CAUCASICHE, LINGUE
Con questo nome s'intendono quelle lingue del Caucaso e delle regioni immediatamente adiacenti, che per struttura grammaticale e per il vocabolario si staccano così notevolmente dalle lingue d'origine indoeuropea, semitica o uralo-altaica da poter essere raggruppate in una famiglia di lingue a sé. Sono chiamate causasiche perché presentemente si trovano soltanto nel Caucaso o nelle sue immediate vicinanze.
Questa famiglia linguistica comprende tre gruppi, le cui reciproche relazioni non sono ancora chiaramente stabilite; ché anzi si differenziano notevolmente, tanto da doversi supporre che la loro separazione da un ipotetico proto-caucasico debba essere avvenuta in un tempo molto antico. La migliore designazione per tali gruppi è quella desunta dall'area geografica di diffusione; si distinguono quindi: 1. il gruppo meridionale (o sud-occidentale); 2. il gruppo nord-occidentale; 3. il gruppo nord-orientale.
Il gruppo meridionale comprende le lingue seguenti: il georgiano, unica lingua caucasica che abbia una letteratura scritta, parlato nella Georgia in senso lato, e quindi in Cartalinia, Cachetia, Imeretia, Guria, ecc.; il mingrelio nella Mingrelia; il laso, strettamente connesso col mingrelio, nel Lasistan; il suano nella montuosa Suanetia. Queste lingue hanno varî dialetti; la loro migliore denominazione complessiva è quella di lingue cartveliche.
Il gruppo del NO. comprende il circasso (adyghé) in senso lato, i cui dialetti secondo le più recenti indagini si possono dividere in due gruppi: il cabardino (qabardi, alto circasso) e il kjach (basso circasso). Il territorio del circasso si estendeva su tutta la regione del Kuban e dei suoi affluenti di sinistra, e su una parte delle coste del Mar Nero, all'incirca da Anapa sino al fiume Šache. Nel 1864 la maggior parte dei Circassi emigrò nella Turchia asiatica ed europea; i rimasti formano ora isole sparse tra gli altri popoli che occuparono il loro antico territorio: sono principalmente i Cabardini non emigrati, che vivono nella Grande e Piccola Cabardia.
Il gruppo del NE. va diviso anzitutto in due sottogruppi: il ceceno e il lesgo (daghestanico). I Ceceni si suddividono in numerose comunità: il loro paese è chiamato Cecenia, ma questo nome non ha un significato geografico molto preciso: è il paese sul declivio settentrionale della catena andica, la pianura bagnata dal Sunža e dai suoi affluenti, che però si addentra assai nei monti. I Ceceni sono noti sotto varî nomi; essi stessi si dànno quello di Nachčno (plurale Nachčni); la loro lingua, nonostante differenze dialettali, è assai uniforme. La lingua della tribù cecena dei Bats, separatasi in passato dal ceppo principale, limitata al di qua della cresta principale dei monti, fra i Tusci cartvelici, si è così allontanata dal ceceno comune da doverla considerare una lingua a sé.
Il sottogruppo lesgo (daghestanico) comprende il maggior numero di unità linguistiche: fra di esse se ne trovano di minuscole, parlate in una sola località. Il loro territorio è la regione montuosa chiamata Daghestan, sulla costa occidentale del Mar Caspio; fuori di questo territorio s'incontra una sola lingua lesga. Nella parte occidentale di questa regione s'incontra l'avaro, parlato in una larga zona dal N. al S., dove oltrepassa la catena principale dei monti e si spinge sino nella Transcaucasia (Zakataly); esso è la lingua della più numerosa e potente popolazione del Daghestan. All'O. di essa, sulle rive del Kojsu andico e dei suoi affluenti, domina una serie di lingue minori, strettamente connesse con l'avaro: andi, botliq, godoberi, karata, bagulal, oamalal, tindi e - assai divergente dalle altre - achuach (atluatl); più a monte si trova il gruppo dido, col dido propriamente detto, lo chuarši, il qapuči e lo chunsal. Nel NO. del Daghestan si trovano le lingue comprese sotto il nome di dargua (darkua): l'ircano (hurqili) con l'aquša il varkun (o vurkun) con il kara-kaitagh e il qubuči (questo elenco è provvisorio). Nel centro del Daghestan, a est dell'avaro: il laco (detto anche casicumucco) e l'arči, parlato in un solo villaggio. Il resto del Daghestan, cioè la parte SE., corrispondente all'ingrosso al bacino del Samur, è diviso in tre regioni linguistiche: una settentrionale, col tabasaran e l'aghul; una centrale, il vero e proprio bacino del Samur, col curino (kiiri), il rutul e lo tsachur, e una meridionale, intorno al massiccio montuoso chiamato Šag-dag, che comprende le piccole lingue buduch, džek (qryz) e chinalug. Nei due villaggi transcaucasici di Vartašinsk e Nindž all'E. di Nucha, si parla ancora l'udi, piuttosto corrotto e fortemente influenzato dall'armeno e dal tataro.
