livido
Aggettivo a bassa frequenza, esclusivo della Commedia. È usato per indicare l'aspetto che assume la pelle a causa del freddo intenso (If XXXII 34 livide... / eran l'ombre dolenti ne la ghiaccia), ovvero a denotare il colore delle acque dell'Acheronte (la livida palude, III 98; e cfr. Aen. VI 320 " vada livida "), o quello ferrigno (XVIII 2) delle pareti e del fondo roccioso di Malebolge: XIX 14 Io vidi... / piena la pietra livida di fóri.
In Pg XIII 9, dov'è definito l. il color de la petraia, l'aggettivo presenta, insieme con il suo valore proprio, un secondo significato, denotante, per accertata attribuzione simbolica (cfr. Livore), l'invidia, che è punita in questo girone.
Evidente, nel corso dell'esegesi antica e moderna, l'imbarazzo degl'interpreti circa il significato del termine in If XXV 84 un serpentello acceso, / livido e nero come gran di pepe.
Tale imbarazzo è dovuto senz'altro, come puntualizza il Pagliaro (Ulisse 358 ss.), al fatto che la maggior parte dei commentatori " associa acceso con gli altri due aggettivi livido e nero, e ne fa, quindi, un elemento della comparazione, come gran di pepe "; onde la difficoltà ad " associare la nozione di livido e di nero nella similitudine con il gran di pepe, che di fatto è soltanto nero ". Così qualche commentatore, ad es. Benvenuto, tralascia livido e limita la comparazione agli altri due aggettivi, acceso e nero. Altri (fra i moderni, Scartazzini-Vandelli, Casini-Barbi, Sapegno, Mattalia) sembrano eludere l'intera questione. Il Porena, poi, pensa di poter risolvere così il problema interpretativo: " Il grano di pepe è nero. Credo che Dante intenda accennare ai grani di pepe pestati, che col colore interno del granello misto ai piccoli frammenti della buccia, dànno un misto di livido e di nero "; ma, come obietta il Pagliaro, " questa spiegazione è inconciliabile con la precisa nozione di ‛ grano ' ". Qualche commentatore antico, infine, intende livido nel senso di " nocevole " (Landino), " nocivo " (Vellutello), secondo un significato affine a quello di livore in Pg XIV 84 e Pd VII 65. " Queste interpretazioni - argomenta il Pagliaro - sono fuori strada, perché ignorano che la rappresentazione del serpentello vuole rendere conto dell'anticipazione data nel v. 82 sg. venendo verso l'epe / de li altri due (il che poteva desumersi solo dall'atteggiamento del rettile che veniva contro), e perché trascurano i dati reali di osservazione, sui quali si fonda il poeta. Le qualifiche di acceso e di livido e nero sono in correlazione, e mirano a indicare che il serpentello veniva avanti con la testa e la parte anteriore del corpo erette. È risaputo che i serpenti aggrediscono sollevandosi quasi a metà corpo. L'attributo acceso indica, per l'appunto, tale atteggiamento aggressivo... In tale posizione, la parte anteriore del corpo, che aderisce normalmente al terreno ed è in molte specie chiara, quasi paonazza, livida, diventa per un tratto visibile a chi si trova di fronte, mentre il resto appare ovviamente nero. L'ordine dei due aggettivi livido e nero riflette la fenomenologia della percezione: all'apparire del serpente minacciosamente eretto, chi gli sta di fronte prima coglie il bianchiccio, poi il nero ". Quindi - conclude il Pagliaro - " il richiamo al gran di pepe non può riferirsi al colore, poiché, a parte la difficoltà frapposta dall'altra qualifica livido, il pepe non ha nessun titolo particolare per costituire un termine di paragone quanto al nero... In realtà qui il poeta richiama un dato di comune esperienza campestre. Dopo avere indicato con acceso la posizione eretta e aggressiva del serpentello, ribadisce con una notazione di colore, livido e nero, che connota visivamente tale atteggiamento; l'ultimo tratto come gran di pepe indica certamente l'aggressività, insieme con la piccolezza ". L'argomentazione è indubbiamente ingegnosa, ma suscita alcune sostanziali obbiezioni. Anzitutto l., almeno nell'uso dantesco, non è mai sinonimo di " chiaro ", " bianchiccio ", ma, al contrario, indica sempre un colore " scuro, ", " nericcio "; e D. potrebbe anche aver voluto dire, più semplicemente, che il corpo del serpentello non era di colore uniforme, ma in parte nero, in parte livido, senza distinguere fra dorso e ventre. Quanto alla comparazione con il gran di pepe, essa potrebbe riferirsi non soltanto ad acceso e alla connotazione di piccolezza implicita nel diminutivo serpentello, ma anche a nero. Resta poi il fatto che il pepe, anche se " non ha nessun titolo particolare per costituire un termine di paragone quanto al nero ", è di questo colore. L. verrebbe così a collocarsi fra acceso e nero, nel corpo della comparazione, per una sorta di zeugma (artificio senz'altro conosciuto dal poeta). Infine, nella qualifica di l. potrebbe ipotizzarsi, oltre al significato proprio, anche quello traslato di " nocevole ", " nocivo ", postulato dal Landino e dal Vellutello, che il Pagliaro senz'altro esclude, in quanto, a suo giudizio, la " connotazione... vuole essere soltanto icastica, visiva (parea venendo...) ".