INDO-CINESI, LINGUE
. La famiglia linguistica indo-cinese (o sino-tibetana, o tibeto-cinese) comprende una gran parte degl'idiomi dell'Asia sud-orientale (v. asia: Carta etnografico-linguistica). Essa è costituita sulla base di alcune caratteristiche generali, ma la sua unità, in senso genealogico, non è ancora stata scientificamente provata. La grammatica comparata delle lingue indo-cinesi è ancora agl'inizî; il carattere monosillabico della maggior parte delle lingue di questa famiglia, può essere, fino a un certo punto, caratteristico, ma non è certamente primitivo; lo stadio in cui le lingue indo-cinesi ci sono note, è troppo lontano da quello che doveva essere il primitivo, è troppo logorato, per poter permettere ricostruzioni paragonabili a quelle della linguistica indoeuropea, ugrofinnica o bantu; né giova che il cinese ci presenti testi che risalgono a parecchi secoli avanti Cristo e il tibetano al settimo secolo dell'era volgare; già in questi primi monumenti queste lingue ci si presentano in uno stadio che è certamente di gran lunga più alterato di quello di una qualsiasi lingua indoeuropea rispetto al proto-indoeuropeo. Mentre in questi ultimi anni, specialmente per merito di B. Karlgren, la grammatica comparata delle parlate cinesi ha fatto progressi immensi e durevoli al pari di quella tibeto-birmana per merito di St. N. Wolfenden, gli studî comparativi indo-cinesi hanno avuto pochi nuovi impulsi dopo i lavori di A. Conrady. Le comparazioni lessicali istituite da W. Simon hanno aumentato il numero dei ravvicinamenti già proposti da A. Conrady, da A. Trombetti e da altri studiosi; ma anche sulla base di quelle comparazioni che possono ritenersi sicure e non casuali, non si riescono a stabilire corrispondenze fonetiche chiare; anche in questo campo però il Karlgren ha cominciato a mettere basi sicure (Tibetan and Chinese, in T'oung Pao, XXVIII, 1931, pp. 25-70). Quanto si verrà esponendo in questo articolo avrà dunque un valore provvisorio, ben diverso da quello che hanno le trattazioni dei gruppi linguistici la cui unità è scientificamente dimostrata e la cui grammatica comparata è stata scritta in tutto o in parte; per questa ragione si preferisce dare un'esposizione prevalentemente descrittiva di queste lingue.
Le lingue indo-cinesi si possono dividere in tre gruppi: occidentale (o tibeto-birmano), orientale (o sino-siamese) e settentrionale (o jenisseiano). Vi sono alcuni idiomi la cui posizione non è ben chiara e che segnano il passaggio fra l'isolato gruppo settentrionale e quello occidentale (Si-hia o Tangut, Lo-lo, Mo-so, ecc.). Ciascuno di questi gruppi si suddivide in un numero più o meno grande di sottogruppi. La classificazione, per alcuni sottogruppi, è provvisoria.
A) Gruppo occidentale o tibeto-birmano. - Comprende un gran numero di dialetti parlati da circa venti milioni d'individui distribuiti su un'area che va dal Tibet al nord, fino alla Birmania al sud, e dal Baltistan a occidente fino alle provincie cinesi di Szech'wan e Yün-nan a oriente.
