LIUTPRANDO
Re dei Longobardi dal 712, quando venne eletto a succedere al padre Ansprando, che era rimasto sul trono per soli tre mesi dopo aver deposto, grazie all'appoggio di truppe bavare, il re Ariperto, al 744, anno della morte.L. dovette immediatamente difendersi da alcune congiure di palazzo, una delle quali ordita da Rotarit, componente della sua stessa famiglia, che si risolse con l'uccisione del congiurato per mano dello stesso L. insieme ai suoi quattro figli.I primi anni del regno del giovane monarca furono caratterizzati da una sostanziale continuità rispetto ai passati orientamenti politici della monarchia, in special modo riguardo alle relazioni con i ducati periferici di Spoleto e Benevento, nei confronti dei quali non è nota alcuna ingerenza regia; nel Friuli invece le ricorrenti aspirazioni autonomistiche del ducato vennero immediatamente tenute sotto controllo, tramite l'elezione dei patriarchi di Aquileia, Sereno e Callisto, imposti dallo stesso Liutprando. Le relazioni con l'autorità pontificia furono, almeno agli esordi, molto concilianti, come dimostra il provvedimento di rinnovo dell'atto di donazione del patrimonio delle Alpi Cozie alla Chiesa di Roma. Decisamente più problematici e causa di continui attriti e scontri furono, per tutto il corso del regno di L., i rapporti con le autorità bizantine in Italia.Già nel 717, a seguito del temporaneo indebolimento militare dell'impero in concomitanza dell'assedio di Costantinopoli, fu organizzata dal re e dai duchi longobardi un'offensiva coordinata contro i territori imperiali in Italia, ma che, al di là di scorrerie e saccheggi, non produsse nessun acquisto territoriale definitivo, a eccezione della città di Narni. La crisi si aprì nuovamente nel 726, in conseguenza delle disposizioni dell'imperatore Leone III l'Isaurico riguardo al culto delle immagini, che provocarono in Italia la fermissima opposizione di papa Gregorio II, alle quali fecero seguito nel Veneto e nella stessa Ravenna sollevazioni popolari che portarono all'uccisione dell'esarca. In questa situazione di vuoto di potere alcuni territori dell'Esarcato e della Pentapoli preferirono sottomettersi all'autorità del re longobardo. Problemi dovettero affiorare con i duchi di Spoleto e Benevento, le cui aspirazioni autonomistiche, in seguito alla recente espansione territoriale del regno, si accentuarono, implicando in accordi politici forse lo stesso papa. Contemporaneamente, lo sbarco del nuovo esarca bizantino a Napoli, Eutichio, in cerca di alleanze in Italia, convinse finalmente L. a intervenire. Nel 729 il re scese con l'esercito a Spoleto, dove il duca di Spoleto, Trasmondo, e quello di Benevento, Romualdo II, si sottomisero spontaneamente. In seguito L., insieme a Eutichio, con il quale si era alleato con l'intento di spartirsi il controllo politico dell'Italia, si diresse alla volta di Roma, per trattare con il papa la restituzione della città all'autorità bizantina. La mediazione venne condotta dallo stesso L., che, una volta accordate le parti, entrò nella città; nella basilica dell'apostolo Pietro in segno di devozione depositò solennemente le armi e i gioielli regi accanto alla tomba dell'apostolo.Furono questi gli anni di massimo prestigio di L., la cui autorità era riconosciuta anche al di fuori dei confini del regno. Significativo a tale proposito l'episodio che ebbe come protagonista Pipino, figlio di Carlo Martello, inviato dal padre alla corte di Pavia, perché L. gli praticasse il taglio dei capelli, rituale che segnava l'ingresso nell'età adulta e che stabiliva un rapporto di parentela fra le due famiglie regnanti. È da segnalare inoltre la spedizione organizzata dallo stesso L. in Sardegna, per recuperare le spoglie di s. Agostino minacciate dalle incursioni musulmane, che vennero traslate nella chiesa pavese di S. Pietro in Ciel d'Oro.Il periodo terminale del regno di L. fu segnato