LISANDRO (Λυσανδρος, Lysander)
Generale e uomo politico spartano. Nacque circa la metà del sec. V a. C. di famiglia nobile ma non ricca, che riteneva Eracle suo capostipite, come le due case reali di Sparta. Suo padre si chiamava Aristocrito, di sua madre si dice che fosse una ilota e che quindi egli appartenesse alla classe dei mothakes; ma questa è tarda leggenda. Di lui non sappiamo nulla prima del 408 quando, già maturo, avuto il comando navale (navarchia), si dimostrò subito ufficiale provetto e politico avveduto. Allora la flotta spartana, distrutta da Alcibiade nella battaglia di Cizico (410), si andava ricostituendo. L. la rese nuovamente poderosa per numero ed equipaggiamento, sia col concorso degli alleati che si assicurò portando al potere oligarchie composte di amici di Sparta e suoi, sia con i sussidî persiani che riuscì ad avere più copiosi e più stabili dei suoi predecessori, instaurando una politica di cordiale amicizia e collaborazione col giovane Ciro, figlio di Dario, dal re inviato appunto allora a Sardi. Tomata in piena efficienza la flotta, L., che stazionava con essa ad Efeso, sconfisse l'armata ateniese in Nozio profittando dell'assenza di Alcibiade che ne aveva lasciato interinalmente il comando a un ufficiale di nome Antioco (primavera 407). La rotta, sebbene non decisiva, ebbe conseguenze gravi per gli Ateniesi che riuscivano a gran pena, per penuria di mezzi, a mantenere in buone condizioni la loro armata; e più grave fu che Alcibiade, per quella rotta non rieletto stratego, lasciò il comando a duci assai meno valenti di lui. Così gli Spartani ricuperarono la prevalenza marittima. Ma a Callicratida che succedette nel comando a L. (autunno 407) non piacevano le arti con cui L. aveva saputo guadagnarsi il favore degli alleati e anche meno garbava di far la corte a Ciro il giovane. E anche per questo, nonostante il suo valore, fu pienamente sconfitto nella battaglia delle Arginuse, quando gli Ateniesi fecero uno sforzo supremo per liberare Conone, da Callicratida assediato in Mitilene (406). Così la prevalenza marittima andò di nuovo perduta agli Spartani. Gli Ateniesi peraltro, che erano esausti, travagliati dalle discordie e privi del loro migliore generale, non furono in grado di profittarne che in piccola misura. Per circa un anno serbarono il predominio navale da essi acquistato; ma nell'estate del 405 gli alleati chiesero a Sparta d'inviare nuovamente come navarco L. E poiché la legge vietava la rielezione nella carica, il comando nominale fu affidato al nuovo navarco Araco, quello effettivo a L. come suo epistoleus. L. riorganizzò immediatamente la flotta, si procurò nuovi sussidî da Ciro e portò la guerra nell'Ellesponto col proposito di togliere ad Atene i rifornimenti di granaglie che traeva dalla Russia meridionale. La squadra ateniese si ancorò presso la sua ad Egospotami col proposito di dargli battaglia. Ma gli Ateniesi erano mal guidati e facevano poca guardia e L., sorprendendoli mentre gli equipaggi erano in gran parte a terra, riuscì a impadronirsi quasi dell'intera flotta e a catturare quanti uomini non si salvarono con la fuga (autunno 405).
Così, poiché gli Ateniesi non erano più in grado di allestire un'altra armata, L. aveva distrutto quasi senza colpo ferire la potenza marittima di Atene fondata da Temistocle. Si sfasciò quello che rimaneva dell'impero ateniese. Non si serbò fedele ad Atene che Samo. Atene stessa, già bloccata per terra dagli Spartani, fu ora assediata da L. anche per mare e nell'aprile 404 costretta dalla fame alla resa. Le condizioni erano state pattuite d'intesa tra L. e Teramene e, tenuto conto della durezza del diritto di guerra d'allora, erano miti; ma vi era una condizione sottintesa: l'abolizione cioè del governo democratico e l'istituzione di un'oligarchia.