I dialetti tibeto-birmani hanno un lessico molto ricco e vario; come in quasi tutte le lingue dei popoli primitivi, si nota la povertà d'idee astratte e la tendenza a una determinazione scrupolosa. Per es. Sten Konow ha notato che nel Lushe vi sono nove parole diverse per indicare la formica e venti per designare un paniere (a seconda delle varie forme e dimensioni). Salvo nel tibetano, che possedendo una ricca letteratura anche filosofica, deve considerarsi come evoluto, la povertà di concetti astratti si rivela da molti esempî. Valga il caso del Tadho in cui si dice cā-pā "mio padre", nā-nū "tua madre", ā-khūt "la sua mano"; ma in questa lingua non si possono adoperare da sole le parole pū, nū, khūt: esse debbono essere sempre accompagnate da un possessivo, perché non si può concepire l'idea astratta di un "padre", "madre", ecc., che non sia né "mio" né "tuo" né "suo", ecc. Così avviene in quasi tutti i dialetti dei sottogruppi Bāṛā e Kuki-Chin, nonché in parecchi dialetti del Himālaya. Una stessa parola può, secondo la maggior parte dei linguisti, essere usata con valore di sostantivo, aggettivo o verbo. La categoria del genere è sconosciuta; solo il maschio e la femmina di cose animate possono talvolta essere distinti, ma tale distinzione si fa sempre usando due diverse voci. Non esiste in generale neppure la categoria del numero; il concetto di pluralità viene espresso o mediante numerali o mediante aggettivi che significano "molti", ecc. Non si può parlare di declinazione nel senso indoeuropeo; alcuni rapporti logici fondamentali possono venire indicati con affissi, in generale posposizioni, sempre separabili. Un sistema dunque, per quanto rudimentale, affine a quello delle lingue uralo-altaiche (delle lingue cioè comunemente dette agglutinanti). In parecchie lingue di questo gruppo si fa una differenza fra il soggetto attivo, operante e il soggetto non operante. Questa differenza esiste anche nelle lingue caucasiche e in parecchie lingue americane; in generale i linguisti che si sono occupati di lingue tibeto-birmane, come Sten Konow, interpretano il soggetto operante come un complemento di agente. Questa è la via per giungere a una concezione passiva del verbo, come hanno fatto H. Schuchardt e C. Uhlenbeck, rispettivamente per le lingue caucasiche e americane. Sten Konow non arriva a questo punto per le lingue tibeto-birmane, perché considera il verbo come un vero e proprio sostantivo; ma questo stato di cose è solo apparente e secondario. Certe alternanze come, p. es., tibetano 'geñs al presente, b-kan al perfetto, d-gañ al futuro, k‛oñ all'imperativo ("riempire") mostrano che un rudimento di coniugazione esisteva. E, se si interpreta come agente il soggetto operante, bisogna interpretare come passivo il verbo, ciò che porta a delle assurdità (A. Trombetti, Elementi di glottologia, p. 279 segg.). Il caso del soggetto operante, che noi chiameremo "ergativo", mostra invece come la lingua abbia cercato di mettere in evidenza, in una specie di stato enfatico, il soggetto del verbo transitivo in opposizione al soggetto del verbo intransitivo. I verbi derivati si formano per mezzo di affissi (in taluni dialetti prefissi, in altri suffissi). Nel tibetano i tempi del verbo transitivo sembrano formati per mezzo di prefissi (b-, g- alternante con d-); secondo Conrady però essi sarebbero solo formativi del verbo transitivo (al pari di s-, z- e r-). La collocazione delle parole è sempre inversa (genitivo-nominativo); anche il pronome possessivo è in genere preposto.
La classificazione del gruppo tibeto-birmano ha un valore provvisorio; quella proposta da A. Grierson e Sten Konow, qui seguita, divide il gruppo tibeto-birmano in sette sottogruppi: I) tibeto-himalayano; II) sottogruppo dell'Assam settentrionale; III) Bāṛā (o Bodo); IV) Nāgā; V) Kachin; VI) Kuki-Chin; VII) Birmano.
I) Sottogruppo tibeto-himalayano. - Si divide in due sezioni; la prima tibetana e la seconda comprendente i dialetti del Himālaya.
1. Sezione tibetana:
