LO FRASSO (Frasso, de lo Frasso) Antonio
Nacque ad Alghero nella prima metà del XVI secolo da famiglia appartenente al ceto militare, proveniente dalla piccola feudalità priva di titolo devota alla Corona spagnola; un ramo della famiglia, trasferitosi a Sassari, fu accolto nella nobiltà isolana all'inizio del XVII secolo. La data di nascita del L. si può congetturalmente collocare nel terzo-quarto decennio del secolo sulla base delle fedi di battesimo dei tre figli avuti dalla moglie Jeronima, di cui non è indicato il nome di famiglia: Gavino Alfonso nel 1560, Clara Laodamia nel 1562, Giovanni Francesco Scipione nel 1565 (Roca Mussons, 1992, p. 23).
L'arma familiare rappresentava un frassino nascente dal mare sormontato da una stella turchina. Il L. inserì una variante personale - il frassino affiancato da due leoni rampanti e incorniciato dalle iniziali "A D L F" e dal motto "Audaces fortuna iuvat timidosque repellit" - in calce ai suoi Diez libros de Fortuna d'Amor, stampati a Barcellona nel 1573.
Non si hanno notizie sulla sua formazione e sugli anni giovanili. Il ceto di appartenenza non comportava necessariamente la carriera militare; inoltre, la presentazione che egli dà di sé nei frontespizi delle sue opere quale "militar sardo de la ciudad de Lalguer" indica esclusivamente lo status, cioè il fatto che la sua famiglia, di estrazione borghese benestante o con tradizioni militari, aveva conseguito con il feudo il diritto di partecipare alle Cortes e perciò di fregiarsi del titolo di "militar".
Da Alghero il L. fu costretto a espatriare per ragioni non chiare in una data compresa tra il 1565 e il 1571. Non vi è alcun sostegno documentario alle notizie che si deducono dalla trama autobiografica dei Diez libros de Fortuna d'Amor, secondo cui il motivo dell'esilio fu l'amore per una giovane algherese a causa del quale il L. avrebbe addirittura patito il carcere e altre ingiustizie. Nel 1571 si trovava a Barcellona, dove diede inizio alla sua attività di scrittore in lingua castigliana con Los mil y dozientos conseios y avisos discretos sobre los siete grados y estamentos de nuestra humana vida… (tipografia J. Cortey - P. Malo).
Si tratta di una raccolta di sentenze morali e avvertimenti indirizzata ai figli Alfonso e Scipione - i quali, secondo quanto si dice, erano rimasti ad Alghero con la madre e i nonni -, ma contenente anche una vivace descrizione della battaglia di Lepanto in 109 ottave. Dedicatario dell'opera è Giacomo Alagón y Cardona conte di Sorris in Sardegna. Sono in versi anche i Conseios, ma di fattura poco felice: terzine di ottonari, con il secondo e il terzo verso in rima, contenenti ciascuna un insegnamento, per lo più ispirato a semplice buon senso; nulla emerge che faccia pensare alla frequentazione di autori di morale classici o moderni. Le massime sono suddivise in sette gruppi corrispondenti ad altrettante classi sociali (grados) identificate da mestieri: ecclesiastico, pastore, agricoltore, artigiano, notaio, commerciante, medico, l'ultima classe raggruppa eterogeneamente medico, avvocato, cavaliere, soldato a piedi, cavallo leggero, cavallo armato, capitano e colonnello di guerra.
L'opera principale del L. è il romanzo pastorale in prosa e in versi Los diez libros de Fortuna d'Amor, compuestos por Antonio de lo Frasso militar, sardo, de la ciudad de Lalguer, donde hallaran los honestos y apazibles amores del pastor Frexano, y de la hermosa pastora Fortuna… (Barcelona, P. Malo, 1573; contiene ventidue incisioni che illustrano episodi del romanzo).
