TOFFOLO, Lino
Nacque il 30 dicembre del 1934 a Murano, nella Laguna Veneta, da Tullio Toffolo Rossit, maestro vetraio di origini friulane (il nonno era sceso nell’isola per costruire i forni refrattari per la lavorazione del vetro) e da Leda Ferro.
Primogenito, giunto dopo dieci lunghi anni di attesa da parte dei genitori (per cui il secondo nome in anagrafe recita Benvenuto), gli fecero seguito i fratelli Isea (n. 1936), Gianni (n. 1938) e Anerio (n. 1941).
Spirito anticonformista, sorretto da una vena anarchica, covava in sé una pigrizia congenita che lo tenne lontano dalla scuola, dove si fermò infatti alla prima media del Foscarini, preferendo studi autonomi di musica, oltre a cinque anni di violino impartitigli da un maestro privato. Debuttò in qualità di menestrello-canzonettista e di garbato intrattenitore, partendo proprio dalla sua isola, dai bar e dalle osterie rionali per passare poi nei gruppi cabarettistici, a fianco di Enzo Jannacci e Bruno Lauzi, e a Cochi e Renato al Derby di Milano, dove – entrato a far parte in modo continuativo a partire dal 1963 – produsse alcune canzoni di grande circolazione in quei tempi, sia per l’infanzia (Jonny Bassotto, nel 1976, scritta da Lauzi e Pippo Caruso), sia per adulti come Pasta e fagioli nel 1984: esilarante nella follia gastronomica contrapposta al canonico piatto veneto e parodica verso i flussi turistici tedeschi a Venezia. Si produsse in strepitose caricature, tratteggiate sempre con bonaria leggerezza, vedi l’ubriaco nella tradizione veneta vernacola. Nel 1959 ebbe una piccola parte in Sior Tita Paron di Gino Rocca: qui venne notato da due produttori RAI che gli proposero di comporre la sigla di un programma della testata regionale (El listòn).
Il 28 maggio 1961 si unì in matrimonio con Antonia (detta Carla) Ongaro, da cui ebbe tre figli: Paolo, musicista (n. 1962), Luisa, grafica (n. 1966) e Anna, anche lei musicista (n. 1970), e che, insieme al fratello, negli ultimi tempi furono a fianco del padre per suonare ai suoi spettacoli.
Toffolo si mise in luce come interprete, dapprima nella Compagnia dei Delfini di Venezia (operativa tra il 1960 e il '65), incrociando il grande attore Cesco Baseggio: durante questo periodo compose appunto musiche di scena e le sue prime canzoni in lingua veneta, vedi il Povero soldato di Ruzante (1963), riduzione di Andrea Zanzotto e Giuseppe Maffioli, anche regista. Il debutto ufficiale come interprete avvenne nel 1965 in una cornice prestigiosa, nel Cortile del Castello della Regina Cornaro ad Asolo, per La politica dei villani del Pittarini, ove sostituì Mario Bardella, ammalatosi all’improvviso. Registrò inoltre alcuni programmi radiofonici prodotti dalla sede regionale di Venezia della RAI.
In questo periodo fece il suo esordio sul mercato discografico, forte di un contratto con la Fonit Cetra, con il 45 giri 'Na brombola impissada/No la vogio no (1963), seguito da L'imbriago/Vin nero. Nel 1964, nel corso della trasmissione televisiva Questo e quello, propose – insieme con Jannacci, Giorgio Gaber, Silverio Pisu e Otello Profazio – un'interpretazione del canto anarchico Addio a Lugano. Nel 1966 effettuò una tournée in Canada, assieme ad altri esponenti folk come Gabriella Ferri, lo stesso Profazio e Caterina Bueno in uno spettacolo teatrale diretto da Aldo Trionfo. Nel medesimo anno pubblicò l’album Lino Toffolo. Tra le canzoni ivi contenute è da citare Gastu mai pensà, struggente stornellata d'amore, due anni dopo tradotta in italiano da Enzo Jannacci. Passò successivamente alla RCA Italiana e incise il suo disco di maggior successo, Oh Nina (vien giù da basso che te vogio ben), con cui partecipò anche al Cantagiro 1969. Un altro suo successo, l'anno seguente, fu Ah, lavorare è bello, da lui portata in giro con una una carriola e un martello, un modo allusivo, rifuggendo da forzature ideologiche, alla durezza del lavoro manuale.
Al cinema Toffolo debuttò nel 1968 con il «musicarello» Chimera, a fianco di Gianni Morandi e Laura Efrikian, diretto da Ettore Maria Fizzarotti. In tale ambito venne scritturato in una lista complessiva di 25 titoli, ora di maggior rilievo, come Telefoni bianchi (1976) di Dino Risi, ora di mera cassetta, alternando momenti sovraccarichi di impegni a soste prolungate, con rinunce a contratti allettanti ma faticosi per non essere costretto a escursioni lontane dalla sua amata isola. Si tratta di ruoli per lo più di contorno, risolti in sapide e disincantate macchiette che spesso però lasciavano il segno, anche se con poche inquadrature.
