.
Il parlante, concepito come agente razionale che mette in gioco la propria faccia nell’interazione, parteciperà dunque allo scambio comunicativo scegliendo strategie fondate su una valutazione dei rischi che la sua faccia può correre in quella situazione comunicativa. Le strategie di cui può disporre per raggiungere i propri obiettivi sono le seguenti: esprimersi direttamente assumendo interamente su di sé la responsabilità delle proprie intenzioni e formulando il messaggio in maniera esplicita e non ambigua; ricorrere a modalità indirette, allusioni, domande retoriche, metafore, ironia ecc., attraverso le quali si pone come solo parzialmente responsabile del significato comunicato.
Se il rischio per la faccia è avvertito come irrilevante, se le circostanze sono tali (per motivi di urgenza o di efficienza comunicativa) da relegarlo in secondo piano, o se la distanza sociale tra gli interlocutori è incontrovertibile, allora il messaggio può essere formulato senza preoccuparsi del suo potenziale di minaccia, cioè in modo esplicito e conciso (ad es., con un imperativo per le richieste). Se invece il rischio per la faccia è fattore condizionante, possono essere attuate strategie volte a minimizzare la portata del messaggio.
Tali strategie sono di due tipi:
(a) un primo tipo è orientato a ridurre l’impatto potenzialmente negativo sul profilo positivo della faccia dell’interlocutore – cioè l’istinto di appartenenza o il bisogno di socializzazione (si parla, in questo caso, di cortesia empatica o positiva); le strategie tenderanno pertanto a creare l’impressione di ridurre al minimo le distanze sociali e a non sottolineare le eventuali asimmetrie di potere;
(b) un secondo tipo di strategie è orientato al soddisfacimento del bisogno di indipendenza, autodeterminazione e libertà dalle imposizioni dell’interlocutore (cortesia difensiva o negativa). Le strategie di questa natura sono in genere di tipo elusivo e tendono a rassicurare l’interlocutore che questi suoi bisogni di base sono riconosciuti e rispettati. Gli atti potenzialmente in grado di minacciare l’istinto di indipendenza sono perciò formulati con espressioni di scusa, manifestazioni di deferenza, forme passive o impersonali, e in genere contengono modalità linguistiche che indicano assenza di intenzioni coercitive.
Sono esempi di strategie improntate a cortesia empatica: ➔ complimenti ed espressioni di ammirazione (come invidio i tuoi fiori!); espressioni di simpatia e approvazione (mi è piaciuta molto la tua relazione, sai?); espressioni che sottolineano l’ appartenenza al gruppo (mi rivolgo a te come collega); espressioni che limitano il rischio di possibili disaccordi (potremmo forse dire), sfumano il disaccordo o cercano una via intermedia di accordo (A: È lontano? B: Beh, sì, diciamo che ci vuole un pochino a raggiungerlo); espressioni che cercano di stabilire un terreno comune (so che anche tu, come me, ami la musica classica) o attenuano il carattere personale dell’opinione (non so, in un certo senso mi pare che tu possa avere ragione); valutazioni iperboliche (straordinario, meraviglioso); uso di forme inclusive (allora, ce lo mangiamo questo gelato?); l’uso di gerghi tecnici, di ellissi che presuppongono conoscenze reciprocamente condivise, di ipocoristici che denotano familiarità o intimità; e ancora espressioni scherzose, offerte di aiuto, formule di solidarietà.
Le strategie messe in atto per schivare il rischio di esser percepiti come invadenti o irrispettosi (cortesia difensiva) sono tra le più elaborate e altamente convenzionalizzate nel galateo linguistico e comportamentale: basate sul rispetto, riconoscono le distanze sociali tra gli interlocutori ma sfruttano gli strumenti della deferenza e dell’espressione obliqua per sottolineare l’assenza di intenzioni impositive che potrebbero danneggiare l’immagine, il ruolo o il potere dell’interlocutore.
Tipiche espressioni di cortesia difensiva sono: la formulazione indiretta degli atti linguistici (chi avrà preso il mio portafogli?); le forme in cui si traduce la consapevolezza che non è data per scontata né la possibilità di richiedere qualcosa all’interlocutore né la volontà dell’interlocutore di fare qualcosa (potrei chiederLe?; non so se posso permettermi; le dispiace / dispiacerebbe attendere qui?). Rientrano in questa categoria in genere tutte le espressioni che consentono di negoziare il significato lasciando all’interlocutore la libertà di decidere: avverbi dubitativi (forse dovresti dirglielo), domande retoriche (perché non dirglielo?), impersonali (si dovrebbe fare così), passivi (il vaso è stato rotto) e verbi di opinione come penso, credo, suppongo, immagino, che mitigano la forza dell’enunciato (➔ mitigazione) allontanando il rischio di aggressività.
