linguaggio
Il canto degli uccelli
Gli uccelli canori mostrano la comunicazione vocale di gran lunga più elaborata nel mondo animale, a parte l’uomo. I loro canti sono particolarmente complessi, appresi e trasmessi culturalmente da una generazione all’altra, spesso arricchiti da invenzioni e improvvisazioni. Esperti nel campo del linguaggio umano e nel canto degli uccelli hanno spesso messo in evidenza aspetti paralleli fra i due tipi di linguaggio ed é possibile che tale studio comparato fornisca indizi per comprendere l’apprendimento della comunicazione nell’uomo. Il canto degli uccelli consiste di sequenze ordinate di suoni, il più piccolo elemento dei quali é chiamato nota ed é considerato analogo alle unita fonetiche nell’uomo (➔ fonemi). Le note sono raggruppate in ‘sillabe’, che rappresenterebbero l’unita di base del canto, così come lo sono nel linguaggio umano.
Come nell’uomo, il canto deve essere appreso. Gli uccelli non imparano a cantare e i bambini a parlare se non vengono esposti ai segnali comunicativi degli adulti della propria specie (➔ imprinting). La maggior parte degli animali non necessita dell’esposizione ai segnali di comunicazione della propria specie per essere in grado di metterli in atto, suggerendo che tali segnali rappresentano comportamenti innati, che si basano su circuiti specie-specifici e geneticamente specificati e che quindi non richiedono l’esperienza per maturare. Linguaggio e canto degli uccelli non sono perciò comportamenti innati: tuttavia, neonati e piccoli uccelli mostrano alla nascita predisposizioni percettive, presumibilmente innate, per segnali vocali specie-specifici. Nei neonati, queste predisposizioni consistono nella capacità di discriminare i fonemi di tutte le lingue, punto di partenza per acquisire la fonologia (➔ fonazione; fonemi) di qualunque lingua; nei piccoli degli uccelli é stata documentata la predisposizione a utilizzare come modello il canto della propria specie e la presenza di caratteristiche specie-specifiche del canto essenziali per innescare l’apprendimento. Che lo sviluppo del repertorio vocale maturo rifletta un apprendimento é stato chiaramente mostrato non solo dalla immaturità del canto di uccelli cresciuti in isolamento, detto canto isolato, ma anche dal fatto che gli uccellini apprendono il canto della specie con le inflessioni del tutore al cui canto sono stati esposti e quelli cresciuti in una zona mostrano un ‘dialetto’ diverso da quelli cresciuti in un’altra zona. Il fatto che gli uccellini cresciuti in isolamento producono un canto immaturo, ma che ha comunque alcune caratteristiche della specie, rinforza l’idea che ci sia una predisposizione innata alla comunicazione vocale tipica della propria specie. L’apprendimento al linguaggio richiede sia la percezione e la memorizzazione dei suoni da riprodurre (apprendimento percettivo), sia l’apprendimento a riprodurre il suono memorizzato attraverso la propria vocalizzazione (apprendimento sensorimotorio). Entrambi i processi dipendono dall’udito. Per gli infanti, il compito consiste nell’immagazzinare in memoria i modelli dei fonemi e la prosodia che caratterizzano la loro lingua madre; gli uccelli immagazzinano le note, le sillabe e le caratteristiche prosodiche che caratterizzano il canto della loro specie. A questo punto, sia gli infanti sia gli uccellini devono esercitarsi a riprodurre i modelli appresi, procedendo per prove ed errori, attraverso il feedback uditivo. Il paragone della ontogenesi dei repertori comunicativi negli infanti e negli uccellini mostra perciò paralleli impressionanti.
Lo sviluppo del canto richiede l’esperienza dell’ascolto del tutore entro un periodo critico (➔) dello sviluppo precoce. Se l’uccellino viene deprivato dell’ascolto di almeno un tutore conspecifico durante questo periodo, produrrà un canto isolato anche se l’ascolto del tutore si fosse reso poi possibile. Se l’uccellino viene privato dell’udito dopo aver fatto esperienza del canto di un tutore, ma prima che si chiuda il periodo critico per l’apprendimento sensorimotorio, il canto prodotto sarà anormale, in quanto, non potendo udire il proprio canto, l’uccellino non riesce a esercitarsi – per prove ed errori – a riprodurre i prototipi appresi (e nemmeno le caratteristiche specie-specifiche innate), correggendo i gesti articolatori che conducono alla produzione del suono finche il suono emesso non uguagli il suono in memoria. Se un uccellino privato dell’ascolto di un conspecifico viene esposto all’ascolto del canto registrato, imparerà a cantare. Se ciò viene però fatto in corrispondenza della chiusura del periodo critico per l’apprendimento percettivo, non é sufficiente a permettere la formazione di prototipi da riprodurre e quindi l’uccellino produrrà il canto isolato. Se però esso viene messo insieme a un tutore durante lo stesso periodo, si ha lo sviluppo di un canto normale; quindi, la durata del periodo critico dipende dall’esperienza stessa, in questo caso dall’esperienza sociale. Altre evidenze che sottolineano l’importanza delle interazioni sociali nell’apprendimento del canto sono state ottenute in specie di uccelli diversi. Per es., il passero dalla corona bianca fornisce feedback uditivi che influenzano il repertorio dei piccoli e l’apprendimento di un canto alieno richiede l’interazione con il tutore non conspecifico, mentre la sua voce registrata non risulta sufficiente. Nell’uomo, é stato dimostrato che l’esperienza con un parlante in una lingua non materna determina, in bambini di 9÷10 mesi, la ricomparsa della capacità di discriminare i fonemi in questa lingua, perduta con lo sviluppo dei prototipi nella propria lingua; l’esperienza con un video dello stesso parlante risulta invece inefficace. Nel 2003, é stato dimostrato che la interazione sociale con altri individui della propria specie influenza la lallazione non solo in termini di maggiori emissioni vocali ma anche di maggiore maturità dei suoni emessi.