Gastoni, Lisa
Attrice teatrale e cinematografica, nata ad Alassio (Savona) il 28 luglio 1935. Tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio degli anni Settanta ha impersonato un modello di bellezza ambigua e trasgressiva, simbolo della dissoluzione della borghesia: resta negli annali del cinema soprattutto per il suo ruolo in Grazie, zia (1968) di Salvatore Samperi, quello della borghese annoiata che soggiace a una torbida relazione con il nipote (Lou Castel). Ha ottenuto due Nastri d'argento, per Svegliati e uccidi ‒ Lutring (1966) di Carlo Lizzani e Amore amaro (1974) di Florestano Vancini.
Nata da madre irlandese e padre piemontese, all'età di dieci anni si trasferì con i genitori in Gran Bretagna, dove studiò disegno. Dopo un'occasionale esperienza da cover-girl, dal 1953 alternò televisione, teatro e ruoli di secondo piano in film di genere. Nel 1961 tornò in Italia, dove per diversi anni la sua carriera cinematografica proseguì sugli stessi binari. La prima vera notorietà la ottenne come moglie del bandito Luciano Lutring nel thriller realista Svegliati e uccidi ‒ Lutring. Nel 1968, mentre era sotto contratto con la Paramount, rifiutò l'ennesimo ruolo decorativo in un action movie inglese per impegnarsi nel progetto di un film a bassissimo budget dell'esordiente Samperi, al cui finanziamento partecipò: a dispetto della tormentata lavorazione e dell'iniziale sfiducia dei distributori, Grazie, zia fu presentato al Festival di Cannes con grande successo di critica e di pubblico, trasformandosi (anche per le polemiche suscitate dalle scene di nudo) in un potente vehicle per l'attrice, di cui si parlò addirittura come della nuova Jeanne Moreau. Alberto Lattuada ricalcò in L'amica (1969) le strategie seduttive di Grazie, zia, costruendo su misura per la G. la storia di una trentenne (di nome Lisa) che ha una torbida relazione con un ragazzo assai più giovane. L'attrice riuscì a distaccarsi da questo stereotipo, che stava diventando pericolosamente ingombrante, nel film sulla Resistenza I sette fratelli Cervi (1968) di Gianni Puccini, in cui è la moglie di uno dei Cervi. Nei primi anni Settanta cercò faticosamente personaggi e cineasti che fossero in grado di consolidare la sua fama. In questo percorso si affidò anche al polacco Jerzy Kawalerowicz, che la diresse in un tormentato mélo psicologico, Maddalena (1972), dove l'attrice si ripropose come la seduttrice in un amore impossibile (in questo caso quello per un sacerdote) e disapprovato dalla società. Il film ottenne scarso successo e segnò l'inizio di un primo distacco della G. dal mondo del cinema. Lizzani, suo regista d'elezione, le affidò ancora una parte importante, quella di Claretta Petacci in Mussolini ultimo atto (1974). Ma il suo canto del cigno fu un altro ruolo di matura borghese impegnata a sedurre un ventenne in Amore amaro. Dopo un paio di film che riproponevano il suo consueto modello di erotismo (tra cui Scandalo, diretto nel 1976 da Samperi in chiave di revival), nel 1978 ha abbandonato definitivamente il cinema. Nel 1995 ha pubblicato un romanzo parzialmente autobiografico dal titolo La madre di Taron.
S. Masi, E. Lancia, Stelle d'Italia. Piccole e grandi dive del cinema italiano dal 1945 al 1968, Roma 1989, p. 128.