GALANTI, Livio
Nacque a Imola verso il 1560. Avviato alla vita religiosa, entrò nell'Ordine dei frati minori osservanti, che avevano un convento nella sua città, pronunciando però i voti a Ravenna tra il 1580 e il 1585.
In convento il G. dimostrò curiosità intellettuali che lo portarono a studiare i classici, la filosofia, la cabala, la matematica e l'astrologia, ma anche una vena satirica, espressa attraverso sonetti che faceva girare anonimi tra le mani dei confratelli.
Le sue prime destinazioni furono Faenza, Bologna, Perugia e Roma, città in cui completò gli studi. Nel 1590 fece ritorno a Bologna, con la qualifica di lettore e teologo, quindi nel 1592 passò a Carpi e a Cremona dove, creato predicatore, ebbe l'incarico di insegnare teologia nel locale convento. Fu quindi trasferito a Ferrara e Faenza finché, dal 1597 al 1601, tornò a Imola come lettore e guardiano del convento dell'Osservanza. Di nuovo a Ferrara nel 1602, vi rimase sei anni, ancora insegnante di teologia, dopodiché ritornò a Imola, restandovi per lungo tempo, a partire dal 1609.
In questo periodo il G., che aveva ormai acquisito amicizie e protezioni, cominciò a polemizzare contro i potenti. Dopo la devoluzione di Ferrara alla Chiesa (1598), si scagliò addirittura contro Clemente VIII, qualificandolo "bigotus… animal… semper… detractioni et murmurationi subiectus" e scandaloso arricchitore del nipote Pietro Aldobrandini. Successivamente, tra il 1604 e il 1606, colpì la sua stessa provincia religiosa di Bologna, dicendo di avervi già speso "quattro lustri nefandi". Ma i suoi bersagli preferiti erano i letterati come G.B. Marino, considerandosi egli il difensore del petrarchismo contro le nuove tendenze della poesia barocca. Un certo astio nei confronti di Roma, diffuso tra i religiosi emiliano-romagnoli a causa delle pressioni papali sulle nomine di superiori non legati agli Este, e le particolari discordie interne ai minori osservanti di Bologna, divisi tra "lombardi" e "romagnoli", coprivano queste licenze poetiche del frate, soprannominato il "Pietro Arretino" della provincia.
Peraltro il G. si era legato ai lombardi, divenendo amico dei loro esponenti principali, Evangelista Sartonio ed Ireneo Bresavola, quest'ultimo eletto provinciale nel capitolo di Carpi nel 1611. Tale nomina aveva scontentato i romagnoli che, fautori di altri candidati, prepararono una ritorsione.
Così, l'11 luglio 1612, un frate del partito romagnolo, Angelo da Fognano, denunciò all'Inquisizione di Rimini il G. e il Sartonio, segretario del provinciale.
Il processo fece pubblicamente emergere la divisione esistente nella provincia minoritica osservante bolognese e dimostrò la falsità delle accuse proprio alla luce della loro palese faziosità. Il G. si difese attaccando i suoi detrattori e non rinnegò le sue satire; fece cadere l'accusa di essere l'autore di un sonetto in difesa di Paolo Sarpi, sostenendo che lui, noto detrattore della politica di Clemente VIII, mai avrebbe potuto scrivere versi che ne lodavano i rapporti con Venezia, biasimando gli atti di Paolo V.
A Roma, il 2 marzo 1613, il cardinale Giovan Garzia Millini, vescovo d'Imola, firmò la sostanziale assoluzione del G. e del Sartonio, cui fu solo imposto un periodo di digiuno e di preghiera. La vittoria dei lombardi divenne poi esplicita in seguito alla successiva nomina del Bresavola a commissario generale di Curia, con il parere favorevole del papa, e poi a vescovo di Castro.
Il G. poté tornare tranquillamente alle lettere, e restare nel convento di Imola, continuando con le satire. Verso il 1621 scrisse un pesante sonetto contro A. Tassoni, che non volle pubblicare perché, impegnato nella redazione di un volume cui lavorava da tempo, non desiderava commettere imprudenze.
Il libro, terminato nel 1624, s'intitolò Christianae theologiae cum Platonica comparatio. L'opera, di 450 pagine, pur essendo stata recensita favorevolmente dal Sartonio e da un altro minorita, A. Sassi (in seguito lo fu anche dal generale dell'Ordine, Benigno da Genova), non vide le stampe che tre anni dopo, quando uscì a Bologna nel 1627, in un'edizione dedicata al nuovo vescovo d'Imola Ferdinando Millini, nipote del cardinale G.G. Millini.
