LISIA (Λυσίας, Lysëas)
Oratore attico. Suo padre, Cefalo, cittadino siracusano, fu indotto da Pericle a stabilirsi ad Atene quale meteco; qui egli fondò e diresse per molti anni una fabbrica di scudi. La scena della Repubblica è posta da Platone nella ricca casa di Cefalo, al Pireo. L. nacque, come sembra testimoniato, già in Atene, poco dopo il 440 a. C. Giovanissimo, si recò col fratello maggiore Polemarco nell'Italia meridionale, a Turii, nella colonia panellenica fondata dal protettore della loro casata, Pericle. Colà, secondo una tradizione non esente da ogni sospetto, egli fu istruito nella retorica da un siracusano, Tisia, e colà restò sino al crollo dell'influsso attico nell'ovest (412). Di lì ritornò ad Atene e vi rimase nell'ultimo periodo della guerra del Peloponneso. La signoria dei Trenta tiranni mise l'occhio sulle ricchezze dei figli di Cefalo: il fratello maggiore, Polemarco, dovette bere la cicuta; Lisia si salvò fuggendo a Megara, ma perdette tutto il patrimonio. Da qui in poi egli ci appare legato con i democratici ateniesi: al momento della restituzione della democrazia il capo di questa, Trasibulo, ottenne per lui la piena cittadinanza, ma il decreto fu reso vano da un'eccezione giuridica proposta da Archino. L., ridotto in povertà e privo della cittadinanza che sola dà accesso alla politica, è costretto a guadagnarsi il pane facendo il maestro di retorica e scrivendo orazioni giudiziarie per altri. Delle orazioni rimasteci, o delle quali possediamo frammenti, nessuna discende oltre il 380.
In una delle opere più recenti di Platone, il Fedro, L. è il rappresentante riconosciuto dell'eloquenza sofistica mentre al suo emulo più giovane, Isocrate, è riconosciuto il merito di avere iniziato una riforma filosofica dell'eloquenza, cioè in genere della prosa d'arte: il discorso che Platone mette in bocca a L. e che tende a dimostrare che conviene più concedersi a chi non ama che a chi ama, non è certamente un'opera autentica dell'oratore, come pure è stato sostenuto, ma è parodia così ben riuscita, che rappresenta con molta evidenza questo aspetto dell'eloquenza di L., di cui ci manca traccia nei discorsi a noi giunti. Per Platone L. è particolarmente un oratore epidittico, per Cicerone (nel Brutus e nell'Orator) è già sopra ogni altra cosa un oratore giudiziario. Proprio questa età segna la maggiore fortuna di L. nella letteratura romana e nella greca: morto Calvo (v. atticismo), Cicerone combatte in quei due trattati contro Bruto, il sostenitore superstite di quell'estremo atticismo che preponeva Lisia a Demostene. Moltissimo anche lo apprezza Dionigi di Alicarnasso, nel suo trattato De antiquis oratoribus.
Di Lisia erano note nell'antichità 425 orazioni, ma i critici antichi ne riconoscevano autentiche solo 233: il loro giudizio, tuttavia, a giudicare dai pochi casi nei quali possiamo controllarlo sul discorso rimastoci, non è sempre comprensibile e a ogni modo è tutt'altro che sicuro: forse qui l'antica critica esagerò nello scetticismo. A noi sono tramandate, le più in un solo codice, trentaquattro orazioni, non tutte autentiche. Epidittica è soltanto la seconda, un epitafio per i morti della guerra corinzia certo non autentico, sebbene probabilmente contemporaneo agli avvenimenti a cui si riferisce; tutte le altre sono giudiziarie. Di queste una sola è pronunziata in causa propria, la 12, contro Eratostene, quello dei Trenta tiranni che aveva arrestato e fatto mettere a morte il fratello maggiore di Lisia, Polemarco; essa fu tenuta verso la fine del 403, ed è per gli antichi e moderni fonte primaria della biografia di L. Tutte le altre sono scritte per altri, cioè, poiché la legge antica non ammetteva l'istituzione di un avvocato nel senso moderno, ma solo permetteva che parenti e amici prendessero la parola dopo l'interessato (συνήγοροι) e poichè L. non cittadino era escluso da tale funzione, sono destinate a essere mandate a mente e recitate da altri.
Specialmente importanti politicamente sono, oltre l'orazione contro Eratostene, quella (13) contro Agorato, un tale che sotto i Trenta fu, con le sue chiamate di correo, cagione della morte di parecchi cittadini; quella (28) contro Ergocle, un ufficiale che aveva preso parte nel 39 alla spedizione di Trasibulo nell'Asia Minore; quella (22) contro i commercianti di grano, accusati d'incetta durante un periodo nel quale la guerra corinzia rendeva difficili gli approvvigionamenti, probabilmente nel 386; quella (18) sulla confisca dei beni del fratello di Nicia, il famoso generale ateniese del tempo della guerra del Peloponneso. Un gruppo numeroso si riferisce a δοκιμασίαι, cioè all'esame preliminare che subiscono membri della bulè o magistrati prima di assumere le cariche alle quali sono stati designati dalla sorte o dall'elezione. Famosa è l'orazione 1, "per l'uccisione di Eratostene" un'arringa in difesa di un marito che ha ucciso sul fatto l'amante della moglie. L'orazione 3 contro Simone getta luce su costumi amorosi attici; la 7 sulla protezione degli ulivi sacri. Quasi ognuno dei discorsi di L. ha importanza per il diritto privato; il 32 contro Diogitone ha interesse, oltre che giuridico per le leggi sulla tutela, economico, perché ci mostra il bilancio di una famiglia attica.
