Ullmann, Liv (propr. Liv Johanna)
Attrice e regista norvegese, nata a Tokyo il 16 dicembre 1939. Chiamata nel 1966 da Ingmar Bergman per il ruolo dell'attrice, chiusa in un assoluto mutismo, protagonista di Persona, la U. si legò allora, nella vita e sullo schermo, al grande regista, interpretandone quasi tutti i film fino alla fine degli anni Settanta. Ha dato così prova di grande talento e sensibilità nel tratteggiare figure di donne emancipate e moderne, ma profondamente in crisi e spesso sofferenti. All'inizio degli anni Novanta è passata alla regia scegliendo di raccontare storie al femminile, vicende di donne libere e coraggiose, capaci di sfidare la società e i suoi conformismi.
Nata in Giappone dove lavorava il padre ingegnere minerario, lo seguì in Canada e negli Stati Uniti durante la Seconda guerra mondiale, per poi tornare in patria alla morte del genitore. Studiò recitazione a Londra, ma fu a Oslo che debuttò in teatro e (nel 1957) nel cinema, prendendo successivamente parte a varie ma modeste produzioni norvegesi. Venne tuttavia notata da Bergman, che la scritturò per interpretare l'attrice Elisabeth Vogler in Persona; in questo ruolo la U. mostrò doti non comuni nel caratterizzare un personaggio femminile complesso e contraddittorio, rinunciando alla parola e ricorrendo soltanto alla prossemica. Il regista si legò profondamente al volto e alla fisicità dell'attrice, che scelse come protagonista di tutti i suoi film successivi. La U. venne così chiamata a interpretare la moglie di un pittore tormentato in Vargtimmen (1968; L'ora del lupo), la musicista coinvolta in una guerra da incubo in Skammen (1968; La vergogna), la sofferente Anna di En passion (1969; Passione) e infine la sensuale Maria, una delle sorelle di Viskningar och rop (1972; Sussurri e grida) e la psichiatra di Ansikte mot ansikte (1976; L'immagine allo specchio). Indimenticabile, tuttavia, resta il personaggio di Marianne, protagonista ‒ accanto al marito Johan (interpretato da Erland Josephson) ‒ dello sceneggiato televisivo Scener ur ett äktenskap (1973; Scene da un matrimonio). Qui la U. dimostrò una straordinaria sensibilità nell'esprimere i sentimenti di una donna profondamente in crisi con il marito, dal quale tuttavia non riesce a separarsi. Non dissimile è il ritratto di Eva in Höstsonaten (1978; Sinfonia d'autunno), ma in questo caso la crisi dei sentimenti investe il rapporto madre-figlia. Affermatasi a livello internazionale negli anni Settanta, l'attrice prese parte in quel periodo a numerose coproduzioni, per lo più di modesta fattura, nonché a tre film di Jan Troell, il dittico costituito da Utvandrarna (1971; Karl e Kristina) e Nybyggarna (1972; La nuova terra) e il notevole Zandy's bride (1974; Una donna chiamata moglie), storia di un'emigrante svedese negli Stati Uniti che si scontra con un marito violento e insensibile. Tra gli altri film interpretati Speriamo che sia femmina (1986) di Mario Monicelli.
Passata alla regia, ha continuato a preferire ritratti di donne forti, in conflitto con una società ottusa e maschilista. Così Sofie (1992) è la storia di una ragazza ebrea di Copenaghen tra fine Ottocento e inizio Novecento; mentre la saga medievale Kristin Lavransdatter (1995, Kristin figlia di Lavran), dal romanzo di S. Undset, narra la battaglia di una giovane donna contro i matrimoni combinati. Come regista si è poi imposta con Enskilda samtal (1997; Conversazioni private) e Trolösa (2000; L'infedele), due storie di infedeltà entrambe sceneggiate da Bergman: la prima di matrice autobiografica (i personaggi sono ispirati ai genitori del regista), la seconda ambientata nel mondo del teatro. Nel 2003 è tornata a recitare per Bergman nel film televisivo Saraband, sequel di Scener ur ett äktenskap, con gli stessi protagonisti ritrovati trent'anni dopo. Ha scritto, tra l'altro, due libri autobiografici: Changing (1977, trad. it. 1979) e Choises (1984, trad. it. 1985).
P. Cowie, Straight from the heart: modern Norwegian cinema 1971-1999, Oslo-Kristiansund 1999, pp. 42, 65-66, 101.