Sfilano nella lista il cow boy I quattro del Pater noster (1969) di Ruggero Deodato, un troglodita in Quando le donne avevano la coda (1970) di Pasquale Festa Campanile, uno dell'armata in Brancaleone alle crociate (1970) di Mario Monicelli, un improbabile rapitore in Un'anguilla da 300 milioni (1971) di Salvatore Samperi, dove figurava in una inverosimile scena d’amore colla bella Senta Berger, un violoncellista ne Il merlo maschio (1971) di Festa Campanile, un chierichetto bilioso e litigioso col collega Paolo Villaggio in Beati i ricchi (1972) di Samperi, un emigrante come nel titolo L'emigrante (1973) di Festa Campanile, un gondoliere squattrinato in Yuppi du (1975) di Adriano Celentano, un organista concertista in Culastrisce nobile veneziano (1976) di Flavio Mogherini, un soldato tedesco in Sturmtruppen (1976) di Samperi. Da segnalare che nell’adattamento da Ruzante La Betìa ovvero in amore, per ogni gaudenza, ci vuole sofferenza (1971) di Gianfranco De Bosio interpretava la sua canzone Bel oselino.
L’ultima pellicola che lo ospitò fu Il giorno in più (2011) di Massimo Venier.
La popolarità gli arrise però dalle apparizioni sul piccolo schermo, ben dosate nella consueta arte della sottrazione, a partire da Canzonissima (1971), al fianco di Alighiero Noschese, quindi in Risatissima (1985), dove reggeva in braccio il pupazzo del presidente Pertini e, grazie a un imitatore fuori scena, dialogava con lui. E ancora in Un fantastico tragico venerdì, condotto nel 1986 da Paolo Villaggio, in Tuttinfamiglia (1987-89), gioco a quiz da lui condotto in sostituzione di Claudio Lippi, in Casa mia (1989-90), in Quelli che… il calcio negli anni Novanta, in cui simulava telecronache buffonesche della squadra del Venezia, in Stiamo lavorando per noi (2007) con Cochi e Renato e ne La vita in diretta condotta da Mara Venier nel 2013, passando con disinvoltura dai canali RAI a quelli Mediaset, sempre coi suoi siparietti, monologhi collaudati sul palco, intermezzi, e ospitate allegre nel ruolo di bizzarro opinionista. Qui, il candore, la bonomia e quel misto di imprevedibilità e di inafferrabilità che lo caratterizzava lo fecero amare da subito, specie dai più giovani. Fu sua, inoltre, la pubblicità della confettura Santa Rosa nel 1984-85.
Tra saltuarie e discontinue presenze sulla ribalta teatrale, significativa anche perché esempio d'una duttilità espressiva e di bravura e capacità nel cimentarsi in eventi di diversa qualità culturale, dall’alto al basso senza distinzione, nel 1988 al XXXI Festival di Spoleto Toffolo fu diretto da Orazio Costa, severo ed esigentissimo regista, aduso a privilegiare motivi religiosi e portato a tensioni spirituali, nello spettacolo Dal pulpito, al fianco di Roberto Herlitzka, con al centro personaggi tra cui Jacopone da Todi e Savonarola.
Se nel 1993 lo ritroviamo sulla scena per Tonin bela grazia di Goldoni, allestito dallo Stabile di Trieste, d'allora in poi si cimentò colla consueta spigliatezza in altri generi, come l'operetta: nel ruolo del carceriere ne Il pipistrello di Johann Strauss (1997), diretto da Gianfranco De Bosio; nel prologo de La Moscheta di Ruzante (1998), scene e costumi di Luzzati, sempre con regia di De Bosio, e come Zanetto Pesamenole (Donna Pasqua) in Al Cavallino Bianco di Ralph Benatzky (2002) per la regia di Gino Landi al Verdi di Trieste.
Fu altresì voce recitante in Pierino e il lupo di Sergei Prokofiev nel 2000 (poi riproposto al teatro Malibran di Venezia nel 2010), in Histoire du soldat di Igor Stravinskij nel 2002, di cui curò anche la regia, nonché, sempre quale voce recitante, in Peer Gynt di Edvard Grieg al PalaFenice al Tronchetto di Venezia nel 2003.
Fu infine Sior Todero goldoniano nel 2007, per la regia di Toni Andreetta.
Toffolo è stato anche autore di commedie, tra cui Gelati caldi, scritto sulla metà degli anni Settanta, e altre a partire dalla fine degli anni Ottanta in poi, tutte rimaste inedite, tra cui Fisimat e Lei chi è?
