DRAVIDICHE, LINGUE
. La famiglia linguistica dravidica comprende tutti i principali idiomi dell'India meridionale dal 20° all'8° parallelo. In questo territorio s'incuneano, però, lingue non dravidiche (specialmente nella parte occidentale dove gl'idiomi ariani scendono fin sotto il 16° parallelo al sud di Goa) e d'altra parte alcune parlate dravidiche si trovano anche a nord del 20° parallelo (Kōlāmī, Kui, Kurukẖ, Malto e l'isolato Brāhūī nel Belucistan). Il numero totale delle persone che parlano lingue dravidiche era, secondo il censimento del 1921, di 64.128.000 (cioè di circa 1/5 della popolazione totale dell'India).
Il nome draviḍa è una forma sanscrita etimologicamente uguale a Tamil (infatti draviḍa,dramiḷa, damiḷa) e designante solo il Tamil (ivi compreso probabilmente il Malayāḷam), ma che nella espressione Āndhra-Drāviḍa-bhāshā, che ricorre presso Kumārila Bhaṭṭa (sec. VII d. C.) servì a indicare la famiglia dravidica.
In India il nome Draviṭa è stato usato in varî sensi ed ha spesso compreso anche il Marāṭhī e il Gujāratī che sono lingue ariane. In Europa è stato introdotto dal Caldwell (v.) in un senso prevalentemente linguistico; dagli antropologi è preso in un'accezione più larga che non coincide in tutto con quella glottologica (v. dravida).
Il Caldwell, nella sua Grammatica comparativa delle lingue dravidiche, divide questi idiomi in due gruppi basandosi sulla presenza o meno di una letteratura. Egli forma un primo gruppo di "dialetti colti" che comprende il Tamil, il Malayālam, il Telugu, il Canarese, e anche stranamente il Tulu e il Kodagu, e un secondo gruppo di "dialetti incolti" che comprende i Toda, il Kōta, il Gōṇḍī, il Kui (Khond), l'Orāoñ (Kurukẖ) e il Rāimāhāḷ (Malto). Meglio che su questa divisione empirica, la classificazione delle lingue dravidiche va fatta basandosi sui criterî intrinseci delle lingue stesse e sulle maggiori o minori affinità reciproche, sui fenomeni di conservazione e d'innovazione che ci permettono d'intravvedere l'epoca e il modo del distacco dal tronco primitivo.
Si suole in generale considerare il Tamil come la lingua che ha un carattere più arcaico; infatti questa lingua presenta importanti conservazioni; ma d'altro canto in altri idiomi dravidici si trovano peculiarità sconosciute al Tamil e che sono certo anch'esse resti del proto-dravidico.
Vicinissimo al Tamil è il Malayāḷam; questi due dialetti deboono essersi separati in un'epoca relativamente recente. Se si trattasse di due lingue incolte non esiteremmo a considerarle varietà dialettali; ma la presenza di un'antica letteratura in ambedue gli idiomi le ha fatte ritenere due lingue distinte, tuttavia più affini fra loro che l'italiano e lo spagnolo.
Abbastanza vicino al Tamil è anche il Canarese; il passaggio fra il Tamil e il Canarese è segnato dai piccoli idiomi Tuḷu e Koḍagu e dai due affinissimi Toda e Kōta. Il Canarese e il Tamil hanno molti caratteri comuni per cui si oppongono alle altre lingue della famiglia dravidica (forma distinta del femminile, suffissi del plurale della classe superiore e inferiore ecc.).