Tra le non autentiche sono storicamente importanti: così (oltre l'Epitafio) la 6, libello diretto contro Andocide (v.), in risposta alla pubblicazione del discorso Sui misteri, così in specie la 20, pronunziata nel 410, quando L. non faceva ancora il logografo, in favore di un Polistrato che aveva partecipato al governo dei Quattrocento. Meno importanti sono la .8 e la 9 e i due discorsi 14 e 15 - contro Alcibiade il Giovane, figlio del grande Alcibiade - il primo dei quali è ora da taluno ritenuto autentico.
La nostra conoscenza di L. è stata negli ultimi tempi aumentata notevolmente da scoperte di papiri: sono venuti alla luce piccoli brani dell'orazione contro Teotide in un manoscritto di Hibeh del sec. III a. C. e altri più estesi in un manoscritto di Ossirinco del sec. II-III d. C., contenenti la fine del discorso contro Ippoterse, parte di un discorso contro Teomnesto e frammenti almeno di una terza orazione: il discorso contro Ippoterse è molto importante, perché si riferisce a L., ch'è nominato, e agli stessi avvenimenti trattati nell'orazione contro Eratostene.
Il carattere particolare dell'eloquenza di L. è determinato dall'essere i suoi discorsi destinati a essere recitati da altri; e nella descrizione (indiretta) del carattere (ἠϑοποιΐα) già gli antichi scorgevano il cardine della sua arte. È veramente così: egli argomenta ed espone ogni volta diversamente secondo il personaggio che rappresenta. E riesce ottimamente nel dare una certa aria d'inesperienza e ingenuità a popolani e a piccoli borghesi che invece di affari anche loschi dovevano intendersi molto più che non vogliano far credere. Benissimo riuscite sono le macchiette comiche, come il vecchio amoroso e vergognoso del suo amore dell'orazione 3 e l'invalido sostentato dallo stato dell'oraz. 24: L. sapeva conquistare i giudici ai suoi clienti divertendoli. La lingua stessa è connessa col carattere etopoetico di tale eloquenza: L. (in contrapposto, per es., con Antifonte) scrive un attico esente da influssi letterarî, poetici, cioè ionici, perché una tale lingua parlavano i suoi clienti. Che con tutto ciò non manchi una certa stilizzazione e persino retorizzazione, che l'oratore faccia uso, sebbene discreto, delle figure gorgiane (v. gorgia), non sorprende in un'opera d'arte greca; forse anche nella vita ordinaria, tanto più poi dinnanzi ai tribunali i clienti di L. avranno cercato di parlare in forma letteraria, cioè retorica.
Edizioni critiche principali di Th. Thalheim, Lipsia 1901; di K. Hude, nella Bibliotheca Oxoniensis; di L. Gernet e M. Bizos, Parigi 1924-1926: in quest'ultima, ogni orazione è accompagnata dalla versione francese e preceduta da una buona introduzione storica. Traduzione italiana (ottima) e illustrazione (un po' scarsa, ma a rigore sufficiente) di N. Vianello, Torino 1914. Edizione commentata di una scelta (il commento in tedesco) di Frohberger-Thalheim, Lipsia, e di Rauchenstein-Fuhr, Berlino (molte ristampe). I commenti scolastici italiani a singole orazioni (di P. Cavazza, A. Cinquini, ecc.) non si contano: citeremo i due recentissimi di Alessandro Ronconi alla 1 per Eratostene e di Vincenzo Arangio-Ruiz alla 32, contro Diogitone, perché, trascendendo la spiegazione grammaticale, considerano i discorsi anche quale documento del diritto attico. I nuovi frammenti in Hibeh Papiri, I, Londra 1906, e in Oxyrhynchos Papyri, XIII, Londra 1919.
Bibl.: Su Lisia in genere e sulle singole orazioni orienta bene, oltre i manuali di storia della letteratura greca, Plöbst, in Pauly-Wissowa, Real-Encyclo., XIII, col. 2533 segg.; più diffusamente F. Blass, Attische Beredsamkeit, I, 2ª ed., Lipsia 1887, p. 339 segg. Sull'ἠϑοποιΐα è fondamentale J. Bruns, Literarisches Porträt der Griechen, Berlino 1896, p. 544 segg. Sulla questione dell'autenticità del discorso di Lisia nel Fedro, I. Vahlen, Gesamm. Philol. Schriften, II, Lipsia 1923, p. 675 segg. (in favore); Weinstock, De Erotico Lysiaco, diss., Münster 1912 (contro). Per l'autenticità delle orazioni 10 e 11, v. ora J. Sykutris, in Gnomon IX (1933), p. 79 segg. Illustrazioni storiche dell'or. 12 contro Eratostene, dell'or. 22 contro i commercianti di grano, dell'or. 23 contro Pancleone, della spuria or. 20 per Polistrato, in U. Wilamowitz, Aristeles und Athen, Berlino 1893, II, pp. 218 segg., 374 segg., 369 segg., 316 segg.