Poco si può dire circa i dialetti. L'arči, parlato da 800 persone, non può avere formazioni dialettali; l'udi di Vartašinsk e Nindž mostra già una differenziazione dialettale, e nell'avaro si distinguono parecchi dialetti: così, p. es., l'avaro di Zakataly ha un solo suono laterale, mentre quello di Chunzach ne presenta quattro. Nel curino si trovano pure differenze dialettali, che tuttavia non ostacolano l'intercomprensione. Si noti che i Curini si dànno il nome di lezgì (pl. lezgìar) e chiamano la propria lingua lezgič'al, nome estesosi poi a tutte le tribù del Daghestan.
Fonetica. - Il sistema dei suoni delle lingue caucasiche è assai differente da quello delle lingue indoeuropee e uralo-altaiche; un po' meno, forse, da quello delle lingue semitiche. Tutte le lingue caucasiche hanno tenui aspirate e tenui con chiusura della glottide, frequenti del pari sono le affricate e fra di esse le serie s e š si incontrano tanto con la chiusura della glottide (espirazione supraglottale) quanto senza di essa. Alcune lingue (ubych, circasso, avaro, arči, dialetti andi-dido) hanno suoni laterali (come quello rappresentato con tl); i suoni labializzati, fischiati e sibilati, e una vasta serie di gutturali (come il ch tedesco e un q simile all'arabo) e velari fanno delle lingue caucasiche le più ricche di consonanti del mondo; il Jakovlev ha riscontrato nel circasso circa 90 consonanti differenti. Al contrario, il sistema vocalico è relativamente povero: si ha l'impressione che, per esempio, i suoni misti ä ö ü si trovino soltanto in quelle lingue che hanno risentito maggiormente l'influsso delle lingue turche; almeno così è per le lingue del Daohestan. Ma anche l'abchazo ha soltanto a e i o uə (o proviene certamente da au); il cabardino aggiunge l'ä; delle lingue cartveliche, il georgiano scritto ha solo a e i o u, il laso anche ö e ü, il mingrelio ä, il suano ä, mentre ö e ü sono relativamente rari.
Flessione. - In quanto alla grammatica, tutte queste lingue hanno un tratto comune, quantunque in qualcuna sia più o meno mascherato: si tratta di quello che, seguendo H. Schuchardt, viene chiamato il carattere passivo del verbo transitivo. Generalmente le lingue caucasiche dicono, come le europee, "io vado", "io giaccio", "io sto", ma di solito non dicono "io amo" o "io voglio", ma "mi è caro", "mi è volontario"; così pure non dicono "io uccido il nemico", "io costruisco una casa", ma "il nemico è da me ucciso", "la casa è da me costruita". Da ciò dipende che la maggior parte delle lingue caucasiche non possiede l'accusativo, ma invece un caso attivo o ergativo che designa la persona che fa l'azione.
Le lingue del NE. presentano nella flessione del nome un gran numero di cosiddetti casi: si tratta per lo più di designazioni locali assai particolareggiate; cosa che, d'altro canto, riduce grandemente il numero delle preposizioni e delle posposizioni; tutte queste indicazioni di luoghi sono suffissi. Al contrario, essi vengono prefissi al verbo, quando vi occorrono (come p. es. nel tabasaran, aghul, ircano, rutul, tsachur, ubych) e spesso sono identici a quelli usati coi nomi. Nel verbo, oltre a una ricchezza di forme spesso imbarazzante, è da notare l'inserzione del pronome oggettivo nella voce verbale; nel gruppo cartvelico, p. es., in quei casi soltanto in cui -il pronome soggetto viene soppresso (cfr. georg. v-éedav "io [v-] vedo", ma g-éedav " [io] ti vedo"); in altre lingue invece, come l'abchazo, l'ubych, il cabardino, accanto al pronome soggetto (cfr. ubych z-bien "io [z-] vedo"; u-z-bien "io [-z-] vedo te [u-]). Nelle lingue del NE. un fatto simile si riscontra soltanto nel tabasaran.
La persona viene designata soltanto nelle lingue cartveliche, in quelle del NO. e, fra quelle del NE., nel tabasaran e udi (la differenza nelle lingue dargua e nel laco dipende da altro). Nelle lingue del NO. si adoperano a tal fine elementi pronominali, che sono anche la base dei pronomi personali e possessivi; p. es. ubych s-əγoa "io", u-γoa "tu"; s-əπ "mio padre", u-π "tuo padre"; z-bien (〈 s-bien) "io vedo"; it-bien "tu vedi".
Assai caratteristico per le lingue del NE. (lingue ceceno-daghestaniche) è il grande sviluppo delle categorie o classi, fatto che trova riscontro nelle lingue bantu. Ma anche qui la cosa non è semplice: mentre p. es. l'udi e il curino hanno perduto qualsiasi specie di categoria, e l'avaro e l'ircano possiedono il genere maschile (esseri umani maschi), femminile (esseri umani femmine) e neutro (tutti gli altri), il laco ha invece quattro categorie: 1° esseri ragionevoli di sesso maschile; 2° esseri ragionevoli di sesso femminile; 3° esseri viventi irragionevoli senza sesso o considerati tali, nonché alcune cose; 4° tutto il resto. Le lingue cecene hanno poi sei categorie, mentre il tabasaran ne ha due, distinguendo unicamente esseri ragionevoli ed esseri irragionevoli.