Tamil e Canarese, insieme con gl'idiomi sunnominati, formano una sezione del gruppo dravidico. Una posizione a sé stante, più vicina agli idiomi di cui ci siamo occupati che a quelli che enumereremo in seguito, spetta al Kurukẖ e al Malto, molto affini fra loro; queste due lingue non hanno femminile singolare, ma usano in sua vece il neutro (come nel Kui, Gōṇḍī e Telugu). Non hanno un tema separato per i casi obliqui (appunto come nel Brāhūī e sovente nel Telugu), ma il sistema verbale, i pronomi, ecc. sono assai vicini al Canarese e al Tamil, cosicché queste lingue, pur avendo una certa indipendenza, possono considerarsi discendenti dallo stesso antichissimo ramo da cui si staccarono il Tamil e il Canarese. Da un altro ramo discendono invece il Telugu da una parte e il Kōlāmī, Naikī e Bhīlī dall'altra. Il Kui e il Gōṇḍī si avvicinano al Telugu, ma segnano la transizione fra questo e il tipo Tamil-Canarese.
Una posizione completamente indipendente spetta al Brāhūī, isolato anche geograficamente in mezzo al Belucistan, a una grandissima distanza da ogni altro idioma dravidico; il carattere dravidico di questa lingua è ben chiaro, nonostante i considerevoli influssi iranici che ne hanno modificato in gran parte il lessico ed anche, notevolissimamente, la struttura grammaticale.
Basandoci su questi criterî generali potremo, seguendo Sten Konow, dare la seguente classificazione delle lingue dravidiche:
Il Tamil, conosciuto in Europa anche col nome meno corretto di Tamul, specialmente usato dai Francesi (tamoul; il nome indigeno è tamiṛ o tamiḷ, nel Pāli: Damiḷa), fu, insieme col Malayāḷam, chiamato malabarico dai missionarî portoghesi che, primi Europei, ebbero modo di studiarlo. È parlato in tutta la parte sud-orientale dell'India e nella pianura settentrionale dell'isola di Ceylon. Secondo i dati del censimento del 1911 il Tamil veniva parlato da 19.190.000 individui (18.780.000 nel 1921), di cui circa un milione solo a Ceylon. Distinguiamo due forme di Tamil: la lingua letteraria classica o , Śen-Damiṛ e la moderna lingua parlata o Koḍun-Damiṛ. La differenza fra loro è così grande che il Caldwell la paragona a quella esistente fra il latino classico e l'italiano moderno. Le più antiche iscrizioni risalgono approssimativamente al sec. VIII d. C. La più antica grammatica indigena, il cosiddetto Tolkāppiyam, è, secondo la tradizione, dovuta a un discepolo di Agastya, il mitico apostolo del Deccan. I primi monumenti della letteratura tamil sono dovuti al giainismo e sono indipendenti da quelli della letteratura sanscrita. Una delle gemme della letteratura tamil è il Kuṛal di Tiruvaḷḷuvar, non certo posteriore al sec. X; si compone di 1330 aforismi in versi che espongono il sistema filosofico Sāṁkhya. Forse più antico è un altro poema filosofico intitolato Nālaḍiyār.
All'infuori di queste due fasi del Tamil, conosciamo alcune varietà dialettali: 1. il Yerukaḷa o Korava, noto anche coi nomi di Kōrchārī, Korvāru, Korvī; 2. l'Imla e Kasuva; 3. il Kaikāḍī è un dialetto tamil che presenta molte concordanze anche col Canarese e che deve essersi staccato assai presto; 4. il Burgandī, molto simile al Kaikāḍī.
Il moderno Tamil si scrive con uno speciale alfabeto; le parole possono uscire solo in vocale o in ñ, ṇ, n, m, n, y, r, l, v, ṛ, o ḷ; dopo ogni altra consonante sono seguite da un û che dinnanzi a vocale cade (p. es. kādû "orecchio", ma kād-il "nell'orecchio") a meno che non sia preservato da un v epentetico (p. es. paśû "vacca", paśu-v-il "nella vacca"). Non vi sono aspirate; la cacuminale ṛ suona sovente y (nella trascrizione di testi meno recenti troviamo żh). La declinazione è assai semplice, p. es. manidan "uomo", gen. manidanuḍeiya, dat. manidanukku, acc. manidanei, loc. manidanil, istr. manidanāl, plur. manidar(-gal), acc. manidargaḷei, gen. manidargaludeia ecc.