a) Il tibetano propriamente detto, cioè la lingua del Tibet e dei distretti finitimi dell'India; i Tibetani chiamano la loro lingua bod-skad (pronunziato pö-kä nel Tibet centrale). Varietà tibetane sono parlate in tutto il Tibet (Baltistan e Ladakh inclusi); il passo di Zoji La, sulla strada che va da Srinagar a Dras segna press'a poco il confine etnico fra le popolazioni ariane e tibetane. Il tibetano era già assurto al grado di lingua letteraria nei primi decennî del sec. VII (v. tibet). Il tibetano centrale possiede un sistema di toni che, secondo E. Amundsen, si distinguerebbe per sei varietà; il tibetano occidentale e quello orientale non conoscono i toni; esistono nel tibetano varie forme che sono proprie del "linguaggio onorifico" e che si usano quando si parla con un superiore o, per gentilezza, con un proprio pari; in generale si tratta di coppie di parole completamente diverse: per es., per dire "occhio", quando una persona parla di sé stessa o di una persona inferiore, dice mig, ma quando parla di un'altra persona a lui superiore o pari, usa la voce spyan. Il tibetano classico rappresenta lo stadio a cui era giunta la lingua nel sec. VII, quando cominciò a fissarsi nella letteratura; già a quest'epoca si presentava come una lingua monosillabica, con un sistema fonetico assai complicato, con numerosi gruppi di consonanti; tali gruppi erano generalmente il risultato della contrazione di prefissi, con parole che alcuni linguisti credono essere state sempre monosillabiche, ma che possono anche essere state polisillabiche, giacché non vi è alcuna ragione per ritenere che il logorio, le contrazioni e gli ammutimenti siano avvenuti solo nella sillaba iniziale e non anche nelle medie e finali. I prefissi avevano, a loro volta, formato delle sillabe separate, ma dopo la caduta delle vocali, ne risultava, per contrazione, una sola parola che aveva all'iniziale un gruppo consonantico. Nei dialetti cenma la presenza dei prefissi consonantici rimane perpetuata nel tono. Secondo A. Conrady le antiche sonore e le loro derivazioni si accompagnano a un tono basso, mentre le antiche sorde e le loro derivazioni si accompagnano a un tono più alto. La caduta degli antichi prefissi e la formazione dei toni è una caratteristica del tibetano centrale da Spiti a Bhutan. Il dialetto del Tibet centrale (provincie di Ü e Tsang) è assurto all'importanza di lingua comune ed è compreso in tutto il Tibet e parlato accanto alle varietà regionali. Fra le varietà dialettali enumeriamo:
b) i dialetti occidentali, e precisamente il Balti (o Bhōṭiā), il Purik, il Ladakh (con i sottodialetti Sham, Leh e Rong), il Lahul;
c) i dialetti centrali; oltre il tibetano comune abbiamo le seguenti varietà regionali: lo Spiti, lo Nyamkat, il Jaḍ, il Garhwal, il Kāgate, lo Sharpa, il Dänyongkä, il Lhoke;
d) i dialetti orientali o Khams parlati nella parte orientale del Tibet, fra la provincia di Ü e la Cina (nella regione detta appunto Khams-Yul).
2. Sezione dei dialetti del Himālaya, parlati da tribù tibeto-birmane che abitano lungo il versante meridionale del Himālaya fino al confine etnico con i popoli ariani. B. H. Hodgson li divide in due gruppi, secondo alcune caratteristiche del sistema prenominale; il primo gruppo "semplice", ha un sistema di pronomi personali che non differiscono gran che da quello delle altre lingue tibeto-birmane; il secondo "complesso" (o "pronominalizzato"), ha un sistema pronominale assai più complicato; i pronomi variano a seconda che il soggetto è di prima persona e l'oggetto di seconda, il pronome di prima e l'oggetto di prima, il pronome di prima e l'oggetto di terza, il pronome di seconda e l'oggetto di prima, ecc.
a) Primo gruppo: dialetti himalayani semplici (non pronominalizzati) parlati nella regione del Nepal: α) il Gurung (parecchie consonanti finali sono cadute; per es. mi "occhio", cfr. tibetano mig; pre "otto", cfr. tibetano brgyad; possiede un ergativo caratterizzato dalla posposizione -d); β) il Murmi (possiede un ergativo in -se); γ) il Sun(u)war (non ha ergativo); δ) il Māgar (uno dei pochi idiomi di questo gruppo che possieda le vocali ö, ü; ha un consonantismo ricchissimo; l'ergativo è caratterizzato da -e, -i); ε) il Nēwār (conosciuto anche con i nomi di Patan, e Bhatgaon; usato anche come lingua letteraria, specialmente per la traduzione dei testi buddhistici dal sanscrito; l'alfabeto deriva dall'antico alfabeto brahmi; possiede un ergativo in -na, -nã, o -se-na); ζ) il Pahr (o Pahi o Padhi; ha un ergativo caratterizzato dai suffissi -na, -haia); η) il Lepcha (o Rong), parlato nel Sikkim (ha una posizione leggermente distinta in questo gruppo: vanta una letteratura e possiede un alfabeto speciale; ha tre numeri: il duale è caratterizzato dalla posposizione -nvum, il plurale, da -sang per la categoria animata, da -pang per quella inanimata; l'ergativo esce in -nun); ϑ) il Ṭōṭō, assai affine al Lepcha.