Una seconda edizione fu eseguita a Londra nel 1740 (contiene dieci tavole e un improbabile ritratto del L.) per iniziativa di un maestro di lingua spagnola, l'ebreo di origine ispanica Pedro de Pineda, autore di un Diccionario inglés-español e responsabile di una scorretta edizione del Don Chisciotte (Londra 1738). L'opera è posta dal L. sotto la protezione del nobile catalano Luis Carroz de Centellas (la sua arma campeggia nel frontespizio della princeps), che tra gli altri feudi possedeva la contea di Quirra, in Sardegna; il decimo libro, aggiunto quando il disegno dell'opera era già stato compiuto e intitolato Jardín de Amor y varias rimas, è un omaggio alla moglie del dedicatario Francesca de Centellas y Alagón, da collegare alle nozze della coppia, celebrate probabilmente alla fine del 1572. Il titolo, indica la scansione interna dell'opera e il nome della protagonista, ricalca la forma caratteristica del genere bucolico, per esempio Los siete libros de Diana di Jorge de Montemayor (Valencia 1559), il più noto esemplare di questa letteratura in Spagna. Tuttavia, mentre nell'opera il L. conia numerosi nomi seguendo il modello bucolico, Fortuna è atipico nella letteratura pastorale, ed è per giunta associato ad "amor", il che indirizza a un'interpretazione allegorica dell'opera, incentrata sulle due principali forze che condizionano l'esistenza dell'uomo.
La trama, autobiografica, si divide abbastanza nettamente in due parti. La prima, fino al libro VI, è di ambientazione sarda e di tenore esplicitamente pastorale. Il L. trasferisce l'Arcadia nella sua isola: nel prologo ne fornisce un'utopica descrizione, le principali azioni si svolgono nelle campagne e nella città di Alghero, nel libro IV è inserita con lo schema del trionfo la celebrazione delle più importanti dame della città. Alla sfortunata vicenda amorosa del pastore Frexano per la donzella algherese Fortuna fa da sfondo l'acerrima competizione tra le fazioni degli ovejeros, giusti, buoni e onesti, e degli arroganti e prevaricatori porqueros, che riflette il conflitto esistente in Sardegna negli anni 1540-50 tra il partito vicereale e le élites isolane, fedeli alla Corona ma avverse alla politica dispotica e vessatoria del suo rappresentante. Di questo scontro per il potere, Frexano, che parteggia per gli ovejeros, finisce per essere vittima (l. V): cade in un tranello e viene accusato falsamente dell'omicidio di un pastore, subisce l'onta della carcerazione e della perdita del patrimonio, a causa della corruzione dei giudici il giudizio viene rinviato per due anni e mezzo, l'amico Duriano viene assassinato, Fortuna sposa un altro pastore. Per essere risarcito dei danni subiti e restaurare la sua dignità Frexano decide di recarsi in corte a Barcellona (dove dichiara di essere stato in precedenza e di avere un amico, Claridoro).
Nella seconda parte, che si svolge nell'esilio, prevalgono un ambiente urbano e una caratterizzazione cortese - intatta resta però la convenzione bucolica dominante - incentrata sui protagonisti Frexano e Claridoro. Di Barcellona vengono descritti gli edifici (la dogana, la borsa, il palazzo del commendatore maggiore di Castiglia Luis Zúñiga y Requesens), e più aperto diventa il riferimento alla società nobiliare catalana (a cominciare dai dedicatari dell'opera), da cui Frexano spera di ottenere giustizia e riconoscimenti. Le occasioni cortigiane affiorano perciò con maggiore nettezza attraverso il travestimento bucolico, come nella storia di don Floricio e della pastora Argentina narrata nel libro VIII, dedicata alla contessa di Aytona Lucrecia de Moncada, in cui trova spazio la descrizione epistolare delle Justas reales (giostre reali) di Barcellona, a cui Floricio è stato invitato e dove si è recato separandosi dall'amata: sono descritti il corteo con i carri allegorici, le armi e le divise dei protagonisti, la giuria, i premi, e l'episodio culmina nella celebrazione di cinquanta dame catalane. Il libro IX, l'unico non narrativo, tratta di casi d'amore: il riferimento è alle nozze dei due dedicatari; è anche il libro più letterario, in cui il L. fa sfoggio della sua cultura (Juan Boscán y Almogáver, Ausias March, B. Castiglione, Petrarca, Pedro Mexía, Jerónimo de Rebolledo). Il libro X si presenta come una miscellanea poetica sciolta da un preciso legame con la trama del romanzo; vi è compreso tra gli altri componimenti il terzo dei tre trionfi dichiarati nel frontespizio, in onore di dodici dame catalane. Da segnalare nell'opera due poesie in lingua sarda e una in catalano.