La resistenza del demo a questa riforma costrinse gli oligarchici a fare appello a L. che, dopo la capitolazione di Atene, era all'assedio di Samo. L., cogliendo il pretesto che la totale demolizione delle lunghe mura, pattuita nella resa, non era stata compiuta nel tempo stabilito, avvertì che i patti erano stati violati e che, se non si accettava il mutamento costituzionale, egli avrebbe invitato Sparta a deliberare nuovamente sulle sorti di Atene. Così il demo cedette, e fu istituita l'oligarchia dei Trenta. Samo capitolò e L. tornò trionfante a Sparta (autunno 404). Egli aveva organizzato sulle rovine della lega delio-attica l'impero marittimo spartano di cui poteva dirsi il fondatore. Dappertutto aveva messo al potere oligarchie che spesso per reggersi dovevano appoggiarsi, come i Trenta di Atene, su presidî spartani comandati da armosti. Dappertutto queste oligarchie si ressero commettendo inaudite atrocità. Noi siamo più esattamente informati degli orrori commessi dai Trenta in Atene. Le violenze di costoro furono tali che, nonostante l'aiuto del presidio spartano, già in pochi mesi il loro potere vacillava. Trasibulo, insediatosi con un piccolo numero di fuorusciti in File, non solo riuscì a respingere gli attacchi degli oligarchici, ma s'impadronì del Pireo e trovò l'appoggio di moltissimi cittadini. I Trenta dovettero deporre il potere e furono sostituiti da dieci che a capo dei moderati ripresero la guerra con i democratici e chiesero l'aiuto di Sparta. L., nonostante l'impressione profonda che facevano gli orrori delle oligarchie da lui istituite e l'opposizione contro di lui suscitata da quelli che trovavano la sua politica imperiale pericolosa per le istituzioni e costumi aviti di Sparta, conservava ancora grande autorità come fondatore appunto del nuovo impero spartano. Ottenne perciò di essere mandato col fratello Libi, che era navarco per l'anno 404-403, al soccorso degli oligarchici ateniesi e di far prestare a essi 100 talenti. Così la sorte dei democratici ateniesi pareva decisa. Ma, in assenza di L., l'opposizione contro di lui rialzò il capo a Sparta e il re Pausania fu inviato a prendere il comando delle forze spartane e alleate nell'Attica. Pausania vinse in un combattimento Trasibulo e i democratici; e, assicurato così l'onore delle armi spartane, disfece l'opera di L. ad Atene facendosi mediatore di una pace che, pur assicurando agli oligarchici con poche eccezioni l'amnistia, ristabiliva il governo democratico e liberava quindi Atene dalla necessità d'un presidio spartano. Per questa pace Pausania al suo ritorno fu accusato a Sparta di alto tradimento, ma venne assolto a parità di voti. L., non potendo contrastare in Atene a Pausania, si era recato nell'Ellesponto a meglio assicurare colà e nella Tracia il predominio spartano. Ma, allo spirare della navarchia del fratello, i suoi avversarî presero decisamente il sopravvento, lo fecero chiamare a Sparta ove anche il satrapo Farnabazo mandò lettere per accusarlo. Sotto l'influsso dell'esempio ateniese, da ogni parte furono rovesciate le oligarchie da L. istituite. E il governo spartano procedette energicamente contro i peggiori abusi degli armosti inviati nelle varie città, per esempio contro l'armosta Clearco che di fatto aveva assunto in