LITIFREDO (Litifredus, Litefredus, Littefredus)
Nacque a San Pietro, nel Novarese, da Litifredo di Unfredo presumibilmente verso la fine del secolo XI.
Le prime notizie sulla famiglia risalgono all'ultimo quarto del secolo XI, quando il padre di L. compare in alcuni documenti con la qualifica di senior, insieme con il fratello, e rivendica la titolarità di diritti signorili (districtus) nel feudo di Mosezzo. L. apparteneva dunque a una famiglia di estrazione capitaneale, citata tra i capitanei di pievi novaresi, titolari di feudi da parte della Chiesa cittadina. Ciò è confermato, per via indiretta, dalla presenza dello stesso L. e di un suo zio, Ottone, nel capitolo della cattedrale cittadina di S. Maria, nella cui composizione avevano nel XII secolo un ruolo di assoluto rilievo i membri di famiglie capitaneali e numerosi esponenti dell'aristocrazia consolare.
Nel 1118-19 L. ricoprì sicuramente la carica di arcidiacono della cattedrale; in quegli anni egli, come gli altri membri del capitolo, risiedeva in una propria abitazione presso la cattedrale. Alcune incongruenze cronologiche tra le diverse fonti e gli elenchi dei vescovi novaresi rendono difficile stabilire con certezza la data di inizio dell'episcopato di L., che comunque gli studiosi più recenti attribuiscono probabilmente al 1123.
Salito alla cattedra vescovile, L. si trovò ad amministrare una vasta signoria territoriale, formatasi tra la fine del X e l'inizio dell'XI secolo grazie a concessioni imperiali, che comprendeva la città e il territorio circostante per l'estensione di tre miglia, il comitato di Pombia e quello dell'Ossola, nonché il castrum dell'isola di San Giulio d'Orta. I comitati erano circoscrizioni territoriali quasi prive di reale contenuto politico, la cui importanza strategica per l'episcopio novarese consisteva nella presenza, al loro interno, di vaste possessioni fondiarie. Anche il patrimonio della Chiesa novarese si era infatti esteso e rafforzato nello stesso periodo, grazie alla politica imperiale di consolidamento dell'episcopato, finalizzata allo smantellamento delle basi di potere territoriale e patrimoniale degli ultimi comites di quella parte della pianura padana. L. si trovò dunque al vertice di una vasta rete di clientele vassallatiche creata dai suoi predecessori. Fin oltre agli anni Trenta del XII secolo le fonti testimoniano del ruolo centrale, nel controllo politico e giurisdizionale del territorio urbano e del contado dipendente, dei vescovi novaresi, attestati a capo della loro curia formata sia dai vassalli maggiori e minori, sia da ufficiali della Chiesa novarese, quali l'arcidiacono, l'advocatus, il signifer, tutti esponenti di quel ceto capitaneale al quale di norma gli stessi vescovi appartenevano. Anche L. presiedette più volte la propria curia, alla presenza della quale procedette a diverse investiture beneficiarie.
Dall'inizio del XII secolo cominciava a profilarsi in Novara il nuovo regime comunale, del quale si intravedono le prime tracce in un importante diploma imperiale di Enrico V del 1116 in favore dei cittadini di Novara. Il Comune novarese nacque "all'ombra della chiesa" (Cognasso, p. 127), in evidente coordinamento con il vescovo e la sua cerchia di fedeli, e il governo di L. accompagnò e favorì la piena affermazione delle istituzioni comunali nella prima metà del XII secolo; precedentemente alla comparsa del Collegio consolare, nel 1139, gruppi di cives influenti assistevano, accanto a membri della curia episcopale, alla pronuncia delle sentenze emanate dal presule. La collaborazione tra vescovo e ceto consolare in formazione (la cui prima esplicita attestazione nella documentazione risale al 1139) trova le sue radici nella probabile appartenenza di molti di questi uomini al gruppo dei vassalli della Chiesa novarese, esponenti di un'aristocrazia fondiaria ormai da tempo inurbata, con forti interessi nelle campagne, dove erano titolari di benefici episcopali, e in città. Qui, come testimonia la loro presenza alla pronuncia delle sentenze episcopali, i boni homines partecipavano, insieme con il vescovo, all'amministrazione della giustizia, ambito nel quale finirono per esautorare le prerogative episcopali. Ancor più significativa è la stretta collaborazione tra vescovo e cives di Novara in atti di grande rilevanza simbolica per la Comunità urbana, sempre profondamente interessata alle questioni riguardanti la propria chiesa matrice, quale, nel 1132, la consacrazione della cattedrale da parte del papa. In quell'occasione Innocenzo II dichiarò di compiere quel gesto "rogatu Novariensium", adempiendo così "precibus civium". Altrettanto significativamente, alcuni cives, tra cui tre qualificati come giudici, assistettero come testimoni alla sentenza - relativa alla annosa vertenza tra i canonici della cattedrale di S. Maria e quelli di S. Gaudenzio - emanata nel 1135 da Litifredo. La transizione dell'autorità episcopale sulla città alla nuova istituzione consolare dovette avvenire con gradualità, se persino l'atto del 1139, in cui per la prima volta a Novara sono attestati consoli, fu redatto "ex iussione domini Litifredi, Dei gratia Novariensi episcopo".