b) Secondo gruppo: dialetti himalayani complessi (pronominalizzati), si distinguono due sottogruppi, uno orientale e uno occidentale. Nei dialetti del sottogruppo orientale troviamo un gran numero di pronomi a seconda delle categorie di persone con cui si parla e delle complicate esigenze di cortesia orientale; distinguiamo una diecina di dialetti: α) il Dhīmāl, parlato nel Darjeeling (l'ergativo si forma con la posposizione -dong); β) il Thāmi (l'ergativo è caratterizzato da -i o -e); γ) il Limbu (ha una caratteristica distinzione tra soggetto e oggetto; un tempo fu usato a scopi letterarî, con alfabeto speciale); δ) il Yākhā (l'ergativo è caratterizzato da -ng-); ε) il Khambu (si suddivide in molte varietà dialettali, tutte affini fra di loro); ζ) il Rai (molto vicino al Khambu); η) il Vāyu, parlato dalla tribù omonima che abita, in piccoli villaggi, le regioni paludose del Nepal (il soggetto è indicato con affissi pronominali); ϑ) i dialetti minori del Nepal orientale (Chēpāng, Kunūnda, Bhramu e Thakasya). Il sottogruppo occidentale comprende una serie di piccoli dialetti del Nepal occidentale, incuneantisi fra i dialetti tibetani propriamente detti e le lingue ariane; ne possiamo enumerare nove: α) il Kanāwar (possiede duale e plurale; il duale ha però una forma ben distinta solo nei pronomi; l'ergativo è caratterizzato da -s; il sistema pronominale è assai complesso); β) il Kanāsh; γ) il Manchāṭ (o Paṭni: quasi identico è il Chambalāhul); δ) il Rangloi (o Gondla, o Tinan); ε) il Bunán; ζ) il Rangkas (o Saukiyā Khun); η) il Dārmiyā e ϑ) il Chaudāngs (influenzati dalle parlate ariane); ι) il Bvāngs (può essere considerato come un dialetto del Chaudāngs). I dialetti ζ-ι sono parlati nell'Almora.
II) Sottogruppo dell'Assam settentrionale. - I dialetti appartenenti a questo sottogruppo si trovano in una regione compresa fra la valle dell'Assam e il Tibet, dal Bhutan a ovest al Brahmaputra ad est; questo sottogruppo ha una ragion d'essere più geografica che linguistica, in quanto non vi sono caratteri peculiari e importanti che distinguano i dialetti qui riuniti dagli altri della famiglia tibeto-bimiana. Si può dire, grosso modo, che i dialetti dell'Assam settentrionale devono essere considerati come intermedî fra il tibetano e i dialetti dell'Assam e dell'India settentrionale. Gli antichi prefissi sono divenuti sillabe indipendenti e non si sono fusi con il radicale, come nel tibetano; il sistema pronominale è assai semplice.
Si distinguono tre varietà principali: 1. l'Aka (o Hrusso; ha un fonetismo assai complesso; non esiste ergativo); 2. l'Abor-Miri e il Daflāestremamente affini tra loro, tanto da poter essere considerati come un'unità (il vocalismo è assai ricco; le parole sono, in generale, disillabe; pare non esistano toni; non si trova neppure l'ergativo); 3. il Mishmi (distinto in alcune varietà dialettali: Chulikātā, Digāru e Mījū).
III) Sottogruppo Bāṛā o Bodo. - Questo sottogruppo comprende una serie di dialetti dell'Assam, i quali, per causa della vicinanza di varie lingue ariane e del bilmguismo dei parlanti, hanno il lessico, la fonetica e la morfologia fortemente arianizzati.
Si distinguono otto dialetti: 1. il Bāṛā o Bodo propriamente detto (chiamato anche Kachār della pianura; come un dialetto del Bāṛā può essere considerato il Mes o Mech); 2. il Lālung; 3. il Dīmā-Sā (o Kachār delle colline; leggerissime varianti presenta il dialetto Hōjai); 4. il Gārō (o Mandē-Kusik; ha parecchie varietà dialettali: Achik-Kusik, considerato come il dialetto principale, Abeng, Atong, dialetti Kōch, ecc.), 5. il Rābhā (suddividentesi nei due dialetti Rangdāniā e Maitariā o Matrai); 6. il Tipurā; 7. il Chutiyā (in gran parte estinto e sostituito dall'Assamese); 8. il Morān (estinto; sembra essere stato assai affine al Kachār).
IV) Sottogruppo Nāgā. - Il sottogruppo Nāgā comprende i linguaggi parlati nei distretti di Lakhimpur, Sibsagar, Cachar, Nowgong, Naga Hills, nello stato di Manipur e nelle regioni selvagge a oriente della frontiera dell'India inglese.
Si distinguono cinque sezioni: 1. occidentale, che comprende quattro dialetti (Angāmi o Tengimā; Semā [Simi], Rengmā o Unza, Kezhāmā); 2. centrale, ehe comprende cinque dialetti (Āo o Hatigorria; Lhōtā; Tengsa; Thukum; Yachum); 3. orientale, che comprende parecchie varietà dialettali, data però la quasi assoluta identità di alcune di esse, possiamo indicare solo tre gruppi di dialetti: a) Angwānku e Tamlu; b) Banparā, Chāng, Assiringiā, Mutoniā e Mohongiā; c) Namsangiā; 4. sezione Nāgā-Bodo, che segna il passaggio fra la sezione occidentale e la sezione Nāgā-Kuki (comprende quattro dialetti: Mikir; Ēmpēo o Kachchā Nāgā-Kabui o Kapwi; Khoirāo); 5. sezione Nāgā-Kuki, che comprende sette dialetti (Sopvomā o Māo Nāgā; Marām; Miyāngkhāng; Kwoireng o Līyāng; Luhūpā o Luppa; Tāngkhul; Maring, che segna il passaggio fra gl'idiomi di questo sottogruppo e quelli del sottogruppo Kuki-Chin).