Bisanzio la tirannide. Non si osò condannare L.; s'infierì peraltro contro taluni dei suoi istrumenti più fidi, per es. un valoroso ufficiale di nome Torace da lui fatto armosta a Samo che fu messo a morte sotto l'accusa d'aver contravvenuto alle leggi di Licurgo possedendo denaro. L., per non assistere impotente allo sfacelo dell'opera propria, si recò in Libia col pretesto d'un voto fatto ad Ammone. Ma anche questo viaggio destò sospetti e accuse, tanto che al ritorno fu processato per aver tentato di corrompere l'oracolo. Assolto, il suo influsso rimase però annullato da quello dei re Agide e Pausania, entrambi a lui avversi. Parve ricuperare qualche autorità alla morte di Agide (400), quando riuscì a fare escludere dal regno Leotichida sospettato d'essere figlio di Alcibiade, sebbene Agide morente lo avesse riconosciuto come proprio figlio. Agesilao, fratello di Agide, salito perciò al trono, nominò L. al posto onorifico di scalco regio (κερεδαίτης); e quando poi, anche per opera di L., il re fu mandato ad assumere il comando dell'esercito spartano che operava nell'Asia Minore contro i Persiani, lo accompagnò come uno dei trenta consiglieri (σύμβουλοι) assegnatigli dal governo spartano. Per un momento L. poté credere di avere ricuperato l'antica potenza, e i suoi amici delle città greche d'Asia s'affrettarono a rinnovare le loro relazioni con lui. Ma presto Agesilao mostrò di non voler sapere di tutori, e L. si liberò dalla sua posizione equivoca e umiliante, prima con un piccolo comando nella Troade e poi tornando in patria. In Grecia, mentre Agesilao combatteva vittoriosamente contro i Persiani, fermentava l'opposizione contro Sparta incoraggiata anche dagli emissarî del gran re. La guerra scoppiò nella Grecia centrale in seguito a un incidente di frontiera fra Locresi e Focesi. Avendo i Beoti preso la parte dei Locresi e compiuto devastazioni in Focide, a onta del divieto spartano, Sparta, che da tempo attendeva un'occasione per umiliare i Beoti, i quali sebbene di nome alleati si dimostravano riottosi, dichiarò a essi la guerra per vendicare l'affronto fatto agli alleati Focesi. È da ritenere che tale atto, provocato da una valutazione inesatta della situazione e dalla speranza di soffocare in germe la grande rivolta che si preparava, fosse dovuto a L. Si apprestò un'offensiva militare in grande stile contro la Beozia. L. doveva invaderla dall'ovest soprattutto con gli aiuti focesi, Pausania dal sud e, congiunti insieme, dovevano dare a Tebe il colpo decisivo. Ma l'offensiva fallì per la mancata isocronia. L. s'impadronì d'Orcomeno e marciò su Aliarto, e si trovò quindi di fronte l'esercito tebano prima che Pausania sopraggiungesse dal sud. Nella battaglia (395) le sue truppe furono sconfitte ed egli stesso perì combattendo. Quando Pausania sopravvenne, non osò ricuperare il cadavere attaccando battaglia contro il nemico vittorioso, e dovette pattuirne il ricupero chiedendo una tregua e riconoscere così la sconfitta patita.
Il fallimento di questa impresa provocò il dilagare della guerra nella penisola e il fallimento dell'impresa d'Asia. Pausania, ritenuto responsabile dell'insuccesso, si sottrasse con la fuga alla condanna. Ma il grande impero spartano costituito da L. era virtualmente caduto col suo fondatore.
