LIPPO MEMMI
Pittore, figlio di Memmo di Filippuccio, L. è documentato dal 1317, anno in cui firmò la Maestà del palazzo del Popolo di San Gimignano, al 1347, quando acquistò una vigna per la sorella Giovanna, vedova di Simone Martini (Bacci, 1944; Bennett, 1977).L'attività di L. si svolse all'ombra del cognato Simone Martini; come suo stretto collaboratore, o anche come suo fratello, viene ricordato da Ghiberti nei Commentari (II, 10) e da Vasari (Le Vite, II, 1967, pp. 198-200), che trattano insieme dei due pittori. È perciò sempre stato difficile enucleare la produzione di L. da quella di Simone, come da quella dei numerosi allievi gravitanti intorno alla bottega di quest'ultimo, quali Donato Martini, fratello di Simone, Tederico (Federico) Memmi, fratello di L., e Barna, citati dalle fonti, ma privi di opere certe. In questa difficile operazione gli studi si sono recentemente orientati verso un più allargato e comprensivo concetto di bottega che, distrutta ogni credibilità storica alla figura di Barna (Moran, 1976), hanno messo in evidenza l'impossibilità di operare nette distinzioni attributive all'interno dell'atelier di Simone Martini. Si sono così profilate due tendenze: l'una trasferisce l'intero corpus di Barna nel catalogo di L. (Caleca, 1976-1977; Freuler, 1986) o in maniera più sfumata in quello della 'famiglia Memmi' (Bellosi, 1977); l'altra, non rinunciando a giudizi di valore, distingue per potenza espressiva e intensità drammatica le opere già riunite sotto il nome del fittizio Barna, arrivando a ipotizzarne autore il fratello di L., Tederico (Moran, 1976; De Benedictis, 1979; Carli, 1981; Lonjon, 1983; Volpe, 1983a; 1983b; Previtali, 1985).Le poche opere certe di L. comprendono tre tavole firmate: la Madonna dei Raccomandati (Orvieto, duomo, cappella del Corporale), la Madonna dei Servi (Siena, S. Maria dei Servi) e la Madonna di Altenburg (Staatl. Lindenau-Mus.); quattro soli dipinti firmati e datati: la Maestà di San Gimignano (1317), l'Annunciazione per il duomo di Siena eseguita nel 1333 in collaborazione con Simone Martini (Firenze, Uffizi), il dittico del 1333 ora diviso tra Berlino (Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz, Gemäldegal.) e New York (Villard Golovin Coll.) e l'affresco con la Maestà già nella chiesa di S. Domenico a Siena (Pinacoteca Naz.), che secondo una perduta iscrizione portava la data 1350. Esiguo è il numero delle opere perdute.La formazione dell'artista deve essersi svolta a San Gimignano presso il padre Memmo, che, pur nativo di Siena, vi risulta largamente attivo sia come 'pittore civico' sia come miniatore dal 1303 al 1317. Per la prima opera documentata di L., la grandiosa Maestà affrescata nel palazzo del Popolo di San Gimignano, esiste infatti un pagamento del 1317 relativo alle "figure del palazzo cioè della Sala del Consiglio del Popolo per Memmo pittore e Lippo suo figliuolo" (Firenze, Bibl. Naz., Spoglio Strozziano Cl. XXV, 567, c. 4r; Davidsohn, 1900). Poiché nella Maestà non è ravvisabile alcun intervento di Memmo, è da supporre che sia stato nominato poiché il figlio non aveva raggiunto la maggiore età. L'affresco, commissionato dal podestà Nello Tolomei, che compare raffigurato ai piedi della Vergine, reca la firma del solo L.: "Lippus Memmi de Senis me pinxit". La superficie dipinta fu ampliata con l'inserzione di quattro santi alle estremità, dovuti all'intervento di Bartolo di Fredi, attivo nella vicina collegiata, nel 1367, prima del totale restauro del 1467 eseguito da Benozzo Gozzoli. La Maestà è una libera rielaborazione e una intelligente semplificazione di quella eseguita da Simone Martini