Se nei principi queste strategie possono presumersi universali, la loro codifica è variabile da una lingua all’altra. In generale, le espressioni di cortesia investono tutti i livelli dell’organizzazione linguistica, dall’articolazione dei suoni alla morfologia, al lessico (eufemismi, litoti, formule fisse come per favore / piacere / cortesia, particelle del discorso e gamme intere di sinonimi), fino alle più elaborate costruzioni sintattiche. L’italiano, lingua che uno stereotipo vuole più ‘diretta’ e ‘cordiale’ rispetto per es. all’inglese, presenta alcune aree di espressione formale della cortesia linguistica più articolate che in altre lingue europee. Tra queste, i pronomi personali, i tempi e i modi verbali, e il sistema degli alterati.
Dal punto di vista formale, l’italiano contemporaneo dispone di tre pronomi di allocuzione (➔ allocutivi, pronomi; ➔ appellativi): tu / lei / voi (per varianti regionali, cfr. Niculescu 1966; sulla deissi personale, Renzi 1993 e Scaglia 2003: ➔ deittici). Nella lingua scritta standard, e nell’interazione orale meno formale, la scelta possibile sembra tuttavia limitata al tu e al lei, mentre il voi, riferito a un singolo, appare sempre più relegato a usi marcati per arcaismo e regionalismo (è più diffuso nelle regioni meridionali) o a calchi arcaicizzanti in traduzioni dal francese o dall’inglese (dove non è tuttavia sempre facile sostituirlo con lei).
Per rivolgersi a una pluralità di persone il voi è generale, mentre appare ormai in regresso il loro, decisamente formale e antiquato. Ancora nell’ambito degli usi pronominali, sono strategie di cortesia empatica l’uso dei plurali al posto dei singolari (tra cui il noi inclusivo, che cancella le distanze e introduce una sfumatura di coinvolgimento affettivo: Signor Ambasciatore, cosa possiamo rispondere al nostro amico che ci chiede notizie dei suoi familiari?; e il plurale di modestia) e il tu fittizio o impersonale (quando ti trovi in una situazione così, non è facile decidere cosa fare).
Tra i modi verbali, sono indicatori di cortesia alcuni usi del condizionale (➔ condizionale) e del congiuntivo (➔ congiuntivo). In quanto implica di norma l’idea di un qualche condizionamento reale o ipotetico, implicito o esplicito, il condizionale è uno strumento prezioso per l’espressione di quelle «penombre e luci smorzate» che invitano alla cortesia in contesti in cui l’indicativo «diffonderebbe una piena luce solare» (Serianni 1988: 401). L’uso del condizionale nelle interazioni (ad es., A: Cosa posso offrirti? B: Prenderei un tè) è facilmente interpretabile come apodosi ellittica di protasi quali se non ti disturbo / se per te va bene / se non ti dispiace, evocabili anche in contesti come s’è fatto tardi, andrei (se non ti dispiace). La funzione attenuativa è ben visibile nel condizionale di modestia (potremmo forse dire…); la consapevolezza che la credibilità personale può esser minacciata riferendo notizie non sicure è attestata dai condizionali epistemici (la crisi economica mostrerebbe segnali di ripresa). Il congiuntivo esortativo è un segnale di cortesia quando ha la funzione di mitigare l’imperativo: non solo nelle formule burocratiche (voglia gradire, caro segretario, i sensi della mia più alta considerazione) ma anche in comuni richieste e ordini (rimanga ancora un po’ o si accomodi). Sono strategicamente cortesi anche alcuni usi dell’imperfetto, del futuro e del presente.
L’uso dell’imperfetto cosiddetto attenuativo (➔ imperfetto) è dettato da ragioni di asimmetria dei ruoli sociali nel caso di contesti commerciali (desiderava?); in altri casi ragioni di pudore possono indurre il parlante a minimizzare l’urgenza di una determinata richiesta (volevo dirti) o ad attenuare una richiesta che all’indicativo volitivo può essere percepita come forma impositiva (buongiorno, volevo una cartuccia per la stampante). Con il futuro attenuativo (ti dirò, non ti nasconderò…) (➔ futuro) un evento presente è idealmente dislocato nel futuro, come a frapporre una distanza fra il momento dell’enunciazione e il momento dell’avvenimento, sì da attenuare l’impatto di una realtà che può essere giudicata spiacevole o da accrescere la sorpresa. Analoghe considerazioni valgono per il futuro epistemico in suppongo che avrai fame o accomodati ché sarai stanco.