I giudizî degli antichi su L. sono di carattere esteriore e astrattamente moralistico e si limitano più che altro a metterne in luce la smisurata ambizione e l'indifferenza nella scelta dei mezzi, se pure vantano la sua probità in fatto di denaro; insufficienti anche in generale le valutazioni dei moderni. Nel rispetto militare è da riconoscere in L. un ufficiale ardito e scaltro, abilissimo nel ravvisare gli errori del nemico e nel valersene; ma né a Nozio né a Egospotami egli ebbe agio di dimostrare sia l'abilità di manovra di un Formione, sia la oculata audacia di un Temistocle o di un Cimone. Dove di genialità strategica vi fu maggiore bisogno, ad Aliarto, egli fallì, e sia pure non in tutto per propria colpa, nel suo compito. Come politico si dimostrò abile organizzatore ed espertissimo conoscitore degli uomini. Del tutto indifferente nella scelta dei mezzi esprime bene il suo modo di vedere, anche se non è autentico, il detto a lui attribuito che "i ragazzi s'ingannano con i dadi, gli uomini con i giuramenti". Destituito di umanità, non solo incrudelì contro i vinti per spargere tra gli avversarî il terrore, come quando dopo Egospotami fece mettere a morte tremila Ateniesi prigionieri, il fatto più atroce, forse, di tutta la guerra peloponnesiaca, ma fu certo anche corresponsabile delle atrocità perpetrate dalle oligarchie da lui messe al potere e delle violenze degli armosti da lui insediati nelle città. La giustificazione che se ne è tentata da antichi e da moderni, ascrivendo quella inumanità ai difetti dell'educazione spartana, è senza valore, perché la stessa educazione avevano avuta Brasida e Callicratida che si mostravano assai più umani. La verità è che L. credeva di potere stabilire così più saldamente il predominio di Sparta e il suo e non valutò l'importanza del fattore morale, che, per effetto appunto di tale politica disumana, minò e disfece in pochissimi anni l'impero spartano da lui costituito, sebbene la potenza di Sparta nel mondo greco all'indomani di Egospotami fosse di gran lunga superiore a quella che Atene aveva avuta ai tempi di Pericle e di Temistocle, superiore persino a quella che più tardi vi ebbe Filippo di Macedonia. Il rapido sfacelo di un tale dominio è dovuto soprattutto a colui che con la vittoria ebbe la ventura di costituire l'impero. Perchè l'inevitabile caduta dei governi da lui stabiliti con la violenza portò dappertutto al potere uomini i quali non aspettavano che la prima occasione per liberarsi da Sparta. Al disastro contribuì anche l'arcaica organizzazione dello stato spartano, del tutto inadatta ai nuovi compiti che gli segnava la storia. L. cercò di ovviarvi con la sua autorità personale, non con audaci tentativi di riforme i quali avrebbero potuto essere fatti soltanto nel momento in cui quell'autorità culminava dopo la caduta di Atene. Troppo sagace per non riconoscere i difetti degli ordini vigenti e in particolare l'insufficiente unità di governo, se anche egli pensò a mutarli, come una tradizione non bene controllabile ci assicura, tale pensiero rimase sempre allo stato di pura velleità. E d'altronde la tradizione stessa non gli attribuisce altro proposito di riforma che quello di assumere con pienezza di poteri il governo in Sparta come re eletto. Comunque, appunto nel non aver tentato nulla per sovvertire gli ordinamenti spartani sta il massimo difetto della sua opera di politico. E questo stesso mostra quanto sia esteriore e superficiale l'accusa che gli viene mossa di smisurata ambizione: la sua ambizione non giunse neppure a indurlo a quella necessaria opera di sovvertimento del cosmos licurgheo con la quale egli avrebbe potuto servire egualmente alla propria gloria e agl'interessi della patria. Ed è giusto riconoscere che egli fu sempre, sia nei giorni della sua potenza, sia in quelli della sua disgrazia, un leale servitore della sua patria. Di fronte a ciò ha poca importanza se egli per primo tra i Greci si lasciò onorare in vita nelle città dell'impero con culto e feste solenni come dio. Anche qui, che non si trattasse di una iniziativa dovuta alla sua ambizione, ma del primo manifestarsi di una tendenza le cui cause erano assai più profonde, ha mostrato lo svolgersi successivo della storia greca.
Bibl.: W. Vischer, Alkibiades und Lysandros, Basilea 1845 (Kleine Schriften, I, Lipsia 1877, p. 128 segg.); O. H. I. Nitzsch, De Lysandro, ecc., Bonn 1847. Per la cronologia della navarchia di L., v. L. Pareti, Ricerche sulla potenza marittima degli Spartani, in Mem. dell'Acc. delle scienze di Torino, s. 2ª, LIX (1908-1909), p. 112 segg. Per la parte di L. nelle vicende ateniesi, P. Cloché, La restauration démocratique à Athènes, Parigi 1915, passim. Insufficiente è l'articolo di U. Kahrstedt, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XIII, col. 2503. Per le fonti, v. H. Stedefeld, De Lysandri Plutarchei fontibus, Bonn 1867; R. Dippet, Quae ratio intercedat inter Xenophontis historiam Graecam et Plutarchi vitas queritur, Giessen 1898.