Il Malayāḷam è parlato da circa 7 milioni di individui (1911: 6.792.000; 1921: 7.498.600) nella regione sud-occidentale dell'India (costa del Malabar) fra il Mar Arabico e i Ghati Occidentali. Anche nel Malayāḷam si distinguono due forme linguistiche, quella antica e letteraria e quella moderna comunemente parlata; la prima è più vicina al Tamil, ma è assai più impregnata di elementi sanscriti. In certi testi l'influsso sanscrito arriva fino al punto d'introdurre la coniugazione verbale ariana. Non conosciamo varietà dialettali importanti nella lingua moderna. La letteratura malayāḷam comincia, secondo il Gundert, con il Rāmacharita, scritto verso il sec. XIII-XIV d. C., ma l'epoca classica della letteratura malayāḷam ha inizio solo nel sec. XVII con Tuñjattu Eruttachchhan. Egli introdusse il moderno alfabeto in sostituzione dell'antico (che si continua però ad usare dai Mappiḷḷa nel nord del Malabar), e tradusse il Mahābhārata e parecchie Purāṇa. Nella letteratura sanscrita non si trovano cenni sulla lingua malayāḷam, perché essa era confusa col Tamil sotto la comune denominazione di Drāviḍa-bhāshā; il primo che ci parla del Malayāḷam come lingua a sé stante è probabilmente il portoghese Fernão Lopez de Castanheda (secolo XVI).
Le principali differenze fra Tamil e Malayāḷam sono l'assenza in questo di suffissi personali nel verbo, e l'abbondanza di parole sanscrite.
Il Tuḷu è parlato da poco più di mezzo milione di persone (531.500 nel 1911; 592.000 nel 1921) nel distretto di Canara; differisce dal Malayāḷam più che non quest'ultimo dal Tamil; non possiede una vera letteratura e i libri stampati in Tulu dai missionarî di Basilea sono in caratteri canaresi. È un idioma molto interessante e progredito. È noto anche col nome di Tuḷuva.
Il Koḍagu (o Kuḍagu o Coorg) è parlato da poco più di 40.000 (42.900 nel 1911) persone nella provincia di Coorg. Al pari del Tuḷu presenta peculiarità di pronuncia che lo distinguono nettamente dal Canarese, di cui per lungo tempo è stato considerato un dialetto.
Il Toda (o Tuda) è parlato da neppure mille persone (805 nel 1901, 730 nel 1911) della primitiva e interessante tribù dei Tuda o Tudavar nei monti Nilgiri, ma certamente ivi immigrate: la loro diminuzione numerica è dovuta all'abuso dell'oppio, alla poliandria ecc. La lingua presenta molti punti di contatto col Canarese, pur non potendo essere considerata un dialetto di quest'ultimo.
Il Kōta è parlato da una piccola tribù di circa 1300 individui (1280 nel 1911) negli stessi monti Nilgiri e da alcuni immigrati nell'Assam; è affine al Toda e presenta perciò molti punti di contatto col Canarese.