dal deteriorarsi della situazione di sostanziale equilibrio fra le varie componenti politiche allora attive in Italia. Nel 731, con l'elezione di papa Gregorio III, d'origine siriaca, i rapporti con Roma e Ravenna divennero apertamente conflittuali. In questo quadro si inserisce l'occupazione di Ravenna, guidata da Ildeprando, nipote del re. La capitale dell'Esarcato venne però ripresa dai Bizantini, con l'aiuto di una spedizione marittima guidata dai Veneti, che reintegrarono nei loro poteri l'arcivescovo e l'esarca, fuggiti in precedenza. La convivenza pacifica fra regno longobardo e romanici, così strenuamente perseguita da L. fino ad allora, era ormai del tutto compromessa; anche all'interno del regno L. dovette affrontare una grave crisi nel 735, quando, profittando di una seria malattia del re, la fazione militare promosse al suo posto l'elezione di Ildeprando, che L., una volta guarito a dispetto delle previsioni, fu costretto comunque ad associare al trono. Nel 739 anche i rapporti con i ducati dell'Italia centromeridionale si deteriorarono, per i tentativi del duca di Spoleto Trasmondo di allearsi con il papa e l'esarca, con il proposito di creare in Italia centrale un organismo politico autonomo. Fu necessario allora un nuovo intervento militare, prima nella Pentapoli e poi nella stessa Spoleto. L. in seguito pose invano l'assedio a Roma, dove si era nel frattempo rifugiato Trasmondo, che il papa si rifiutava di consegnare. Il re per ritorsione ordinò di devastare le campagne, mentre sulla via del ritorno fece occupare i castelli di Amelia, Orte, Bomarzo e Blera. Con la morte di Gregorio III, irriducibile avversario di L., e l'elezione del suo successore Zaccaria (741-752), che abbandonò la spregiudicata aggressività del suo predecessore, i toni si fecero alla fine nuovamente concilianti. Nel 742 L. intervenne a Spoleto, dove depose il ribelle Trasmondo e impose come duca il nipote Agiprando, e poi a Benevento, dove ristabilì l'ordine regio e restaurò nel potere ducale il nipote Gisulfo. Sulla via del ritorno si piegò alle preghiere di Zaccaria e solennemente restituì al patrimonio della Chiesa romana i castelli occupati da guarnigioni longobarde nella precedente spedizione. Il forte ascendente del papa sul sovrano risultò nuovamente determinante l'anno successivo, in seguito all'assedio di L. a Ravenna: Zaccaria, su sollecitazione dell'arcivescovo della città Giovanni e dell'esarca Eutichio, si recò alla corte del re, che non poté rifiutare la richiesta, fatta dal papa in persona, di ritirare le sue truppe dal territorio ravennate. L. dovette rinunziare così definitivamente alla conquista della capitale dell'Esarcato. Morto nel giugno del 744, L. venne sepolto a Pavia, nella cappella cimiteriale di S. Adriano presso la chiesa di S. Maria in Pertica, accanto al padre. Le spoglie del re furono poi trasferite, nel sec. 12°, nella chiesa di S. Pietro in Ciel d'Oro.Il regno di L. si caratterizzò, nonostante i tormentati rapporti con l'istituzione pontificia, per i forti accenti cattolici e per un'ideologia monarchica che si orientò programmaticamente verso i valori propri della tradizione cristiana. Nell'opera di rielaborazione e integrazione della legislazione dell'editto di Rotari e nei prologhi premessi ai suoi editti, L. "formulò una cosciente teoria della regalità cattolica" (Delogu, 1980, p. 125). Fin dai primissimi anni del regno, L. nell'aggiornare le leggi longobarde proclamò che si sarebbe modellato formalmente sulla legge divina ispirandosi ai canoni della Chiesa e alle deliberazioni dei sinodi papali. In questo modo il re riuscì a superare i limiti imposti dalle regole della stirpe e dallo schema tribale entro i quali si configuravano al tempo di Rotari le leggi della società longobarda, in cui il ruolo decisionale dell'aristocrazia aveva un peso determinante. La cattolicizzazione impressa da L. al regno riflette