Se l'opera maggiore del L. si è meritata nella critica moderna il giudizio stroncatorio di M. Menéndez y Pelayo, che gli studiosi più recenti si sono adoperati a mitigare, la Fortuna d'Amor riscosse un certo successo presso i contemporanei: trent'anni dopo la sua apparizione Cervantes ne parla con accenti ambiguamente lusinghieri nel Don Chisciotte a proposito della biblioteca poetica e cavalleresca del protagonista (I, 6, 170), e gli ispanisti si interrogano se sia da intravedere nel passo un intento canzonatorio e una sotterranea censura alla mescolanza di verità storica e ambientazione pastorale su cui si basa il romanzo. Nove anni dopo l'uscita della prima parte del Don Chisciotte, nel 1614, Cervantes rappresenta il L. in persona nel Viaje del Parnaso, di nuovo in maniera ambivalente. Nell'episodio in cui la nave dei poeti deve passare tra Scilla e Cariddi, per placare i mostri marini l'equipaggio decide di gettare una vittima tra le onde e la scelta cade sul L., che se ne sta in un angolo intento a comporre la continuazione del suo romanzo: egli viene difeso da Mercurio in persona, che dichiara i suoi meriti poetici citando i Diez libros (III, vv. 247-273). Quando però la nave dei poeti approda in Parnaso, il L. si merita un aspro rimbrotto da Mercurio che gli rinfaccia la modestia delle sue rime e lo rimprovera di mostrarsi irriconoscente dei favori concessigli da Apollo e dalle Muse (III, vv. 311-327); poi, più avanti, nel momento culminante della battaglia, il L. è tra coloro che disertano e si uniscono alla schiera dei nemici (VII, vv. 130-132). L'anno dopo il Viaje, nell'intermezzo El Vizcaíno fingido Cervantes dà un'altra testimonianza dell'auge di cui godevano i Diez libros de Fortuna d'Amor, proponendoli, accanto alla Diana di Montemayor, al Caballero de Febo (parte dell'Espejo de príncipes y caballeros di Diego Ordóñez de Calahorra) e alla Historia del invencible caballero don Olivante de Laura di Antonio de Torquemada, come lettura adeguata alla donna che desidera fare bella figura in società.
Per spiegare la sconcertante palinodia del Viaje, Roca Mussons (1991) ha avanzato una suggestiva ipotesi, basata sul documento che dovrebbe rappresentare la testimonianza estrema sul L.: un pliego suelto, cioè una stampa di poche carte (solo due in questo caso) destinata alla diffusione popolare, impressa a Barcellona nel 1606 (G. Graelles - G. Dotil), nella quale si celebrano le imprese di un corpo di pubblica sicurezza, La Unión. La Relación verdadera de la Santa Unión, firmada en esta noble y leal ciudad de Barcelona, contra toda suerte de gente de mala vida: donde se cuentan los bienes que ha hecho y haze cada dia, mudando los hombres de mal en bien. Es obra muy curiosa y apasible para quien lo leyere, porque finge el autor la Union en una dama, que va exortando a los hombres y mugeres de toda suerte de vicios: van las coblas glossadas al cabo con romances antiguos, que dan mucho gusto y contento. Compuesta por el pastor Frexano è un testo propagandistico che esalta la politica repressiva adottata dalle autorità catalane per sradicare il fenomeno del banditismo, dilagante nella regione nei primi anni del XVII secolo.
Composto in ottonari, è distinto in una prima parte di 110 versi divisi in 22 strofe che si apre con un'invocazione alla Vergine e poi espone con considerazioni moralistiche l'utilità della repressione del crimine e della sicurezza pubblica; la seconda parte è composta da sei coppie di strofe di dieci versi rivolte a singole categorie di malfattori. Il distico finale di ciascuna strofa consiste nella citazione di coppie di versi di romanzi spagnoli appartenenti al ciclo del Cid, al ciclo carolingio castigliano e a quello del re don Rodrigo.