nel 1315 nel Palazzo Pubblico di Siena; essa rivela non soltanto un atto di omaggio al maestro, ma anche una prova di assimilazione del suo stile. L'incontro tra i due, in seguito legati da stretto rapporto di collaborazione, deve essere avvenuto a San Gimignano, forse in epoca precedente al 1317 (Carli, 1963), oppure a questa data. Sull'altare maggiore della chiesa di S. Agostino vi era infatti, ricordato da Vasari (Le Vite, II, 1967, p. 198) come opera del solo L., un polittico di Simone Martini databile al 1317, ora parzialmente ricomposto (Colonia, Wallraf-Richartz-Mus.; Cambridge, Fitzwilliam Mus.; coll. privata); nella stessa chiesa - contemporanee o di poco precedenti appaiono le Ss. Fina e Caterina con due devote, affrescate sui fianchi esterni della controfacciata della collegiata - L. affrescò un'imponente Madonna allattante il Figlio in trono con s. Michele Arcangelo; composizione mutila per l'inserzione di un altare, ridipinta nel 1844.Il sodalizio di L. con Simone Martini fu suggellato nel 1324 dall'acquisto di una casa dal padre di L. e dal matrimonio di Simone con Giovanna, sorella di L. (Siena, Arch. di Stato, Gabella Contratti, 1323-1324, c. 3r), e documentato nel 1326 da un lavoro comune, una pittura raffigurante S. Ansano eseguita per il Comune di Siena, per la quale ricevettero pagamenti (Siena, Arch. di Stato, Biccherna, 300; Bacci, 1944; Maginnis, 1989). Un rapporto che la moderna filologia e la critica hanno cercato di chiarire non soltanto sul piano delle risultanze stilistiche e formali, quanto anche su quello più arduo dell'invenzione e della creatività. L. dovette divenire perciò il più stretto collaboratore di Simone Martini, già famoso per le sue imprese di Siena, Napoli e Assisi. Nel 1319 Simone eseguì il grandioso polittico per i Domenicani di S. Caterina a Pisa (Mus. Naz. e Civ. di S. Matteo); in tale occasione, o poco dopo, venne commissionata a L. una versione di questo, semplificata e ridotta nelle proporzioni, destinata all'altare di S. Stefano nel duomo di Pisa: un pentittico cuspidato (Pisa, Mus. Naz. e Civ. di S. Matteo), che nel 1544 venne trasferito nella pieve di S. Stefano a Vivaia (Pisa) e in seguito nella chiesa di S. Niccolò a Casciana Alta (Pisa). Il restauro ha rimesso in valore l'alta qualità del dipinto e l'affinità con gli affreschi di San Gimignano e con le opere già riunite sotto il nome di Barna (Caleca, 1971; Bellosi, 1985).Agli anni 1320-1322, nei quali Simone Martini eseguì tre polittici per le chiese di Orvieto - in quello destinato a S. Domenico (Orvieto, Mus. dell'Opera del Duomo), che reca la firma e la data incompleta del 1320, potrebbe aver collaborato lo stesso L. (De Benedictis, 1968) -, si situa la Madonna dei Raccomandati, recante la firma "Lipus de Sena natus nos pinxit amena", che presenta, nel cristallino nitore della linea, nei volumi netti e profilati, nella caratterizzazione espressiva dei volti dei devoti, affinità sostanziali con la grande pala eseguita per il convento domenicano di S. Caterina a Pisa, dov'è tuttora conservata. La pala, raffigurante il Trionfo di s. Tommaso e descritta da Vasari come opera del pisano Francesco Traini (Le Vite, II, 1967, p. 226), è stata variamente attribuita a un seguace di Simone Martini e di L. (Meiss, 1933), a Francesco Traini (Carli, 1958), a un anonimo Maestro del Trionfo di s. Tommaso (Coor, 1961; Mallory, 1975). La decisione di tributare omaggio al santo può ancorarsi alla concreta circostanza della sua canonizzazione avvenuta nel 1323. Tale data può assumersi perciò come termine post quem per l'esecuzione del dipinto, la cui complessa iconografia vuole