In particolare, in Gelati caldi, ambientato in una località balneare, il gestore di un piccolo bar vicino alla spiaggia sfrutta la puzza proveniente da un buco nella sabbia, al punto da continuare ad alimentarla con una bombola a gas quando il fetore viene a cessare. Scoperto decide di andare in Germania a preparare «gelati caldi».
Più eccentrico invece Lei chi è?, sorta di storia alla rovescia, in cui il capo di un’azienda, colpito dall’Alzheimer, viene mostrato man mano com’era prima della malattia, tra famiglia esigente e segretaria amante, con varie colpe che escono allo scoperto. Inoltre, i più ambiziosi Fagioli e computer e Tutto e subito, sull’evoluzione o involuzione della società veneta.
Nonostante la sua umiltà, insolita nel mondo dello spettacolo (dove fu spalla intelligente, misurata e accorta, molto cara ai protagonisti), venne riconosciuto dalle generazioni successive quale maestro di comici lagunari, ad esempio da Carlo e Giorgio, apprezzato duo cabarettistico in vernacolo.
Nel 2005 girò lui stesso Nuvole di vetro, film prodotto dall’ Associazione culturale «Venezievole» (Murano), con le musiche del figlio Paolo, e organizzazione a opera della figlia Anna, centrato su Murano, metafora celebrativa di una vita tranquilla, esibendo le fabbriche mitiche di vetro in un dimesso grigiore quotidiano aperto in compenso a continue tentazioni surreali.
Qui Toffolo si spaccia per operaio, recuperando la tradizione nel suo DNA, coi parenti reali in scena e tra scherzi dei colleghi, figurine chiacchierone o balbuzienti, scorci magici di canali, la Piazza sfiorata di corsa nel montaggio, pettegolezzi, ciacole, feste serali, ricerca di una casa più grande, perplessità paterne per i morosi della figlia, e una love story (poi rivelatasi di mera immaginazione) con una cinesina apparsa magicamente in un vaso appena sfornato, locata al Danieli, tra fuochi d’artificio e ricchi clienti americani. E, del resto, amava definirsi nel «gruppo di quelli che sognano» (cfr. Toffolo, Ridi?, p. 50). Partecipò a sceneggiati e fiction televisive, tra cui Scusate il disturbo (2009), Tutti i padri di Maria (2010, accanto a Lino Banfi), e L’ultimo papa re (2013, con Gigi Proietti), dirette da Luca Manfredi.
Negli ultimi anni, tramite la propria pagina Facebook collaborò al Gazzettino, il quotidiano veneziano, con la rubrica settimanale «DomenicaLino».
Nel maggio del 2016, a 81 anni, in seguito a una caduta per strada, causata dalle sconnessioni nella pavimentazione dei masegni (pietroni di trachite), venne ricoverato presso gli Ospedali civili, dove gli fu diagnosticata la frattura del polso e di due costole.
Dimesso, morì presso la sua abitazione muranese per un infarto, pochi giorni dopo il rilascio, il 17 maggio 2016.
Il funerale venne celebrato il 20 maggio nella chiesa di San Pietro Martire nella sua Murano e fu sepolto nel locale cimitero. Presenti alle esequie i familiari, i tanti amici di quartiere, gente comune, colleghi famosi tra cui Renato Pozzetto, Ottavia Piccolo e Pino Donaggio.
Viso sveglio di finto semplice, attore dal profilo basso, i grandi occhi sempre sgranati tra stupore e malizia, a dargli l’aspetto di un fool disarticolato dal corpo naturalmente danzerino, in realtà fu incalzato oltre che dal culto per l’indipendenza, da una forte curiosità sperimentale che spaziava dai circuiti extraprofessionali a tutti i media possibili. Così, ad esempio, scrisse e pubblicò volumetti che raccolgono facezie sui luoghi comuni, sui tic comportamentali, spunti narrativi, riflessioni sulla macchina del riso (senza mai ergersi ad astruserie teoretiche, ma entro i blandi confini della barzelletta e del proverbio popolare) e sul dialetto, sul voyerismo sessuale così come, in generale, sull’arte della finzione scenica: A remengo! (1996), A gratis A maca (1997; testo italiano e versione in veneziano, molto diversa dall’originale comunque a fronte), e Ridi? (2003). Ma non mancavano spunti sugli emigranti, sulle tragedie contemporanee della storia, su cui la risata svolge nondimeno una funzione terapeutica. Di qui quel gusto che fu suo per una comicità stralunata e un’ironia beffarda e sorniona, rivolta con medesima grazia anche verso se stesso.
Utili, i citati L. Toffolo, A remengo! (Milano 1996); A gratis A maca (Ferrara 1997); Ridi? (ibid. 2003). In generale, oltre alla recensionistica sui quotidiani, sulla tradizione della scena veneziana e veneta, si rimanda a: P. Puppa, Cesco Baseggio. Ritratto dell’attore da vecchio (Verona 2003).