V) Sottogruppo Kachin. - Comprende il solo Kachin (o Singphō).
Il Kachin è parlato da popolazioni montanare, su una grande area che va dall'Assam settentrionale sino al confine cinese, attraversando la Birmania settentrionale. I dialetti Kachin, tutti affini fra loro, presentano molte somiglianze con le lingue Kuki-Chin (e specialmente col Meithei) e segnano il passaggio fra le lingue Nāgā-Bodo e queste ultime. Il Kachin ha sviluppato un ricco sistema di suffissi verbali che lo ravvicina in questo punto al Birmano; anche nell'uso d'un prefisso negativo, il Kachin si accosta al Birmano; però differisce da questo e dalle lingue dello stesso gruppo per il suo peculiare sistema di toni. L'anello di congiunzione fra Kachin e Birmano è il dialetto più meridionale del Kachin stesso, chiamato Kaori.
VI) Sottogruppo Kuki-Chin. - Le lingue parlate dalle tribù KukiChin (più esattamente Meithei-Chin) occupano il territorio che si estende dai Naga Hills a nord, fino al distretto di Sandoway, nella Birmania, a sud, dal fiume Myittha a oriente, fino al golfo del Bengala a occidente, in una regione in generale montagnosa.
Il sottogruppo linguistico Kuki-Chin è più vicino al ramo Birmano che a quello Tibetano, come dimostrano i numerali e parecchie caratteristiche fonetiche, compreso il sistema dei toni; tuttavia parecchie peculiarità non permettono di considerare i dialetti Kuki-Chin come membri della famiglia Birmana, ma piuttosto come anelli di congiunzione fra Tibetano-Bodo-Nāgā e Birmano e specialmente fra Kachin e Birmano. Entro il sottogruppo Meithei-Chin, si devono fare due suddivisioni: il Meithei (che segna il passaggio fra il sottogruppo Kachin e il Kuki-Chin); le lingue Kuki-Chin propriamente dette, con quattro suddivisioni principali: 1. Chin settentrionale; 2. Chin centrale; 3. vecchio Kuki; 4. Chin meridionale.
Una delle caratteristiche delle lingue Kuki-Chin è il numero considerevole di prefissi che sono, almeno apparentemente, pleonastici o parassitici; la vocale di questi prefissi è evanescente; spesso si muta per assimilazione nella vocale del radicale. Il pronome di terza persona assume spesso la funzione di un prefisso possessivo con valore genitivale, mentre il pronome possessivo, in generale, si è perduto. Il verbo negativo è formato con la posposizione di una particella negativa. Interessante il raddoppiamento del verbo principale dinnanzi alle negazioni, come per es. nel Kolren: na-pē-pēk-mao-īai "non diede".
Il Meithei (o Manipurī) è la lingua principale dello stato di Manipur, parlata da un quarto di milione d'individui; ha servito nei due ultimi secoli anche a scopi letterarî, ed è stata scritta con un alfabeto introdotto dal Bengala verso il 1700. Oggi essa è molto minata dalle altre lingue dello stato di Manipur, che ne hanno in gran parte contaminato il lessico; vi sono alcune varietà dialettali (Lūi; Andro; ecc.).