L. partecipò attivamente allo scisma pontificio del 1130-36, aderendo sin dalla prima ora, con la città, allo schieramento favorevole a Lotario di Supplimburgo e a Innocenzo II. Grazie alla sua costante fedeltà, in quegli anni L. ottenne dal papa diversi importanti riconoscimenti e concessioni; in particolare nel 1132, evidentemente a testimonianza della sua centralità nello schieramento filoinnocenziano, ebbe la consacrazione della cattedrale e il riconoscimento per la sua chiesa dei diritti signorili e delle decime spettanti ai canonici novaresi, nonché la conferma di tutte le chiese e i monasteri sottoposti direttamente alla sua autorità giurisdizionale.
Figura evidentemente di grande rilievo nei delicati equilibri politici dell'Italia settentrionale di quel quinquennio, L. partecipò attivamente anche alle travagliate vicende della Chiesa milanese, in particolare alla deposizione, nel 1135, del vescovo Anselmo della Pusterla, accusato di eresia e affidato dal suo accusatore al giudizio dei vescovi suffraganei di Novara e di Alba (L. stesso e Robaldo), seguita in breve dall'elezione del nuovo vescovo Robaldo, filoinnocenziano.
A sottolineare il coinvolgimento di L. in questa vicenda, si può ricordare anche che soltanto due dei vescovi suffraganei convennero a Milano per l'elezione del nuovo arcivescovo, uno dei quali era appunto L., l'altro Guido di Ivrea. Nell'episodio della nomina di Robaldo, che lacerò la città - anche perché vi entrò in gioco, ancora una volta, l'orgoglio autonomistico della Chiesa ambrosiana - L. fu fedele interprete delle direttive romane e pure in seguito intervenne più volte in vertenze riguardanti la Chiesa ambrosiana. Tra il 1135 e il 1143 sentenziò in una lite tra Robaldo e il vescovo di Cremona Oberto da Dovara circa la titolarità - contesa tra le due Chiese - dei diritti parrocchiali su alcune chiese situate a Cassano d'Adda, lungo il lato cremonese del confine tra i due territori diocesani. Il documento fu sottoscritto, oltre che da L., da diversi membri della curia episcopale e del capitolo di Novara. La sua posizione nello schieramento filoromano non mutò, evidentemente, negli anni successivi alla chiusura dello scisma: non a caso, proprio a Novara nel 1144 fu convocata una riunione presieduta da due cardinali legati, nella quale si discusse una questione riguardante, ancora una volta, la diocesi milanese, ossia la controversia tra i canonici e i monaci del monastero di S. Ambrogio. In quell'occasione fu emanata una sentenza - sottoscritta anche da L. - favorevole ai canonici, in armonia con l'orientamento di Roma. Quanto coinvolto L. fosse nella politica arcivescovile è inoltre testimoniato dal fatto che subito dopo il presule novarese accompagnò l'arcivescovo Robaldo, il quale, temendo il probabile malcontento dei monaci di S. Ambrogio e del Comune a essi favorevole, non era rientrato subito a Milano, ma si era recato a Lecco, uno dei castelli di proprietà dell'episcopio ambrosiano. Da lì Robaldo emanò un atto di conferma della sentenza novarese, al quale L. appose la propria sottoscrizione autografa. Queste e altre sentenze emanate da lui personalmente o con il suo concorso dimostrano che L. doveva possedere una raffinata cultura giuridica, che trovò frequenti occasioni di esplicarsi all'interno della diocesi novarese ed ebbe riconoscimento e largo impiego anche da parte della Sede pontificia nella sua politica di rafforzamento, negli anni dello scisma e in quelli immediatamente seguenti, delle prerogative romane in sede locale.
