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LINGUAGGIO

di Antonino Pagliaro - Enciclopedia Italiana - II Appendice (1949)
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LINGUAGGIO (XXI, p. 199)

Antonino Pagliaro

Gli sviluppi degli studî linguistici nell'ultimo decennio, dando sempre maggiore consistenza alla lingua come sistema e struttura, richiedono che il problema del linguaggio si ponga nel rapporto fra lingua e facoltà umana (linguaggio) oltreché in quello fra lingua e atto linguistico (parola).

Il linguaggio è la facoltà propria ed esclusiva dell'uomo di esprimere con simboli fonici il contenuto della propria coscienza. Esso costituisce uno dei mezzi, certo il più importante, della sua ambientazione nella natura, poiché gli consente di organizzare simbolicamente, e perciò dominare, il mondo della propria esperienza, dalla più elementare alla più alta e complessa. Dal lato fisiologico, esso è fondato sugli organi della voce e dell'udito ed è facoltà primaria, e non secondaria, "soprastruttura" come taluno afferma, poiché i presupposti psico-fisiologici della produzione della voce articolata esistono e sono immanenti nella struttura fisica e psichica dell'uomo. Oltre alla capacità di articolare complessi fonici di varietà illimitata e di trattenerne l'immagine acustica nella memoria, oltre alla prontezza e rapidità di tutti i movimenti fonatorî, che sono sinergici e perfettamente coordinati all'impulso volitivo dell'esprimere, è nell'uomo la capacità naturale, a lui esclusiva, di assumere il segno fonico come simbolo, cioè forma di un conoscere. Mentre dal punto di vista fisiologico il linguaggio appartiene all'ordine dei fatti motori, come è da tutti riconosciuto, per la libertà che in esso dall'interno agisce, appartiene all'ordine dei fatti finalistici, ai quali non è possibile applicare il principio di causalità, valido per i fenomeni di natura. Il mancato riconoscimento di tale suo carattere ha pesato assai gravemente sulla teoria e sulla ricerca linguistica.

Ciò che caratterizza il linguaggio nella sua realtà finalistica è l'esigenza ad obiettivarsi che inerisce al moto della coscienza poiché essa è il primo e più importante grado di quell'esprimere ed esternarsi che è proprio della natura umana, in quanto spirituale, dell'uomo cioè, in quanto soggetto di storia. La psicologia distingue in esso varie funzioni: l'annunzio (Kundgabe), cioè la manifestazione ad altri, impulsiva ed immediata, di un proprio moto interiore; l'appello (Auslösung o Appel), cioè il richiamo a sé dell'attenzione altrui; infine, la rappresentazione (Darstellung), cioè lo sviluppo in termini descrittivi di ogni dato d'intuizione, perché altri possa venirne in possesso; questa pluralità di funzioni corrisponde, all'ingrosso, a momenti differenziati della coscienza: l'annunzio al sentimento, l'appello alla volontà, la rappresentazione al conoscere e al pensare. In verità, la funzione del linguaggio si coordina ad un fine unitario che è quello, come si è detto, di obiettivare, per sé od altri, un momento della propria coscienza.

Tale obiettivazione, anche quando si tratti di una sensazione, presuppone un conoscere analitico del dato intuitivo, cioè la scomposizione di esso nei suoi elementi caratterizzanti, mediante il richiamo ad unità concettuali che li inquadrino come conoscere. Nell'atto linguistico, infatti, ogni elemento dell'intuizione che l'analisi ha rilevato viene collegato ad un segno fonico di valore universale ed il complesso dei segni assume, nel rapporto reciproco, una determinazione di contenuto, atta a ricostituire, come rappresentazione, l'intuizione medesima. Ogni forma di attività spirituale, comunque qualificabile - estetica, razionale, pratica - che tenda ad obiettivarsi linguisticamente, deve essere ricondotta a questo livello immediato ed essenziale di conoscere che è alla base della parola (linguaggio in atto) e che nella lingua (linguaggio obiettivato in un universale concreto) ha il suo riflesso come forma. Alla parola (la distinzione terminologica fra "parola" e "lingua" è del De Saussure) spetta di realizzare l'obiettivazione attuale secondo la tecnica che le è propria, cioè mediante l'opportuno convergere dei segni di lingua, portatori di valori universali, verso un contenuto determinato. Il linguaggio è dunque un grado, una misura, per dir così, del conoscere, al quale ogni momento della coscienza viene a riportarsi, nell'atto in cui tende ad obiettivarsi come voce articolata, discorso: è la proiezione, su un piano, dell'illimitata verità di intuizioni ed impulsi che costituiscono la vita interiore, conseguita mediante il congegno dei segni fonici che nel loro contenuto semantico, sono entità conoscitive collettivamente storicizzate e nella forma fonica sono elementi distintivi di quel conoscere, atti a richiamarlo nella forma che è propria di ogni primo conoscere, cioè l'intuitiva.

