Linguaggio e globalizzazione
Il termine globalizzazione designa un insieme di processi d'integrazione in campo socioeconomico e nelle comunicazioni che si è affermato alla fine del 20° secolo. Sociologi come T. Friedman e A. Giddens vedono nella globalizzazione l'effetto inevitabile del contesto socioeconomico mondiale, che porta al superamento delle culture tradizionali; altri (N. Chomsky, L. Gallino) assegnano un ruolo decisivo alle scelte dei poteri economici e politici internazionali e finalizzate alla liberalizzazione dei movimenti di capitale e del mercato del lavoro (Chomsky 1998). Z. Bauman mette in luce sia la crisi identitaria sia l'incertezza nei rapporti sociali che essa determina.
Uno degli effetti della globalizzazione è la deterritorializzazione, per cui certi gruppi (no global, élites facoltose ecc.) condividono tratti culturali, modelli di pensiero e di comportamento transnazionali e universalistici. Più in generale la globalizzazione ha innescato fenomeni di deculturazione e sradicamento sotto la spinta dell'egemonia culturale occidentale, inclusa l'imposizione di relazioni sociali basate sui meccanismi del mercato. L'indebolimento delle culture locali crea i presupposti per un'omogeneizzazione senza integrazione, caratterizzata da forti differenze socioeconomiche e culturali, che porta alle migrazioni di massa verso "cittadinanze pregiate" (Bauman 1998). I processi d'integrazione politica ed economica, il formarsi di società multiculturali e multilingue e l'affermarsi di una nuova consapevolezza globale determinano importanti cambiamenti nella cultura e nel pensiero in un mondo nel quale distanze e differenze tendono a essere sempre meno percepibili. Riguardo al linguaggio, molti autori mettono in luce il processo di riduzione del numero di lingue parlate, di omologazione del modo di usare il linguaggio e delle regole della comunicazione linguistica; i "sistemi di emittenza occidentali" tendono a imporre i propri "universi simbolici" (Zolo 2004) al resto del mondo.
Un effetto dei fenomeni di deterritorializzazione è la diffusione e l'uso dell'inglese-americano, che si è imposto come lingua globale. La salvaguardia di interessi collettivi primari, come le diversità culturali e linguistiche di ciascun Paese o gruppo sociale, richiede quindi soluzioni capaci di tutelare le particolari identità. In questa prospettiva, risultano decisivi i contenuti della comunicazione, dell'informazione e della conoscenza, anche in rapporto alla funzione sociale del linguaggio. Del resto, fra i tratti che contraddistinguono l'essere umano, la lingua è indubbiamente quello che esprime i caratteri più intimi del parlante, rappresentandone un elemento di identità sociale e realizzando una facoltà fondamentale della sua mente. Grazie alla lingua si possiede un'identità comune, che fonda qualsiasi gruppo sociale; non a caso la storia linguistica di una comunità rende possibile indagarne la vita sociale e culturale. La stessa diffusione delle lingue è disomogenea, per cui alcune lingue legano interi continenti mentre altre sono circoscritte in singole aree e utilizzate da un numero esiguo di parlanti. Tra le migliaia di lingue vive esistenti al mondo, solo dieci sono ampiamente diffuse e non più di cinquanta parlate da almeno cinque milioni di persone. Per quanto attiene alle dieci lingue più diffuse, le stime del World Almanac 2005 attribuiscono al cinese mandarino 1,75 miliardi di parlanti, all'inglese 514 milioni, all'hindustani 496 milioni, allo spagnolo 425 milioni, al russo 275 milioni, all'arabo 256 milioni, al bengalese 215 milioni, al portoghese 194 milioni, al malese-indonesiano 176 milioni e al francese 129 milioni. La diversa diffusione delle lingue risponde anche a processi di pianificazione e di standardizzazione linguistica funzionali alla realtà sociale e ai rapporti economici contemporanei, come nel caso delle grandi lingue veicolari.
Nel processo di globalizzazione la lingua ha un valore di mercato, come evidenziato dal predominio dell'inglese, il cui insegnamento e uso nell'editoria corrisponde a interessi di natura economica. Il rapporto tra lingua globale e lingue locali evoca il processo di formazione delle lingue nazionali fra Ottocento e Novecento. In tale processo furono determinanti gli interessi del potere economico e le condizioni di organizzazione delle nuove società nazionali che tendevano a ridurre le condizioni d'uso dei sistemi linguistici non funzionali alle nuove esigenze di una comunicazione molto più estesa e comprensiva (Anderson 1991). La supremazia della lingua inglese nel linguaggio dell'economia, delle scienze e delle relazioni sociali in senso lato è esplicitata in indicatori dello stato socioculturale come l'indice di sviluppo umano e della qualità della vita che combina il PIL con i livelli di alfabetizzazione e scolarizzazione della popolazione adulta e vede i Paesi anglofoni attestati sui punteggi più elevati. Le richieste di tutela dei diritti linguistici, come nel caso della questione linguistica europea, toccano uno dei meccanismi principali di organizzazione della società, in quanto riguardano direttamente la compatibilità delle differenze linguistiche e culturali con le esigenze dei poteri economici e politici. Peraltro, la diffusione dell'inglese crea disuguaglianza per quanto riguarda la necessità sia di un'editoria sia di una comunicazione bilingue.