Il Canarese è parlato da circa 10 milioni di individui (10.526.000 nel 1911, 10.374.000 nel 1921) nello stato di Mysore e nelle regioni finitime di Salem, Anantapur e Bellary, in una zona i cui confini sono stati con maggiore esattezza indicati alla v. canaresi (VIII, p. 678). Distinguiamo tre fasi del Canarese: 1. l'antico Canarese (sec. IX-XIII) in cui sono scritti i più antichi testi di prosodia e grammatica, basati su originali sanscriti (la più antica iscrizione risale alla fine del sec. V); è pieno di elementi sanscriti e differisce dal Canarese moderno nella fonetica e nella morfologia (specie nel sistema della coniugazione); in questa lingua scrisse p. es. Kēśirāja la sua Śabdamaṇidarpaṇa, famosa grammatica classica canarese; 2. il Canarese medio (sec. XIII-XV) il cui sistema morfologico è considerevolmente alleggerito; in questa lingua sono scritti i poemi dovuti ai movimenti religiosi delle sette Śaiva e Liṇgāyata; 3. il Canarese moderno, in cui è scritta la letteratura dal principio del Cinquecento in poi (poesia Vaishṇava, prosa originale e di adattamento di prodotti della letteratura sanscrita come il Pañcatantra e il Vētālapañcaviṁśati, ecc.). Il linguaggio odierno, specialmente in ciò che si riferisce ai termini giuridici e amministrativi, contiene molti elementi marāṭhi e hindōstānī. Nella lingua parlata al giorno d'oggi le differenze dialettali sono assai piccole; il dialetto più importante è quello Baḍaga parlato dai Badaga (ingl. Burghers) nei Nilgiri (circa 34.000 persone) e avente un carattere considerevolmente arcaico (presenza di ḷ e ṛ, -m finale per -n, č per s, ecc.). Gli altri dialetti sono assai meno differenziatí, p. es. il cosiddetto Bijāpurī (canarese parlato nel Bijapur) non differisce che nella pronunzia (-a > -e; e, ē > ya, yā); il Gōlari o Hōliyā parlato dall'omonima tribù nomade (di qualche migliaio di individui) nelle provincie centrali, assomiglia molto al Bijāpuri. Il Kurumb o Kurumvārī parlato da una tribù nomade di poco più di 10.000 anime nei Nilgiri, pur essendo un dialetto canarese, ha alcune affinità col Telugu.
Il Kurukh (Kurukẖ) è parlato da meno di un milione di individui (609.700 nel censimento del 1901, ma 800.300 nel 1911 e 866.000 nel 1921) nella parte occidentale della presidenza del Bengala e in quella finitima delle provincie centrali. Il nucleo dei Kurukh si trova nell'altipiano di Chota Nagpur (specialmente nel distretto di Ranchi). I Kurukh sono anche noti col nome di Orāo. Il Kurukh non ha una letteratura; stretti com'è fra dialetti ariani e munḍa è stato sovente confuso con questi; non abbiamo informazioni di differenze dialettali notevoli anche se, nelle varie regioni, assume nomi diversi (Khendrōī nello stato di Jashpur; Khaṛiā e Kisān nel distretto di Sambalpur; Dhāngari nello stato di Sarangarh e nello stato di Raigarh ecc.).
Il Malto è parlato da circa 60.000 (64.900 nel 1911) individui nei monti Rajmahal (è chiamato anche Rājmahālī) e forma un'isola linguistica dravidica in un territorio ariano e munḍa ove si parlano quasi esclusivamente il bengali, il bīhārī e il santali (quest'ultimo della famiglia Munḍa). È in stretto rapporto col Kurukh, ma è pieno di prestiti ariani e non esente da influssi santali, specialmente nella coniugazione (presenza di un congiuntivo e di un ottativo che non esistono nel Kurukh).