La ricca morfologia degli alterati (➔ alterazione) consente una vasta gamma di modulazioni, semantiche e pragmatiche, del significato di nomi, verbi e aggettivi che, spaziando dall’affettività alla ludicità, introducono nell’interazione dimensioni valutative rientranti nella logica della cortesia. I diminutivi, ad esempio, possono servire a mitigare gli effetti potenzialmente aggressivi o negativi di un enunciato (sei un po’ dimagritina?; fa freddino qui dentro). Dal punto di vista pragmatico, l’uso del diminutivo può corrispondere a una strategia di cortesia a polarità sia positiva che negativa, come nel caso del diminutivum modestum (daresti un’occhiatina al mio lavoro?; ho paura di aver fatto qualche errorino) o del diminutivum puerile, impiegato, a imitazione del linguaggio per bambini (➔ baby talk), sia come alleggerimento della responsabilità di un atto linguistico sia come evocazione di valori affettivi quali la tenerezza, la piacevolezza, l’innocenza o la familiarità (il mio bel computerino si è rotto; posso ricordarti di fare quella telefonatina?). Anche l’uso di accrescitivi (mi hai fatto un piacerone!; una dormitona ti fa passare tutto), vezzeggiativi (Gianna è rotondetta) o ipocoristici (Marcellina, Peppinuccio) consente l’instaurarsi di una relazione ludica, di coinvolgimento emotivo o di familiarità che riduce psicologicamente la distanza tra parlante e interlocutore favorendo la cortesia positiva (Dressler & Merlini Barbaresi 1994).
Espressioni di cortesia altamente convenzionalizzate sono i saluti (➔ saluto, formule di), dai più formali buongiorno, buonasera o arrivederci alla cortesia ‘familiare’ di ciao o quella neutra di salve; le formule di ringraziamento (grazie, prego, non c’è di che), di presentazione (molto lieto, piacere) e di scusa (spiacente, mi scusi); e i ➔ convenevoli.
Celebrata fin dall’antichità nelle culture orientali per i suoi aspetti rituali e cerimoniali e per le sue virtù civiche di strumento della stabilità e dell’equilibrio sociale, nella tradizione occidentale la cortesia deve alla cultura medievale e rinascimentale italiana e romanza la sua elaborazione più raffinata. La relazione etimologica che lega corte e cortesia, e i rapporti di quest’ultima con le altre qualità del comportamento cortigiano, pervadono tutta la cultura umanistica e rinascimentale, rinviando a una compitezza e raffinatezza di modi che si ammanta nel conversare di grazia, piacevolezza e sprezzatura, unite a prudenza ed eleganza.
Quanto alla comunicazione scritta, le origini dell’espressione linguistica della cortesia possono farsi risalire a quell’ideale di urbanitas che già nel medioevo si riproponeva nelle formule di discorso e norme di composizione epistolare fornite dai modelli di ars dictandi e ars aregandi (Held 2005). In questi ultimi, l’eredità classica si combina con i valori cristiani di umiltà e modestia per creare una sovrabbondanza di onorifici, espressioni di sottomissione e complimenti che si cristallizzano nel tempo in elaborate espressioni linguistiche di modestia, particolarmente nelle formule di congedo e di saluto (A Vostre Signorie mi offero et raccomando; La riverisco devotamente; Faccio umilissima reverenza; Bacio le mani; Vi sono schiavo, da cui la forma ciao), nelle richieste e nelle suppliche (La presente supplica umilio ai vostri piedi); mentre i superlativi onorifici abbondano soprattutto nelle intestazioni (Illustrissimo Signore, V.S. reverendissima et illustrissima).
Alcune di tali formule sopravvivono oggi nel linguaggio accademico e burocratico (Magnifico Rettore, Chiarissimo Professore, Onorevoli Colleghi, Amplissimo Preside) e nelle formule di saluto epistolare (La prego di / Voglia accettare / gradire i miei più distinti saluti).
In tempi recenti, con il rapido sviluppo della comunicazione per via digitale (e-mail, blog, forum, chat e sms: ➔ Internet, lingua di; ➔ posta elettronica, lingua della), si stanno instaurando nuove modalità espressive della cortesia che in parte rispondono ai codici etici del comportamento in rete (netiquette o chatiquette) e in parte riflettono le specificità del mezzo.
La consapevolezza che gli aspetti affettivi e paralinguistici non sono riproducibili nello scritto, fa sì, ad es., che i saluti intensifichino le componenti espressive sul piano lessicale, morfologico e grafico: bacioni bacionissimi, un mare di baci, ciaooooo!; mentre la possibilità di mantenere costantemente aperto il canale comunicativo porta alla sostituzione del congedo con formule che segnalano che l’allontanamento è solo momentaneo.
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