Il G. intese riaffermare la dottrina rinascimentale circa l'esistenza di elementi comuni tra il cristianesimo e il platonismo, confrontando la Sacra Scrittura e la dogmatica con 160 autori classici e neoplatonici, dal Trismegisto al Bessarione, e criticando invece la teologia aristotelica. Egli citava in modo particolare s. Bonaventura e s. Tommaso, Scoto, R. Bellarmino, G. Biel, G. e G.F. Pico, F. Piccolomini e M. Ficino. Del Piccolomini e di F. Patrizi, inoltre, diceva d'essere stato anche allievo. Accortamente, invece, criticava alcuni passi di R. Lullo sulla Trinità, per i quali era stato accusato nel 1612. Secondo il G., compito della scienza era lo studio degli astri e dei moti celesti, mentre la teologia e la filosofia dovevano cogliere ed esaltare l'armonia del creato, espressa da concordanze musicali.
Nel 1625 il G. venne eletto tra gli "examinatores instituti" della provincia. L'anno seguente, a causa della cessione ai minori riformati del convento d'Imola, si trasferì a Bologna. Qui, dopo l'uscita del suo libro ottenne, come carica onorifica, di essere annoverato tra i "Patres provinciae", nel 1628.
Nel 1630 l'epidemia di peste colpì anche Bologna e il convento degli osservanti venne trasformato in lazzaretto. Il G., ospitato provvisoriamente dai celestini, si ammalò e morì di apoplessia. Con l'assenso dei superiori, i suoi molti libri entrarono a far parte della biblioteca provinciale.
Conosciuto in vita nell'ambito della provincia, ma ignoto al pubblico laico, il G. divenne noto dopo la morte, quando, nel 1633, il suo sonetto contro il Tassoni diventò di dominio comune, cosa che provocò una volgare risposta del poeta modenese. In quell'occasione, amici del Tassoni bastonarono un altro minorita, V. Benzoni, che aveva preso le difese del sonetto del Galanti. Il fatto fece scalpore e assunse tanta rilevanza che tutta l'opera del frate imolese e persino il processo subito passarono in secondo piano, per venire rapidamente dimenticati. Ancora nel 1744 L.A. Muratori dedicò una pagina della sua Vita di A. Tassoni a questa disputa, qualificando il G. "persona ignota". D'altra parte, al di là del pettegolezzo, non vi sono prove che consentano di definire le satire del G., interamente perdute, come prodotto di un autonomo e critico pensiero e non di un carattere portato all'ironia e all'espressione, in forme inconsuete, della propria erudizione. Egli piuttosto entrò a far parte, in modo tutto suo, di un ordine e di una provincia religiosi attraversati, questi sì, da antiche discordie e nuove inquietudini che, se in parte sfuggivano alla vigilanza controriformista, badavano anche, però, a non provocarla più di tanto.
Fonti e Bibl.: L.A. Muratori, Vita di A. Tassoni, in A. Tassoni, La secchia rapita… colle dichiarazioni di G. Salviani, Modena 1744, pp. 18 s.; L. Angeli, Memorie di que' uomini illustri imolesi… che si distinsero in ogni ramo di scienze e nelle belle arti, Imola 1828, pp. 172-174; L. Wadding, Scriptores Ordinis minorum, Romae 1906, p. 160; G. Picconi da Cantalupo, Centone di memorie storiche concernenti la minoritica provincia di Bologna, II, Parma 1911, p. 336; S. Gaddoni, I frati minori in Imola e i tre Ordini francescani nella città e diocesi imolese, Quaracchi 1911, pp. 113, 124, 133, 224; G. Sbaraglia, Supplementum et castigatio ad Scriptores trium Ordinum S. Francisci a Waddingo aliisve descriptos, II, Romae 1921, p. 174; A. Chiappini, Annales minorum, XXVI (1933), p. 569; XXVIII (1941), p. 380; G.L. Betti, Un sonetto a favore di f. Paolo Sarpi…, in Studi storici dell'Ordine dei servi di Maria, XXXIV (1984), 47, pp. 35-37, 41-43, 52, 55-58; Id., Politica, religione e filosofia del francescano E. Sartonio, in Studi francescani, LXXXI (1984), p. 290 n. 18; Id., Fermenti culturali e tensioni interne nella minoritica osservante provincia bolognese nei primi anni del Seicento. Un processo per eresia a E. Sartonio da Bologna e L. G. da Imola (1612-1613), in Archivum franciscanum historicum, LXXIX (1986), 3-4, pp. 411-413, 424-447; Id., Una dura polemica tra A. Tassoni e f. L. G. da Imola, in Il Carrobbio, XII (1986), pp. 62-70.