ZAMBECCARI, Livio.
– Nacque a Bologna il 30 giugno 1802, figlio del conte Francesco (v. la voce in questo Dizionario) e di Diamante Negrini.
Il padre fu un uomo d’azione e uno studioso dai multiformi interessi: tra i primi a dedicarsi agli esperimenti di volo con palloni aerostatici, proprio durante un’ascensione, nel 1812, rimase ferito a morte.
La figura paterna ebbe una fondamentale influenza sul giovane Zambeccari, che un anno dopo la morte del padre entrò nel Collegio di San Luigi; deceduta nel frattempo anche la madre, Livio seguì il volere di alcuni parenti e nel 1818 iniziò a frequentare il corso in legge presso l’Università di Bologna. Nel 1821, conclusi gli studi con successo, non seguì la strada della diplomazia alla quale era stato avviato, ma si unì a gruppi di matrice massonica e liberale, lasciandosi coinvolgere in oscure missioni al termine delle quali, ormai politicamente compromesso, dovette lasciare il Paese.
Iniziò così il lungo periodo del primo esilio: giunse dapprima in Spagna, dove fu brevemente al servizio dei generali Antonio Quiroga e Rafael del Riego, a capo dell’insurrezione liberale contro Ferdinando VII, e in seguito, dato l’approssimarsi delle truppe francesi inviate contro i rivoluzionari spagnoli da Luigi XVIII, si imbarcò per l’Inghilterra. Trascorse gli anni seguenti tra Londra e Parigi, dedicandosi prevalentemente a studi di mineralogia e dando prova di una cultura eclettica, comune a molti giovani della sua generazione. Nel 1826 partì per il Sudamerica e giunse a Montevideo, dove infuriava la lotta tra gli indipendentisti e le armate brasiliane che occupavano l’Uruguay. Zambeccari, accolto con entusiasmo dai rivoluzionari, si unì a essi, guadagnando presto la fiducia dei maggiorenti del movimento patriottico, Juan Antonio Lavalleja e Manuel Oribe, che gli chiesero di organizzare l’artiglieria; rifiutò l’incarico e si dedicò soprattutto a studi naturalistici e letterari, pur rimanendo vicino agli ambienti militari. Di lì a breve si trasferì a Buenos Aires, dove si fece subito promotore, tramite una rappresentazione del Bruto primo di Vittorio Alfieri e la pubblicazione di un suo Inno alla libertà, di una raccolta fondi per i feriti della battaglia di Ituzaingó, che sancì la sconfitta delle truppe imperiali brasiliane, la vittoria dei repubblicani argentini e la liberazione dell’Uruguay.
Nella capitale argentina Zambeccari si trovò presto coinvolto nel conflitto intestino tra unitari, di tendenza liberale, e federalisti, maggiormente conservatori, schierandosi dalla parte dei primi; assieme al generale Juan Lavalle ottenne alcuni importanti successi militari che, tuttavia, non impedirono alle truppe federaliste di riorganizzarsi e di infliggere agli unitari, in seguito, una dura sconfitta. Nel 1829, dopo l’elezione a governatore di Juan Manuel de Rosas, Zambeccari lasciò il Paese e si spostò nella città brasiliana di Porto Alegre, nel Rio Grande do Sul, dove partecipò a un altro moto rivoluzionario, quello tra i frappos repubblicani guidati da Bento Gonçalves da Silva e i caramurus filoimperiali. In quegli anni, alternando l’attività giornalistica, le ricerche naturalistiche e il ruolo di segretario di Gonçalves, Zambeccari giunse «ad essere uno degli ispiratori e teorici della rivoluzione repubblicana» (Tra il Reno e la Plata, 2001, p. 33). Allo stesso periodo si fa risalire il suo incontro con Giuseppe Garibaldi, destinato a segnare un’amicizia duratura.
Nel 1836, combattendo contro le truppe imperiali, Zambeccari fu fatto prigioniero e condotto in catene a bordo della nave Presiganga, ormeggiata a Porto Alegre, e poi nella fortezza di Santa Cruz. Durante gli anni di detenzione diede nuova prova dei suoi interessi, dedicandosi alla realizzazione di carte geografiche e acquerelli e traducendo in portoghese alcune opere politiche e filosofiche di Félicité-Robert de Lamennais e Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi. Solo nel 1839, approfittando di un’amnistia concessa dall’imperatore Dom Pedro II, fu liberato e, condotto su un bastimento inglese, fece ritorno in Europa.