una profonda evoluzione della società, avvenuta probabilmente fra la fine del sec. 7° e gli inizi dell'8°, quando scomparve l'antica organizzazione militare di tipo germanico di impianto tribale, consentendo al re, con il supporto ideologico del cattolicesimo, di accrescere notevolmente la sua autorità. L'insieme delle leggi di L. mirava al superamento degli schemi sociali e dei riferimenti morali del passato ariano e pagano della stirpe, allo scopo di rifondare la convivenza civile e il potere dello stesso sovrano su nuovi valori. Dal punto di vista strettamente giuridico questa volontà si esplicò, per es., nella repressione dei culti e delle pratiche magiche di origine pagana, mentre, d'altra parte, i luoghi religiosi vennero dichiarati inviolabili e se ne promosse al contempo lo sviluppo con fondazioni di numerose abbazie dotate di larga autonomia gestionale. La componente più profonda della morale cattolica si coglie soprattutto nelle norme che tutelavano la difesa dei più deboli: capacità successoria delle donne, regolamentazione secondo la morale religiosa del matrimonio, tutela dei minori di età. Si deve precisare comunque che l'organizzazione politica e amministrativa rimase, nonostante i nuovi orientamenti, del tutto laica e fortemente accentrata e ogni autorità periferica era strettamente correlata a quella della corte regia.Anche le attività commerciali e mercantili trovarono grande attenzione nelle riforme legislative. Gli scambi economici e la mobilità delle persone, anche al di fuori dei confini del regno, erano divenuti la norma, e il conseguente processo di osmosi culturale si riflesse anche nella fisionomia dell'arte longobarda, che nei primi decenni del sec. 8° ebbe una vigorosa fioritura. La letteratura specialistica ha definito tale periodo artistico come periodo della 'rinascenza liutprandea', a sottolinearne da una parte i riferimenti espliciti all'arte dell'Antichità cristiana, romana e bizantina e dall'altra il legame - non diretto ma solo di contemporaneità cronologica - con il monarca.La produzione artistica, di cui la scultura ornamentale in pietra ha lasciato le più significative e cospicue testimonianze, si allontana dalle tradizioni decorative germaniche, per riprendere motivi e temi propri della tradizione iconografica paleocristiana a carattere simbolico, ancora in uso nelle confinanti regioni romaniche, come tralci vegetali, pavoni, leoni, cervi, che vengono però sottratti al realismo e al naturalismo tardoantico e reinterpretati con un inedito e del tutto originale lessico linguistico fondato su valori astrattivi ormai radicalmente diversi dal passato, resi attraverso un rilievo appena accennato, sottile e delicato, basato su una linea compenetrante e vitalistica che conferisce alle figurazioni un carattere non plastico ma luministico e soprattutto ritmico (Romanini, 1992). Il quadro all'interno del regno di L. non si presenta comunque omogeneo ed esistono diversità di fenomeni artistici e decisi scarti qualitativi fra le opere, soprattutto fra il 'centro' e la 'periferia', che hanno indotto a individuare l'esistenza di diverse scuole di corte legate ad artefici di formazione culturale non omogenea e fra le quali emerge - per originalità e autonomia espressiva e per gli apporti e gli stimoli più vari - quella originata e sostenuta da L. nella capitale Pavia, da dove si irradiò in altre aree del regno. È un'arte di uno specifico ambiente, di straordinario buon gusto e profondamente colto, che fa capo al re e alla classe dirigente longobarda laica ed ecclesiastica, lo stesso nel quale furono prodotte le riforme giuridiche e le epigrafi metriche e nel quale si formarono intellettuali quali Paolo Diacono. Le testimonianze più alte che qui si possono richiamare sono, fra le altre: a Pavia stessa (Civ. Mus.) le famose lastre dal monastero di S. Maria alla Pusterla, le epigrafi frammentarie dalla chiesa di