alludere al valore dell'ispirazione attraverso lo spirito e alla propagazione del tomismo. In essa l'uso combinato della parola scritta e dell'immagine come mezzi espressivi e compositivi della figurazione prova che ci si rivolgeva a un pubblico colto quale quello domenicano, già committente del polittico del 1319 a Simone Martini; nel convento di S. Caterina a Pisa a quel tempo era Bartolomeo da San Concordio, che potrebbe aver suggerito a L., peraltro indifferente nella sua produzione successiva al rinnovamento del repertorio iconografico, la dotta invenzione concettuale. A quest'opera di impressionante potenza visiva, di grande sicurezza d'impianto e di smaltata preziosità materica, determinante per gli sviluppi della pittura pisana, potrebbe aver partecipato anche il giovane Francesco Traini, documentato dal 1321, che si formò sulla cultura di Simone Martini e di L. (De Benedictis, 1979).Successivamente al Trionfo di s. Tommaso si situano: la Madonna con il Bambino (Castiglione d'Orcia, S. Maria Maddalena), centro di un polittico, corsiva esemplificazione di quello martiniano per S. Francesco di Orvieto, di cui potevano far parte i ss. Maddalena e Agostino (Mosca, Gosudarstvennyj Muz. izobrazitel'nych iskusstv im. A.S. Puškina, inv. nrr. 220-222; De Benedictis, 1968), che dopo il restauro si è supposto essere un autografo di Simone Martini (Padovani, 1979); il S. Giovanni Evangelista (Poznań, Wielkopolskie Muz. Wojskowe, inv. nr. 46) e il Redentore benedicente (già Torino, Coll. Gualino), parti di complessi smembrati e forse perduti, e dieci figure di apostoli, probabile coronamento di un polittico sul tipo di quello martiniano di Pisa: S. Filippo, S. Giacomo il Minore (New York, Metropolitan Mus. of Art, Robert Lehman Coll.), S. Bartolomeo, S. Tommaso, S. Mattia, S. Andrea (New York, Metropolitan Mus. of Art, inv. nr. 43.98.9.12), S. Matteo, S. Simone, S. Giacomo il Maggiore, S. Taddeo (Washington, Nat. Gall. of Art, Kress Coll., inv. nrr. 1350-1353).Alla fine del terzo decennio appartengono due grandiosi polittici. Il primo, ricordato da Vasari (Le Vite, II, 1967, p. 198) come opera di L. in S. Paolo a Ripa d'Arno a Pisa e da alcune testimonianze settecentesche locali che ne riportano la firma e la data, letta da alcuni come MCCCXXIV oppure come MCCCXXIX (Caleca, 1976-1977), ora scomparse, è stato parzialmente ricomposto. A doppio ordine, era costituito dai ss. Andrea, creduto Giacomo (Pisa, Mus. Naz. e Civ. di S. Matteo), Pietro e Paolo (Palermo, Coll. Chiaramonte-Bordonaro) e Giovanni Battista (Altenburg, Staatl. Lindenau-Mus., inv. nr. 42); come coronamento recava al centro il Redentore benedicente (Douai, Mus. de Douai, inv. nr. 34) e ai lati due eremiti vallombrosani, Giovanni Gualberto e Torello da Poppi (Altenburg, Staatl. Lindenau-Mus., inv. nrr. 44-45), e una S. Caterina (coll. privata). Controverse l'attribuzione, la datazione e la provenienza dei pannelli, dispersi nel Settecento tra varie sedi; ne è stata ipotizzata una provenienza dalla chiesa pisana di S. Andrea forisportam (Carli, 1974), e l'appartenenza come centro del complesso della Madonna con il Bambino di Asciano (Mus. d'Arte Sacra; De Giotto à Bellini, 1956; Volpe, 1960; De Benedictis, 1979), che invece, differendo dai laterali per misure, provenienza - da S. Francesco di Asciano - e stile, è da considerarsi anteriore di circa un lustro. Nonostante le affinità stilistiche e i legami con il ciclo neotestamentario di San Gimignano, la Madonna di Asciano, legandosi alle prime opere di Simone Martini, appare orientata verso un'interpretazione drammatica del suo lirismo, mentre i monumentali santi