liturgia
Forma pubblica e collettiva del culto di una religione, e l’ordinamento che la regola. A differenza della religiosità individuale, quella collettiva ha bisogno di forme fisse di espressione; la l., che fornisce tali forme, ha una funzione sociale, in quanto unifica la comunità nella pratica religiosa. La l. consiste soprattutto in azioni o gesti e in parole. Le azioni a volte si limitano a gesti di valore magico (così, per es., quando si rovescia un recipiente d’acqua per evocare pioggia, o quando si asperge d’acqua ciò o colui che si vuol purificare), ma per lo più hanno un carattere di rappresentazione e presuppongono, anche nelle civiltà più primitive, un contenuto mitico. Pure le parole possono esaurirsi in semplici formule magiche, ma anche nelle forme di civiltà materialmente meno evolute le parole assumono molto spesso la forma della preghiera o quella della recitazione di miti. Non molte l. delle religioni antiche ci sono giunte integralmente: ma la letteratura rituale vedica e soprattutto brahmanica in India, le raffigurazioni, con commenti scritti, dei templi e delle tombe dell’Egitto antico, i testi rituali babilonesi, i poemi mitologici, probabilmente destinati a uso liturgico, scoperti a Ra’s Shamra, le raffigurazioni di scene sacrificali e le descrizioni di feste, rimasteci dalla civiltà greca e romana, ci offrono buoni mezzi per la ricostruzione di diverse, complesse, l. antiche. Nel giudaismo la distruzione del Tempio di Gerusalemme nel 70 d.C. segnò da un lato la fine del culto sacrificale, dall’altro lo sviluppo della preghiera pubblica in comune. Nel sec. 6° d.C. i testi liturgici furono fissati in scritto e si chiuse il periodo formativo delle preghiere fondamentali. Il centro della l. cristiana fu dal principio la rievocazione del momento più solenne nella storia della salvezza, il sacrificio di Cristo, che l’atto liturgico doveva rievocare e ripetere. Nel corso del 4° sec., cominciarono a formarsi le famiglie liturgiche che si differenziarono e si definirono fino al sec. 7° e possono raggrupparsi in l. orientali e l. occidentali. Il nucleo delle prime è costituito dall’«anafora» in cui il contenuto delle formule varia secondo le solennità e i tempi festivi, senza tuttavia dipendere da essi strettamente. Le l. occidentali invece mutano a seconda del momento dell’anno ecclesiastico. Al posto dell’unico formulario delle l. orientali abbiamo qui un intero libro che contiene le messe giornaliere, il Sacramentarium, in seguito trasformatosi in messale plenario (con preghiere, letture e canti), che varia nelle differenti l. (come la gallicana, l’ambrosiana, la romana). Pio V, attuando i decreti del Concilio di Trento (1545-63), mise mano all’unificazione e alla riforma dei libri liturgici (1570), continuata poi dai suoi immediati successori, fino a Paolo V. Nei secoli successivi non vi furono che ritocchi parziali e marginali, fino al Concilio vaticano II.