S. Agata al Monte, la lastra tombale di Senatore; a Bobbio (Mus. dell'Abbazia di S. Colombano) l'epigrafe di S. Cumiano, donata all'abbazia dallo stesso L. come ricorda l'iscrizione; a Corteolona la residenza reale; a Cividale (Mus. Cristiano) il fonte battesimale di Callisto.Gli interventi di patronato artistico direttamente collegati all'iniziativa di L. sono molteplici e alcuni di questi conosciuti grazie alla memoria che ne ha lasciato Paolo Diacono (Hist. Lang., VI, 58): numerose fondazioni di basiliche in onore di Cristo, di cui però lo storico longobardo omette le relative localizzazioni; il monastero di S. Pietro annesso alla chiesa di S. Pietro in Ciel d'Oro, situato immediatamente al di fuori delle mura di Pavia; il monastero di Berceto sull'Alpe di Bardone, nell'entroterra parmense; la reggia di Corteolona, che comprendeva una chiesa dedicata a s. Anastasio e un monastero; infine, una cappella nel palazzo di Pavia, consacrata al Salvatore, officiata di giorno e di notte, per la quale L. fece istituire un apposito collegio di sacerdoti e chierici.Primo in ordine di tempo si dovrebbe collocare l'intervento nel complesso di S. Pietro in Ciel d'Oro, verosimilmente in relazione con la seconda traslazione del corpo di s. Agostino dalla Sardegna a Pavia, voluta da L., la cui datazione rimane incerta fra il 712 e il 734, anche se molti ritengono che si debba collocare intorno al 725. A testimonianza di questo eccezionale avvenimento - che comportò l'istituzione dell'annesso monastero ricordato da Paolo Diacono - rimane la preziosa cassetta delle reliquie dove furono riposte le spoglie del santo. Si tratta di un oggetto di forma rettangolare con coperchio a spioventi, costituito di lamine d'argento sulle quali sono applicate, al centro dei lati, quattro identiche crocette in argento dorato, decorate a stampo, sulle quali, ai vertici dei bracci, si trova una rosetta a otto petali, mentre al centro, inserito in una cornice circolare, è il busto di Cristo con aureola. L'immagine clipeata di Cristo e tutto l'insieme ornamentale, qualificato dall'accentuata simmetria dei vari elementi, rimandano all'oreficeria bizantina e ravennate di tradizione tardoantica e paleocristiana, mentre lontanissimi risultano al confronto gli esemplari della precedente produzione longobarda delle crocette auree con ornamentazione a intrecci zoomorfi di origine germanica. Dalla chiesa di S. Pietro in Ciel d'Oro provengono poi alcuni pilastrini finemente lavorati, decorati con diverse interpretazioni del motivo del tralcio vegetale ondulato, la cui realizzazione - per le evidenti analogie mostrate con altre celebri opere pavesi di questo stesso periodo (lastre da S. Maria alla Pusterla) - può essere, anche se in via del tutto ipotetica, ricollegata a un qualche intervento di ristrutturazione degli spazi interni della chiesa, avvenuto al momento della sistemazione delle reliquie, come tra l'altro suggerito da una notizia ricavabile da una bolla di papa Giovanni XV del 986, dove L. è ricordato come restauratore dell'edificio (Maiocchi, 1896, p. 46; Kehr, 1913). Tale informazione viene poi confermata dalla successiva tradizione storiografica medievale pavese (Opicino de Canistris, Liber de laudibus civitatis Ticinensis).Intorno a questi stessi anni si deve inserire la costruzione, per iniziativa di L., come ricorda espressamente l'epigrafe che ancora oggi si conserva (Modena, Mus. Civ. di Storia e Arte Medioevale e Moderna), delle fortificazioni del centro di Cittanova, situato nelle immediate vicinanze di Modena, lungo la via Emilia in direzione di Reggio, recentemente oggetto di una serie di indagini archeologiche che hanno condotto al ritrovamento di un gruppo di sculture frammentarie datate all'8° e al 9° secolo. La fondazione, o anche solo il potenziamento, del nucleo abitato, da porre in relazione all'annessione nel 727 di alcuni centri esarcali, rispose