Il problema dell'origine del linguaggio, che tanto preoccupa psicologi e linguisti, è un problema insolubile perché strettamente legato con il problema delle origini umane. È, comunque, posto erroneamente, quando alla base di esso si ricerchi un legame di naturale necessità fra il suono e il significato. Difatti, poiché il linguaggio appartiene all'ordine dei fatti finalistici, il legame fra suono e significato, necessario all'interno del sistema, è un puro prodotto dell'intenzionalità dell'esprimere, quindi un prodotto di libertà; come tale, esso è conoscibile sul piano della storia. In altre parole, il problema dell'origine del linguaggio è legittimo solo come problema dell'origine di singole lingue; ma, in fondo, è una mera finzione, poiché l'immenso periodo della preistoria è precluso al nostro sguardo. L'unica possibilità che a noi rimanga è di riconoscere come creatrici delle forme primordiali del linguaggio le stesse forze che vediamo operanti nello sviluppo delle lingue storiche: intenzione d'intendere ed intenzione di esprimere, in quanto l'una e l'altra convergono a dare stabilità e validità ad un complesso fonico che, nel suo rapporto naturale con il significato di cui è portatore, appare assolutamente arbitrario.

La parola è fatto intellettuale, intuizione di un rapporto fra il contenuto della coscienza che si vuole esprimere ed un complesso di segni significanti presenti nella memoria. Di contro alla parola, cioè all'atto linguistico individuale, la lingua si pone come la sua condizione tecnica e, al tempo, come l'universale concreto in cui essa si realizza. È merito del De Saussure e delle scuole che fanno capo al suo insegnamento, l'avere riconosciuto e legittimato l'esistenza della lingua come realtà a sé stante di contro alla tendenza idealistica che guarda soltanto all'atto linguistico e, perciò, esaurisce il fatto linguistico nella creatività inerente alla parola di tale creatività, inoltre, l'idealismo non dà un'immagine verace quando vuole, sulle orme del Vico, identificarla con l'attività estetica ripetendo, in senso diverso, lo stesso errore della speculazione logicistica che tanto ha insistito per identificarla con il pensiero.

Vero è, invece, che la lingua esiste a sé, come sistema di distinzione il quale, in quanto distinguere, è fondato su un delicato e complesso congegno di correlazioni e di opposizioni, da cui deriva la sua funzionalità permanente. Numerosi ed autorevoli studiosi oggi aderiscono all'indirizzo della cosiddetta linguistica strutturale che riconosce nel compianto principe Trubetzkoy il suo più eminente promotore, specie nel campo della fonologia. Nonostante ciò, gli strutturalisti si trovano preclusa ogni via a rendere conto del perché la struttura si trasformi nel tempo: in altri termini essi non riescono a conciliare la sincronia e la diacronia, secondo la nota distinzione desaussuriana, nella considerazione della lingua.

Ciò accade perché è impossibile escludere dalla lingua il parlante, in quanto l'esigenza al distinguere, immanente nel sistema e sua ragione d'essere, è momento attivo e si rinnova perennemente nell'atto linguistico, riflettendo nella forma la creatività (propriamente linguistica e non estetica o razionale o pratica) che è inerente ad esso come ad ogni atto umano. Poiché l'atto linguistico, pur essendo atto di libertà, è determinato in una particolare storicità che è quella del parlante e del sistema a cui questi aderisce e non è affatto arbitrario, la nozione di socialità del linguaggio - a cui si suole ricorrere per spiegare la sua proiezione come lingua, - è parziale ed arbitraria; non la sola socialità, ma la storicità dell'individuo in tutta la sua pienezza si integra nella lingua, così come non una semplice parte, ma tutta la funzionalità del sistema si realizza nel suo parlare in atto. Ciò fa sì che la lingua - sistema in cui si attua come funzionalità un distinguere in funzione di un conoscere - mentre obbedisce alla legge stessa del suo esistere come struttura e sistema; in quanto riflette una storicità si trasforma nel tempo, poiché la sua storicità è quella stessa dei parlanti di cui raccoglie e stabilizza la creatività linguistica.

Bibl.: Della vastissima bibliografia sulla problematica del linguaggio negli ultimi anni ricorderemo qui solo Fr. Kainz, Psychologie der Sprache I, Grundlagen der allgemeinen Sprachpsychologie, Stoccarda 1941, utile più che per la trattazione in sé, con la quale le vedute espresse sopra hanno assai poco in comune, per la notevole vastità e compiutezza di riferimenti a teorie e ricerche più recenti. Gli indirizzi teorici attuali meglio si rispecchiano nelle riviste di tendenza strutturalista, come gli Acta linguistica, Copenaghen 1939; Cahiers Ferdinand de Saussure, Ginevra 1941; Lingua, Haarlem 1948.

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