in faldistorio, citazione del S. Ludovico di Tolosa di Napoli (Mus. e Gall. Naz. di Capodimonte), appartenenti a un momento successivo, palesano una precisa volontà spaziale e una scaltrita sicurezza d'impianto (Mallory, 1975; Bellosi, 1977; Lonjon, 1983).Meno intenso sul piano espressivo è il grandioso polittico a doppio ordine eseguito per S. Francesco a Colle di Val d'Elsa. Smembrato nell'Ottocento, era costituito dalla Madonna con il Bambino, resecata in basso (Berlino, Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz, Gemäldegal., inv. nr. 1067), e dai ss. Giovanni Evangelista (New Haven, Yale Univ. Art Gall., inv. nr. 1943.239), Paolo (Parigi, Louvre), Giovanni Battista (Washington, Nat. Gall. of Art, inv. nr. 402), Lodovico di Tolosa e Francesco (Siena, Pinacoteca Naz., inv. nrr. 48-49); nell'ordine superiore annoverava i ss. Dorotea (Milano, Mus. Poldi Pezzoli), Chiara (New York, Metropolitan Mus. of Art, inv. nr. 64.189.2), Antonio da Padova, Agnese (Pittsburgh, Frick Art Mus.), Maria Maddalena (Providence, Rhode Island School of Design, inv. nr. 21.250), Agostino (coll. privata; Mallory 1974; Boskovits, 1988). L'insieme mostra peraltro nell'esecuzione soluzioni diversificate, ritmi frastagliati e delicate inflessioni sentimentali che convivono, nei ss. Francesco e Ludovico - per i quali è stata ipotizzata anche la mano di Francesco Traini (Chelazzi Dini, 1985) - come in quelli del registro superiore, con uno stile più astratto ed eletto che si lega a un gruppo di opere di un anonimo martiniano, il Maestro della Madonna Straus, identificabile forse con Donato Martini (De Benedictis, 1992). Questi importanti complessi indicano che L., in grado di rivaleggiare con il maestro in quantità e qualità delle commissioni, aveva raggiunto una posizione di prestigio nell'ambito della sua bottega, nella quale con estrema intercambiabilità di ruoli e di mansioni, a volte coadiuvato dallo stesso Simone Martini, tentò di conciliare verticalità gotica e superfici compatte ed espanse.Il 1333 segna la definitiva affermazione di L. nella cultura locale; il trittico con l'Annunciazione e i ss. Ansano e Margherita, eseguito per la cappella di S. Ansano del duomo di Siena (Firenze, Uffizi, inv. nrr. 452-453), reca infatti nella cornice l'iscrizione "Symon Martini et Lippus Memmi de Senis me pinxerunt anno Domini MCCCXXXIII". Difficile e controverso il riconoscimento delle due mani. La pala venne commissionata nel 1329, anno in cui è registrato un pagamento per il lavoro di carpenteria (Lusini, 1911); nel 1333 si conoscono due pagamenti a "Maestro Simone dipintore e per lui a Maestro Lippo" e a "Maestro Lippo per l'adornamento delle cholonne, civori e ciercini de la tavola de santo Sano" (Bacci, 1944). Ciò ha fatto supporre che solo la decorazione e la doratura spettassero a L. (Crowe, Cavalcaselle, 1885) oppure che egli avesse realizzato solo i laterali (Berenson, 1932; Paccagnini, 1955), oppure i soli profeti dei tondi (Steinweg, 1956), o, diversamente, poiché la commissione affidata nel 1329 a Simone Martini fu terminata nel 1333, che questi cominciasse dall'alto dipingendo i tondi con i profeti, l'Annunciazione e il S. Ansano e che, stanti le differenze compositive, la pala fosse terminata da L., che su disegno di Simone avrebbe eseguito la S. Margherita (Boskovits, 1983). La firma di L. accanto a quella di Simone Martini potrebbe invece aver avuto lo scopo di legittimare e ufficializzare il passaggio di consegna di capo della bottega senese in un momento in cui Simone pensava già al trasferimento ad Avignone, avvenuto nel 1336 (Bellosi, 1985). A partire da questo momento