L. fu infatti molto attivo nel riordino e nella riorganizzazione della vita religiosa e monastica della sua diocesi. Anzitutto dovette affrontare l'annosa controversia tra il capitolo della cattedrale matrice di S. Maria e quello di S. Gaudenzio, i cui membri, nel corso dei secoli IX e X, erano andati identificandosi come gruppo di canonici distinto da quello della cattedrale e stabilmente residenti presso l'antica basilica di S. Gaudenzio extra muros.
Con il tempo, il clero di S. Gaudenzio manifestò sempre più chiaramente il proposito di sottrarsi all'autorità dei canonici di S. Maria che, nel XII secolo, si trasformò nella chiara volontà (seguita da gesti coerenti) di riconoscere la supremazia del solo presule cittadino, negando la sottomissione tradizionalmente dovuta al capitolo della cattedrale. A questo scopo, dal secondo decennio del XII secolo i canonici della basilica extramuranea misero apertamente in discussione alcune prerogative spirituali godute da quelli di S. Maria, suscitando il malcontento di questi ultimi che protestarono presso il vescovo. L. adottò sin dall'inizio e mantenne durante il suo mandato episcopale una posizione favorevole al riconoscimento delle prerogative del capitolo cattedrale, sottoscrivendo, da arcidiacono, una sentenza in questo senso emanata nel 1118 dal suo predecessore Riccardo e confermando, da vescovo, nel 1123, la supremazia della cattedrale sulle altre chiese cittadine, tra cui anche quella di S. Gaudenzio, ottenendo infine, negli anni successivi, la conferma pontificia della sentenza del 1118. La contrapposizione tra i due capitoli travagliò, senza trovare soluzione, tutto il pontificato di L., chiamato più volte, nel 1135, nel 1141, nel 1147, a intervenire per imporre ai canonici gaudenziani il riconoscimento delle prerogative del clero cattedrale, che il vescovo puntualmente sostenne in tutte le sue sentenze, appoggiandosi anche all'autorità dei pontefici. A sostegno delle decisioni di un alleato fedele interprete in sede locale della politica pontificia, Onorio II, Innocenzo II e il cardinale di S. Prassede U. Allucingoli (futuro Lucio III) ribadirono a più riprese la sentenza del 1118 e le successive conferme da parte di Litifredo.
L. si sforzò anche di applicare nella sua diocesi alcuni principî cardine dell'azione riformatrice dei papi, cioè la diffusione di forme di vita comune, sia fra il clero cattedrale sia in alcune pievi della diocesi, e il riordino territoriale in circoscrizioni plebane meglio definite e più funzionali. La consuetudine di riunirsi in comune nel refettorio, che a Novara pare attestata in epoca carolingia, era decaduta nel corso dei secoli X-XI. L. tentò di ripristinare una forma di vita comunitaria per i preti della cattedrale, da lui costretti, come attestano le fonti, ad abbandonare le proprie case in città e a riunirsi a vivere "in unum claustrum". A questo scopo promosse la costruzione del chiostro della canonica, ma non volle o non seppe imporre l'adozione della regola di vita comune dei canonici regolari, e la sua riforma non prese piede. Durante il suo pontificato, inoltre, la medesima organizzazione di vita comune fu adottata dal clero dipendente dalle pievi di Intra, Dulzago e San Giulio d'Orta, quasi certamente per suo impulso. Nella stessa linea di adesione da parte di L. ai principî riformatori va collocata la fondazione di monasteri legati a ordini nuovi, cioè S. Bartolomeo di Vallombrosa, creato nel 1124 da monaci vallombrosani chiamati da L., e S. Martino di Obbiate (vicino a Mosezzo), dove l'abate di S. Benigno di Fruttuaria fu invitato da L. a fondare una chiesa senza obbligo di censo.