Il Gōṇḍī è la principale lingua dravidica dell'India settentrionale, i Goṇḍ dovevano essere una volta una stirpe potente e la loro lingua assai più diffusa, ma sotto l'influsso degl'idiomi ariani si sono in gran parte arianizzati. Così il censimento del 1891 elencava 3.061.700 Gōṇḍ, ma di questi solo 1.379.600 parlava il Gōṇḍī, numero sceso a 1.124.000 nel censimento del 1901, ma risalito a 1.527.000 in quello del 1911 e a 1.617.000 nel 1921, se pur le statistiche sono esatte dal punto di vista puramente linguistico. Alcuni dialetti del Gōṇḍī, in via di arianizzazione, possono esser considerati come idiomi semi-dravidici. Anche all'infuori di questo territorio troviamo il Gōṇḍī parlato qua e là in varie regioni. Il Gōṇḍi non ha mai servito da lingua letteraria e in esso abbiamo solo dei canti popolari e le traduzioni dei Vangeli fatte dai missionarî. Nella fonetica il Gōṇḍī presenta uno scambio fra r ed l; nella morfologia si hanno due soli generi (maschile e neutro); il maschile è usato per gli dei e per gli uomini, tutto il resto è neutro. Questa è una caratteristica per cui il Gōṇḍī si differenzia dalle altre lingue dravidiche (eccetto il Kui), ma non è certo primitiva, come si rileva dal sistema di declinazione; la ricchezza del sistema di coniugazione è in parte apparente. La posizione linguistica del Gōṇḍī è in molti punti intermedia fra quella del Tamil e del Telugu, ma se la parentela con quest'ultima lingua è più evidente, è certo più recente e superficiale, mentre l'altra è più profonda e più antica. Certe peculiarità del Gōndī in confronto con le altre lingue dravidiche (confusione fra dativo e accusativo, accordo del genitivo col nome specificato ecc.) sono probabilmente dovute a influssi di lingue ariane. Quanto alle varietà dialettali, esse sono parecchie, ma di poca importanza. Il Pārsī Gōndī o Chaurāsī kī bōli della regione di Mandla, le varietà delle montagne di Narsinghpur e Jabalpur (molto influenzate dalle parlate ariane), il dialetto dei distretti di Chhindwara, di Hoshangabad, di Betul e Amraoti ecc. non differiscono molto dal Gōṇḍī centrale. Più differenziato è il dialetto del distretto di Basim (h > ś), quello del distretto di Seoni (r > ṛ), i dialetti delle regioni di Chanda e di Bastar, sempre più influenzati dal Telugu e caratterizzati da speciali peculiarità (l-; r-; h; s, forme separate di dativo e accusativo ecc.). I linguaggi noti coi nomi di Maria, Gaṭṭu, Kōi e Parjī sono anch'essi dialetti del Gōṇḍī. Il Ladhāḍi, il Bhariā ed altri idiomi erano una volta dialetti gōṇḍī, ma oggi sono completamente arianizzati e non conservano se non poche tracce del primitivo fondo dravidico.
Il Kui, più noto sotto il nome di Kandhī o di Khond, era parlato da poco più di mezzo milione di individui (530.500) nel 1911, ridotti a 484.000 nel 1921. È contornato da ogni parte da popolazioni parlanti l'Oṛiyā (lingua ariana). Vi sono due principali dialetti, uno orientale e uno occidentale. Il Kui concorda generalmente Lol Gōṇḍī nelle forme grammaticali; notevole però l'alternanza fra ḍ ed l e nel dialetto occidentale quella fra ḍ e s.
Il Kōlāmī è parlato da circa 24.000 persone, specialmente nei distretti di Wun, Amraoti e Wardha; differisce considerevolmente dal Gōṇdī, ed ha punti di contatto sia col Telugu sia col Canarese.
Il Naikī è quasi estinto (le statistiche del Linguistic Survey of India elencavano 195 persone che lo parlano); era parlato nel Chanda; il sistema verbale è semplicissimo, non variando per le differenti persone.
Il Bhīlī, in via di estinzione, era parlato nel Pusad Taluqa nel distretto di Basim (da 375 persone all'epoca del Linguistic Survey). È molto simile al Kōlāmī.