a precise esigenze politico-strategiche riguardanti il nuovo assetto territoriale del distretto modenese, ormai stabilmente assorbito entro i confini del regno. Cittanova divenne uno dei poli amministrativi più importanti della regione, sede di una corte regia e di un gastaldo, difesa da una solida struttura in muratura, e dimostrò come L., coerentemente alle direttive generali attuate dalla monarchia in tutto il regno longobardo, dove si preferì sempre mantenere distinte le rispettive aree di competenza tra funzionari regi e gerarchie ecclesiastiche, scelse di puntare sullo sviluppo di un centro amministrativo direttamente dipendente dalla Corona e del tutto svincolato dall'influenza politica del vicino e potente vescovo di Modena.L'impresa architettonica alla quale appare più legata l'immagine di L. come re-costruttore rimane senza dubbio il regium palatium di Corteolona, residenza suburbana cui il sovrano dedicò particolare attenzione. Situata poco più a monte della confluenza dell'Olona con il Po, su di un altopiano a dominio dei due fiumi in una posizione naturale di difesa, Corteolona, antica residenza del padre di L., venne ampliata dopo il 729 con l'aggiunta di un monastero e di una chiesa dedicata a s. Anastasio, come riportato da Paolo Diacono (Hist. Lang., VI, 58) e soprattutto dalle due epigrafi scomparse, ma delle quali è stato trascritto il testo (Badini, 1980), fonti preziose per la descrizione degli ambienti e dei materiali impiegati per la costruzione. Il complesso palatino subì in corso d'opera una variazione del progetto originario, dovuta alla volontà dello stesso L. - di ritorno dal viaggio di Roma del 729 - di sostituire l'impianto termale precedentemente previsto con una chiesa con annesso monastero, descritta come ornata di metalli e di mosaici, per la cui edificazione il re volle che fossero fatti venire espressamente da Roma marmi preziosi e colonne. Tale scelta, suggerita da un'ispirazione celeste, appare programmatica di una volontà di superamento del modello romano e imperiale di autorappresentazione, costituito dalle terme, a favore della cultura religiosa cristiana chiamata a fornire, in questo caso specifico, una legittimazione divina ad alcune severe disposizioni legislative di L. contro le pratiche magiche e pagane del popolo longobardo, come attesta la dedicazione della chiesa a un santo orientale, assente dall'agiografia locale, che aveva combattuto l'arte divinatoria dei maghi e le cui spoglie erano state venerate dal re longobardo nel monastero delle Aquae Salviae durante la sua visita a Roma.Il complesso residenziale - che dal tempo dell'individuazione topografica del sito, risalente a più di un secolo fa (Riccardi, 1889), non è stato ancora oggetto di una qualsiasi indagine archeologica - continuò a essere utilizzato da re e imperatori fino alla metà del sec. 10°, a conferma della complessità delle sue strutture architettoniche. In mancanza di specifiche indagini oggi non se ne conserva purtroppo alcuna traccia, a eccezione di scarsissimi frammenti scultorei. Oltre ad alcune colonne di marmo, ora a Pavia (Civ. Mus.), e a quattro colonnine con relativi capitelli - questi ultimi qualificati da una lavorazione estremamente curata e raffinata - riutilizzati in una bifora nel vicino centro di S. Cristina Bissone, la testimonianza più significativa è il celebre rilievo con testa di cerbiatto in atto di abbeverarsi a un vaso ornato (Pavia, Civ. Mus.), considerato a ragione una delle manifestazioni più alte raggiunte dalla scultura precarolingia in Europa. Il pezzo ha da sempre suscitato una fortissima suggestione, forse anche perché unico oggetto superstite in grado di poter evocare, pur nella sua frammentarietà, la ricchezza e l'eleganza raggiunte dalle decorazioni di tutta la reggia di Corteolona, così come riportato dalle fonti storiche.
Bibl.:
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