L., ormai affermato a Siena, alternò commissioni di grande respiro per le chiese della città e per quelle del contado - Madonna con il Bambino detta Madonna del Popolo, che reca la firma "Lippus Memi [...] pinxit" (Siena, S. Maria dei Servi); polittico già in S. Bernardo a Montepulciano, al cui centro insieme alla Madonna con il Bambino (Siena, Pinacoteca Naz., inv. nr. 595) erano connessi i ss. Giovanni Evangelista e Pietro con due angeli tubicini nelle cuspidi (coll. privata; Steinweg, 1956) - a piccoli dipinti per la devozione privata: dittico con la Madonna con il Bambino e S. Giovanni Battista (Berlino, Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz, Gemäldegal., inv. nr. 1081 A; New York, Villard Golovin Coll.; Meiss, 1977), che reca la scritta "Lippus Memme de Senis me pinxit" e sul retro un'antica annotazione "Insigne Campo Santo de Pisa" che ne indica la provenienza; la Madonna con il Bambino e quattro busti di santi e committente domenicana (Boston, Isabella Stewart Gardner Mus.); la Madonna con il Bambino e committente (Washington, Nat. Gall. of Art, Mellon Coll., inv. nr. 11); la Madonna con il Bambino in trono che reca la scritta "Lippus Memmi de Senis me pinxit" (Altenburg, Staatl. Lindenau-Mus., inv. nr. 43); la Madonna con il Bambino e nei tondi i ss. Agostino e Giovanni Battista (Kansas City, MO, Nelson-Atkins Mus. of Art, Kress Coll., K.1343); l'Assunzione della Vergine (Monaco, Alte Pinakothek, inv. nr. 986); il dittico con la Madonna con il Bambino, s. Giovanni Battista e s. Francesco e nella predella sette busti di santi e la Crocifissione (New York, Metropolitan Mus. of Art, inv. nr. 43.98.6; Parigi, Louvre; Lonjon, 1983). Queste opere, scalabili dal 1333 lungo il corso di un decennio, contraddistinte da una grande raffinatezza cromatica e da un tono più intimistico, attento ai passaggi delicati del modellato e del panneggio, rielaborano e approfondiscono con soluzioni personali gli esperimenti di illusiva spazialità condotti da Simone Martini ad Assisi.Nel 1341 sono registrati un pagamento a "magistro Filippo pro pictura turris" e uno a un legnaiolo che tradusse il disegno in legno; ciò ha permesso di attribuire a L. senza prove conclusive il disegno del coronamento della Torre del Mangia del Palazzo Pubblico di Siena (Lisini, 1894; Toesca, 1951). Nel 1343 L. e il fratello Tederico acquistarono insieme una casa (Bacci, 1944); nello stesso anno è databile, sulla scorta di testimonianze locali, un grande polittico perduto ricordato da Vasari (Le Vite, II, 1967, p. 198) sull'altare maggiore della chiesa di S. Francesco di Pistoia (Neri Lusanna, 1993), prova che la fama dell'artista aveva oltrepassato i confini di Siena. Nel 1344 a L. e Tederico venne commissionato dal rettore dello Spedale di S. Maria della Scala di Siena un trittico corredato da una ricca cornice intagliata e dorata, oggi perduto (Bacci, 1944).In questi anni, agli inizi del quarto decennio del Trecento, si situa la maggiore impresa della bottega dei Memmi, il ciclo neotestamentario della collegiata di San Gimignano, che una scritta trecentesca ivi graffita riferiva a un "Lipus de Senis pinsit". Ascritto da Vasari (Le Vite, II, 1967, pp. 255-256) al mitico 'Berna' con una datazione impossibile poiché ritardata al 1381, gli studi ne hanno evidenziato la forte carica drammatica e narrativa, proponendone una datazione alla metà del secolo (Berenson, 1932; Toesca, 1951), oppure alla metà del terzo decennio (Volpe, 1960). La riproposta in chiave patetica della tradizione duccesca e della fase di Simone Martini legata al polittico Orsini, databile a dopo il 1336 (Parigi, Louvre; Anversa, Koninklijk