Per designare tali categorie, le lingue hanno i cosiddetti elementi di classe o di mozione, che si adoperano con ogni parte del discorso; così la copula avarica suona al presente v-ugo per il maschile, j-ugo per il femminile, b-ugo per il neutro; il plurale comune è r-ugo. Come elementi più o meno fossilizzati essi si ritrovano anche coi sostantivi; così l'ircano ha tre espressioni per "viso": w-äh "viso di un uomo", d-äh "viso di una donna" v-äh "viso di un animale" (cfr. la copula li-w masch., li-r femm., li-v neutra). Se pure le lingue cartveliche ebbero mai qualcosa di equivalente, il che è dubbio, oggi l'hanno perduto. Fra le lingue del NO. soltanto l'abchazo fa distinzione fra gli esseri ragionevoli di sesso maschile o femminile da un lato e gli esseri irragionevoli dall'altro.
Parentela delle lingue caucasiche. - Le lingue caucasiche formano un certo complesso, nel senso che esse si distinguono assai nettamente dalle altre famiglie linguistiche, ma ciò non impedisce di cercare, con studî più approfonditi, di compararle con altre lingue e di scoprire più o meno lontane connessioni, o magari parentele. Degli antichi tentativi basti ricordare che F. Bopp, Brosset e Rosen ponevano le lingue caucasiche da loro conosciute fra le indoeuropee, Max Müller fra le "turaniche", Friedrich Müller le dava come isolate e senza parentela con alcuna altra famiglia linguistica; che Fritz Hommel comparò il georgiano col neo-elamitico e in seguito creò il gruppo delle lingue alarodiche, che avrebbe compreso le antiche lingue dell'Asia Minore, le lingue caucasiche, l'etrusco, l'iberico, il libico, ecc. K. Pauli nel suo gruppo etnico pelasgo-alarodico riscontrò relazioni asianiche-preelleniche-etrusche e cercò di connettere l'etrusco con le lingue caucasiche meridionali; H. Schuchardt trova rapporti col basco, H. Winckler cerca corrispondenze tra il neo-elamitico e le lingue caucasiche settentrionali e meridionali, il Hüsing tra quello e lo tsachur, F. Bork segue il Winckler e il Hüsing nel mettere l'elamitico tra le lingue caucasiche. A. Trombetti riconnette alle lingue caucasiche propriamente dette anche: 1. il chaldico, il mitannico, l'elamitico (e il cosseo), il hittitico; 2. le lingue indigene dell'Asia Minore, l'etrusco, il paleo-cretese; 3. l'iberico (e il basco).
È impossibile citare qui tutti i lavori su tale argomento; essi mostrano quale enorme importanza abbiano le lingue caucasiche per la storia linguistica dell'antichità, specialmente dell'Eurasia.
L'opinione più recente in questo campo è sostenuta da N. Marr. Egli partì dal georgiano e affermò la parentela di questa lingua col semitico, quindi allargò la cerchia delle sue ricerche e, accanto alla famiglia indoeuropea e alla semitica, ne creò una terza, la giafetidica, nella quale mette non solo un gran numero di lingue morte dell'Asia Minore e dell'Europa meridionale, ma anche le lingue caucasiche, il basco, l'etrusco e molte altre.
Bibl.: Sulle lingue caucasiche in generale: R. v. Erckert, Die Sprachen des kaukasischen Stammes, Vienna 1895; A. Dirr, Einführung ins Studium der kaukasichen Sprachen, Lipsia 1928 (con la bibl. precedente). Sulla storia delle ricerche linguistiche nel Caucaso: M. J. Nemivorskij, Iz prošlogo i nastojaščago kavkazkoj lingvistiki (Passato e presente della linguistica caucasica), Vladikavkaz 1928; id., K sovremennomu sostojanniju kavk. lingv. (sullo stato presente della ling. cauc.), Vladikavkaz 1930; N. Troubetzkoy tratta delle lingue settentrionali in Les langues du monde, Parigi 1924; A. Trombetti, Elementi di glottologia, Bologna 1923; W. Schmidt, Die Sprachfamilien und Sprachenkreise der Erde, Heidelberg 1926. Sulla scuola giafetidica, per un orientamento generale: N. Marr, Jafetičeskij Kavkaz i tretij etničeskij element v sozidanii sredizemno-morskoj kul′-turi, Lipsia 1920, tradotto in tedesco da F. Braun: Der japhetidische Kaukasus und das dritte Element im Bildungsprozess der mittelländischen Kultur, Lipsia 1923. Bibliografia fino al 1926 dei lavori di questa scuola in N. J. Marr, Klassificirovannyj perečen′ pečatnych rabot po jafetidologii (Indice classificato dei lavori a stampa sulla giafetidologia). Per le singole lingue e le rispettive letterature, v. i singoli nomi.