Il Telugu (conosciuto in un primo tempo in Europa col falso nome di Gentoo portogh. gentio "pagano") è la principale lingua dell'India sud-orientale. Nel 1911 risultava parlato da 23.543.000 individui (nel 1921 il censimento dava la cifra di 23.601.000). Il Telugu letterario differisce eonsiderevolmente da quello odierno. La letteratura telugu è molto ricca; la prima opera rimastaci risale al sec. XI d. C.; a quest'epoca viveva alla corte del re Viṣṇuvardhana, mecenate della letteratura telugu, il dotto Nannaya Bhaṭṭa, autore della più antica grammatica telugu e, secondo la tradizione, primo traduttore del Mahābhārata, in Telugu. Però la maggior parte delle opere classiche della letteratura telugu sono state scritte dal Cinquecento in poi. Nella lingua moderna si distinguono alcune varietà dialettali che si contrappongono al Telugu puro che, secondo l'opinione più autorevole, è quello parlato nei Circars settentrionali. Il Kōmṭāu e il Kāpēwāri nel distretto di Chanda sono, nonostante i loro nomi diversi, puro Telugu. Il Kāmāthī parlato dai Kamathi, o muratori di Bombay, ha parecchi elementi ariani (specie sintattici); il Dāsarī, nel distretto di Belgaum, ha pochissime peculiarità fonetiche (ch > ts, ś, t); parimenti il Bēraḍī nello stesso distretto si distingue solo per qualche variante (acc. in -t, congiuntivo in -tēn, ecc.). Anche il Vaḍarī, parlato da una tribù nomade di cavapietre nella presidenza di Bombay, nei Berar e in altri distretti, si distingue per poche peculiarità (ā > ō in determinate condizioni, ē > ī, ch > ś, ecc.).
Il Brāhūī è parlato nella zona montuosa centro-orientale del Belucistan (specie le provincie di Sarawan e Jhalawan nel khanato di Kelat) da un numero di individui non ben precisato (129.000 secondo il Linguistic Survey) e nella parte settentrionale della presidenza di Bombay da circa 50.000 persone. Il censimento del 1911 dà 171.000. Questa lingua dravidica isolata in pieno territorio iranico si deve essere distaccata dal proto-dravidico in un tempo antichissimo, e perciò, nonostante il considerevole influsso iranico subito, è glottologicamente molto importante. Le maggiori concordanze sono col Kurukh e col Malto.
Le lingue dravidiche, formanti una famiglia unica e compatta, hanno parecchie particolarità in comune; ricorderemo qui solo alcune fra le principali.
Nella fonetica è caratteristica l'assenza di s (che ricorre solo nelle voci mutuate dal sanscrito e dagl'idiomi ariani) e la presenza dei suoni cacuminali o invertiti (detti anche linguali o cerebrali) ṭ, ḍ, ṇ e delle speciali semivocali ṛ, ṛ, ḷ. Questi suoni sono probabilmente di origine secondaria, come appare anche dal fatto che non sono mai usati come iniziali (o per lo meno solo raramente nel Canarese, Tuḷu e Telugu; forse hanno un'origine analoga a quella delle cacuminali del sanscrito, cfr. Wackernagel, Altind. Gramm., I, p. 164 segg.). È notevole anche l'avversione a finire le parole in consonante e la conseguente paragoge di una vocale breve che nel Tamil, Canarese e Telugu è un û. Nessuna parola può cominciare con r- o l-, e per questo si ha una prostesi di a, i dinnanzi a r e di u dinnanzi a l, chiarissima nei prestiti dal sanscrito; p. es. il sanscr. rājā "re" diviene nel Tamil irāśan (o irāyan, araśan, arayan) e il sanscr. lōka "mondo" diviene nello stesso Tamil ulogam, ulagam, ulagu. Frequente il mutamento l > r e notevole nel Telugu n > ḍ. Ma la più interessante caratteristica del consonantismo dravidico è senza dubbio l'alternanza fra le esplosive sorde e sonore. Nel Tamil e nel Malayāḷam in generale le parole possono cominciare solo con sorde, mentre in mezzo di parola si hanno più frequentemente le sonore, a meno che non si tratti di geminate. La presenza di esplosive sonore e di linguali nella sillaba seguente può sonorizzare l'iniziale nel Canarese, Tuḷu