Nel caso dell'Europa, per es., si è discusso a lungo sulla questione della 'babele linguistica' e delle lingue ufficiali dell'Unione Europea. In effetti le diverse lingue parlate in Europa costituiscono un patrimonio comune di tutti i popoli che le parlano; riconoscerne l'importanza significa promuovere i diritti linguistici come parte dei diritti di libertà dei cittadini europei. A un livello più profondo, significa tener conto dell'importanza della diversità linguistica come espressione dei meccanismi alla base del funzionamento del linguaggio nella mente degli esseri umani. Le istituzioni scolastiche dei Paesi europei si trovano davanti al compito di rafforzare o introdurre le forme di multilinguismo che potranno garantire non solo la ricchezza del patrimonio delle lingue attuali, ma anche renderlo utilizzabile da un maggior numero di cittadini. Il legame tra linguaggio e tecnologie dell'informazione, e il fatto che queste ultime si esprimono prevalentemente in inglese, come tramite nella comunicazione tra ambienti linguistici diversi, ha comportato la formazione di neologismi sotto la diretta influenza dell'angloamericano nel lessico delle diverse lingue. Questo fenomeno non ha solo implicazioni di politica linguistica, ma investe dinamiche interne alle lingue stesse come effetto dell'esigenza di esprimere mutate condizioni materiali e sociali.
Secondo M. Heller (1999) la globalizzazione porta all'omologazione non solamente attraverso la sostituzione di una lingua a un'altra e l'acquisizione di prestiti, ma anche nei modi di parlare, nella prosodia, come anche nelle modalità pragmatiche dell'interazione comunicativa, nell'abbandono di registri tradizionali e così via. È stata seguita anche la strada di promuovere una lingua artificiale in grado di contrastare il predominio culturale e politico degli Stati Uniti. I vari tentativi di coniare una nuova lingua internazionale europea non hanno avuto reale applicazione, anche a causa della banale semplicità della struttura di tale lingua e l'assenza di regole generali, come nel caso del basic english. Alcune proposte recenti consistono di usi semplificati e situazionali, come il globish, una forma di inglese che ricorre alle parole più comuni e ai costrutti di base, oppure l'europanto, concepito come amalgama di lingue diverse in funzione del contesto comunicativo.
In effetti i canoni linguistici globalizzati possono sostituirsi a quelli locali inibendo la diversità. In particolare, le nuove tecnologie e Internet (v.) hanno contribuito a coniare nuovi generi testuali con analogie con i generi tradizionali, ma con caratteri di originalità, come, in particolare, testi e documenti in forma digitale, i nuovi strumenti per la formazione a distanza e le nuove forme di comunicazione (per es., sms ecc.). Per contrasto la globalizzazione non annulla automaticamente le differenze linguistiche e culturali. Le società multiculturali, infatti, alimentano il multilinguismo e i fenomeni di commutazione tra lingue e di mescolanza linguistica collegati alla conoscenza di più lingue da parte dei parlanti e alla complessità e varietà delle interazioni comunicative; provocano, inoltre, il formarsi di lingue di apprendimento. Si determina così un ricco quadro di variazione linguistica che riflette potenzialità cognitive dell'essere umano. Lo schiacciamento verso l'uniformità globale inoltre coabita con la rivalutazione di realtà locali. Da una parte vi è un forte interesse per le culture e per le lingue locali, e il mercato globale, in particolare, valorizza a scopi turistici e comunque di profitto i patrimoni linguistici culturali locali. Dall'altra, in concomitanza con i processi di globalizzazione sono emersi gli ultranazionalismi e i fondamentalismi religiosi che avversano le lingue globali. Un'importante conseguenza della difesa e della valorizzazione della diversità linguistica risiede nel fatto che tali atteggiamenti favoriscono un'educazione alla tolleranza. A questo proposito A. Pizzorusso, parlando della tutela delle lingue minoritarie, scrive: "[...] l'obiettivo delle misure di tutela delle lingue intese come beni culturali è anche quello di far capire a tutti che la propria lingua è soltanto una delle possibili forme di espressione e che essa non è né migliore né peggiore delle altre, incrementando lo spirito di tolleranza e di comprensione fra i popoli" (Pizzorusso 1993, p. 201).
bibliografia
B. Anderson, Imagined communities, London-New York 1991 (trad. it. Roma 1996).
A. Pizzorusso, Minoranze e maggioranze, Torino 1993.
Z. Bauman, Globalization. The human consequences, Cambridge-Oxford 1998 (trad. it. Dentro la globalizzazione: conseguenze sulle persone, Roma-Bari 2001).
N. Chomsky, The common good, Monroe 1998 (trad. it. Casale Monferrato 2004).
M. Heller, Alternative ideologies of la francophonie, in Journal of sociolinguistics, 1999, 3, pp. 336-59.
D. Zolo, Globalizzazione. Una mappa dei problemi, Roma-Bari 2004.