La bolla per la Chiesa novarese emanata nel 1132 da Innocenzo II è un documento che fotografa con chiarezza la struttura diocesana e delinea il quadro dell'organizzazione plebana della diocesi e delle fondazioni monastiche dipendenti dall'episcopio. A quella data le circoscrizioni erano ormai sufficientemente consolidate, con le loro pertinenze patrimoniali e le dipendenze ecclesiastiche e monastiche. L'azione di governo di L. fu probabilmente decisiva nel promuovere il riordino del quadro territoriale e giurisdizionale plebano. Di tale consolidamento è testimonianza il fatto che L. non intervenne più - contrariamente ai suoi predecessori - nell'amministrazione dei beni immobili delle pievi, passata sotto il controllo del clero plebano.
L. morì il 18 maggio 1151.
Fonti e Bibl.: Landolfo Iuniore, Historia Mediolanensis, a cura di L.C. Bethmann - Ph. Jaffé, in Mon. Germ. Hist., Scriptores, XX, Berolini 1868, pp. 17-49 passim; F. Ughelli - N. Coleti, Italia sacra, IV, Venetiis 1719, coll. 704-707; UdalriciCodex, in Bibliotheca rerum Germanicarum, a cura di Ph. Jaffé, V, Monumenta Bambergensia, Berolini 1869, n. 238 p. 416; Acta pontificum Romanorum inedita, a cura di J. Pflugk-Harttung, II, Tübingen-Stuttgart 1882, pp. 337-341; J. Pflugk-Harttung, Iter Italicum, Stuttgart 1883, pp. 463 s. n. 52, 469-471 n. 58; P.F. Kehr, Italia pontificia, V, Berolini 1911, p. 59 n. 197; VI, 1, ibid. 1913, pp. 79 s. n. 24; VI, 2, ibid. 1914, pp. 59 s. n. 6, 61-63 nn. 1-5; Le carte dell'Archivio capitolare di S. Maria in Novara, II, (1034-1172), a cura di F. Gabotto et al., Pinerolo 1915, pp. 195 n. 304, 197-202 nn. 306-311, 209-214 n. 319, 216-220 nn. 323-325, 224-227 n. 330, 230-232 n. 335, 244 n. 346, 251-258 nn. 352-357, 266 n. 364, 271 n. 369, 302-329 nn. 394-398; P. Zerbi, Appendice, in Id., Tra Milano e Cluny, Roma 1978, pp. 281-283; F. Savio, Gli antichi vescovi d'Italia dalle origini al 1300 descritti per regioni, I, Piemonte, Torino 1899, pp. 269 s.; F. Cognasso, Storia di Novara, Novara 1971, pp. 575 s.; G. Andenna, Le pievi della diocesi di Novara…, in Le istituzioni ecclesiastiche della "societas christiana" dei secoli XI-XII. Diocesi, pievi e parrocchie. Atti della VI Settimana internazionale di studio, Mendola… 1974, Milano 1977, pp. 492-495, 514-516; H. Keller, Origine sociale e formazione del clero cattedrale dei secoli XI e XII nella Germania e nell'Italia settentrionale, ibid., pp. 144-151, 161 s.; P. Zerbi, Tra Milano e Cluny, cit., pp. 72, 153 s., 211, 225-227, 237 s., 273-277; M.L. Corbetta, Il vescovo L., in Novarien, XII (1982), pp. 9-41; G. Andenna, Grandi patrimoni, funzioni pubbliche e famiglie su di un territorio: il "comitatus Plumbiensis" e i suoi conti dal IX all'XI secolo, in Formazione e strutture dei ceti dominanti nel Medioevo: marchesi, conti e visconti nel Regno italico (secc. IX-XII). Atti del I Convegno, Pisa… 1983, Roma 1988, p. 203 e passim; E. Filippini, Alcuni documenti cremonesi riguardanti l'attività giudiziaria del vescovo L., in Novarien, XXVIII (1998-99), pp. 107-137; A.M. Rapetti, L'organizzazione distrettuale in Lombardia tra Impero e città (IX-XII secolo), in Contado e città in dialogo. Comunità urbane e Comunità rurali nella Lombardia medievale, a cura di L. Chiappa Mauri, Milano 2003, pp. 15-40 passim.