Lingue Kuki-Chin propriamente dette: 1. La sezione Chin settentrionale comprende cinque dialetti (Thādo; Sokte; Siyin; Rāltē; Paitē, che segna il passaggio alla sezione centrale in cui potrebbe anche essere incluso). 2 La sezione Chin centrale comprende sette dialetti (Shunkla o Tashōn; Lai, con parecchie varietà dialettali; Lakher; Lushei o Dulien; Ngentē; Banijōgī; Pānkhū); questi, quantunque siano assai vicini a quelli della sezione settentrionale, sono ancora più affini a quelli della sezione vecchio Kuki, con cui il Pānkhū segna una specie di anello di congiunzione: la principale differenza fra i dialetti di questa sezione e quelli della sezione vecchio Kuki, starebbe, secondo Sten Konow, nella particella negativa, che nei dialetti centrali, ha il tipo lo, mentre nel vecchio Kuki ha generalmente il tipo mak. 3. La sezione vecchia Kuki (sembra che le tribù vecchie Kuki si siano stabilite nel territorio Lushei solo un secolo e mezzo fa), comprende dodici varietà dialettali strettamente affini fra loro (Rāngkhōl; Hallām; Langrong; Aimol; Chiru; Kolrēn o Koireng; Kōm; Chaw o Kyau; Mhār; Pārām; Anāl; Hirōi Lamgāng). 4. La sezione Chin meridionale comprende parecchi dialetti parlati nella parte meridionale dei Chin Hills; linguisticamente essi sono in stretto contatto con i dialetti della sezione Chin settentrionale; si distinguono quattro varietà: Chimbok; Taungta, probabilmente semplice varietà del Chimbok; Shö (o Khyang), uno dei pochi dialetti di questo gruppo relativamente ben conosciuti; Khami.
VII) Sottogruppo Birmano. - Il sottogruppo Birmano si suddivide in due rami: il Birmano e il Lihsaw.
Il ramo birmano con sei varietà. Anzitutto il Birmano propriamente detto (v. birmania, VII, pp. 72-75), che è la principale lingua della Birmania e che vanta una letteratura considerevolmente antica; esso è limitato a sud dal Mon e dal Karen, a est dalle lingue Tai, a nord dallo Shang e Kachin, a ovest dai varî dialetti Chin; la lingua letteraria è uniforme dappertutto, ma quella parlata conta parecchie varietà dialettali (Arakanese o Maghi; Mru; ecc.). Le altre sei varietà sono il Danu; il Kadu parlato nel distretto di Katha, ma molto influenzato da altri idiomi; lo Szi (o Asi) misto di Kachin e di Birmano; il Lashi; il Maru; il Hpön. Il ramo Lihsaw, formato da sei dialetti molto affini fra loro e strettamente connessi a quelli del ramo Birmano, comprende il Lihsaw propriamente detto, parlato nei dintorni di Sadon; il La'hu; l'Akka (o Kaw); l'Ako; il Li-su; e il Musu (o Mosso).
B) Gruppo orientale o sino-siamese. - Comprende tre grandi sottogruppi: Thai, Karen e Cinese. La più evidente caratteristica di questo gruppo è il completo monosillabismo.
Il gruppo sino-siamese (o siamese-cinese) non è organico come quello tibeto-birmano. Le comparazioni fra le lingue di questo gruppo sono rese più difficili dallo stato d'impoverimento fonetico, in cui questi idiomi si sono ridotti. Anche i più antichi monumenti cinesi ci informano molto scarsamente sulla morfologia e la fonetica del cinese arcaico, per causa dell'imperfezione della scrittura. Solo sulla base dei trattati degli antichi rimarî e lessici e sulla comparazione dei dialetti moderni si può ricostruire la pronunzia del cinese, come ha fatto B. Karlgren, nelle sue Ètudes sur la phonologie chinoise (Stoccolma 1915-19). Si è detto che una caratteristica del gruppo sino-siamese è il completo monosillabismo; ma anche questo al pari di quello parziale del tibetano, non è primitivo. Il Karlgren in un articolo ormai classico: Le proto-chinois, langue flexionnelle (in Journal Asiatique, 1920), ha potuto dimostrare che nel protocinese i pronomi personali di prima e seconda persona avevano delle forme diverse a seconda che erano al nominativo o all'accusativo. Così in cinese il pronome di prima persona dovette essere *nguo al nominativo e *nga all'accusativo, quello di seconda *ńźiwo al nominativo e *ńźia all'accusativo. Mirabile è la concordanza col birmano, in cui abbiamo alla prima persona nga-ga al nomin., nga-go all'accus., e alla seconda persona nin-ga al nomin., nin-go all'accus. La forma del pronome nominativo serviva in cinese anche per il genitivo.
I) Sottogruppo Thai. - Comprende il Siamese e il Lao nel Siam, il Lü e il Khün negli Stati Trans-Salwenici, lo Shan di Birmania e Yün-nan, l'Ahom, il Khamti e altri dialetti dell'Assam. La sede primitiva dei popoli Thai deve essere stata la Cina meridionale, dalla quale essi migrarono poi verso la Birmania settentrionale circa due millennî or sono. In alcuni distretti della Cina meridionale e dell'Indocina settentrionale si trovano ancora i resti di popolazioni montanare (Man, Miao-tse, ecc.), che appartengono certamente a schiatte affini alla famiglia Thai, quantunque la classificazione linguistica di questi sparsi relitti sia, anche per la scarsità dei materiali, molto difficile. Nel sottogruppo si distinguono tre sezioni: settentrionale, meridionale, orientale.