Giunto dapprima a Portsmouth, Zambeccari si trasferì poi a Londra, dove si unì alla folta comunità di esuli italiani e conobbe personalmente Giuseppe Mazzini, che nel patriota bolognese riconobbe un repubblicano integerrimo. Già impegnato a diffondere i principi della Giovine Italia tramite i giornali sudamericani, Zambeccari fu infatti salutato da Mazzini con parole di vivo apprezzamento e venne introdotto negli ambienti rivoluzionari della capitale inglese. Poco dopo poté fare ritorno in Italia, ma non nei territori dello Stato pontificio, dove gli era stato interdetto l’ingresso. Soggiornò così a Firenze e a Lucca, dove vivevano alcuni suoi parenti vicini agli ambienti della corte del duca Carlo Ludovico, che intercedettero presso le autorità pontificie perché gli fosse concesso un pronto rientro a Bologna, dove poté infine tornare nel 1841. Nella città natia cercò di accreditarsi come uno studioso, appassionato di scienza e geografia, ma prese contestualmente contatto con i gruppi radicali, mazziniani e carbonari, appoggiando i progetti sovversivi di Nicola Fabrizi; questi, pur in disaccordo con lo stesso Mazzini, gli affidò un ruolo di primo piano nell’organizzazione di un moto che, da Napoli, avrebbe dovuto infiammare la penisola sino alla Romagna e alle Legazioni. Fiducioso nell’esito dell’impresa, nel 1843 Zambeccari fu tra gli organizzatori del moto di Savigno, fuori Bologna, il cui rapido fallimento gli costò una nuova messa al bando, sospesa poi in virtù dell’amnistia concessa nel 1846 in seguito all’elezione al soglio pontificio di Pio IX. L’anno seguente fu escluso, assieme ad altri membri della corrente radicale, dai quadri apicali della guardia civica, istituita su istanza di Luigi Amat, cardinal legato di Bologna, e affidata ai profili moderati della politica bolognese, tra cui Marco Minghetti, Annibale Ranuzzi, Giuseppe Tanari; solo le polemiche di alcuni giornali e la minaccia di una manifestazione popolare convinsero infine il cardinale a concedere un incarico ufficiale anche a Zambeccari, le cui idee continuarono comunque a essere osservate con sospetto.
Con il precipitare degli eventi in tutta la penisola nel 1848, Zambeccari si mise alla testa di un gruppo di circa trecento armati – presto denominato battaglione dei cacciatori dell’Alto Reno – e passò il confine con il Veneto, pur senza il consenso del generale Giovanni Durando, comandante delle truppe inviate dal papa a sorvegliare le frontiere con il Lombardo-Veneto. All’inizio di aprile Zambeccari condusse i suoi uomini attraverso il Veneto meridionale, passando per Occhiobello, Badia Polesine, Montagnana, sino a giungere presso il castello di Bevilacqua, da dove diede inizio a una serie di scorrerie a danno degli austriaci, che segnarono l’inizio di una vera e propria guerriglia destinata a rimanere legata al suo nome. Secondo gli schemi della guerra per bande, il battaglione si spostava rapidamente, senza ingaggiare scontri in campo aperto, finché i generali Alberto Ferrero della Marmora e Alessandro Guidotti non ordinarono ai cacciatori di difendere dapprima la linea del Piave e di ritirarsi poi a Treviso, dove fu ingaggiato uno scontro con gli austriaci che si concluse con una discussa fuga di Zambeccari verso Mestre. Nel maggio partecipò con i suoi uomini alla difesa di Vicenza, per essere in seguito nominato comandante della piazzaforte di Treviso, caduta in mano austriaca dopo un violento bombardamento. A settembre Zambeccari si mise al servizio del governo della Repubblica di San Marco, unendosi al generale Guglielmo Pepe con un gruppo di uomini che era nel frattempo più che raddoppiato e conducendo alcune sortite di successo contro gli austriaci. La situazione politica romana – nel novembre era stato assassinato Pellegrino Rossi e il pontefice si era ritirato a Gaeta – lo spinse a lasciare Venezia per fare ritorno a Bologna, dove fu eletto deputato dell’Assemblea costituente romana; poco dopo si recò a Roma, dove fu presente alla proclamazione della Repubblica romana. Nell’aprile, mentre gli austriaci prendevano velocemente possesso delle città ribelli, Zambeccari ricevette l’incarico di comandante superiore di Ancona. Nella città marchigiana si comportò come nei precedenti fatti d’arme, dando perciò adito a numerose critiche, dovute a una serie di scelte errate e a un atteggiamento di difesa passiva, che gli permise comunque di respingere i primi attacchi degli austriaci e di innalzare bandiera bianca solo a seguito di un serrato bombardamento.