Mus. voor Schone Kunsten; Berlino, Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz, Gemäldegal.; De Benedictis, 1976), e alle opere del suo soggiorno avignonese, indicano un artista colto in grado di utilizzare forme e contenuti vecchi e nuovi per ritradurli in immagini di rustica e arcaizzante potenza emotiva. I riflessi dello stile avignonese di Simone Martini e la coincidenza dell'esecuzione di un importante complesso di corali miniati eseguiti per la collegiata da Niccolò di Ser Sozzo e aiuti, databile ai primi anni del quarto decennio (San Gimignano, Mus. d'Arte Sacra), consentono di situare le storie della Passione negli anni 1342-1345 (De Benedictis, 1976; 1986). Si è inoltre proposto, sulla base delle date riportate in regesti settecenteschi erroneamente trascritti (San Gimignano, Bibl. Com., 106, cc. 181, 219), che fossero iniziate dopo il 1333 e terminate nel 1343 (da leggersi invece 1314; Freuler, 1986). A questa impresa commissionata a L. - forse eseguita da uno o più dotati collaboratori, per alcuni il fratello Tederico (Lonjon, 1983; Volpe, 1983a), e in cui la firma graffita potrebbe avere il valore di una sorta di 'marchio di fabbrica' - si legano alcune opere che, già ascritte a Barna, da questa traggono spunto: la Madonna con il Bambino (Portland, OR, Art Mus., Kress Coll.), il Cristo portacroce e un committente domenicano (New York, Frick Coll., inv. nr. 21.1.), la Crocifissione con sei busti di santi nella predella (Roma, Mus. Vaticani, Pinacoteca), gli affreschi con l'Annunciazione e con la Madonna con il Bambino tra s. Giovanni Battista e s. Paolo (San Gimignano, oratorio di S. Pietro) e il Cristo in pietà (Londra, vendita Agnew, 1958, nr. 29). Nel 1347 i due fratelli, come si ricava da testimonianze seicentesche, firmavano una tavola, perduta, per la cappella di S. Ursino nella chiesa francescana di Avignone, che recava la scritta "[...] Lippus et Tedericus de Senis pinxerunt a(nno) D(omi)n(i) 1347" (De Nicola, 1906). Poiché L. è ricordato a Siena nello stesso anno, quando compra una vigna per la sorella Giovanna (Siena, Arch. di Stato, Gabella Contratti, 1347-1348; Bacci, 1944), è difficile pensare che i due si siano recati ad Avignone, anche se alcune opere tarde - la già ricordata Assunzione della Vergine di Monaco e il citato dittico New York-Parigi, nonché il dittico con la Caduta degli angeli ribelli e l'Elemosina di s. Martino (Parigi, Louvre) recentemente ascrittogli (Boskovits, 1983), che palesano raffinati esperimenti spaziali e prospettici - hanno fatto supporre contatti non mediati con la cultura provenzale.L'ultima opera riferibile a L. è l'affresco con la Madonna con il Bambino in trono, un angelo, i ss. Paolo, Pietro e Domenico, che si trovava nel chiostro della chiesa di S. Domenico di Siena, dal quale fu staccato con la sinopia nel 1971 (Siena, Pinacoteca Naz.). La Maestà rivela uno stile largo e pur denso di sottigliezze pittoriche e un'avanzata concezione dello spazio. Chigi nel 1625 ricorda l'affresco nel chiostro e ne riporta la perduta iscrizione ("Lippus me pinxit Memi quem gratia tinsit MCCCL...") non più citata dagli storici successivi (Bacci, 1939). Inverificabile è quindi la data di esecuzione al 1350, che dovrebbe comunque essere anticipata di qualche anno, poiché l'ultimo ricordo relativo a L. risale al 1347. L'artista potrebbe essere morto nella grande peste del 1348, dal momento che in un documento pistoiese databile tra il 1347 e il 1350 (Chiappelli, 1900), che ricorda i migliori pittori senesi del tempo, non si fa menzione di Lippo Memmi.
Bibl.:
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