La sezione settentrionale comprende: Ahom, Khamti, Tairong, Nora, Aitonia e Shan. L'Ahom, ora estinto, probabilmente rappresema la lingua che più fedelmente ha continuato quella dei primi immigranti Thai nell'Assam; essa mostra un carattere spiccatamente arcaico in confronto alle altre lingue della sezione: per es. l'Ahom conserva il d che nel Khamti si muta in n e nello Shan in l; così Ahom di, Kh. ni, Sh. li "buono"; che il d sia il suono primitivo, è provato dalla comparazione con le lingue della sezione meridionale (per es. Siamese di "buono"); l'Ahom conserva r che nel Khamti e Shan è mutato in h, per es. Ah. rau, Kh. hau, Sh. haw "noi"; che lo r sia il suono primitivo, è provato dalla comparazione col Siamese rau. Il Khamti, parlato nella regione chiamata Khamti Long e al di là di essa in India nel distretto di Lakhimpur, possiede un alfabeto tratto da quello birmano attraverso l'alfabeto Shan. Il Tairong oggi è quasi estinto. L'Aitonia può essere considerato come una variante dialettale dello Shan che si suddivide in quattro dialetti principali (settentrionale, meridionale, occidentale, orientale).
La sezione meridionale comprende: il Siamese (v. siam: Lingua); il Lao, lingua che presenta un carattere considerevolmente arcaico, parlata nel Siam settentrionale; il Lü e il Khun parlati nella regione al di là del Salwen e cioè a nord del Lao e a oriente dello Shan meridionale.
La sezione orientale è molto meno bene stabilita delle altre due, perché comprende lingue poco conosciute; ad essa apparterrebbero il Li (con i dialetti Loi, Lao, Klai, Lakia) nell'isola Hainan. Semndo A. Trombetti (Saggi di Glottologia generale comparata, II, p. 476), il Miao-Li dell'isola di Hainan si collega col Yao del sottogruppo cinese.
II) Sottogruppo Karen. - Comprende tre dialetti parlati dai Karen nel Siam, Pegu, nelle regioni montuose dell'Arakan e Birmania settentrionale fino al confine dell'Assam: Sgaw, Pwo e Bghai.
III) Sottogruppo Cinese. - Comprende in primo luogo la grande lingua letteraria cinese, con le numerose varietà dialettali odierne (v. cina, X, pp. 303-306); ricordiamo che la principale divisione dei dialetti cinesi è quella di dialetti settentrionali e meridionali.
Al gruppo cinese si riuniscono probabilmente le lingue dei Man, Miao-Tse, e Meo parlate nelle montagne della Cina meridionale e dell'Indocina settentrionale.
Di difficile classificazione nel seno della famiglia indo-cinese è il gruppo Lo-lo che comprende il Lo-lo, il Moso, il Si-hia, il Huni e il Pu-la, parlati nella Cina meridionale e nel Tonkino settentrionale. Da un lavoro del Laufer, The Si-Hia language (in T'oung Pao, 1916), appare che queste lingue hanno molti punti di contatto col Tibetano e pertanto qualche autore include il gruppo Lo-lo nella famiglia tibeto-birmana. Se noi abbiamo elencato il gruppo Lo-lo in questo punto, è perché probabilmente il Si-hia o Tangut, appartenente a questo gruppo, secondo il Laufer, sembra formare il ponte di passaggio fra i tre gruppi occidentale (o tibeto-birmano) e orientale (o sino-siamese) da una parte e l'isolato gruppo settentrionale o Jenisseiano dall'altra.
C) Gruppo settentrionale o Jenisseiano. - È ridotto a un povero e isolato relitto, prova dell'espansione delle lingue indo-cinesi verso il nord nella Siberia. Il gruppo Jenisseiano comprendeva quattro idiomi: l'Ostiaco, il Kotto (estinto) e le lingue degli Arini e degli Assani (estinte). Per maggiori ragguagli cfr. jenisseiani.