Il 20 giugno 1849, sconfitto, Zambeccari partì per il suo secondo esilio, imbarcandosi alla volta di Corfù, tra le mete privilegiate dell’esilio postquarantottesco, dove di lì a breve giunsero anche, tra gli altri, i capi della rivoluzione veneziana Daniele Manin e Niccolò Tommaseo. Proprio in vista dell’arrivo di altri profughi, si fece promotore della creazione di un comitato destinato a occuparsi delle prime necessità dei patrioti italiani. L’infaticabile attività organizzativa di Zambeccari destò il sospetto delle autorità britanniche, le quali, timorose che il bolognese potesse infiammare il desiderio di indipendenza dal Regno Unito delle isole Ionie, lo arrestarono e, nonostante le proteste, lo costrinsero a trasferirsi prima a Patrasso e, di lì, ad Atene. Pur tormentato dalla mancanza di denaro, risolta poi grazie alla vendita, tra l’altro, della tenuta avita nella campagna bolognese, Zambeccari si dedicò intensamente alle sue antiche passioni, coltivando lo studio della mineralogia, della botanica, della numismatica, collezionando antichi reperti e abbandonando, almeno apparentemente, l’attività politica. Nel 1854 un’epidemia di colera falcidiò la città greca e così Zambeccari, dopo un periodo di malattia, fece ritorno in Italia, stabilendosi questa volta a Torino; qui riprese attivamente a occuparsi di questioni sociali e politiche, aderendo al mesmerismo, cercando un abboccamento con il conte Camillo Benso di Cavour e, nel 1857, dando il suo sostegno al comitato bolognese della Società nazionale italiana. Due anni più tardi, già da tempo affiliato alla massoneria, fu tra i fondatori della loggia Ausonia e nel 1862 divenne, in forma interinale, gran maestro del Grande Oriente d’Italia, fornendo un contributo sostanziale alla riorganizzazione della società segreta e segnalandosi come «l’infaticabile propugnatore dell’unità massonica italiana» (Leti, 1925, p. 256).
Gli ultimi anni furono densi di attività, ma costellati da una serie di eventi amari. Nel febbraio del 1860 non fu eletto al Consiglio comunale bolognese per il quale si era candidato, mentre nell’ottobre, su richiesta di Garibaldi, si recò a Napoli, dove gli furono affidate le prestigiose cariche di ispettore generale dell’esercito meridionale e di direttore del ministero della Guerra. Si trattò di un breve periodo di riscossa, poiché già nel novembre dovette rinunciare agli incarichi facendo ritorno a Bologna. Presentatosi regolarmente a Torino presso il Comando generale dell’esercito meridionale, che lo aveva convocato, vide svanire l’ambizione di essere nominato generale e si dovette accontentare della conferma del grado di colonnello di fanteria, prima nel Corpo volontari e poi nel regio esercito.
Zambeccari dovette scontare per tutta la vita la fama di uomo d’azione coraggioso ma sprovveduto, di repubblicano schietto ma ingenuo; il giudizio di Felice Orsini (1936), che fu al suo fianco nei cacciatori dell’Alto Reno, è in questo senso illuminante: «io sono amicissimo di Zambeccari, ma siate certo che in caso di pericolo, e risoluzione e scienza militare, è purtroppo vero che non val nulla. Ed è un gran male perché uomo attaccatissimo al suo paese» (p. 104).
Ritiratosi definitivamente a Bologna, si impegnò attivamente in campo sociale, soprattutto sostenendo in prima persona la nascita degli Amici del popolo, una società di mutuo soccorso rivolta ai lavoratori felsinei.
Morì celibe a Bologna il 2 dicembre 1862.
Fonti e Bibl.: La biblioteca del Museo del Risorgimento di Bologna conserva il nucleo principale di documenti riguardanti Zambeccari, donati dai discendenti della sorella Carlotta. In particolare, si vedano: Archivio delle posizioni, pos. Livio Zambeccari; Documenti e biografie di Livio Zambeccari.
Le maggiori notizie su Zambeccari si trovano nella voce a lui dedicata da P. Schiarini nel Dizionario del Risorgimento nazionale, IV, Milano 1937, pp. 618-620, e nelle biografie di E. Spartaco, L. Z., Torino 1859; F. Bertolini, L. Z. Cenni biografici, Bologna 1885; A. Piccarolo, L. Z.: apostolo de libertade na America e na Europa, S. Paulo 1935. I contributi più recenti sono raccolti nel numero speciale del Bollettino del Museo del Risorgimento, XLVI (2001)Tra il Reno e la Plata: la vita di L. Z. studioso e rivoluzionario, a cura di M. Gavelli - F. Tarozzi - R. Vecchi. Notizie su Zambeccari si trovano in numerosi volumi, tra i quali si segnalano: G. Leti, Carboneria e massoneria nel Risorgimento italiano, Genova 1925, ad ind.; G. Santini, Diario dell’assedio e difesa di Ancona nel 1849, Aquila degli Abruzzi 1925; G. Natali, Corpi franchi del Quarantotto, in Rassegna storica del Risorgimento, XIII (1935), 1, pp. 185-233, 326-394 (dove vengono riportati alcuni proclami di Zambeccari); F. Orsini, Lettere di Felice Orsini, a cura di A.M. Ghisalberti, Roma 1936, ad ind.; E. Michel, Esuli italiani nelle isole Ionie, in Rassegna storica del Risorgimento, XXXVII (1950), 1-4, pp. 323-352; F. Della Peruta, Mazzini e i rivoluzionari italiani. Il “partito d’azione” 1830-1845, Milano 1974, pp. 369-439; Bollettino del Museo del Risorgimento, XLIV-XLV (1999-2000), n. monografico: Negli anni della Restaurazione, a cura di M. Gavelli - F. Tarozzi; A. Bistarelli, Gli esuli del Risorgimento, Bologna 2011, pp. 138 s.