e Telugu, secondo una legge formulata dal Subbayya. Ciò non ostante, e quantunque l'alfabeto tamil non conosca segni per le sonore, non è giusto escludere la possibilità dell'esistenza di esplosive sonore iniziali nel proto-dravidico, che invece è resa probabile (e per il b addirittura certa) dall'esame delle lingue dravidiche settentrionali. Nella fonetica dravidica infine esiste molto sviluppata l'assimilazione regressiva delle vocali, che però non arriva a un sistema così completo e organico come l'armonia vocalica delle lingue uralo-altaiche, con cui il Caldwell, abbagliato dal pregiudizio del turanismo, l'ha voluta identificare; questa vige specialmente nelle posposizioni casuali, p. es. nel Telugu tammuni-ki "al fratello", ma gurramuna-ku "al cavallo". Nella morfologia notiamo innanzi tutto la presenza di due classi, l'una per designare il genere superiore (ragionevole), l'altra l'inferiore (irragionevole; cose, ecc.). Il genere superiore si divide in parecchi linguaggi in maschile e femminile per mezzo di suffissi. Nel Kurukẖ, Malto, Kui, Gōṇḍī, Kōlāmī e Telugu non esiste il femminile singolare (solo neutro, o genere inferiore); nel Kui e nel Gōṇḍī anche al plurale il genere inferiore serve per designare il femminile. Esistono solo due numeri (singolare e plurale); il plurale si forma con l'aggiunta di varî suffissi (Tamil -gaḷ, Canarese -gaḷu, Gōṇḍī -k, ecc.). I vari casi sono formati come nelle lingue uralo-altaiche per mezzo di posposizioni; queste vengono aggiunte spesso al puro tema che si trova nel nominativo e talvolta anche nel genitivo, o a un tema ampliato (spessissimo con -t-); nel plurale vengono aggiunti dopo il suffisso pluralizzante. Generalmente l'accusativo è distinto dal dativo, ma nel Gōṇḍī e nel Brāhūī, probabilmente per influsso estraneo, i due casi si sono confusi. Nel Tamil e nel Malayāḷam i neutri non aggiungono alcun suffisso all'accusativo.
L'aggettivo è invariabile; come attributo, precede il sostantivo, come predicato, lo segue, ma allora assume il valore di forma verbale e prende i suffissi personali. In parecchie lingue dravidiche, p. es. nel Malto, il sistema dei numerali è vigesimale, ma il sistema primitivo era probabilmente quinario. I pronomi sono molto semplici, in parecchie lingue esiste una differenza fra "noi" inclusivo ed esclusivo (p. es. nel Tamil la forma inclusiva è yām, nām e quella esclusiva è nāṅgaḷ); non esistono pronomi relativi, ma si usano dei participi relativi, p. es. Tamil vand-a āḷ "la persona che venne", lett. "la venuta persona". Il sistema verbale è di una semplicità ammirevole; parecchi temi verbali sono al tempo stesso sostantivi o aggettivi; la coniugazione si fa esclusivamente per mezzo di suffissi; secondo Sten Konow il verbo dravidico non è che un nomen agentis che possiede una flessione. In alcune lingue dravidiche i suffissi personali possono anche mancare. Esistono solo tre tempi: un indefinito (presente e spesso anche futuro), un passato e un futuro. Esistono poi nomi verbali, participî relativi e congiuntivi e un imperativo. In generale non esiste il passivo. Importante la coniugazione negativa in cui l'indice negativo è generalmente z- o -ā-- (p. es. Telugu koṭṭ-u "battere", koṭṭ-a-nu "io non batto").
Si è già visto che le lingue dravidiche costituiscono una famiglia molto omogenea, nonostante la separazione antichissima e la grande area in cui sono disperse. La posizione del Brāhūī, al di qua dell'Indo, ci mostra infatti quale dovette essere in altri tempi, prima della venuta degl'Indoeuropei, l'estensione di questa famiglia. I numerosi elementi stranieri incorporati da questo o quell'idioma dravidico non portano gravi danni; d'altra parte anche le varie lingue dravidiche hanno alla loro volta esercitato un influsso considerevole sulle lingue ariane e perfino sul sanscrito.