Annamitico. - Alcuni glottologi includono nella famiglia linguistica indo-cinese anche l'annamitico. G. Maspero nella sua Phonétique historique de la langue Annamite (in Bulletin de l'Ècole Franfaise d'Fxtrême Orient, XII, 1912, pp. 1-127), ha cercato di dimostrare che la grammatica e il lessico annamitico debbono essere considerati come affini alle lingue Thai; ma la sua dimostrazione è basata principalmente sul sistema dei toni e perciò è molto dubbia; parecchi mantengono l'annamitico unito alle lingue Mon-Khmer. Tutto si spiegherebbe se si potesse provare che le due famiglie linguistiche indo-cinese e munda-polinesiaca (austroasiatica) fossero state in origine una sola, secondo l'ipotesi di A. Trombetti, L'unità d'origine del linguaggio (Bologna 1905, p. 16); Saggi di glottologia generale comparata, I, I pronomi (Bologna 1908, p. 217 segg.); II, I numerali (Bologna 1909, p. 282 segg.); Elementi di glottologta (Bologna 1923, p. 199 segg.) e di A. Conrady (in Aufsätze zur Kulturu. Sprachgeschichte vornehmliche des Orients E. Kuhn zum 70 Geburstag gewidmet, Breslavia 1916, pp. 475-504).
L'unità del gruppo indo-cinese venne fissata relativamente tardi. Dopo che B. H. Hodgson ebbe stabilita l'unità del gruppo tibeto-birmano in una serie di lavori pubblicati dal 1828 in poi (raccolti in Essays on the languages, leterature and religion of Nepal and Tibet, Londra 1874), R. Lepsius cominciò a studiare comparativamente la fonetica del cinese e del tibetano (Über Chinesische und Tibetische Lautverhältnisse, Berlino 1861). Il lavoro più importante nella linguistica indo-cinese comparata fu quello di A. Conrady, Eine indo-chinesische Causativ-denominativ-Bildung und ihr Zusammenhang mit den Tonaccenten, Lipsia 1896. Si veda inoltre: N. Brown, Comparison of Indochinese Languages, in Journal of the Asiatic Society of Bengal, VI (1837), p. 1023 segg.; W. W. Hunter, Dictionary of the Languages of India and High Asia, Londra 1868; A. Boller, Die Präfixe mit vokalischem und gutturalem Anlaute in den einsilbigen Sprachen, Vienna 1869; C. J. F. S. Forbes, Comparative Grammar of the Languages of Further India, Londra 1882; E. Forchhammer, Indochinese languages, in Indian Antiquary, 1882, pp. 177-189; B. Houghton, Tibeto-Burman linguistic Palaeontology, in Journal of the Royal Asiatic Society, 1896, p. 23 segg.; J. Przyluski, Langues sino-tibétaines, in A. Meillet e M. Cohen, Les langues du monde, Parigi 1924, pp. 361-384; W. Simon, Tibetisch-chinesische Wortgleichungen. Ein Versuch, Berlino-Lipsia 1930; B. Karlgren, Tibetan and Chinese, in T'oung Pao, XXVIII (1931), pp. 25-70.
Per il gruppo tibeto-birmano, la principale fonte d'informazione è il terzo volume della Linguistic Survey of India, Calcutta 1909 segg., diviso in tre tomi curati da A. Grierson e da Sten Konow. Ivi si trovano gli schizzi grammaticali di tutte le lingue del gruppo e una copiosa bibliografia; inoltre: T. Grahame Bailey, Linguistic Studies from the Himalaya, Londra 1920, e L. F. Taylor in Linguistic Survey of Burma, Rangoon 1917; per il tibetano cfr. la bibl. alla v. tibet. Per il Nēwar cfr. Conrady, Feitschr. d. deutschen morgenl. Gesellschaft, XIV (1891), p. 1 segg. Per il Lepcha v. W. Schott, Ueber die Sprache des Volkes Rong, oder Lepche in Sikkim, Berlino 1882. Importantissimo è il saggio di S. N. Wolfenden. Outluines of Tibeto-Burman Linguistic Morphology, with special reference to the Prefixes of Classical Tibetan and the Languages of the Kachin, Bodo, Nâgâ, Kuki-Chin and Burma Groups, Londra 1929.
Per il gruppo sino-siamese, cfr.: Linguistic Survey of India, II, Calcutta 1904, p. 59 segg. (che comprende parecchie lingue del sottogruppo thai); E. Diguet, Étude sur la langue tai, Hanoï 1895; G. Maspero, Contribution à l'étude du système phonétique des langues thai, in Bull. École Française d'Extrême Orient, XI (1911), p. 153 segg.; B. Karlgren, Études sur la phonologie chinoise, Upsala 1915-17; e ulteriore bibl. nell'articolo cina: Lingua. Preziosi sono parecchi articoli di P. Pelliot, pubblicati nella rivista T'oung Pao di leida.
Per il gruppo settentrionale, v. bibl. in jenisseiani: Lingue.