LITUO (lituus, talora anche lituum)
Era così chiamato il bastone, grosso, dall'estremità superiore arcuata, e senza nodi, adoperato dagli auguri per la delimitazione del templum, cioè dello spazio celeste corrispondente allo spazio terrestre che doveva essere inaugurato. A Roma, nella curia dei Salî palatini, si conservava un lituo, di cui, secondo la leggenda, Romolo si era servito per ripartire secondo il rito etrusco le regioni della città da lui fondata, e che sarebbe scampato miracolosamente alla distruzione dell'incendio gallico. Verosimilmente da principio il lituo fu una specie di bacchetta magica; in seguito fu una delle insegne del potere dei magistrati e dei sacerdoti presso gl'Italici; quindi tanto la provenienza della parola come quella dell'uso del lituo da parte degli Etruschi è dubbia, ed è stata recentemente contestata.
Ad ogni modo, presso gli Etruschi ne possiamo constatare le prime e assai più antiche rappresentazioni figurate, fra cui ricordiamo una statuetta virile, da Isola di Fano, nel Museo archeologico di Firenze, le più chiare immagini di personaggi sollevanti il lituo su due cippi del territorio fiesolano, e il cippo Inghirami del Museo di Berlino; altre volte su rappresentazioni funebri il lituo è portato da qualche inserviente come insegna della dignità del defunto. Tra i numerosi monumenti romani in cui s'incontra l'immagine del lituo augurale uno dei più interessanti è l'ara degli Uffizî a Firenze, in cui è rappresentato Augusto, fra Livia e L. Cesare, che impugna il lituo nella posa che ritorna anche su alcune delle frequentissime monete in cui appare tale oggetto. Sulle monete si può pure seguire lo sviluppo della forma del bastone sacrale, da quella più antica, a manico semplicemente arcuato e talora ingrossato, sino a quella con manico a spirale, che comincia dalla fine del sec. II a. C.; la spirale si accentua via via sempre più fino a che, a partire circa dall'epoca della battaglia di Azio, si fissa in un triplice giro: è quest'ultima forma quella che si è conservata anche più tardi, passando al pastorale vescovile.
II. - Antico strumento musicale, a forma di tromba, ma non dritta come la tuba, sibbene con l'estremità allargata e incurvata, simile dunque al bastone augurale. Mentre la tuba aveva un suono grave, il lituo ne aveva uno acuto e stridente, e, mentre quella era presso i Romani la tromba della fanteria, questa serviva alla cavalleria e precisamente, come la buccina, per il segnale di attacco.
Le più antiche e perspicue rappresentazioni di questo strumento si rinvengono sui monumenti etruschi, fra i quali ricordiamo l'affresco della Tomba della Scimmia di Chiusi, gli affreschi delle due tombe dei Sette Camini di Orvieto e la rappresentazione in rilievo dello strumento stesso su due pilastri della tomba dei rilievi di Cerveteri; da una tomba di Cerveteri proviene anche un originale di lituo in bronzo conservato al Museo etrusco gregoriano del Vaticano: la parte ricurva del lituo era sostenuta da una staffa o forchetta, munita di anello di sospensione.
Mentre finora in genere si accettava la provenienza del lituo romano da quello etrusco, il quale per lo più anzi s'identificava con la tuba Tyrrhena menzionata dagli autori latini, recentemente si è affacciata l'ipotesi dell'introduzione del lituo a Roma da parte dei Celti, sia per i nuovi ritrovamenti sul suolo celtico, sia per la presunta derivazione del lituo dalla celtica karnyx, la tuba di cui l'estremità ricurva terminava a testa di serpente o di animale. A ogni modo la forma etrusca dello strumento musicale si ritrova quasi assolutamente identica anche in epoca romana, come è dimostrato da un altro strumento originale, d'ottone dorato, rinvenuto nel Lincolnshire in Inghilterra e da varie rappresentazioni figurate, fra cui interessante il rilievo funerario di M. Giulio Vittore che menziona un "collegio dei liticini e dei cornicini" Cicerone ricorda anche una centuria di liticini.
Bibl.: H. Thédenat, in Daremberg e Saglio, Dict. des antiq., III, pp. 1268, 1277 seg.; Albert e Latte, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XIII, 1, col. 804 segg.; sullo strumento musicale cfr. anche J. Marquardt, in Hand. d. röm. Altert., V, Lipsia 1884, pp. 2, 420, 552; Jan, in A. Baumeister, Denk. d. klass. Altert., III, p. 1660 segg.