Ma questa famiglia linguistica è veramente isolata? A questo quesito si è risposto in diversi modi. I tentativi di avvicinare il dravidico all'uralo-altaico sono stati numerosi (Caldwell, Schöbel, Bálint, ecc., fino alla recente ricerca di O. F. Schrader), ma sempre basati su fragilissimi argomenti, quali p. es. la pretesa armonia vocalica, quantunque sarebbe vano negare che alcune delle comparazioni lessicali istituite dallo Schrader sono buone. Il Trombetti ha invece accettato e ampliato una vecchia ipotesi di W. Bleek (respinta da F. Müller) e ha riunito il dravidico alle lingue dell'Australia, e a quelle delle isole Andamane. Per quanto alcune concordanze (specialmente nei pronomi) siano ammirevoli, la questione è tutt'altro che risolta e la tesi del Trombetti non è per ora accettata dagli studiosi.
Bibl.: L'opera classica per la filologia dravidica è: R. Caldwell, A comparative Grammar of the Dravidian or south-indian family of languages, Londra 1856 (2ª ed. 1875, 3ª postuma 1913); ricco di bibliografia e di paradigmi è pure il vol. IV del Linguistic Survey of India diretto da G. A. Grierson (Calcutta 1906) in cui le pagine 277-681 sono dedicate agl'idiomi dravidici, e sono state curate dall'indianista norvegese Sten Konow. Buonissime anche le più recenti ricerche del Subbayya, A primer of Dravidian Phonology, in Indian Antiquary, XXXVIII (1909) e l'incompleta A comparative grammar of Dravidian languages, in Indian Antiquary, XXXIX-XL (1910-11) che corregge qua e là l'antiquata opera del Caldwell. Ricerche speciali meritevoli di essere citate sono: G. M. Pope, Notes on the South Indian or Dravidian Family of Languages, in Indian Antiquary, V (1876) e VIII (1879); A. Ludwig, Über die Verbalflexion der Dravidasprachen, in Sitz. d. k. böhm. Akad. d. Wiss., Praga 1900. Sulle singole lingue dravidiche la letteratura è enorme e può essere ricercata nel cit. volume del Grierson, Linguistic Survey of India. Per gl'influssi dravidici sul sanscrito cfr. H. Gundert, Zeitschr. d. d. morgenl. Ges., XXIII (1869), p. 517 segg.; A. M. Pizzagalli, in Arch. Glott. Ital., XXI-XXIII (1929), p. 152 segg.; G. Slater, The Dravidian Element in Indian Culture, Londra 1924; per i substrati predravidici cfr. S. Lévy, Pré-Arien et Pré-Dravidien, in Journal Asiatique, 1923. Per la connessione con l'uralo-altaico, oltre alla grammatica del Caldwell citata, cfr. Schöbel, Affinités des langues dravidiennes et des langues ouralo-altaïques, Parigi 1873, II, p. 348 segg.; G. Bálint, Tamul (Dravida) Tanulmányok ... magyar-tamul gyöknyomotó szótár tekintettel a középturánság föbb nyelveire, in B. Szécheny, Keletázsiai Utjárak tudományos eredményei, II, Budapest 1897, pp. 1-342; O. F. Schrader, Dravidisch u. Uralisch, in Zeitschr. f. Ind. u. Iran., III (1924), p. 81 segg. Per la connessione con le ligue australiane e andamanesi cfr. A. Trombetti, Saggi di glottologia generale comparata, I, I pronomi personali, Bologna 1909, p. 137 segg.; id., Elementi di glottologia, Bologna 1923, p. 63 segg. Un'eccellente rivista dedicata agli studî dravidici è pubblicata dall'università di Madrass, col titolo di Dravidic Studies (dal 1919).