Se il pastor Frexano autore della Relación è da identificare con l'autore dei Diez libros, nel Viaje, che è considerato da molti critici una sorta di testamento poetico, Cervantes avrebbe quindi inteso elogiare il romanzo, ma censurare il L. per avere impiegato opere che egli amava e rispettava molto in un contesto degradato com'è quello della Relación verdadera. Cervantes soggiornò a Barcellona tra l'aprile e l'ottobre 1610 e poté leggere la Relación in quell'occasione; la conoscenza del romanzo del L. invece potrebbe risalire all'inverno 1573-74, periodo che Cervantes trascorse in Sardegna, dove può essergli stato proposto come una curiosità l'opera dell'autore isolano che si sforzava di scrivere in castigliano.
Data e luogo di morte del L. restano ignoti.
Al L. è erroneamente attribuito da Palau y Dulcet il Commentarium de bello Germanico quod gessit Carolus V, Mediolani, senza indicazioni di tipografia, 1552, opera di Antonio Lo Faso, sacerdote siciliano nato a Caccamo nel 1509. Los diez libros de Fortuna d'Amor si leggono in edizione anastatica con ampia prefazione di M.A. Roca Mussons (A. L. militar de l'Alguer, Sassari 1992; contiene anche l'edizione della Relación verdadera, già in Roca Mussons, 1991, pp. 751-754) e, in traduzione italiana in A. L., poeta e romanziere sardo-ispanico del Cinquecento, a cura di L. Spanu, Cagliari 1974, insieme con la Battaglia di Lepanto e i Milleduecento consigli in versione originale e in traduzione.
Fonti e Bibl.: M. de Cervantes Saavedra, Obras completas, Madrid 1940, pp. 1807, 1882, 1901; Id., El ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha, a cura di V. Gaos, Madrid 1987, p. 145; A. Manno, Storia di Sardegna, III, Torino 1826, pp. 503 ss.; P. Tola, Diz. biografico degli uomini illustri di Sardegna, II, Torino 1838, p. 105; R. Truffi, A. L., poeta sardo del secolo XVI…, in Bull. bibliografico sardo, III (1903), pp. 1-8; M.A. Garrone, Un poeta sardo in due opere di Cervantes, in Fanfulla della domenica, XXXIII (1911), 9, pp. 3 s.; P. Cabañas, Garcilaso de la Vega y A. de Lofrasso (un soneto conocido, una glosa elucidada), in Revista de literatura, I (1952), pp. 57 s.; F. Alziator, Storia della letteratura di Sardegna, Bologna 1954, pp. 85 ss.; Enciclopedia universal ilustrada, XXX, Barcelona s.d. [ma 1958], pp. 1406 s.; M. Menéndez y Pelayo, Orígenes de la novela, II, Madrid 1961, pp. 311-317; M.A. Roca Mussons, La città di Barcellona: spazio bucolico-cortese nel romanzo di A. de L. "Los diez libros de Fortuna d'Amor", in Boletín de la Real Academia de buenas letras de Barcelona, XLI (1987-88), pp. 29-56; Id., Considerazioni e contributi documentari su un'opera e un autore: A. de lo F. e "Los diez libros de Fortuna d'Amor", in Arch. stor. sardo, XIV (1988), pp. 177-184; Id., Conjeturas sobre un autor, una obra y la emigmática evaluación de Miguel de Cervantes: A. de L. y Los diez libros de Fortuna d'Amor, in Actas del Primer Coloquio internacional de la Asociación de cervantistas, Alcalá de Henares… 1988, Barcelona 1990, pp. 393-407; Id., A. de L.: un itinerario tipológico en el "Viaje del Parnaso" de Cervantes, in Actas del Segundo Coloquio internacional de la Asociación de cervantistas, Alcalá de Henares… 1989, Barcelona 1991, pp. 731-754; A. Palau y Dulcet, Manual del librero hispanoamericano, V, Barcelona 1951, p. 496; J. Simon Díaz, Bibliografía de la literatura hispánica, XIII, Madrid 1984, pp. 358 s.